Marino, Giovan Battista

Enciclopedia Dantesca (1970)

Marino, Giovan Battista

Marziano Guglielminetti

Nella lettera premessa alla Sampogna (1620) il M., difendendosi dall'accusa di ‛ furto ' letterario, sostiene che " qualora si prende da autori noti, non si può dubitare di ladroneccio " e cita, a conferma di questa tesi, che " lirici ed epici toscani " non " hanno recato ad onta di servirsi " di versi di D. e di Petrarca. Entro questi termini, che riducono l'opera di D. a un repertorio lessicale e tematico cui attingere per nuove ed elaborate invenzioni stilistiche e fantastiche, si può senz'altro parlare di un dantismo del Marino.

Esso si manifesta nella sua forma più grezza nelle Lettere familiari, dove citazioni dalle Rime e dall'Inferno contribuiscono a decorare il testo, rendendolo ora più raffinato, ora più vivace; nelle Lettere burlesche, poi, dalla citazione incastonata in un discorso proprio si sale alla memoria di una situazione analoga, per lo più deformata e parodicizzata, come in questo passo della lettera al D'Agliè in cui il M. descrive la sua prigionia torinese: " I poeti solevano una volta nell'inferno essere franchi di gabella; e che sia 'l vero, Dante vi andò bell'e vivo con la scorta d'un altro poeta; ma non crediate ch'egli fosse nel girometta dove ora son io, ché se per veder di degrignar i denti a Barbariccia, far trombetta del culo di Farfarello, e' s'appiattò dietro uno scheggione, credetemi certo che, quando fusse venuto pria, averebbe di paura fatta una frittata nelle calze ". In un altro testo burlesco, la Fischiata XIV della Murtoleide, è sufficiente la ripresa del primo verso del canto VII dell'Inferno, il celebre Pape Satàn, pape Satàn aleppe!, perché il M. si provi in una ricerca estrosa e brillante di rime analoghe (non solo in -eppe, ma in -oppa, -appe, -ippe), quasi a voler dimostrare, anche linguisticamente, la sua capacità di emulare e sfigurare i luoghi più severi e incontaminati dell'invenzione dantesca.

Non mutato è il suo contegno nell'Adone, dove, però, accanto a rari prestiti lessicali di probabile ascendenza dantesca (vallea, per es.), si osserva uno sforzo di emulazione che non si risolve nella deformazione o nella parodia, ma mira scopertamente all'aggiornamento del modello dantesco. All'Inferno, in primo luogo, si sostituisce il Paradiso come repertorio cui attingere, sì da favorire nel M. un atteggiamento meno irridente e più disposto ad accogliere la serietà intrinseca dell'esemplare prescelto (solo nelle Dicerie sacre, fra le opere minori, è possibile reperire una citazione dell'Inferno - XXXIII 60-63 - non sottoposta a corrosione ironica). D., in secondo luogo, diventa esclusivamente il cantore di Beatrice (Adone IX 178); e perciò, quando il protagonista del poema deve salire con Venere nei cieli della Luna, di Mercurio e di Venere, ecco che gli compare dinanzi un nuovo Virgilio, Mercurio stesso, il quale gli fa da guida e gl'illustra le " meraviglie " e le " bellezze " ivi raccolte. Dantesca, dunque, è l'impalcatura di almeno due canti dell'Adone (il X e l'XI), ma non la sostanza, ché, forte delle nuove conoscenze scientifiche, il M. coglie l'occasione per celebrare, contro il sistema aristotelico-tolemaico, le scoperte astronomiche allora appena proclamate dal Galilei nel Sidereus Nuncius, scoperte che andavano dall'accertamento della natura della superficie lunare all'aggiunta dei pianeti medicei nella serie di quelli appartenenti al sistema solare (Adone X 45). In conclusione, il M. poteva legittimamente pensare non solo di avere ‛ derubato ' D., ma anche di averlo emulato e superato. Appropriarsi comunque di un autore, del resto, era per lui l'unico modo di conoscerlo.

Bibl. - C. Calcaterra, Il Parnaso in rivolta, Bologna 1961², 109-113; M. Guglielminetti, Tecnica e invenzione nell'opera di G.M., Messina-Firenze 1964, 67, 94-95, 107-115; C. Colombo, Cultura e tradizione nell'Adone di G.B. Marino, Padova 1967, 123, 133. Si vedano anche le edizioni commentate delle Lettere (Torino 1966) e delle Dicerie sacre (ibid. 1960), ad opera, rispettivamente, di M. Guglielminetti e G. Pozzi.

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