GIORNALISMO

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

GIORNALISMO.

Andrea Domenico Mancuso

– La pubblicità. La lettura dei quotidiani e l’accesso a Internet degli italiani. Il calo di vendite e l’informazione su Internet. Il modello del «New York Times». I giornalisti. Il giornalismo nell’era di Internet. L’informazione locale. La deontologia professionale. Bibliografia. Webgrafia

All’inizio del 21° sec., secondo un processo iniziato nel secolo precedente, sempre più tende a sbiadire la linea di confine tra informazione e intrattenimento, mentre si accentua l’aspetto industriale del giornalismo. Parlare dell’informazione come prodotto di una vera e propria industria dipende dal fatto che le aziende editoriali fanno ormai parte di conglomerati mediatici composti da mezzi di comunicazione differenti. Questo fenomeno si accompagna alla scomparsa dell’editore puro, figura che un tempo era alla base del g., ovvero un imprenditore che intendeva avere come riferimento solo i lettori del suo giornale o dei suoi giornali.

Il g. di informazione, nella forma della carta stampata con cui era nato, è o sarebbe in crisi: già molto cambiato dalla radio e dalla televisione, che hanno creato nuovi linguaggi giornalistici, non sembra ormai in grado di reggere il colpo infertogli da Internet e da tutto quello che il web ha promosso. Nella questione si possono quindi distinguere due aspetti: quello tecnico, legato alla carta stampata della quale molti prevedono la scomparsa nei prossimi decenni, e quello del radicale cambiamento del linguaggio e dei modi nei quali le informazioni circolano nell’era di Internet, che non è solo un nuovo mezzo di comunicazione aggiuntosi agli altri.

La pubblicità. – Sul piano economico e aziendale, la pubblicità sulla carta stampata è in calo a beneficio di quella televisiva (e, in misura minore, di Internet), e le tradizionali aziende editoriali devono affrontare l’assottigliamento di una delle loro principali fonti di introito, risentendo pesantemente in questi ultimi anni della crisi economica generale. Secondo dati della società per ricerche di mercato Nielsen citati dalla Federazione italiana editori giornali, FIEG (Megna 2014), l’investimento pubblicitario nella stampa italiana continua a scendere rispetto a quello televisivo, fatto che si aggiunge al generale calo del mercato della pubblicità: se nel periodo 2012-13 l’investimento pubblicitario nei mezzi di informazione nel complesso è passato da circa 7304 milioni di euro a circa 6408 milioni (−12,3%), gli investimenti sulla stampa sono calati dal 26,7% al 24% del totale (considerando insieme quotidiani e periodici, passati da un totale di circa 1811 milioni di euro a circa 1427 milioni, −21,2%), mentre quelli sulla televisione sono scesi del 10% (da circa 3917 milioni di euro a circa 3526 milioni), ma sono saliti fino al 55% del totale nel 2013 (il 53,6% un anno prima). Similmente è stato per il fatturato netto della pubblicità, passato, per es., per i quotidiani dai circa 1020 milioni di euro del 2012 ai circa 822 milioni dell’anno seguente. Anche la pubblicità su Internet è calata, dopo una tendenza positiva negli anni precedenti, con investimenti scesi da circa 510 milioni di euro a circa 501 milioni tra 2012 e 2013: le previsioni di una ripresa economica nel 2015 potrebbero, secondo la FIEG, ridare ossigeno alle aziende editoriali, qualora il mercato della pubblicità riprendesse a crescere.

La lettura dei quotidiani e l’accesso a Internet degli italiani. – In Italia nel 21° sec. si comprano meno giornali e si legge meno: l’altra principale fonte di ricavo per la stampa, le vendite, si sta contraendo anch’essa, tanto più dall’inizio della crisi economica, ed è solo parzialmente compensata dalla vendita di accessi digitali ai contenuti dei quotidiani. Nel 2013 i quotidiani cartacei hanno ricavato dalle vendite 617 milioni di euro, il 3,9% in meno dell’anno procedente, e i ricavi complessivi, sebbene i dati siano incompleti, parlano di 1 miliardo e 104 milioni di euro, il 7,9% in meno rispetto al 2012. A proposito della lettura dei quotidiani, l’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) ha stimato in una sua indagine multiscopo sulle famiglie (http://dati.istat.it/) che nel 2013 il 49,4% degli italiani a partire dai sei anni di età ha letto almeno un quotidiano alla settimana; nel 2001 è stato il 58,9%. Le statistiche per regione segnano ancora di più il divario tra Settentrione e Mezzogiorno: il Nord è passato dal 67,4% del 2001 al 56,8% del 2013, il Centro dal 61,7% al 51,5%, il Sud dal 44,6% al 37,2% e le Isole dal 50,8% al 41%. Secondo la FIEG (Megna 2014), inoltre, nelle regioni settentrionali, dove risiede il 45,9% degli italiani, è stato acquistato il 56,9% del totale dei quotidiani, con un coefficiente tra percentuali di vendite e di popolazione superiore all’unità (1,24), così come è stato nelle regioni centrali, dove è stato di 1,08. Nel Sud, invece, il coefficiente vendite/popolazione è stato assai inferiore all’unità (0,63), «delineando un distacco con il resto d’Italia che avvalora la tesi di quanti collegano lo sviluppo a conoscenza e a capacità di lettura» (Megna 2014, p. 48).

I dati sull’accesso a Internet (http://dati.istat.it/), pur essendo fra i più bassi d’Europa, sono comunque in grande crescita: nel 2001 si collegava tutti i giorni il 7,1% degli italiani con almeno sei anni di età, nel 2013 è stato il 33,5%. Dal 2001 al 2013 questa percentuale è salita dall’8,4 al 36,5 nel Nord, dall’8,2 al 36 nel Centro, dal 5 al 28 nel Sud e dal 4,7 al 28,6 nelle Isole. Secondo dati del dicembre 2014 di Audiweb (http://www.audiweb.it/news/total-digitalaudience-del-mese-di-dicembre-2014-2/), società costituita per la rilevazione dei contatti su Internet in Italia allo scopo di valutare il mercato pubblicitario, sono stati in media 28,9 milioni gli utenti on-line, il 53,6% degli italiani dai due anni in su. Uno dei motivi dell’accesso a Internet è la ricerca di informazione, sia attraverso i quotidiani on-line sia attraverso siti di informazione in genere: a dicembre 2014 le notizie hanno interessato il 70,9% degli utenti della Rete, meno comunque, per es., dei motori di ricerca (91,9%) e dei social network (87,8%).

La vendita di copie digitali dei quotidiani è in aumento (Megna 2014): mentre a gennaio 2013 sono state 176.218, a gennaio 2014 sono passate a 359.169, più che raddoppiate (+103,8%). Si tratta di un numero ancora piccolo rispetto alle copie cartacee (3.745.222 a gennaio 2013 e 3.331.391 a gennaio 2014, −11,05%), ma significativo sulla tendenza in atto. Secondo il 48° rapporto del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) sulla situazione sociale del Paese (Censis 2014), nel 2013 si può parlare di un dimezzamento approssimativo delle vendite dei quotidiani rispetto al 1990, quando le copie vendute sfioravano i 7 milioni; i lettori di quotidiani cartacei sono il 43,5% della popolazione con almeno 14 anni, contro il 20,8% che legge i quotidiani online. I primi cinque quotidiani nazionali, considerando i dati FIEG (Megna 2014) delle vendite di gennaio 2015 e sommando i dati delle copie cartacee e digitali, sono «Corriere della sera» (361.296), «La Stampa» (331.290), «La Repubblica» (328.233), «La Gazzetta dello sport» (edizione del lunedì, 203.343; altre edizioni 191.374) e «Il Messaggero» (134.369).

Coloro che accedono ad altri siti web di informazione sono il 34,3%. I lettori di quotidiani on-line appartengono soprattutto alla fascia di età dai 30 ai 44 anni (31,8%), con un minimo del 6,1% tra i 65-80enni: in quest’ultima fascia di età c’è invece il massimo di lettori di quotidiani cartacei, il 52,3%. I siti web di informazione sono più seguiti dai 34-44enni con il 52,4% (Censis 2014).

Audipress, società che ha tra i suoi soci la FIEG e che si occupa della rilevazione della diffusione e della lettura dei giornali ai fini pubblicitari attraverso indagini demoscopiche, ha di recente riferito di una leggera inversione di tendenza nella generale diminuzione della lettura dei giornali: il suo terzo rapporto relativo al 2014 (http://audipress.it/ beta/wp-content/uploads/2015/03/Audipress-Srl02mar2015_comunicato.pdf) ha segnalato un aumento della lettura dei quotidiani dello 0,4%, dei settimanali dell’1,7% e dei mensili dello 0,2% rispetto a una precedente indagine. La lettura misura anche quante volte un giornale o un periodico passa di mano in mano, perché la statistica comprende le copie trovate, prese in prestito ecc.: i lettori italiani di quotidiani in un giorno medio sono stati 19,3 milioni, cifra che comprende anche chi ha letto in formato digitale e non cartaceo, per un totale di quasi 30 milioni di letture. La regione dove sono stati letti più quotidiani è il Friuli Venezia Giulia con il 54,2% di lettori; ultima in questa classifica è la Sicilia con il 22,5%. Per quanto riguarda la diffusione delle copie digitali dei quotidiani, a giugno 2014 secondo Audipress la media è stata di 473.000 copie giornaliere (+72% rispetto a giugno 2013, più che raddoppiata rispetto alle 209.000 copie di gennaio 2013).

A proposito di quanto si legge in Italia, dati del Censis (Roma 2015) sottolineano la correlazione tra la scolarizzazione e la lettura dei quotidiani: a livello europeo in Italia e in Spagna, dove i diplomati sono il 45% della popolazione, c’è una diffusione rispettivamente di 162 e di 90 copie di quotidiani per 1000 persone residenti di almeno 15 anni di età, mentre in Francia le copie sono il 191‰ con il 63% di diplomati, nel Regno Unito il 302‰ con il 76% e in Germania il 261‰ con l’82% di diplomati.

Il calo di vendite e l’informazione su Internet. – Nonostante il calo di vendite dei quotidiani in Italia, ma anche in tutta Europa, nell’America Settentrionale e in Oceania dal 2012 al 2013, in Asia, America Latina e Africa la tendenza è contraria: evidentemente in questi Paesi non è stata raggiunta la saturazione di informazione che contraddistingue l’Occidente e ci sono sempre più persone che possono e vogliono informarsi. L’offerta di notizie si è enormemente ampliata, così come la rapidità con la quale esse arrivano direttamente ai potenziali lettori via computer, tablet e smartphone. In un primo tempo le aziende editoriali hanno cercato di adeguarsi offrendo i loro contenuti anche attraverso i nuovi mezzi digitali, sotto forma di abbonamenti via Internet. Il web ha però rappresentato un difficile momento di passaggio per il g., anche perché molte notizie e contenuti sono diffusi gratuitamente, togliendo mercato alla carta stampata, ma anche alle versioni digitali di quei contenuti. Da qui la difesa, spesso vana, dei diritti d’autore, che da parte di alcuni è sembrata una guerra alla rete, vista come il luogo dove vengono sistematicamente infrante regole e leggi. In una seconda fase le aziende editoriali hanno costruito siti Internet costantemente aggiornati, nel tentativo di attrarre utenti che potessero passare dalla libera consultazione alla registrazione ed eventualmente a un accesso a pagamento: uno dei sistemi utilizzati è stato quello di lasciare a disposizione di chi non è registrato come utente pagante solo dei sommari. Questi siti dapprima si sono strutturati quasi come se fossero tradizionali agenzie di stampa, ma poi hanno dovuto organizzarsi per sfruttare appieno le possibilità del web, con link ipertestuali, contenuti multimediali e la possibilità per gli utenti di commentare e interagire. Tutto questo si è diffuso in misura rilevante solo nei primi anni del 21° sec., per il fatto che Internet non è, o non è più, solo un nuovo mezzo per riproporre in modo diverso certi contenuti. «È passato parecchio tempo dalla stagione in cui quasi tutti commisero l’errore della semplice riproposizione nella rete della versione cartacea del giornale. Da tempo, comprese meglio le potenzialità offerte da Internet (tempestività, multimedialità, ipertestualità), è stata spostata l’attenzione sul pubblico, potenziando e qualificando il rapporto tra giornale e lettore» (Megna 2014, p. 11). Insieme all’aumento dei contenuti digitali dei giornali c’è stata una limitazione dei formati cartacei per contenere i costi. Nel 21° sec., continuando un processo iniziato a fine Novecento, molti quotidiani sono così passati dal formato tradizionale, ormai divenuto una rarità, a quello tabloid, che un tempo era stato tipico solo dei quotidiani popolari e scandalistici, o al formato berlinese (47×31,5 cm), intermedio fra i due. Di rilievo anche la vicenda dei cosiddetti prodotti collaterali: la stampa italiana nel 21° sec., e anche negli ultimi anni del secolo scorso, ha cercato di collegare la vendita dei giornali a libri, supporti multimediali di musica, video o altro, come oggetti di utilità di vario genere o collezionabili. L’operazione è sostanzialmente riuscita fino al 2008, quando i ricavi di questo genere hanno iniziato a diminuire: nel 2007 essi rappresentavano il 12,2% del fatturato editoriale, nel 2010 il 6,6% e, sulla base di dati parziali e non confrontabili con i precedenti, del 7,3% nel 2011 e del 6,9% l’anno successivo, a conferma della tendenza negativa.

Il modello del «New York Times». – Sebbene l’integrazione fra digitale e carta stampata resti uno dei principali problemi del g. del 21° sec., il quotidiano statunitense «The New York Times» è stato indicato come l’esempio da seguire perché la stampa non sia travolta da Internet, ma al contrario ne esplori le potenzialità. Dopo anni trascorsi a sviluppare un sito sempre più all’avanguardia, dopo aver segnato quello che è stato considerato un sorpasso storico (gli utenti unici del sito hanno superato il numero degli abbonati al cartaceo), nel 2011 il quotidiano ha reso a pagamento la consultazione, operazione che sembrava rischiosa, ma che alla lunga è stata fruttuosa. Integratosi con un altro quotidiano, l’«International Herald Tribune», divenendo «International New York Times», sta andando verso un modello di totale integrazione con il digitale. Del resto la home page del sito Internet di un quotidiano è soltanto simile come funzione alla prima pagina di un quotidiano cartaceo, ma in realtà è molto diversa perché consente, fra link ipertestuali e multimedialità, di contenere molte più informazioni e di portare chi la consulta ad avere accesso a molte altre notizie e funzioni, senza parlare del continuo aggiornamento. D’altra parte lo stesso «New York Times», in una relazione sul lavoro da svolgere per l’edizione on-line, ha dichiarato di non considerare più l’home page fondamentale per la propria organizzazione, dal momento che i suoi utenti sempre più spesso non ricercano le notizie partendo da essa.

I giornalisti. – Alla crisi della carta stampata ha corrisposto un netto calo del numero dei giornalisti dipendenti da una testata, soprattutto a partire dall’inizio del 21° sec., e questo sebbene il numero totale degli iscritti all’Ordine non sia variato di molto. Sempre di più infatti la professione si è frammentata in diverse forme contrattuali atipiche (e precarie) o è divenuta ‘libera’ (free lance): i giornalisti free lance erano poco più di 1 su 3 nel 2000, mentre nel 2013 sono diventati 6 su 10. Secondo dati FIEG (Megna 2014) i giornalisti occupati come dipendenti nei quotidiani, per es., sono scesi dai 6393 del 2011 ai 6101 dell’anno successivo (−4,6%), continuando la tendenza nel 2013 con 5757 (−5,6%); nei periodici sono diminuiti del 7,7% dal 2012 (erano 2872) al 2013 (2650). Per quanto riguarda l’Ordine dei giornalisti, da segnalare che dal 2014, per effetto di una legge che riguarda tutti gli ordini professionali, la grande maggioranza dei suoi iscritti è obbligata alla frequenza di corsi di aggiornamento, novità che ha sollevato lamentele all’interno della categoria. Un altro problema aperto è quello dell’accesso alla professione, oggetto negli anni di numerosi dibattiti e progetti di riforma, che spesso hanno compreso l’introduzione della laurea come titolo necessario. Questa innovazione è contenuta nelle linee guida della riforma che l’Ordine ha approvato all’inizio del 2012, ma che non è stata varata.

Il giornalismo nell’era di Internet. – L’informazione online secondo molti ha creato nuove possibilità nel g., oltre ad avere messo in crisi il modello della carta stampata. Quest’ultima infatti avrebbe dalla sua il solo vantaggio di poter riflettere sulla notizia e poterne quindi dare l’interpretazione, l’approfondimento e il commento, mentre è sempre ‘indietro’ rispetto a radio e televisione (e questo da molti anni), e ancora di più rispetto a Internet. Nel 21° sec. molti giornalisti inizialmente hanno utilizzato il blog, visto come uno strumento editoriale a basso costo. Tuttavia, l’enorme diffusione dei social network ha reso sempre più complesso il quadro, soprattutto perché ha modificato la prospettiva: il pubblico di lettori, ascoltatori della radio o telespettatori, per definizione quasi completamente passivo, con il web è diventato parte attiva, anche e soprattutto nel caso delle notizie. Da quando i giornalisti, anche quelli delle tradizionali testate, si sono dovuti confrontare con Internet, pur venendo per la maggior parte da una cultura precedente all’affermarsi della Rete, si sono trovati di fronte a una delle sue principali caratteristiche, lo user generated content (i contenuti creati dall’utente), del quale fa parte il citizen journalism, ossia il g. partecipativo, definito come la forma ideale di collaborazione tra i professionisti dell’informazione e i cittadini. Piattaforme web come YouTube.com (a livello internazionale) e YouReporter.it sono esempi di come le notizie, in questi casi le immagini facilmente registrate con mezzi digitali come lo smartphone, possono entrare nel circuito dell’informazione mainstream, ossia quella dei principali mezzi di informazione. I giornalisti si sono dovuti confrontare con queste e molte altre novità e hanno familiarizzato, anche loro malgrado, con concetti come la SEO (Search Engine Optimization) e l’engagement, criterio con il quale si può misurare il seguito che riscuote quanto viene pubblicato on-line, misurabile anche con il numero di ‘utenti unici’ che si connettono. Per SEO si intendono invece quelle operazioni che permettono agli articoli, e più in generale ai contenuti on-line, di essere indicizzati meglio dai motori di ricerca, in particolare da quello di Google, che è diventato di fatto il principale riferimento: quando un contenuto è ben indicizzato, ossia si trova tra i primi risultati del motore di ricerca, può generare molto altro traffico Internet.

La posizione dominante di Google su questo mercato ha portato nel 2015 all’apertura di un’indagine della Commissione europea per un presunto abuso; l’azienda statunitense ha annunciato un accordo con otto editori e giornali europei (in Italia, «La Stampa») per approfondire con varie iniziative la questione del g. digitale (http://www.digitalnewsinitiative.com/), finanziando con 150 milioni di euro in tre anni progetti in questo campo. La grande importanza che ormai hanno i motori di ricerca ha infatti determinato un problema arduo: essi seguono una logica che è conosciuta nei dettagli solo dalle aziende che li gestiscono e che può essere compresa per approssimazione, ma da questa logica dipende il numero di contatti che una notizia può ricevere sul web e quindi il suo impatto in termini di pubblicità. Per questo e per la non del tutto regolamentata questione dei diritti d’autore su Internet la FIEG ha chiesto al governo italiano (23 febbr. 2015), in un’audizione parlamentare davanti a una commissione ad hoc della Camera dei deputati, di regolare in modo più dettagliato la materia, sulla quale però è difficile intervenire anche per la natura sovranazionale del web.

Nell’ambito del g. on-line, engagement indica la capacità di attrarre commenti e condivisione degli utenti attraverso social network come Facebook e Twitter. Questi ultimi sono diventati importanti fonti di notizie, dal momento che, a parte il caso del citizen journalism, personaggi noti e anche istituzioni spesso si esprimono attraverso di essi, senza mediazione. Mentre il blog, prima forma sostanzialmente statica di comunicazione con la quale venivano pubblicati su Internet commenti e articoli anche di tipo tradizionale, si è modificato nel live blog, nel quale una testata on-line segue una notizia con aggiornamenti multimediali e commenti in tempo reale degli utenti (di solito commenti ‘moderati’, ossia sottoposti a un controllo da parte dei giornalisti responsabili), con i relativi link ai social network. Il continuo aggiornamento dei live blogs li pone spesso in ottima posizione nei risultati delle ricerche di Google. Spesso, inoltre, ormai l’informazione si mescola con l’intrattenimento (infotainment), fino a creare un fenomeno che si colloca in un terreno intermedio tra informazione, satira e spettacolo comico. La trasmissione televisiva di Mediaset Striscia la notizia, iniziata nel 1988, è stata iniziatrice in Italia di questo fenomeno che ha una sua rilevanza.

Julian Assange

Tra le forme nuove di g. c’è sicuramente il data journalism, fondato sulla condivisione on-line di grandi quantità di dati dai quali si possono trarre delle notizie rilevanti; si tratta di dati di solito per legge pubblici, ma che per la difficoltà e l’estensione della ricerca diventano difficilmente accessibili. Casi a parte sono stati quelli della diffusione di documenti e dati spesso ottenuti in maniera illegale, ma di grande peso politico, come quelli scopo dell’esistenza del sito Wikileaks, che si proclama difensore della libertà di informazione e della democrazia attraverso queste fughe di notizie. Diretto dall’australiano Julian Assange, tra il 2010 e il 2011 ha pubblicato, insieme ad alcuni quotidiani internazionali, un’enorme quantità di documenti della diplomazia statunitense, nella vicenda detta Cablegate.

La pubblicazione ha scosso gli Stati Uniti e alcuni dei moltissimi Paesi citati nei documenti, tra i quali la Tunisia, e Assange è stato considerato da alcuni un sovversivo. L’australiano, colpito da un mandato di cattura delle autorità svedesi per stupro, molestie sessuali e violenza, è stato dapprima arrestato in Gran Bretagna e poi, per evitare l’estradizione in Svezia dopo essere stato rilasciato, nel giugno 2012 si è rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il Paese sudamericano gli ha concesso asilo e da oltre tre anni Assange prosegue le attività di Wikileaks dalla sede della rappresentanza diplomatica; si ritiene che l’eventuale estradizione in Svezia, per rispondere di accuse che l’interessato respinge, potrebbe portare a quella negli Stati Uniti, dove sarebbe indagato per spionaggio.

In quest’epoca di cambiamenti il g. sembra essere sempre più lontano da quello che era un tempo, risentendo di una crisi generale di credibilità e della diminuzione quantitativa e qualitativa del g. di inchiesta: quest’ultimo, se da una parte è reso più agevole dalla diffusione di nuove tecnologie (come nel caso di Edward Snowden, l’informatico che nel 2013 ha rivelato ai mezzi di informazione l’esistenza di un programma di sorveglianza e spionaggio da parte del governo statunitense ai danni anche di alcuni leader mondiali), dall’altra richiede indipendenza dal potere politico e un dispendio di mezzi che la crisi economica degli ultimi anni difficilmente permette di impiegare.

L’informazione locale. – Il fatto che Internet implichi nelle sue caratteristiche un mercato globale anche per la notizia non significa automaticamente che l’informazione locale sia in crisi rispetto a quella di livello nazionale, come scrive il Censis nel 48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese (Censis 2014): «Nelle realtà locali si è affermato un marcato policentrismo degli strumenti mediatici a disposizione dei cittadini, che passa dal recupero delle testate locali alla sperimentazione delle tante forme di web community. A livello locale si contano più di 500 televisioni attive, oltre 1000 emittenti radio, più di un centinaio di quotidiani, una miriade di testate web e blog». L’82,4% degli italiani intervistati ha dichiarato di aver consultato un mezzo di informazione di livello locale, come il telegiornale regionale di RAI 3 (68,9%) e le televisioni locali (51,6%). I quotidiani locali sono seguiti dal 40,2% della popolazione e le radio locali dal 37,4%, mentre le testate locali on-line raggiungono l’11,8%. È diffusa la percezione che i mezzi di informazione locali siano più vicini alla propria realtà quotidiana.

Un problema tipico del g. e che nel 21° sec. è diventato più evidente è quello della sovrapposizione tra l’informazione e la comunicazione, parola in questo caso usata nel senso aziendale del termine, come trasmissione di informazioni da parte di un ente o di un’azienda nel suo interesse o, più chiaramente, come promozione: tale questione è stata in Italia affrontata anche a livello di deontologia professionale e un documento dell’Ordine (http://www.odg.it/ content/carta-dei-doveri-del-giornalista-degli-ufficistampa) sottolinea che il giornalista che lavori per un ufficio stampa (inteso però come ufficio di una pubblica amministrazione) deve tenere distinta l’informazione dalla comunicazione e dalla promozione.

La deontologia professionale. – Nel 21° sec. il g. italiano ha cercato di organizzare la propria deontologia professionale in un modo rispondente all’evoluzione della società, alle crescenti tutele della privacy e alla diffusione di tecnologie nuove. In Italia la legge non definisce tecnicamente che cosa sia il g., e tale definizione infatti si è andata affermando soprattutto attraverso sentenze della magistratura e, in particolare, della Corte di cassazione, che ha definito, per es., cosa sia il diritto di cronaca. Uno dei primi temi deontologici con i quali si è dovuta confrontare la categoria è stato quello dell’autoregolamentazione sul tema delle noti zie sui minori, processo cominciato con l’approvazione della Carta di Treviso del 1990, con aggiornamenti successivi in specie per la rappresentazione televisiva delle vicende che riguardino minori. E poi con l’informazione economica, nel fornire la quale i giornalisti possono trovarsi in posizione di conflitto di interesse, e il già citato caso dei giornalisti degli uffici stampa alle prese al tempo stesso con la comunicazione, nel senso di promozione, e con l’informazione. Gli episodi di violenza collegati allo sport e in particolare al calcio hanno portato all’approvazione di un codice di autoregolamentazione anche per la cronaca sportiva, comprendente l’obbligo di non istigare in alcun modo i sostenitori delle squadre. Esiste inoltre un codice per trattare le vicende di immigrazione e di migranti, drammaticamente all’ordine del giorno, e un altro per occuparsi nel modo appropriato di carceri e popolazione carceraria. Si tratta, almeno nelle intenzioni, di modi per fornire ai giornalisti gli orientamenti corretti per sfuggire al sensazionalismo nel trattare vicende tragiche e ad altri difetti che fanno percepire la categoria in modo abbastanza negativo da parte dei cittadini. Infatti, secondo un’indagine demoscopica del 2011 di AstraRicerche, gli italiani ritengono che i giornalisti in genere non seguano la loro deontologia professionale: il 53,7% degli intervistati pensa che sia nulla o bassa la diffusione dei comportamenti eticamente corretti e Internet è considerata eticamente più virtuosa (6,68 in media in una scala fino a 10) rispetto ai giornalisti stessi (5,37).

Bibliografia: A. Papuzzi, Professione giornalista, Roma 1998, 20105.

Webgrafia: Censis, 48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, cap. «Comunicazione e media», Roma 2014 (http://www.censis.it/ 7?shadow_comunicato_stampa=120995); F. Megna, La stampa in Italia (2011-2013), 2014 (http://www.fieg.it/upload/ studi_allegati/LA%20STAMPA%20IN%20ITALIA%2020112013.pdf); G. Roma, La lettura come strumento per lo sviluppo e la convivenza civile, Roma 2015.

Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 13 giugno 2015.

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