DEL TASSO, Giovambattista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DEL TASSO, Giovambattista

Marco Collareta

Figlio di Marco di Domenico (per il quale v. voce Del Tasso, famiglia), nacque a Firenze nel 1500. Chiamato dai contemporanei semplicemente Battista del Tasso o "il Tasso legnaiolo" e ricordato dalle antiche guide anche sotto l'errato nome di Bernardo, è certo il rappresentante della famiglia intorno al quale le testimonianze sono più numerose. Il Cellini lo ricorda (Vita, pp. 27 ss.) come fedele compagno nella fuga a Roma del 1519.

Ad una data imprecisata realizzava un tabernacolo "a uso d'arco trionfale" per la badia fiorentina, che il Vasari (Vite, VII, p. io) dice dipinto nel 1530 0 poco dopo dal Salviati e che non si conserva più. Il soffitto della Biblioteca Laurenziana, paradossalmente una delle opere del D. su cui si possiede il minor numero di dati certi, sembra essere stato iniziato nel 1526 ed eseguito almeno in parte entro il 1534 nonostante l'avviso diverso della critica moderna (convergono in questo senso le testimonianze documentarie raccolte da Ackermann, 1968, pp. 161 s., e Tolnay, 1980, p. 63, come la cronologia implicita in Lasca [Le cene, p. 105] e l'esplicita dichiarazione di Vasari [Vite VII, p. 203]; il soffitto è ricordato come opera finita in un sonetto di N. Martelli, pubblicato da Heikamp, 1957, pp. 153 s., ma già menzionato dal Martelli stesso [1546, c. 29v] in una lettera del 1543; l'affermazione che esso rechi le imprese di Cosimo I de' Medici, avanzata per la prima volta da Franceschini, 1886, e generalmente accolta con una datazione sul, 1549-50, è infondata). Nel 1533 una lettera di don Miniato Pitti menziona il D. in rapporto col Vasari; questi a sua volta, in una lettera del 1536 all'Aretino, descrive il contributo comune del D. e del Tribolo all'apparato per l'ingresso di Carlo V a Firenze (Frey, 1923, pp. 20, 58). Lavori d'intaglio realizzati per Andrea Doria su disegni di Perin del Vaga sono ricordati a partire dal 1539 (Vasari, Vite, V, p. 617 e n.), mentre è del 1541 la partecipazione, sempre in coppia col Tribolo, all'apparato per il battesimo di Francesco I de' Medci (ibid., VI, p. 89).

Due lettere dell'Aretino del 1542 consacrano la fama del D. come intagliatore: una, indirizzata a Pancrazio da Empoli, elogia l'"ornamento" di un quadro del Vasari e l'altra, al D. medesimo, lo ringrazia per l'invio di un'opera analoga. Nel 1543 una lettera del Martelli 0546, cc. 29v-30v) a lui ed al Tribolo descrive un lavoro di tarsia per Alamanno Salviati. Tre anni più tardi, nel 1545, il D. apprestava il supporto ligneo per due dipinti del Bronzino (Gaye, 1840), mentre aiutava il Cellini nel preparare il modello grande del Perseo (Cellini, Vita, p. 330). Al successivo 1546 risalgono la notizia che i banchi della Biblioteca Laurenziana "si son dati a fare al Tasso" (Aschoff, 1967, p. 136 doc. 9) e una lettera del Martelli che accenna allo stesso come membro dell'Accademia Fiorentina e come autore della tomba del cardinal de' Rossi in S. Felicita (Collareta, 1984, pp. 89 ss).

Si deve probabilmente a questo nuovo status sociale l'intervento dell'artista, con una lettera a favore della scultura, nella "disputa qual sia più nobile arte..." promossa dal Varchi nel 1547 e pubblicata nel 1549. Nella lezione introduttiva il Varchi, in rapporto col D. fin dal 1539 (Heikamp, 1957, p. 148 n. 3), si riferisce all'artiSta come ad un ex legnaiolo (ed. in Barocchi, 1960, p. 45). Di fatto, sebbene lavori in legname siano menzionati anche più avanti nella sua vita, il D. opera ora sempre più come scultore e soprattutto come architetto. La sua successione a Nanni Ungaro nella carica di capomaestro della Parte guelfa è del 1546; la loggia di mercato Nuovo del 1546-51 (Lapini, Diario ... 1596, e Del Rosso, 1818); la porta della chiesa di S. Romolo in piazza della Signoria e la finestra di un palazzo contiguo del 1549-50; lo stemma mediceo del palazzo comunale di Prato dello stesso 1549-50 (Guasti, 1888); il giudizio su lavori del Cervelliera nel duomo di Pisa del 1550 (Supino, 1893, pp. 213 s. e Tanfani Centofanti, 1897); il modello per il palazzo ducale di Pisa del 1551; le fortificazioni alla porta a Pinti del 1552 (Cellini, Vita, pp. 377 s.); i lavori più importanti per palazzo Vecchio del 1548-55 (AllegriCecchi, 1980). Questa lunga serie di commissioni ufficiali fu interrotta l'8 maggio 1555, dalla morte, che il Pontormo registra nel suo Diario (a cura di E. Cecchi, Firenze 1956, p. 40).

II D. fu uno dei più importanti artisti che abbiano lavorato per Cosimo I de' Medici. Come tale egli occupa una posizione di spicco nel tondo che il Vasari dipinse in palazzo Vecchio per celebrare il mecenatismo del duca (Kirwin, 1971, pp. 115 ss.). Il modo in cui l'artista viene presentato nelle Vite èdi contro gravemente negativo, colpendo il Vasari non solo le singole opere ma l'intera carriera del Del Tasso. Secondo lo storico aretino, questa sarebbe dovuta esclusivamente al favore del potente maggiordomo del duca, Pierfrancesco Riccio, che avrebbe brigato a vantaggio del suo protetto "per farlo di falegname architettore" (Vite, VI, p. 95). Esiste una prova indiretta di ciò in una ossequiosa lettera del D. al Riccio (Pini-Milanesi, 1876), ma l'affermazione dei Vasari dipende da una buona dose di astio personale e dall'incapacità di comprendere una singolare figura di artista e di uomo che trova il suo riflesso più vero nelle vivaci pagine del Lasca (Le cene, pp. 104-14).

L'attività del D. come intagliatore, o il maggiore che fusse mai di sua professione" secondo il Cellini (Vita, p. 330), può conoscersi oggi solamente attraverso quei testi difficili che sono le opere in legno della Biblioteca Laurenziana. Il soffitto, essendo stato realizzato presente Michelangelo, dipende con ogni probabilità da un disegno o modello di quest'ultimo assai più preciso dei due schizzi pervenutici (Oxford, Ashmolean Museum, 308v e Firenze, Casa Buonarroti, 126A: cfr. per tutti Tolnay). Come tale esso lascia adito ad un semplice giudizio sull'esecuzione cui non attese peraltro il solo D. ma un'intera équipe di legnaioli, uno dei quali, Antonio di Marco di Giano detto il Carota, èmenzionato dal Vasari. La qualità dell'intaglio èsuperba, contribuendo a fare del soffitto un elemento determinante nell'impressione di singolare raffinatezza che emana dall'intero invaso spaziale della Biblioteca Laurenziana (Wittkower, 1934). Nulla di simile si può dire dei banchi, dei quali èstata sempre sottolineata l'insensibilità nei confronti del progetto michelangiolesco (Firenze, Casa Buonarroti, 94A: cfr. Tolnay, 1980) p. 71). Iniziati contemporaneamente al soffitto, tali mobili videro l'intervento del D. solo negli anni in cui Cosimo I de' Medici decise di portare a termine i lavori laurenziani del Buonarroti. In questo periodo il D. s'era già volto dall'arte del legno alla scultura in pietra ed all'architettura. È probabile pertanto che il suo intervento nei banchi della Laurenziana, documentato e da identificarsi con i mobili che recano le imprese di Cosimo I, debba essere inteso come supervisione ai lavori di un'ampia e ben avviata bottega piuttosto che come esecuzione diretta.

Lo stretto contatto con il Buonarroti nei lavori per la Biblioteca Laurenziana non può essere passato invano per il D. e una singolare interpretazione della "licenza" michelangiolesca è visibile in tutte le opere autonome finora note dell'artista. Nella tomba del cardinal de' Rossi l'effigie riprende la tradizione quattrocentesca della posa supina mentre la decorazione assume un aspetto grottesco, primo tentativo di mescolare in maniera stridente vecchio e nuovo. Un analogo atteggiamento si ritrova di lì a poco quando, innalzando la loggia di mercato Nuovo, l'artista compiva quello che viene comunemente ritenuto il suo capolavoro (Stegmann. Geymüller, 1885-1904, IX, s.p.).

Concepita in sostanza come un semplice sistema di dodici campate poggianti su colonne dai capitelli compositi, la loggia è rafforzata sui lati corti da otto pilastri; tra questi, i quattro d'angolo sono maggiori ed in due casi agibili all'interno per raggiungere l'attico. La loggia potrebbe essere presa per un edificio di decenni più antico, se non fosse per i singolari elementi di ornato incastrati sulle brulle superfici esterne. Un disegno pubblicato da Morrogh (1985), l'unico che si conosca del D., mostra con quanta cura l'artista abbia studiato la forma delle nicchie d'angolo.

Per quanto questo possa apparire bizzarro, il portale della chiesa di S. Romolo, perduto ma noto attraverso un'incisione settecentesca (Ruggieri, 1755, I, tav. 21), e la finestra di un palazzo vicino, che ancora si conserva, superano tutte le aspettative.

Le due opere sono menzionate dal Vasari (VI, p.96) con una critica particolarmente aspra: il D. le avrebbe progettate "d'un ordine a suo modo, mettendo i capitelli per base, e facendo tante altre cose senza misura o ordine, che si potea dire che l'ordine tedesco avesse cominciato a riavere la vita in Toscana per mano di quest'uomo". Il giudizio coglie una situazione limite anche per il D. e di fatto, in stretta coincidenza di tempi, lo stemma del palazzo comunale di Prato, capolavoro dell'araldica medicea, spesso erroneamente attribuito al Tribolo, appare più moderato nelle forme e rappresenta l'ultima commissione in cui il D. si trova impegnato in uno schema figurativo.

I lavori ai quali attese in palazzo Vecchio sono tutti di natura architettonica, talora schiettamente pratica. Perdute le scale sopra la dogana e altre opere minori di ristrutturazione, gli interventi più significativi che ancora si conservano riguardano il terrazzo della duchessa Eleonora, il futuro terrazzo di Saturno, il futuro quartiere degli Elementi, le facciate sulle vie dei Leoni e dei Gondi e la porta su via dei Leoni (Allegri-Cecchi, 1980). I tetti ed i soffitti richiesti da tali interventi poco o nulla concedono al virtuosismo dell'intagliatore, concepiti come sono per una piùeconomica decorazione pittorica cui attesero il Bachiacca e, con manomissioni anche vistose, il Vasari. Alla loro decorosa carpenteria si affianca il lavoro di quadro e di bugnato delle strutture verticali in pietra. Nelle soluzioni formali, queste spaziano dall'aerea eleganza dei terrazzi alla marziale imponenza della porta su via dei Leoni, un'opera di notevole valore che in antico si riferiva significativamente al Buontalenti (V. Giovannozzi, La vita di Bernardo Buontalenti..., in Rivista d'arte, XIV[1932], p. 509 e n. 2).

Fonti e Bibl.: oltre alla bibliografia citata nella voce Del Tasso, famiglia, si veda P. Aretino, Lettere sull'arte [1537-57], a cura di F. Pertile-E. Camesasca, I, Milano 1957, pp. 227, 229; N. Martelli, Il primo libro delle lettere, Firenze 1546, cc. 29v-30v, 31v-32r, 34r-35r, 80r; A. De Pazzi, Sonetti..., in Ilterzo libro dell'opere burlesche di M. Francesco Berni e d'altri, Leida 1824, II, p. 2 43; B. Varchi, Lezzione nella quale si disputa ... qual sia più nobile arte, la scultura o la pittura [1549], in P. Barocchi, Trattati d'arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, I, Bari 1960, pp. 45, 69 ss.; Sonetti [1555], in Opere ... di B. Varchi, II, Trieste 1859, pp. 855, 868; A. F. Grazzini detto il Lasca, Le cene [1540-50], a cura di R. Bruscagli, Roma 1976, pp. 104-14, 285; Id., Rime burlesche [1548], a cura di C. Verzone, Firenze 1882, pp. 635 s.; Sonetti di Angiolo Allori detto il Bronzino ... [1560-63], a cura di D. Moreni, Firenze 1823, p. 21; C. 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Thieme-F. Becker, Künsterlexikon ..., XXXII, p. 459 (sub voce Tasso, Battista).

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