Giovanna regina di Navarra

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giovanna regina di Navarra

Pietro Palumbo

Alla fine della violenta rassegna dell'aquila, il biasimo rivolto ai sovrani è indiretto, perché sono ricordati i regni, e non i reggitori. In questo contesto si trova l'allusione a G. e al suo governo, troppo condizionato dalla politica francese: e beata Navarra, / se s'armasse del monte che la fascia! (Pd XIX 143-144); l'Ottimo infatti commenta: " Vedendo l'Autore, che il regno di Navarra pervenia sotto la signoria de' superbi Franceschi, e discadea alla casa di Francia, e' dice beata, s'ella si difendesse in su gli monti che le sono d'intorno, e non ricevesse quelli superbi re di Francia, li quali la faranno vivere sotto misero servaggio ". Immediatamente dopo D. allude alle sofferenze di Nicosia e Famagosta: E creder de' ciascun che già, per arra / di questo, Niccosïa e Famagosta / per la lor bestia si lamenti e garra, che dal fianco de l'altre non si scosta (vv. 145-148): un rapporto fra la triste situazione della Navarra e quella di Cipro è da vedere nel fatto che in quell'isola regnava allora un sovrano di stirpe francese, Enrico II di Lusignano.

Al tempo della visione la Navarra era retta dalla regina Giovanna I. Figlia di Enrico I, salì al trono alla morte del padre, nel 1274; ma essendo molto piccola, a causa delle agitazioni politiche fuggì in Francia con la madre Bianca di Artois; fu educata alla corte di Filippo II re di Francia, e nel 1284 sposò il figlio di questo, Filippo IV il Bello. Questo matrimonio aprì la strada al dominio francese in Navarra, ma G. amministrò il suo regno con autorità, intelligenza e saggezza. Morta nel 1304, le successe il figlio Luigi, mentre ancora viveva il padre; alla morte di questo, Luigi assunse per primo il titolo di re di Francia e di Navarra.