CONTARINI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Giovanni

Giovanna Nepi Scirè

Figlio di Francesco, "cognominato dalla Valonia", nacque nel 1549 (Ridolfi, 1648, p. 96) probabilmente a Venezia.

Il significato del soprannome paterno non è del tutto chiaro; indica forse un soggiorno o commerci con quelle regioni, ma potrebbe anche riferirsi ad una sostanza tintoria e suggerire una attività nel campo dei tessuti (Bristot, 1980, p. 37 nota 29). Il Ridolfi (1648) resta la fonte principale per la biografia del C., che è stata di recente (1980) ricostruita dalla Bistrot, alla quale si farà riferimento, se non diversamente indicato.

Il padre avrebbe avviato il C. agli studi letterari, ed egli sarebbe divenuto notaio con Giovan Francesco Crivelli, il quale pure in seguito diventerà pittore. Effettivamente i nomi di entrambi compaiono in una lista di "notari di rispetto", che è conservata all'Archivio di Stato di Venezia, del 24 apr. 1580, mentre il 26 dic. 1587, "essendo assente dalla città", il C. delega l'amico Zuanne Vinci a chiedere a suo nome che il posto di notaio spettantegli venga lasciato a Vincenzo Bognolo. Ciò sembra confermare ulteriormente la versione del Ridolfi secondo cui, invece di esercitare la professione, il C. avrebbe iniziato a "studiar pittura" in compagnia di Pietro Malombra. Quindi, per suggerimento di Alessandro Vittoria, al quale avevano sottoposto le loro fatiche, si sarebbero dedicati il primo a dipingere, il secondo a disegnare.

Il C. avrebbe eseguito da principio solo ritratti, dipingendo successivamente, sollecitato dal Vittoria. fantasie e scene sacre. Tra le sue prime commissioni il Ridolli ricorda quattro storie raffiguranti Mosè sul monte Sinai, Ester ed Assuero, L'incoronazione della Vergine, La Vergine dinanzi al Redentore per la chiesa di S. Martino di Murano (oggi disperse) che il Boschini (1664, p. 33) attribuiva invece a Marchio Colonna e Cesare Dalle Ninfe (Hadein, in Ridolfi, p. 96 n. 2). "Essendo d'anno 30", riferisce ancora il Ridolfi (nell'edizione Hadeln, p. 96, è scritto erroneamente "danno 39"), quindi presumibilmente nel 1579, emigrò a Praga alla corte di Rodolfò II, dove continuò aseguire la sua vocazione di ritrattista, eseguendo poi, incoraggiato dal successo ottenuto, o favole, con Veneri, Amori, Satiri e altre simili inventioni". Non conosciamo il motivo che lo spinse ad emigrare, né gli esatti limiti cronologici del suo soggiorno; il viaggio, comunque, dovette avvenire in forma privata, poiché egli non risulta al seguito dell'ambasciatore A. Badoer che vi si recò nel 1580, né è citato nei dispacci da Praga a Venezia. Nessuna opera certa rimane, di questo periodo, allo stato attuale delle conoscenze; non è quindi agevole misurare eventuali apporti dell'artista nell'ambito del manierismo rudolfino, mentre appare chiaramente che egli non ne risentì alcuna influenza rilevante. Inspiegabilmente nessuno dei diversi inventari praghesi menziona alcun suo dipinto. Solo O. Granberg (Drottning Kristinas Tafvelgalleri, Stockholm 1896, p. 70), nel catalogo della collezione di Cristina di Svezia, in cui dal 1648 erano passate numerose opere della raccolta dell'imperatore, cita al n. 199 un ritratto firmato "Iohanes Contarenus". Il Sagredo inoltre (1841, p. 48) riferisce di una Visitazione e di una Presentazione al tempio nella pubblica galleria della Società nazionale degli amici delle arti in Praga, oggi non più esistente.

Il favore di Rodolfo II dovette essere indiscusso, se oltre a numerosi doni il pittore ricevette la nomina di cavaliere, le cui insegne ostenta nell'Autoritratto degli Uffizi. La parentesi praghese era conclusa prima del 23 sett. 1591, quando da documenti archivistici pubblicati dallo Schönherr (1896, reg. 14.190) risulta che l'arciduca Ferdinando ordinava alla Camera di Innsbruck di pagare al C. una rimanenza di 240 Gulden quale liquidazione. Il 25 aprile dell'anno successivo, nei registri del castello di Ambras si annotava ancora un pagamento di 30 Guiden in favore dell'artista, definito "Kammerdiener und Hofmaler", mentre il 13 nov. 1593 l'arciduca raccomandava al cugino Ernesto il C., già suo "pittore di corte", che avrebbe voluto recarsi con Emesto a Praga e in Fiandra (Schönherr, 1896, reg. 14.316).

Tali dati confermano in parte le affermazioni del Ridolfi, ma non precisano il momento in cui il C. lasciò la corte di Rodolfo né se si fosse trasferito direttamente da Praga a Innsbruck, senza ritornare in precedenza a Venezia. È stato supposto che il C., che risulta assente da Venezia nel 1587, possa aver compiuto il viaggio in Boemia proprio in quel periodo, trasferendosi poi in Tirolo presso Ferdinando, zio di Rodolfo. Riducendo così i termini del soggiorno all'estero, si spiegherebbe più facilmente l'impermeabilità dei C. alle influenze artistiche boeme. Anche dell'attività tirolese nulla è sopravvissuto nel castello di Ambras.

Recentemente è stato proposto, come testimonianza superstite di questo periodo, il ritratto di un dignitario asburgico, presso Drey a Londra nel 1939, la cui attuale ubicazione è sconosciuta (Bristot, 1980, p. 61, fig. 7). Tuttavia l'impossibilità di esaminare il dipinto se non attraverso la riproduzione fotografica, che del resto non appare del tutto convincente, rende l'ipotesi assai fragile.

Ignoriamo se il pittore si recasse effettivamente nei Paesi Bassi o se invece ritornasse in patria. Il Ridolfi (p. 97) afferma che, dopo l'allontanamento da Innsbruck, causato da uno scandalo con una dama di corte, il C. "fù dal Baron di Vuelsperg... mandato ad un suo Castello, ed indi se ne passò a Venetia...". Il nome del barone Siegmund von Welsberg compare, infatti, nei contratti citati accanto a quello di Ferdinando e dell'artista. Comunque sia, il 19 sett. 1596, insieme con Pietro Malombra, il C. veniva denunziato alla Giustizia vecchia perché, non essendo iscritto alla fraglia dei pittori, eseguiva opere pertinenti all'arte (Rosand, 1970).

L'accusato si difese affermando di essere "persona civile", di non aver appreso l'arte come garzone e di esercitarla per diletto, non per guadagno. Ma il gastaldo Antonio Aliense produsse prove della sua colpevolezza, condannandolo l'anno seguente ad una multa ed al pagamento delle spese processuali per un ammontare di 40 ducati. Evidentemente di conseguenza, il C. dal 1597 al 1600 risulta iscritto alla fraglia dei pittori. È quindi assai probabile che all'inizio della vertenza risiedesse a Venezia almeno da qualche tempo.

Il Ridolfi lo vuole morto nel pieno dell'attività a cinquantasei anni, nel 1605, mentre lo Stringa, scrivendo le sue aggiunte al Sansovino (c. 225v) nel 1604, ne parla come di "assai buon pittore, morto ultimamente"; in assenza di più precise testimonianze, sembra opportuno attenersi alla tradizione riportata dallo Stringa.

Alla luce delle scarne notizie, mancando opere certe appartenenti al periodo praghese e tirolese, l'attività dei C. appare concentrata in un breve arco di tempo, dal 1596 o poco prima fino al più tardi al 1604, durante il quale si colloca la quasi totalità della sua produzione, citata del resto dal Ridolfi come eseguita dopo il ritorno in patria. Benché il suo catalogo annoveri un numero notevole di dipinti firmati, la relativa sistemazione cronologica, in mancanza di più dettagliate notizie biografiche e di datazioni, perduta gran parte delle opere citate dalle fonti, rappresenta ancora un problema non soddisfacentemente messo a fuoco. Sulla scia del Ridoffi gli storici hanno.spesso insistito sulla matrice tizianesca del C., il Pallucchini (1959-60, p. 40) ipotizzando addirittura un apprendistato presso la bottega di Tiziano verso il '70. Ma come l'artista stesso afferma (Rosand, 1970, p. 52 n. 158), egli non fu educato all'arte con un tirocinio, piuttosto attraverso un'attenta selezione della pittura veneziana contemporanea. Tiziano, prima di tutti, ma anche Paolo Veronese e Giuseppe Porta detto il Salviati, influenza giustamente rilevata dalla Bristot (1980), interessano il C., non senza citazioni da Iacopo Bassano, e successivamente, seguendo una parabola comune ad altri manieristi, il tardo Tintoretto coi suoi esiti luministici ed infine Palma il Giovane divengono le fonti principgli della sua ispirazione. Siamo in sostanza di fronte ad un eclettico che si mantiene nei termini di una dignitosa accademia.

Una datazione precoce, per la predominante tizianesca, può essere proposta per il Sacrificio di Isacco della Fondazione Querini Stampalia (Lorenzetti, 1926, pp. 353 s.), esemplato sull'omonimo soggetto dipinto da Tiziano per S. Spirito in Isola, tuttavia ben lontano dalla drammaticità dell'opera del cadorino, qui bloccata e risolta superficialmente. Altra testimonianza giovanile, appartenente ad un momento posteriore per l'addizionarsi di altre esperienze accanto a quellatizianesca, dovrebbe essere il Davide della stessa collezione (Venturi, 1934. p. 282). Entrambe le opere furono probabilmente eseguite al ritorno da Innsbruck.

Memore della Deposizione di Paolo Veronese del Museo di Castelvecchio di Verona è il Cristo portato al sepolcro (firmato "I. Contaren F."), oggi sopra la porta di ingresso della chiesa veneziana di S. Nicolò da Tolentino (Moschini, 1958, p. 107), dove ai prestiti veronesiani si aggiungono puntuali riferimenti ad opere dei Salviati e nel quale si nota una maggior disinvoltura nella articolazione spaziale rispetto al Davide. Prossimo a questo senz'altro il Davide con la testa di Golia presentato da Sotheby a Firenze il 25 nov. 1980 (cat. n. 336, p. 78; cfr. P. Rossi, 1981), di cui esiste il disegno preparatorio in controparte al Museo nazionale di Stoccolma (U. Ruggeri, 1981, pp. 42 s.).

Il Ridolfi ci riferisce che attraverso le amicizie che aveva contratto il pittore fu incaricato dalla Compagnia del Sacramento di eseguire nella chiesa della Croce di Venezia "un Cristo che sta per essere posto sulla croce". La tela, di grande interesse, in cui è particolarmente evidente l'influenza tintorettesca, esiste ancora (Spiazzi, 1974, p. 52), firmata ("Ioannes Contareni F."), presso la parrocchiale di Santorso (Vicenza), a cui, soppressa la chiesa della Croce, fu concessa in deposito nel 1839 (Venezia, Arch. della Soprint. ai Beni artistici e storici, Depositi Santorso). Gli si avvicina il bel frammento con Cristo che sta per essere posto sulla Croce della chiesa di S. Lucia di Vicenza. Per la Confraternita dei Milanesi dipinse un S. Ambrogio che scaccia gli Ariani firmato "Ioanes Contar." (Ridolfi, 1648, p. 98), tuttora nella cappella dei Milanesi ai Frari (Arte veneta, XXVII [1973], p. 360), assai simile a due tele del Palma: Costantino che reca la Croce nella chiesa veneziana di S. Giovanni Elemosinario e il Massacro degli abitanti di Ippona, firmato e datato 1593, nel Museo Fabre di Montpellier. Il fatto che vengano ripetuti più stancamente motivi già sperimentati nel dipinto per la chiesa Aella Croce induce a ritenerlo successivo. Per entrambi comunque un termine post quem è presurnibilmente il 1597, anno di ingresso del pittore nella fraglia, essendo poco probabile che i due sodalizi procurassero commissioni a chi non era iscritto all'arte.

Il più importante lavoro pubblico, che testimonia la fama raggiunta dal C. in breve tempo, furono i dipinti eseguiti per la sala delle quattro porte in palazzo ducale: la Riconquista di Verona e il Doge Marino Grimani inginocchiato dinanzi alla Vergine tra santi (per il restauro: Arte veneta, XXXIII [1979], pp. 229 s.).

La Riconquista di Verona (Stringa, 1604, c. 225v) è forse il capolavoro dell'artista, che rivela una perizia nell'uso, delle gamme cromatiche, un'abilità nello snodarsi dei vari piani, mai più raggiunte. Il presunto tizianismo di quest'opera, riscontrato da tutta la critica è, in realtà, difficilmente puntualizzabile e si risolve soprattutto nell'uso dei colore. La sua datazione non può che essere compresa, e piuttosto all'inizio che alla fine, nel periodo di iscrizione all'arte, condizione indispensabile per ottenere una simile commissione.

Esiste un disegno (Berlino-Dahlem, Kupferstichkabinett) riconosciuto giustamente da Hadeln (1911, p. 22) preparatorio con alcune varianti. Il Ridolfi (p. 98) afferma che la figura centrale con l'asta in mano è il ritratto di G. Magagnati, amico dei pittore, mentre il guerriero di spalle col cappello piumato è un autoritratto, come ci rivela il raffronto con quello degli Uffizi, pressoché contemporaneo (Savini Branca, 1964, p. 217). In esso l'artista appare, come si è detto, con la croce di cavaliere su cui spiccano le lettere "GOCF", variamente interpretate e probabilmente non originali. Sono questi gli unici esempi sicuri superstiti della sua intenta attività di ritrattista. Il Ridolfi annota fra i tanti ritratti eseguiti quelli dei barone von Welaberg, di Marco Dolce, di Antonio Aliense. Delle varie attribuzioni in questo campo, la più convincente appare quella del ritratto di Giovanni Andrea Doria, già nella collezione Contini Bonacossi di Firenze (Pallucchini, 1969, p. 206), anche se non sembra di poter condividere la proposta di datazione al 1594 (Bristot, 1980, p. 53).

Nel Doge Marino Grimani inginocchiato dinanzi alla Vergine tra santi (firmato "Iohannes Contarenua fecit"), se l'insieme della composmone è ispirato al dipinto votivo di Tiziano per il doge Andrea Gritti, distrutto dall'incendio del 1574, a noi noto attraverso un!incisione contemporanea, il S. Sebastiano è ripreso dall'analogo santo nella Madonna dei Tesorieri di Tintoretto alle Gallerie dell'Accademia, come di ascendenza tintorettesca è l'uso delle luci. Termine post quem per la datazione è ovviamente il 1595, anno dì elezione al dogado del Grimani, ma anche qui valgono i termini temporali di iscrizione alla fraglia. L'opera è ravvicinabile alla Natività della Vergine dei SS. Apostoli, probabilmente un pò posteriore, la cui autografia è confermata dal Boschini (1664, p. 433) e che in base alle date di esecuzione e consacrazione dell'altare può essere compresa tra il 1599 e il 1602 (la data 1599 non fu mai apposta sulla tela come affermano Donzelli e Pilo, 1967, p. 139; vedi anche Arte veneta, XXIV [1970], p. 3113). In vicinanza di questi dipinti dovrebbe porsi la S. Caterina d'Alessandria (giànella collezione Calligaris di Terzo d'Aquileia), firmata "Io. Contarenus F." (Bristot, 1980, fig. 16), che tradisce l'ammirazione per il tardo Tiziano, specialmente nel paesaggio (Pallucchini, 1969, p. 206). Sempre negli stessi limiti cronologici di iscrizione alla fraglia, ma dopo le tele ducali, possiamo includere un altro lavoro eseguito per un edificio pubblico cittadino: il Battesimo di Cristo delle Gallerie (in deposito presso la Fondazione G. Cini), firmato "Ioannes Contarenus P.", proveniente dalla Cassa dei Consiglio dei dieci nel palmo dei Camerlenghi, dove lo ricorda il Boschini (1664, p. 267), opera di carattere particolarmente chiaroscurale in cui i vari prestiti non appaiono coerentemente assimilati.

L'unica opera firmata e datata dell'artista ("año D. ni, MDLXXXXVIII sotto la gastaldia de Antonio Virizzo. Ioanes Contare") è la notevole Ultima cena della parrocchiale di Dignano d'Istria, personalissima interpretazione del veronesiano Convito in casa di Levi e dell'Ultimacena tintorettesca di S. Polo.

In una fase piuttosto tarda, forse a cavallo tra i due secoli, dovrebbe inserirsi l'Incoronazione di spine del Museo civico di Padova (Mariani Canova, 1980, p. 334), proveniente dal convento di S. Giustina, dove, benché il soggetto ricordi l'Incoronazione di Tiziano del Louvre, il tintorettismo di base risente di mediazioni dal Palma.

Il Boschini (1664, p. 417) descrive ancora nella chiesa di S. Canciano le portelle interne dell'organo con l'Annunciata, quelle esterne con i SS. Massimo e Canziano, tuttora esistenti benché completamente anneriti ed illeggibili, mentre l'Annunciata dovette andare dispersa quando nel Settecento fu rifatto l'organo.

Infine un S. Sebastiano firmato (Hadeln, in Thieme-Becker), che ripeteva la posa di quello nella pala Grimani, e che si trovava nel Museo civico di Hildesheim, in deposito dal Kaiser Friedrich Museum di Berlino, fu distrutto nel 1945 (V. C. Norris, in The Burlington Magazine, XCVII[1952], p. 340).

Della produzione provinciale dei C. il Ridolfi ricorda, inoltre, a Serravalle di Vittorio Veneto, nel monastero di S. Girolamo, il Santo omonimo (firmato "loanes Contarenus F."), passato poi nella Pinacoteca di Brera; benché lo sfondo sia assai simile a quello della Deposizione dei Tolentini (Bristot, 1980, p. 43), la sua esecuzione sembra più tarda. E, sempre a Serravalle, nella chiesa di S. Giustina, la tela raffigurante La santa, s. Agostinoe s. Monica, attualmente ubicata sull'altar maggiore, forse una delle ultime opere, considerata la sua vicinanza coi SS. Agostino, Girolamo e Carlo del Palma, già nel monastero veneziano di S. Chiara e oggi nella parrocchiale di Selvazzano, del 1601.

Lo Stringa (1604, c. 115v) ci testimonia che negli ultimi anni il C. dipinse il soffitto della veneziana chiesa di S. Francesco di Paola, commissionatogli da Cesare Carafa, benefattore del monastero, morto nel 1600. Dunque, se anche l'esecuzione della grande impresa tanto lodata dalle fonti, che sfortunatamente ha molto sofferto, poté protrarsi più a lungo, è probabile che iniziasse prima della morte dei committente, a meno di non pensare ad una disposizione testamentaria. I Tietze (1969, n. 663) hanno messo in rapporto con la Resurrezione centrale, che risente di Tiziano e del Palma, un disegno degli Uffizi (n. 12.041), il quale non ha nulla a che vedere col Contarini. Contemporanei al soffitto dovrebbero essere gli evangelisti Marco e Luca, oggi nella chiesa di S. Pietro Martire di Murano (firmati "Ioannes Contareno P." e "P. Con."), forse provenienti dal refettorio del convento (Nepi Scirè, 1975).

Tra le tante opere attribuite ricordiamo la Venere delle Gallerie di Venezia, copia libera della Danae diTiziano, ispirata alla versione di Napoli e di Vienna, assegnazione non dei tutto da respingere, considerando soprattutto lo scorcio paesistico (Moschini Marconi, 1962, p. 110); la Nascita di Eva dell'Acc. Carrara di Bergamo (Rossi, 1979);la Moltiplicazionedei Panie dei Pesci della National Gallery of Ireland di Dublino; la Salita al Calvario del Kunstmuseum di Düsseldorf; il Sacrificio di Manue o Gedeone del Kunstmuseum di Göteborg (Rossi, in Pallucchini-Rossi, 1982). Meno convincente la Danae chesi trova ora nella Galleria Sabauda di Torino, ascrittagli dal Fiocco (N. Gabrielli, La Galleria Sabauda..., Torino 1971, pp. 183s. ill. 143). Insostenibili appaiono invece le attribuzioni della Madonna in trono col Bambino, un angelo e santi del Museo di belle arti di Budapest (Mündler, 1869, in A. Pigler, Katalog derGalerie alter Meister, Tübingen 1968, p. 148), completamente ridipinta, della Maddalena (Dazzi-Merkel, 1979) e dell'Adamoed Eva (Lorenzetti, 1926, p. 354) della Querini Stampalia di Venezia, quest'ultimo restituito (Bristot, 1980, p. 64) a seguace del Palma, del S. Girolamo del Castello Visconteo di Pavia (Peroni, 1963), dell'UltimaCena di S. Eufemia di Rovigno (Santangelo, 1935, p. 178), della Stigmatizzazione di s. Francesco della Alte Pinakothek di Monaco (R. Kultzen-R. Eikemeier, Venezianische Gemälde..., München 1971, p. 83), del ritratto di AlviseRenier e del Ritratto virile delle Gallerie veneziane (Moschini Marconi, 1962, p. 109). Mentre la Ninfa e Satiro dell'Institute of Art di Detroit è stato più correttamente avvicinata a Girolamo Dente (Wethey, 1975, III, p. 216). Di recente viene avanzato dubitativamente il nome del C. per le quattro sovrapporte con. scene allegoriche nella sala delle quattro porte a Mazzo ducale (Fantelli, 1980, p. 102).

Il Ridolfi, concludendo la biografia del C., ribadisce che questi "dimostrò sempre più inclinatione al colorire, che al disegno, havendo imparato l'arte co' pennelli in mano". Forse per effetto di questo giudizio, tale aspetto dell'attività dell'artista non è stato fino ad oggi esaurientemente studiato e definito. L'esperienza grafica sembra attuarsi in lui, del resto come per la produzione pittorica, attraverso lo studio di Tiziano, ma anche attraverso mediazioni del Tintoretto e del Palma. Non a caso alcuni fogli che gli sono stati dati - Il martirio di s. Caterina della collezione A. Gaubiet a Seeham, lo Studio per una composizione sacra (inv. n. 37.940 A) e la Flagellazione (inv. n. 37.940 B) della Staatliche Grafische Sammlung di Monaco - recano antiche attribuzioni al Tintoretto, mentre Un papa che dà audienza ad un monaco della collezione Rudolf di Londra è dato al Palma (A. Ruggeri, 1980, p. 107). Possiamo aggiungere ancora la Figura barbuta assisa (inv. n. 22.3295, Chicago, The Art Institute), probabilmente studio per una delle figure del soffitto di S. Francesco di Paola (B. Bettagno, Disegni di una coll. venez. del Settecento, Venezia 1967, p. 43 fig. 31), e forse le Divinità marine della Biblioteca Ambrosiana di Milano (cod. Resta 113: Tietze, 1969, n. 664; G. Bora, I disegni del codice Resta, Bologna 1976, n. 113), il Cristo morto (inv. 1491/1863) e Tre studi di teste (inv. 1492/1863) del Museo nazionale di Stoccolma (P. Bjurström, Italian Drawings..., Stockholm 1979, nn. 33, 34).

Sono invece assolutamente da espungere dal catalogo contariniano la Venere della Christ Church di Oxford (Ivanoff, 1959, p. 136, tav. 8), il Compianto sul Cristo giàdelle collezioni del duca di Devonshire a Chatsworth (Tietze, 1969, p. 162), la Regina di Saba dinanzi a Salomone dei Metropolitan Museum di New York (ibid., pp. 57, 161), le Tentazioni di Cristo del Louvre (ibid., p. 162) e il S. Girolamo di Brera (per la bibliografia vedi Bristot, 1980, p. 73), decisamente posteriori.

Fonti e Bibl.: Per una bibl. aggiorn. al 1979 v. Bristot, 1980. Per le notizie biogr. si v.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, II, Berlino 1924, ad Indicem. Per lenotizie docum.: D. R. von Schönherr, Urkunden und Regesten aus dem K. K. Statthalterei-Archiv in Innsbruck, in Jahrbuch der K. Sammlungen des Allerh. Kaiserh., XVII (1896), Suppl. regg., 14.190, 14.229, 14-233, 14.316, 14-402, 14-481; D. Rosand, The crisis of Venerian Renaiss. tradition, in L'Arte, 1970, 11-12, pp. 38, 39, 52 n. 157; E. Favaro, Varte dei pittori in Venezia..., Firenze 1975, ad Indicem;A. Bristot, Un artista nella Venezia del secondo Cinquecento..., in Saggi e mem. di st. dell'arte, XII (1980), pp. 33-77 e ill. pp. 123-136. Per le fonti: F. Sansovino-G. Stringa, Venetia città nobiliss. et singol., Venezia 1604, cc. 115v, 225v; G. B. Marino, La Galeria, I, Venezia 1629, pp. 75, 79; M. Boschini, La carta del Navegar pitoresco..., Venezia 1660, pp. 397. 403; Id., Le minere della pittura, Venezia 1664, pp. 12, 167, 267, 296, 417 s., 433, 501. Inoltre, A. Sagredo, G. C., Discorsi letti nell'I. R. Accademia di Venezia, Venezia 1941, pp. 48 ss.; M. Gualandi, Nuova raccolta di lettere.... III, Bologna 1856, nn. 380-382; F. Zanotto, Ilpalazzo ducale di Venezia, Venezia 1858, nn. LXIII, LXV; D. von Hadeln, Beiträge zur Geschichte des Dogenpalastesi in Jahrbuch der Kön. prouss. Kunstsamml., XXXII (1911), Suppl., pp. 19 ss.; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1926, pp. 240, 297, 341, 353 s., 357, 409, 556; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 275-285; Invent. degli oggetti d'arte d'Italia, A. Santangelo, Provincia di Pola, Roma 1935, pp. 88, 178; V. Moschini, Inediti di Palma il Giovane e compagni, in Arte veneta, XII (1958), p. 107; N. Ivanoff, I disegni italiani del '600, Venezia 1959, p. 136; R. Pallucchini, La pittura venez. del Seicento, disp. univers., I, Padova 1959-60, pp. 39 s.; Gallerie dell'Accademia di Venezia, S. Moschini Marconi, Opere d'arte del secolo XVI, Roma 1962, pp. 108-110; A. Peroni, Restauri e nuove accessioni delle civiche raccolto d'arte. Mostra permanente al Castello Visconteo, Pavia 1963, pp. 44 s.; S. Savini Branca, Il collezionismo venez. del '600, Padova 1964, pp. 18, 68, 83, 159, 185, 213, 217, 222, 225, 238, 245, 247, 277; C. Donzelli-G. M. Pilo, I pittori dei '600 veneto, Firenze 1967, pp. 138 s.; I. Schulz, Venetian painted ceilings of the Renaiss., Berkeley 1969, pp. 63 s.; R. Pallucchini, Tiziano, Firenze 1969, I, p. 206; II, nn. 628 s.; H. Tietze-E. Tietze Conrat, The drawings of Venet. painters..., New York 1969, pp. 57, 161 s.; A. M. Spiazzi, Un inedito di G. C., in Notizie da Palazzo Albani, 1974, nn. 2-3, pp. 51 s.; G. Nepi Scirè, Scheda per G. C., ibid., 1975, n. 2, pp. 61 s.; E. Wethey, Titian, III, London 1975, ad Ind.;M. Dazzi-E. Merkel, Catalogo della Fondazione Querini Stampalia, Venezia 1979, pp. 50 s.; S. Meloni Trkulija, in Gli Uffizi (catal.), Firenze 1979, A. 244, p. 844; F. Rossi, Accademia Carrara. Bergamo, Bergamo 1979, p. 196 n. 417 (358); G. Mariani Canova, in I benedettini a Padova, Padova 1980, p. 334; P. L. Fantelli, Le sovraporte, A. Ruggeri Augusti, La battaglia di Verona, Il Doge Grimani dinanzi alla Vergine, in Quaderni della Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Venezia, VIII (1980), pp. 102, 105, 107; R. Pallucchini, La Pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, pp. 50 ss.; U. Ruggeri, Idisegni dell'Italia del Nord al Museo di Stoccolma, in Notizie da Palazzo Albani, X, (1981), pp. 41-45; P. Rossi, Un nuovo dipinto giovanile di G. C., in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 153 s.; R. Pallucchini-P. Rossi, Tintoretto, le opere sacre e profane, Venezia 1982, I, pp. 243 s.; II, nn. 657, 659, 667; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 328 s.; Encicl. Ital., XI, pp. 228 s.

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