CLARI, Giovanni Carlo Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CLARI, Giovanni Carlo Maria

Cesare Orselli
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Nacque a Pisa il 27 sett. 1677, da Costantino, suonatore di contrabbasso, conosciuto con il soprannome de "il romano" e Margherita Mariacini. Dopo i primi studi compiuti con il padre fu affidato a Francesco Alessi, maestro di cappella della cattedrale di Pisa; si recò quindi a Bologna per studiare con G. P. Colonna, allievo del Carissimi già organista in S. Apollinare in Roma, che, dopo il suo trasferimento alla direzione della cappella di S. Petronio in Bologna, diede. vita ad una scuola dalla quale uscirono G. C. Predieri, G. B. Alveri, G. F. Tosi, G. Silvani e, più illustre di tutti, G. B. Bononcini. Particolarmente utile e formativo si rivelò il periodo trascorso sotto la guida del Colonna che introdusse il C. alla composizione strumentale e alla tecnica polifonica.

Assai precoci furono le manifestazioni del talento compositivo del C.: il 27 genn. 1695 nel teatro Pubblico di Bologna veniva rappresentato lo "scherzo drammatico" Ilsavio delirante, prima sua opera, accolta "con vivo plauso"; nel libretto, la premessa mette in evidenza la giovane età del compositore, allora appena diciottenne. L'anno successivo il C. fu a Firenze per suonare in S. Frediano in occasione della "festa degli scolari" (Macchetti). Nel novembre del 1695 era morto il Colonna: ma la perdita del maestro non dovette significare troppo nell'evoluzione artistica del C., se nel 1697 - dunque solamente a vent'anni - veniva eletto membro dell'Accademia Filarmonica di Bologna. Negli anni successivi il C. rientrò a Pisa, ma mancano del tutto le notizie intorno ai lavori eventualmente compiuti fra il 1697 e il 1703: forse il linguaggio piuttosto moderno del C. non incontrò il favore del pubblico e dei compositori locali, fra i quali Teofilo Macchetti, allora maestro di cappella della cattedrale, che si segnalava per le sue posizioni conservatrici. Il C., non valorizzato secondo il suo merito a Pisa, trovò invece appoggio e stima presso il cardinale Francesco Maria de' Medici, fratello di Cosimo III granduca di Toscana e poi presso Ferdinando de' Medici, figlio del granduca. Forse al cardinale - i cui rapporti con artisti e musicisti pisani sono ben documentati - o a Ferdinando (come documentato ampiamente in Baggiani) si deve che il C. venisse chiamato a succedere a S. Cherici nel posto di maestro di cappella nel duomo di Pistoia verso la fine dell'anno 1703.

L'incarico gli venne affidato inizialmente per tre anni, e successivamente a vita: in effetti, il C. rimase a Pistoia fino al 1724 e in questi ventun anni svolse la maggior parte della sua attività di compositore, soprattutto di oratori. Cosimo III soleva far eseguire oratori sacri in concomitanza di processioni o di altre cerimonie religiose: ciò contribuì a rendere assai popolare quel genere musicale e, di conseguenza, il nome del Clari. In particolare, si ricordano La difesa della verità e dell'innocenza (testo di P. A. Ginori), dato a Firenze nel 1705 nella Compagnia di S. Niccolò del Ceppo e S. Francesca Romana nella Compagnia di S. Marco. Ad essi fecero seguito: S. Romualdo (Siena, monastero della Rosa, 1708); La morte di Saulle,oratorio a quattro voci... (Firenze 1709; parti ms. Pistoia, Archivio della cattedrale, ms.B.67.2); Il Martirio degli sponsali,oratorio sacro per s. Cecilia... (Pistoia 1711; partitura e parti manoscritte, ibid., ms. B.158.1); Esther ovvero l'Umiltà coronata (Pistoia 1716); Il Martirio di s. Stefano (Pisa 1716; parti vocali e strumentali manoscritte, Pistoia, ibid., ms. B.69.2); Oratorio sacro di s. Francesco (Firenze1718; partitura e parti manoscritte, ibid., ms. B.72.1); L'Adamo (Pistoia 1723; partitura e parti manoscritte autografe, ibid., ms. B.161.4); Le lagrime di s. Ranieri (Lucca 1724); L'Innocenza difesa in Susanna (partitura e parti manoscritte, ibid., B.230.16); Erode (partitura e parti manoscritte, ibid., ms. B.165.2).

La diffusione del genere dell'oratorio nell'area culturale toscana si deve, nei primi decenni del '700, a compositori quali G. M. Pagliardi, F. B. Conti, G. M. Orlandini e F. Gasparini, oltre che al C.: le varie confraternite sollecitavano sempre nuovi lavori, sull'onda del favore popolare incontrato da queste partiture sacre. Tuttavia, pare che il C. non conducesse, a Pistoia, una vita del tutto serena. Nel 1709 il principe Ferdinando si era dichiarato "protettore" del C.; eppure, in una lettera, il principe dovette raccomandare al vescovo di Pistoia di mostrarsi più comprensivo nei confronti delle esigenze del C. e di concedergli più tempo per comporre (cfr. Baggiani, pp. 29 s.). Inoltre, documenti diocesani forniscono notizia di una controversia sorta fra il maestro di cappella e le autorità della diocesi pistoiese in merito a un aumento delle incombenze didattiche del C., cambiamento nei rapporti che si verifica alla morte di Ferdinando (1713) e che tuttavia non induce il C. a lasciare Pistoia. Soltanto nell'agosto 1724, presentatasi l'occasione di assumere un posto meglio retribuito e di maggior prestigio, il C. abbandonava definitivamente la città: rientrava a Pisa assumendo la direzione musicale prima della cappella dei Cavalieri di S. Stefano e poi per interessamento dell'arcivescovo di Pisa, Francesco Frosini, quella della primaziale dal 1º sett. 1724. Nella città natale trascorse gli ultimi trent'anni della sua vita e vi morì il 16 maggio 1754; fu sepolto nella parrocchia di S. Sisto, a Pisa.

Il ruolo di maestro di cappella, che il C. sostenne praticamente per tutta la sua vita, prevedeva l'insegnamento del canto, dell'organo e della composizione: eppure, non si conosce il nome di nessun allievo del C.; si ritiene comunque che siano stati suoi allievi G. G. Brunetti (suo successore nella cappella pisana), O. Mei, G. Zanetti, P. Fabbrini e molti altri recatisi a studiare nella cappella del duomo di Pisa richiamati dalla fama del C. (Baggiani). L'influsso esercitato su altri musicisti si deve pertanto attribuire alla qualità e alla diffusione dei suoi lavori, che si affermarono nonostante che il C., probabilmente, non si muovesse mai dalle città che abbiamo già ricordato nella biografia (Firenze, Bologna, Pisa, Pistoia). Peraltro l'estinzione della dinastia medicea e il subentrare degli Asburgo-Lorena (1737) aprirono certamente nuove vie agli scambi fra Firenze e la più avanzata cultura europea, ma sembra improbabile che la carriera del C. - già sessantenne - abbia potuto trarre un qualche beneficio dall'insediamento degli Asburgo-Lorena sul trono che era stato dei Medici. Piuttosto, si potrà ipotizzare che le partiture già composte dal C. trovassero ulteriore diffusione, nonostante i sensibili cambiamenti di gusto verificatisi fra gli anni Quaranta e Cinquanta del sec. XVIII: la presenza di partiture del C. in moltissime biblioteche europee - da Berlino a Londra, da Bruxelles a Dresda - sta a dimostrare un interesse e una presenza di questo compositore ben al di fuori dei ristretti limiti del "mercato" italiano.

Secondo la Saville (1973), i primi lavori che furono composti dal C. tengono conto della presenza di un doppio coro nella chiesa romanica di Pistoia; la struttura è sovente quella dell'antifona concertata, ma non mancano forme più libere, più interessanti sul piano espressivo, che possono derivare dall'insegnamento bolognese del Colonna. In un Beatus vir a 8 voci, del 1704, assistiamo all'intrecciarsi e al coesistere di spunti e di materiali musicali della più diversa origine: nei sette brevi movimenti in cui si articola, troviamo un elegante gioco di alternanza fra canto solistico e insieme corale, melismi di gusto operistico e un ricco tessuto polifonico costruito su un cantus firmus, nonché alcuni ritornelli strumentali del tutto autonomi.

Per quanto riguarda la produzione più propriamente liturgica (messe), la scrittura è, in genere, sillabica e destinata a cinque o otto voci, nelle prime prove che il C. affronta a Pistoia; in seguito, le componenti stilistiche cambiano e si arricchiscono notevolmente: la Messa pro defunctis a 5 voci del 1725 è stata giustamente qualificata come "tempestosa e barocca" (E. C. Saville); in essa, una pesante armonizzazione del gregoriano tema del Dies irae è seguita da un episodio sul testo di "Rex tremendae maiestatis", un'aria per basso di stampo operistico, simile a certe scene di esorcismo assai comuni nei melodrammi dell'epoca, interrotta da tremoli degli archi e da improvvisi staccati "con sordine". La partitura è inoltre percorsa da un insolito cromatismo e culmina in una poderosa fuga. Seppure vastissima (trenta messe, oltre ottanta introiti, ventotto graduali, quattordici Credo, versetti, sequenze, salmi, inni, mottetti e molte altre composizioni liturgiche), la produzione religiosa non sembra rappresentare il momento più originale della creatività del C.: si tenga presente che su questo genere, assai più che sull'oratorio, si faceva sentire il peso della tradizione polifonicaaccademica; inoltre, assai spesso l'organico è limitato alle quattro voci del coro con accompagnamento di uno o due organi. Alcuni studiosi, comunque, segnalano, come documento della "genialità" del C., uno Stabat Mater. Per comprendere l'estrema dovizia delle pagine corali lasciate dal C., si dovrà riflettere che, a cavallo fra Seicento e Settecento, la grande tradizione polifonica rinascimentale (romana e veneziana) era tutt'altro che esaurita; il sorgere di una nuova generazione di compositori, quali Vivaldi, Corelli, A. Scarlatti, non determina una recisa rottura con la vocalità del passato, ingenera anzi, in musicisti quali il C. (ma non si dimentichi che Domenico Scarlatti ha lasciato un possente Stabat Mater a 10 voci), lo svilupparsi di una cantabilità più fluida e quasi "galante", che pure si appoggia a una straordinaria scienza contrappuntistica, decisamente tonale.

Gli oratori del C. proseguono nella linea tracciata da Carissimi, da Colonna, da Stradella, da Scarlatti: destinati a 4 voci (soprano, alto, tenore, basso) con accompagnamento strumentale, trattano della vita di santi o presentano in forma drammatica episodi biblici. A differenza degli oratori di Carissimi, questi, in volgare, non hanno cori, né prevedono la presenza di uno "storico": l'azione, come nel melodramma, viene esposta in lunghi recitativi, che si alternano alle arie e ai pezzi d'insieme e si distinguono da essi per la complessità formale e il maggior rilievo melodico che i "numeri" presentano. Nelle arie, naturalmente, si concentrano le migliori qualità inventive del C., la cui cantabilità non va esente da una certa disinvoltura convenzionale e da rimandi ai maggiori autori del tempo, con A. Scarlatti in primo luogo.

Se la produzione sacra assicura al C. una posizione di un certo rilievo nel panorama della musica italiana del primo Settecento, forse ancor più significative sono le sue opere profane. I suoi duetti e terzetti da camera - se ne contano rispettivamente trentatré e diciotto, pubblicati in parte a Bologna da Silvani, nel 1720, Duetti e terzetti da camera... opera prima, e a Londra (1740-1745) da R. Brenner e ora disseminati nelle più importanti biblioteche italiane e straniere - chiamati ancora, con evidente anacronismo e improprietà "madrigali", possono riferirsi all'illustre genere rinascimentale solo per il prevalere in essi del tono idillico-pastorale: questi duetti, infatti, nonostante la scienza contrappuntistica che il C. continua a manifestare qua e là, sono articolati in più movimenti, sul modello delle cantate barocche, e sostenuti da una elegante parte per il basso continuo; siamo di fronte, dunque, a forme squisitamente "moderne" che preannunciano, pur in modi non ancora elaborati, quel genere del duetto da camera che avrà immensa diffusione in tutto il '700. L'argomento leggero e amoroso assicurò ai duetti un grande favore "popolare"; la commistione di episodi d'insieme e di passaggi virtuosistici trovò larga eco in musicisti contemporanei al C., come il Pistocchi e il Tosi; più significativo ancora è l'omaggio reso al C. da G. F. Haendel, che nel suo oratorio Theodora, del 1750, elaborò ben cinque dei duetti del C. Cantando un dì", "Dov'è quell'usignolo", "Lontan dalla sua figlia", "Quando col mio s'incontra" e "Quando tramonta il sole"). L'attitudine a comporre fughe e canoni non impedisce al C. di trovare frasi melodiche, di notevole rilievo, pur nel convenzionale stile arcadico e lirico-sentimentale; né lo trattiene dall'inserire più larghi spunti cantabili anche nelle opere sacre, soprattutto della maturità. Se, infatti, i duetti e terzetti possono farsi risalire agli anni successivi al 1730, nei lavori scritti dopo quell'epoca il C. non esita a inserire episodi a due o tre voci entro le rigorose strutture contrappuntistiche dei cori. E. C. Saville (1973) ha segnalato come nella tarda Messa a 5 voci (del 1748) sia presente un'ampia introduzione sinfonica che precede il Kyrie, e che il Christe è realizzato con un duetto di soprani, nel quale èdato riconoscere echi dal canto popolare toscano, se non addirittura delle medievali laude.

L'area culturale nella quale si trovò ad agire il C., seppur inficiata da un certo provincialismo tipico della Toscana sei e settecentesca, gli consentì di assimilare - secondo l'opinione del Paoli - "i nuovi elementi che venivano allatecnica musicale dalle due città preminenti allafine del Seicento: Roma e Venezia. Alla cantabilità strumentale, al calore che era particolarità dei veneziani si aggiungeva la pomposità, la grandiosità che era caratteristica di quella scuola romana, destinata a ceder la palma nel Settecento solo alla scuola napoletana. Con sano senso dell'equilibrio, il C. seppe contemperare le due tendenze che gli erano certamente note, sia dal tempo in cui studiava a Bologna, sia attraverso le pubblicazioni delle varie musiche stampate a Venezia, a Roma e anche a Bologna".

Del C. non troppo frequentemente, tuttavia, viene ricordato il nome o riconosciuto il talento creativo: in particolare, da citare il cenno al suo duetto "Quando tramonta il sole" che il padre G. B. Martini fece nel suo Saggio fondamentale... del 1774: una pagina nella quale le idee melodiche sembrano scaturire "un tutto di un sol getto". Mentre il Martini lodava l'inventiva cantabile del C., A. Eximeno giudicava che il C. fosse uno dei pochi italiani che nel XVIII sec. avessero appreso appieno la grande lezione dei creatori fiorentini del melodramma.

La fama del C., dopo qualche decennio di oblio, venne risuscitata dalla pubblicazione a Parigi - e si era appena nel 1823 - dei suoi Madrigali e duetti (ventisei duetti e quindici terzetti), a cura di F. Mirecki, dall'inserimento di alcune sue pagine in una raccolta di Anthems (accanto a Haendel, Haydn, Leo e Carissimi) pubblicata a Londra nel 1828 da J. Pratt, e da elaborazioni di suoi lavori stampate durante tutto l'Ottocento e nei primi decenni del sec. XX, e recentemente da E. C. Saville in Italian Chamber Vocal Duets of the Early 18th Century, New York 1969.

Al teatro, dopo il giovanile esordio, pare che il C. abbia dato solo un altro lavoro: Il principe corsaro, su libretto di G. B. Giardino, rappresentato a Firenze (teatro di via del Cocomero, carnevale 1717). Gli oratori assommano al numero di undici, non tutti pervenuti: alcuni libretti si trovano presso biblioteche di Firenze, le musiche sono divise fra Pistoia, Firenze e Bologna. La produzione sacra, come si è detto, è diffusa in tutte le biblioteche d'Europa; copie dei Duetti e terzetti da camera a stampa si conservano a Londra e a Parigi.

Per il catalogo completo delle opere del C. si rimanda a quello redatto da F. Baggiani nel 1977, rielaborato e integrato su quello di E. C. Saville apparso in Fontes Artis Musicae, 1968.

Fonti e Bibl.: Per i documenti conservati in Pistoia, Archivio del Duomo, Libro d'atti del duomo e Archivio di Stato di Pisa, Opera del Duomo, ecc., vedi Baggiani. ove sono stati editi quelli più importanti. Pisa, Biblioteca dell'Università, ms. 202: T. Macchetti, Conti di musiche(1697-1700), c. 43; ms. 311: (1701-1713), c. 99; G. B. Martini, Esemplare,o sia saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo, Bologna 1774, p. 25; A. Eximeno, Dell'origine e delle regole della musica..., Roma 1774, pp. 439. 460; C. Ricci, I teatri di Bologna, Bologna 1888, pp. XX, 374; L. Busi, Il padre G. B. Martini, Bologna 1891, pp. 97, 462; S. Taylor, The Indebtedness of Haendel to Works of other Composers, Cambridge 1906, pp. 28 ss.; G. Pasquetti, L'oratorio music. in Italia, Firenze 1906, p. 362; R. Gandolfi, La cappella music. della corte toscana 1539-1859, in Riv. music. ital., XVI (1909), p. 516; A. Schering, Gesch. des Oratoriums, Leipzig 1911), p. 178; N. Morini, La Regia-Accad. Filarmonica di Bologna, Bologna 1913, p. 95; Catal. delle opere musicali… Biblioteche e Archivi della città di Pisa. Arch. mus. della chiesa nazionale dei Cavalieri di S. Stefano; Archivio della cappella musicale della Primaziale, a cura di P. Pecchiai, Parma 1935, pp. 20, 52-64; P. Pecchiai, G. C. M. C., in Idea fascista (Pisa), 21 sott. 1935; R. Lustig, Saggio bibliogr. degli oratori stampati a Firenze dal 1690-1725, in Note d'arch. per la storia music., XIV (1937), 2, pp. 59 s.; U. Rolandi, Oratori stampati a Firenze dal 1690 al 1725,ibid., XVI (1939), 1-2, pp. 38 s.; A. Damerini, L'oratorio musicale nel Seicento dopo Carissimi, in Riv. music. ital., LV (1953), p. 160; R. Paoli, G. C. M. C., in Musicisti toscani, Siena 1955, pp. 39 ss.; E. C. Saville, L'abate C. and the Continuo Madrigal, in Journal of the American Musicol. Society, XI (1958), pp. 128-140; M. Fabbri, A. Scarlatti e il principe Ferdinando de' Medici, Firenze 1961, pp. 23, 113; E. C. Saville, Liturgical Music of G. C., in Fontes Artis Musicae, XV (1968), pp. 17-31; Id., C., G. C. M., in Die Musik in Gesch. und Gegenwart, XV, Kassel-Basel 1973, coll. 1499-1503; F. Baggiani, G. C. M. C. musicista pisano del '700, Pisa 1977; Répertoire International des Sources Musicales. Einzeldrucke vor 1800, II, p. 144; Enc. della Musica Rizzoli-Ricordi, II, p. 112 s.; The New Grove Dict. of Music and Musiciens, IV, pp. 428 s.

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