LOTTINI, Giovanfrancesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LOTTINI, Giovanfrancesco

Stefano Tabacchi

Nacque a Volterra nel 1512 da Antonio e da Costanza Giovannini, membri del patriziato cittadino. Sulla sua giovinezza non si hanno molte notizie. Sembra che sia vissuto nella città natale fin verso i 18 anni, in un ambiente intellettualmente ricco, grazie anche all'influenza dello zio materno, Luca Giovannini, vescovo di Anagni, medico e poeta. Già nell'adolescenza, però, il L. si segnalò per un temperamento rissoso e fu imputato di un omicidio e di alcuni ferimenti.

Nel 1530 si recò a Roma, sotto la protezione del suo parente Mario Maffei, vescovo di Cavaillon e membro autorevole della corte pontifica, e prese gli ordini minori. La vita a Roma si rivelò però troppo dispendiosa e, dopo solo un anno, il L. si trasferì a Siena, dove studiò logica e filosofia e dove forse conobbe Aonio Paleario. Nel 1533 studiava a Pavia, ma da quel momento gli spostamenti del L. divennero frenetici, tanto da far dubitare di talune asserzioni dei biografi. Dopo un solo anno lasciò Pavia e proseguì in qualche modo gli studi a Bologna (1535-36), dove conobbe Cristoforo Madruzzo. Passò a studiare medicina a Padova, dove fu imputato di un altro omicidio; fu poi per breve tempo a Milano, dove si legò alla contessa di Guastalla, Ludovica Torelli, fondatrice della Congregazione delle angeliche di S. Paolo e ispiratrice di discusse pratiche religiose. Ma le peregrinazioni del L. non erano ancora finite. Intorno al 1537 fu al servizio del cardinale Ippolito d'Este, presso il quale si trovava Mario Maffei; poi si recò per brevi periodi a Trento, presso Madruzzo, e a Verona, presso Giovan Matteo Giberti. Alla fine degli anni Trenta, infine, servì come precettore in casa di Camillo Orsini, personaggio di rilievo nel mondo politico e militare italiano, muovendosi tra il Veneto e la Germania. Ad Augusta entrò in qualche dimestichezza con Jacob Fugger, ma si trattò con ogni probabilità di un rapporto episodico. Quindi, grazie ai buoni uffici di Valerio Orsini, all'inizio degli anni Quaranta entrò al servizio di Cosimo I de' Medici.

Il passaggio alle dipendenze del duca di Firenze rappresentò un'importante svolta nella vita del L., che acquistò immediatamente un ruolo significativo in quel mondo di avventurieri che Cosimo utilizzava largamente per consolidare il proprio potere, ancora sfidato dai fuorusciti repubblicani guidati da Filippo Strozzi.

Nella sua nuova condizione, il L., privo di una veste ufficiale e genericamente designato come segretario del duca, si vide conferire una serie di delicate missioni di confidenza, che restano ancora poco conosciute e potranno essere ricostruite solo con uno studio dei carteggi cosimiani. Ugualmente poco conosciuti restano i rapporti del L. con importanti esponenti della cultura toscana e italiana, da Benedetto Varchi a Francesco Robortello, che gli dedicò il suo Laconici, seu sudationis, quae adhuc visitur in ruina balneorum Pisanae urbis explicatio (in De historica facultate disputatio. Eiusdem laconici, seu sudationis explicatio(, Firenze, L. Torrentino, 1548). Si trattò, con tutta probabilità, di legami nati dalla comune frequentazione di alcuni circoli politico-culturali della Firenze cosimiana, ma destinati ad allentarsi rapidamente. Per diversi intellettuali il L. rappresentò soprattutto un tramite importante per rivolgersi al duca, anche se non è escluso che esistessero interessi letterari condivisi, testimoniati dalla modesta attività poetica del Lottini.

Sembra che la prima missione svolta dal L. per conto di Cosimo I vada collocata intorno al 1541-42, quando fu inviato a Padova per convincere alcuni professori a trasferirsi nell'ateneo pisano. Il L. dovette giocare un qualche ruolo nella riorganizzazione dell'Università, promossa a partire dal 1543 da Cosimo I e diretta da Lelio Torelli; in seguito, però, i compiti del L. divennero assai più delicati. Nel 1546 ebbe colloqui con Bernardo Salviati, poi fu a Genova, dove trattò alcune questioni relative all'occupazione dell'isola d'Elba a opera di Cosimo I. Nell'ottobre 1546 si recò a Venezia con l'incarico di predisporre l'eliminazione di due dei suoi più tenaci avversari, Leone Strozzi e Lorenzino de' Medici, l'assassino del duca Alessandro. Il L. assoldò dei sicari, ma un primo tentativo di colpire lo Strozzi fallì miseramente, a causa di uno scambio di persona di cui fece le spese il nunzio Giovambattista Della Casa. Dopo un anno e mezzo, nel febbraio 1548, il L. tornò a Venezia, accompagnato da una commendatizia del duca Cosimo per l'ambasciatore spagnolo Juan de Mendoza. Formalmente, il L. aveva l'incarico di interessare la Repubblica di Venezia alla vertenza sulla precedenza tra Este e Medici, in realtà il vero oggetto della missione era, ancora una volta, l'eliminazione fisica degli oppositori di Cosimo, e in particolare di Lorenzino de' Medici. Questa volta i sicari non sbagliarono e il 28 febbr. 1548 Lorenzino cadde assassinato ai piedi del ponte di S. Tomà.

Dai contrastanti resoconti dell'episodio non risulta chiaro se il L., prudentemente recatosi a Padova, si fosse occupato dell'organizzazione materiale dell'agguato, ma è certo che i due sicari, il capitano Francesco da Bibbona e Gabriello da Volterra, erano suoi conterranei. Del resto, anche gli amici di Lorenzino de' Medici ed esponenti del patriziato veneziano attribuirono al L. la responsabilità dell'assassinio, tanto che l'ambasciatore toscano a Venezia, Pier Filippo Pandolfini, gli consigliò di usare molte cautele per non rischiare di subire qualche ritorsione.

All'inizio del 1549 il L. fu inaspettatamente licenziato dal servizio di Cosimo, con una lettera molto secca. Le ragioni dell'allontanamento non sono del tutto chiare. Il L. sostenne che derivò da screzi tra il duca e il cardinale Giovanni Salviati, suo protettore, e dall'ostilità della duchessa Eleonora di Toledo, irritata da alcuni suoi atteggiamenti antispagnoli. In realtà, la motivazione principale della disgrazia furono i costumi sessuali del L., che non si peritava di insidiare i paggi ducali "facendo un bordello in fatti e in detti per tucta la casa", come gli ricordò lo stesso Cosimo I (Maffei, p. 88)

Il licenziamento non comportò comunque una rottura dei rapporti con il duca. Sembra anzi che il L. abbia continuato a essere utilizzato da Cosimo, anche se non in veste ufficiale. Alla fine degli anni Quaranta si trovava a Roma, sotto la protezione dei cardinali Salviati e Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora e poté accumulare alcuni benefici ecclesiastici, un canonicato di S. Giovanni in Laterano (1548) e alcune pensioni. Nel 1549 partecipò al conclave dopo la morte di Paolo III, al seguito del cardinale Sforza e, anche in quell'occasione, fu implicato in una oscura vicenda: la morte del cardinale Niccolò Ridolfi, noto avversario di Cosimo I, che fu da alcuni attribuita a un avvelenamento ordito dal Lottini. La responsabilità del L. in questo presunto delitto resta assai dubbia, ma è certo che già nel corso del 1550 egli godeva nuovamente dei favori di Cosimo I. Quello del 1549 fu il primo dei numerosi conclavi a cui il L. partecipò. Ben presto, egli divenne un vero e proprio esperto dei maneggi politici in tempi di sede vacante, tanto che nel Cinque e Seicento gli fu talora attribuita la paternità di diversi resoconti di conclavi che circolarono manoscritti e in alcune raccolte anonime.

Il pontificato di Giulio III non si aprì sotto buoni auspici per il L.: forse perse il favore del cardinale Sforza o, più probabilmente, faticò a inserirsi nella cerchia del papa, che non era in ottimi rapporti con Cosimo I. Nel 1551 fece dunque ritorno in Toscana e poté trascorrere qualche periodo alla corte di Firenze. Ma ormai la città di elezione del L., il teatro della sua attività, era Roma. Nel corso del 1551 avviò contatti con gli Appiani per ottenere la cessione di una parte del loro Stato (che diverrà lo Stato dei Presidi) a Cosimo I. I contatti furono fruttuosi e il 15 ag. 1552 Iacopo VI Appiani firmò un trattato con cui cedeva ai Medici la piazza di Portoferraio. Il ruolo del L. in questa vicenda fu, a quanto sembra, determinante ed è confermato da un atto di Iacopo VI, con cui, in ricompensa dei suoi servigi, gli fu concessa una pensione di 180 scudi annui.

Fu forse tramite gli Appiani che il L. riprese servizio presso il cardinale Sforza, il quale nel 1555 gli fece conferire un canonicato di S. Pietro, tra le proteste degli altri canonici, che accusarono il L. di sodomia e criptoluteranesimo. Come conclavista del cardinale Sforza, il L. partecipò al conclave del 1555, da cui uscì eletto Marcello II, che gli diede qualche segno di benevolenza conferendogli un'abbazia presso Colle di Val d'Elsa. L'elezione di Marcello II, per la quale il L. aveva attivamente operato, non fu particolarmente gradita a Cosimo I e al partito imperiale, ma il L. non perse la benevolenza del duca, per il quale continuò a disimpegnare oscure attività spionistiche. Gli fu anche attribuita, non si sa con quale fondamento, l'uccisione di un fuoruscito fiorentino, Giovan Francesco Giugni, avvenuta nella primavera del 1555.

Morto, dopo poche settimane di pontificato, Marcello II, il L. rientrò in conclave con il cardinale Sforza, membro autorevole della fazione imperiale. Il 13 maggio 1555 fu eletto papa, con il nome di Paolo IV, il cardinale Gian Pietro Carafa. L'esito del conclave segnò una grave sconfitta per la fazione imperiale e indusse l'ambasciatore cesareo a Roma, Juan de Mendoza, e il cardinale Sforza, a inviare il L. presso Carlo V allo scopo di giustificare il loro operato. Il L. partì dunque per la corte imperiale, dove si trattenne per qualche settimana; ebbe un'udienza con l'imperatore, al quale consegnò alcuni documenti.

Tornato a Roma nel luglio 1555, il L. fu implicato in un importante episodio della lotta tra Carlo V e Paolo IV, l'"affare delle galere".

La vicenda è legata al progressivo passaggio di tutti i membri della famiglia Sforza dalla Francia alla Spagna in una fase particolarmente convulsa delle guerre d'Italia. Carlo e Mario Sforza, che da tempo militavano nel campo francese, ottennero dal comandante di due galere francesi su cui erano imbarcati di fare una sosta nel porto pontificio di Civitavecchia. Qui, con un ardito colpo di mano, il chierico di Camera Alessandro Sforza si impadronì delle navi e tramite il fratello Guido Ascanio ottenne dal nipote del papa, Giovanni Carafa, un ordine per il castellano di Civitavecchia che consentì alle due galere di far vela verso Napoli, in territorio spagnolo. L'operazione poté compiersi proprio grazie al L., che, "uso a simili tristitie", come lamentarono le autorità pontificie (Nuntiaturberichte, p. 291), riuscì con l'inganno a ottenere la lettera con l'ordine da Carafa.

La reazione di Paolo IV a questo colpo di mano, che ledeva la neutralità dello Stato della Chiesa, non si fece attendere. Il 10 ag. 1555 il L. fu imprigionato in Castel Sant'Angelo, mentre si apriva un processo contro il cardinale Sforza, che il 31 agosto subì pure l'arresto. L'imprigionamento fu considerato dalla corte imperiale come una manifestazione di aperta ostilità, tanto che già nei giorni immediatamente successivi all'arresto del L. i maggiori esponenti del partito imperiale a Roma non mancarono di elevare al papa le loro proteste.

Il processo al L. fu istruito con estrema rapidità, sotto la presidenza del governatore di Roma, Scipione Rebiba. La posizione del L. era estremamente delicata, perché il papa intendeva utilizzare il processo per denunciare le trame dei rappresentanti imperiali in Italia e mirava a ottenere dagli imputati dichiarazioni che travalicavano largamente la vicenda delle galere. L'imputato scelse perciò una linea difensiva molto semplice: essendo egli servitore del cardinale Sforza, si era limitato a obbedire agli ordini ricevuti. Questo tentativo di scagionarsi si scontrò però con una serie di testimonianze a carico del L., provenienti in genere dalla colonia fiorentina di Roma, e con il desiderio dei giudici di ottenere rivelazioni sulla missione compiuta nei mesi precedenti dal L. presso l'imperatore. Sottoposto più volte a tortura, il L. continuò a lungo a negare ogni addebito, nonostante il progressivo aggravamento della sua posizione processuale. Il 19 settembre il cardinale Sforza fu liberato su cauzione, mentre il L. rimase in carcere, con l'imputazione di luteranesimo. Si trattava di un'accusa molto pesante, ma di dubbia fondatezza, che probabilmente derivava dal desiderio dei giudici di ottenere a qualunque costo una confessione. È certo che il L. ebbe rapporti con personaggi di incerta ortodossia, come il samminiatese Piero Gelido, grande amico di Pietro Carnesecchi, l'agostiniano Andrea Ghetti da Volterra, il poeta Francesco Maria Molza e forse Aonio Paleario, ma non ci sono elementi per ipotizzare una sua reale adesione alle idee riformate. Come molti altri uomini colti della Firenze cosimiana, il L. si caratterizzò per un atteggiamento mutevole e, a tratti, sincretista rispetto ai problemi religiosi, non disgiunto da un sostanziale cinismo, che è forse la vera cifra per cogliere la sua personalità.

Alla fine, la resistenza del L. ebbe successo e, dopo alcuni mesi di detenzione, fu rilasciato. Durante tutto il resto del pontificato di Paolo IV rimase nell'ombra, forse temendo ulteriori persecuzioni. Continuò tuttavia a frequentare i membri della colonia fiorentina di Roma, tra cui Michelangelo, che conosceva già dagli anni Quaranta.

La familiarità del L. con Michelangelo ha sconcertato alcuni storici dell'arte, che hanno cercato, senza molto fondamento, di ridimensionare la testimonianza del Vasari. In realtà, appare innegabile che il L. fu una presenza importante negli ultimi anni di vita dell'anziano artista, anche se non fece mai parte della ristretta cerchia degli amici intimi. Oltre a trasmettergli da parte di Cosimo I diversi inviti a tornare a Firenze, il L. fu tra coloro che convinsero Michelangelo a terminare il modello della cupola di S. Pietro.

Morto Paolo IV il 18 ag. 1559, il L. partecipò al conclave, affiancando l'ambasciatore di Cosimo I, Bartolomeo Concini, nella tutela degli interessi medicei. Dopo un pontificato come quello di Carafa la posta in gioco era altissima e il duca scrisse esplicitamente al L. che si attendeva da lui l'elezione di un pontefice amico dei Medici e della Spagna. L'elezione di Pio IV, dopo più di tre mesi di intrighi diplomatici, fu un importante successo per la diplomazia cosimiana e consentì al L. di riprendere un posto di qualche rilievo. Il 4 sett. 1560 Pio IV lo nominò vescovo di Conversano, sebbene avesse ancora solo gli ordini minori, ma il L. non si recò nella diocesi e il 20 genn. 1561 vi rinunziò. Nel febbraio 1561 tornò in Toscana, prima a Volterra e poi a Firenze, dove rimase almeno fino al 1563, senza rivestire alcun incarico. Il governo di Cosimo I volgeva ormai al termine e a Firenze il L. doveva apparire ormai un personaggio di un'altra epoca.

Dopo un tentativo di tornare al servizio del cardinale Sforza, nel 1564 rientrò a Roma, dove visse ritirato. Anche se non ci sono molti elementi certi sui suoi ultimi anni di vita, sembra che in questa fase il L. si sia dedicato con una certa intensità alle pratiche religiose, frequentando il circolo che si riuniva intorno a Filippo Neri. Una decisa rottura con il passato, dunque, anche se il L. continuò a frequentare personalità lontane dall'ortodossia religiosa, come il poeta Niccolò Franco, condannato a morte nel 1570 per avere composto un libello satirico contro Paolo IV e i suoi nipoti.

Nella temperie controriformista del pontificato di Pio V, il L. scoprì l'interesse per la riflessione politico-religiosa e partecipò a diversi circoli curiali, dando prova di un ethos ormai del tutto ortodosso, quasi volesse far dimenticare la sua attività precedente.

Tra i vari scritti di quegli anni, rimasti tutti inediti, si segnala l'intervento a una discussione, patrocinata dal cardinale Marcantonio Da Mula intorno al 1570, sul perché il mondo antico non avesse conosciuto guerre di religione, alla quale intervennero altri importanti letterati, da Fabio Benvoglienti a Fabio Albergati, a Uberto Foglietta e Rinaldo Corso. In quell'occasione il L. sostenne che la radice ultima delle guerre di religione era, oltre che la malvagità umana, il dualismo tra l'autorità politica e quella religiosa, sconosciuto all'antichità classica.

Di particolare rilievo furono pure gli scritti teorici del L. sui conclavi, che probabilmente risalgono a quest'epoca, anche se furono oggetto di edizione parziale, sotto il titolo di Discorso sopra le attioni del conclave, solo nel 1589. Si tratta di testi complessi, caratterizzati da un approccio dichiaratamente prudente e a tratti apologetico, ma capaci di aprirsi a una grande spregiudicatezza. Riconosciuto in via preliminare il carattere divino dell'elezione papale, il L. utilizzava tutta la sua esperienza di conclavista per formulare una precettistica politica estremamente realistica sui modi in cui un cardinale poteva crearsi un seguito sufficiente a condurlo al papato. Proprio il carattere anfibio della riflessione del L., perennemente in bilico tra l'autocensura e il realismo politico, finirono per rendere il Discorso del L. un classico della trattatistica di conclave, garantendogli una durevole circolazione sia manoscritta sia a stampa (in Thesoro politico, cioè Relationi, instruttioni, trattati, discorsi varii d'ambasciatori, Colonia [ma più probabilmente Parigi] 1593, pp. n.n.).

La vecchiaia del L. trascorse in maniera tranquilla, distante dagli intrighi politici a cui tante energie aveva dedicato. Colpito da diversi malanni, che si aggravarono progressivamente, morì nel 1573, probabilmente a Roma.

Due anni dopo la morte apparvero, a cura del fratello Girolamo, i suoi Avvedimenti civili (Firenze, B. Sermartelli, 1574), un'opera di qualche rilievo nel pensiero politico italiano del Cinquecento. Composti nella classica forma dei consigli al principe, gli Avvedimenti contengono una dettagliata precettistica politica che tocca aspetti eterogenei dell'azione del sovrano, dalle virtù da coltivare, alla scelta dei ministri, ai modi in cui esercitare il potere. Si tratta di un testo in cui si confondono motivi vecchi e nuovi, tradizionali precetti tacitisti e tardoumanistici e realistiche considerazioni derivate da un'osservazione attenta della realtà politica. Probabilmente, la sezione più significativa è quella relativa al potere legislativo, che restituisce efficacemente il senso dell'evoluzione politica degli Stati regionali cinquecenteschi, in cui la normativa sovrana giocava un ruolo crescente, imponendosi sui diritti di origine cittadina e consuetudinaria e abbracciando aspetti sempre più ampi della vita civile. Diversi studiosi hanno giudicato piuttosto severamente quest'opera, sottolineando la sua distanza dal grande modello machiavelliano. In realtà, si tratta di un testo di notevole rilievo, che non va collocato nel solco della tradizione machiavelliana, ma piuttosto nel filone della riflessione sulla prudenza politica. L'importanza degli Avvedimenti è del resto testimoniata dalla loro notevole fortuna editoriale. Alla prima edizione fiorentina del 1574 seguirono fino al primo decennio del Seicento numerose edizioni e ristampe, tra cui una francese (Advis civils, Paris, A. L'Angelier, 1584) che ebbe una certa risonanza. In seguito, l'opera fu sostanzialmente dimenticata e riscoperta solo nel corso dell'Ottocento, quando il L. fu inserito nelle grandi raccolte di trattatistica politica. Tra le edizioni recenti, nessuna delle quali condotta con criteri scientifici, la migliore è forse quella curata da G. Mancini (Bologna 1941; per le altre edizioni cfr. Bozza, pp. 46-48).

Gli Avvedimenti rimangono l'opera maggiore del L. e conferirono al loro autore la fama di teorico politico. Non a caso, furono attribuite al L. anche altre opere che circolavano anonime, come il famoso Thesoro politico (Colonia 1589, con molte edizioni successive). L'attribuzione, anche se teoricamente non del tutto inverosimile, appare priva di fondamento. Allo stesso modo appare difficilmente verificabile la paternità del L. per i resoconti dei conclavi di Marcello II, Paolo IV e Pio IV pubblicati nella raccolta curata da G. Leti dei Conclavi de' pontefici romani (s.l. 1667, con molte ristampe).

Opere manoscritte. Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4681, cc. 1-64 e 4648, cc. 36-52: Trattato del conclave; 4756, cc. 1-23: Avvertimenti di conclave; Ferrajoli, 177, cc. 20-43: Discorso notabilissimo sopra l'attioni del conclave; Ottob. lat., 1853, I, cc. 255r-265r: scritto sulle guerre di religione.

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