Carducci, Giosue

Enciclopedia Dantesca (1970)

Carducci, Giosuè

Ferruccio Ulivi

, La critica dantesca del C. si ricollega sin dagl'inizi alle ricerche effettuate sulla letteratura delle origini medievali, ricerche ispirate alla convinzione che una civiltà letteraria davvero rappresentativa deve sempre rifarsi a un' " idea " come quella dantesca, " universale a un tempo e nazionale, popolare e scientifica ". S'intende poi che a ciò devono accompagnarsi adeguate personificazioni individuali; di cui la più ardua, esemplare in ogni senso, appare al C. già della prima giovinezza quella di Dante. La devozione a D. si era palesata infatti nel C. già dai primi esperimenti poetici; così nella canzone a lui intitolata riprodotta poi con notevoli varianti in Juvenilia, in un poemetto in ottave su D. al monastero del Corvo, del 1853, in una lirica ancora in Juvenilia su Beatrice. Si aggiungano i ripetuti, fervidissimi richiami, appelli alla figura, poeticamente mitificata, di Dante. Fra i componimenti di argomento dantesco valga il ricordo di tre sonetti pel sesto centenario (maggio 1865); dei due incisivi sonetti di Rime nuove (" Dante ", e " Giustizia di poeta "); nonché, nella stessa raccolta, di quello dedicato al sonetto, che muove dall'arte dantesca. Ma su D. s'impernierà sempre, con la sdegnosa moralità, la stessa idealizzazione della poesia in Carducci.

Dello stesso 1853 del poemetto è un saggio su D. e il suo secolo, dove subito è facile rilevare la forte accentuazione in senso storico della personalità di Dante. E analogo è l'intendimento del successivo L'epopea e la D.C. (1855-56) col maggior rilievo dato però allo scaturire dantesco da uno stato di appena trascesa barbarie; né senza mirare a riscattare infine ed esaltare l'elemento storico nel carattere del poema di allegoria e visione.

La maggior critica dantesca del C. comincia però col saggio Delle Rime di D. (del 1865; rist. con giunte nel 1874) a cui era venuto preparandosi con assidue ricerche, nonché con studi intorno al Latini e al Cavalcanti.

E qui vagliato a fondo l'aspetto filologico del problema, e son convogliate a giudizi d'insieme le varie delibazioni estetiche. Sarebbe particolarmente la struttura dottrinale di carattere religioso a produrre gli effetti stilistici preminenti; una volta di più è messo in luce dal C. l'elemento simbolico. Si avvererebbe così per la prima volta nel volgare il principio " classico e nazionale ". E ad una sintesi storico-stilistica mireranno anche i successivi studi danteschi; sintesi che lo scrittore ormai adulto avrà luogo ad esprimere in forma tipicamente immaginosa, ricreando plasticamente l'ambiente dov'era sorta quella poesia. Di questa caratteristica della critica carducciana D. era stato fomite già prima (da vedere infatti nel saggio sulle Rime il raffronto fra certi sonetti danteschi e l'architettura coeva, per il comune spirito " quasi estatico "); e ne appaiono conferma le pagine raccolte sotto il titolo Della varia fortuna di D. (apparse in tre fascicoli della " Nuova Antologia ", ott. 1866, marzo e maggio 1867), ricche di vivide digressioni (ad es., sugli ultimi anni del poeta a Ravenna; o, nel dire dei rapporti col Petrarca e col Boccaccio, con la puntualizzazione nella psicologia del Petrarca dell'incontro del 1312, a Pisa, dell'ancor " fresco e roseo fanciullo " con l'esule " magro e bruno " cui il padre lo presenta).

Anche nei discorsi Dello svolgimento della letteratura nazionale (1868-71) torna preminente la considerazione della personalità dantesca come risultato impareggiabile dell'elemento medievale ecclesiastico, cavalleresco, nazionale. D. è la sintesi vivente di quell'evo, " Omero di codesto momento di civiltà ", " monumento gigantesco " destinato a restare senza successori: " Egli discese di paradiso portando seco le chiavi dell'altro mondo, e le gettò nell'abisso del passato: niuno le ha più ritrovate ". Delle fedi di lui tutto è crollato, solo è rimasto ciò che era " concezione e rappresentazione individuale " (da confrontare all'analoga epigrafica definizione del primo sonetto delle Rime nuove: " Muor Giove, e l'inno del poeta resta "). Né da tali prospettive si discosta l'ultima ampia valutazione dantesca su L'opera di D. (1888), che parte da una constatazione paesistico-storica nel mirare ai ruderi di Canossa, dove sembra adombrata la discordia fra Papato e Impero di cui si erano avvantaggiati i tempi nuovi; e cui è rapportata per analogia l'opera dantesca, analizzata sino all'acme del poema. È inoltre sottolineato una volta ancora il dantesco apporto soggettivo, nell'ineguagliabile connubio, anch'esso caro al critico, di popolare e dotto.

E, a conclusione nel C. di una dedizione dove sembrano più che altrove congiungersi momento ricreativo poetico ed esplorazione erudita e critica, ecco infine un articolo del 1895, A proposito di un codice diplomatico dantesco (il Libro delle Riformagioni di S. Gemignano) e una lezione bolognese su Tre donne intorno al cor (1902): puntualmente erudita anch'essa, non meno che improntata di robusta immaginativa storica.

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