VIGOLO, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VIGOLO, Giorgio

Cristiano Spila

VIGOLO, Giorgio. – Nacque a Roma il 3 dicembre 1894, primogenito di Umberto, vicentino di nascita e impiegato al ministero della Marina, e di Elisabetta Venturi, nipote di Pietro Venturi, che fu sindaco di Roma nei primi anni del neonato Regno d’Italia dal 1872 al 1877.

La sua prima formazione culturale si basò sulla grande tradizione romantica tedesca e sull’amore per la musica, ereditato dai genitori. Alle origini della sua ricerca poetica ci fu il forte interesse per Francesco Petrarca e Giacomo Leopardi, corroborato dalle intense letture di Giosue Carducci, Gabriele D’Annunzio e Dino Campana, fino al significativo incontro con la poesia di Arthur Rimbaud. Negli anni tra il 1912 e il 1914, infatti, si dedicò alla lettura appassionata delle Illuminations di Rimbaud, che tradusse nell’estate del 1914, creando le condizioni per il passaggio dalla prosa d’arte al poème en prose (la poesia, invece, appartiene a una fase posteriore, anche se «scaturisce direttamente da tensioni disgregatrici fin dall’inizio implicite nell’intelaiatura ritmica della superficie prosastica» (Ariani, 1976, p. 5).

Dopo il conseguimento della licenza liceale nel 1912, Vigolo si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Roma La Sapienza, che abbandonò per seguire le sue inclinazioni poetiche. Egli cominciò a frequentare il poeta Arturo Onofri, che divenne la sua guida intellettuale e lo introdusse nel mondo letterario romano. La sua prima prosa lirica, Ecce ego adducam aquas, apparve nel 1913 proprio sulla rivista Lirica che Onofri aveva fondato l’anno precedente. Sempre con la mediazione di Onofri, pubblicò sulla rivista fiorentina La Voce i frammenti lirici di Bivacco dei verdi (1915), di ispirazione chiaramente rimbaudiana (oggi in Lirismi. Scritti poetici giovanili 1912-1923, a cura di M. Vigilante, Roma 2004, pp. 71-98). Per Vigolo, questi furono anni di ricerca di una poetica e di un metodo di studio e di lavoro.

L’inizio della Grande Guerra interruppe questo primo affaccio alla letteratura e Vigolo fu costretto a vari trasferimenti e a differenti mansioni come soldato prima e poi come ufficiale di complemento. Dopo il congedo, per far fronte a problemi di stabilità economica, finì per impiegarsi nel 1919 al ministero della Marina, dove rimase fino al 1939.

Il vero esordio letterario avvenne nel 1923 con la pubblicazione, per l’editore Formìggini, del volume di prose e poesie ‘romane’ La città dell’anima (Roma 1923).

In questa prima prova, la scrittura vigoliana è tesa a una scansione ossessiva per certi campi semantici e a un’accumulazione metaforica attorno a certi nuclei tematici fissi, come quelli della pietra, dell’acqua, del labirinto e della notte. Roma è vista come un grande e potente labirinto di simboli in continua metamorfosi, città aerea fatta di suoni, città di pietra e d’acqua, città vegetale e musicale, città di morti, intrisa di passato e ideale cimitero di civiltà.

Nel 1924 cominciò a collaborare con il giornale Il Mondo di Giorgio Amendola, su cui uscì il 1° febbraio il suo primo contributo su Giuseppe Gioacchino Belli, La poesia di G.G. Belli. Un frammento filosofico del 1924 (pubblicato a distanza di molti anni: Inediti di estetica e di poetica, 1924-1938, in Segnacolo, 1962, n. 2, pp. 25-47), intitolato Critica della ragione sognante, delineava perfettamente l’estetica di Vigolo come una perpetua dialettica tra ragione e sogno, tra onirismo e razionalità, tra astrazione e geometria, da cui scaturiva un’atmosfera notturna, inquietante e fiabesca di tipo hoffmaniano.

Negli anni Trenta si dedicò a intense letture filosofiche e allo studio della lingua tedesca che gli avrebbe consentito in seguito di tradurre le poesie di Friedrich Hölderlin. Collaborò, inoltre, a varie riviste letterarie, come Circoli, L’Italia letteraria ed Espero, diretta da Aldo Capasso, che divenne suo amico e assiduo interlocutore. Nel 1931 pubblicò per l’editore Formiggini un’antologia di cinquecento sonetti di Belli, primo nucleo importante del futuro lavoro sul grande poeta romano.

La pubblicazione delle prose di Canto fermo (Roma 1931) e de Il silenzio creato (Roma 1934) tornarono a percorrere il tema dell’esplorazione di Roma attraverso il procedimento di accumulazione di simboli, allegorie, metafore tipico dello stile barocco. La scrittura di Vigolo, costruita su un’originale ed essenziale qualità metrica e semantica, cominciò a interessare alcuni dei critici più avvertiti e sensibili del tempo: su tutti Gianfranco Contini, autore di due importanti contributi critici (riuniti in Esercizî di lettura, Torino 1974, pp. 122-137). Nel 1935 uscì la raccolta poetica Conclave dei sogni, in cui si nota lo sforzo di Vigolo di costruire un proprio riconoscibile idioma poetico, lontano da quello dell’ermetismo dominante. In seguito all’interesse suscitato con questi primi libri nell’ambiente letterario romano, Vigolo intrecciò nuovi rapporti con intellettuali come Alberto Moravia, Enrico Falqui e Giacomo Debenedetti.

Durante il secondo conflitto mondiale ci fu di nuovo un’interruzione delle attività letterarie e Vigolo fu distaccato presso l’Ufficio di stato maggiore, dove rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943. Nel periodo successivo egli si trovò in difficili condizioni economiche, potendo contare solo su saltuarie collaborazioni giornalistiche.

Nel 1945 diede alle stampe, per l’editore Perrella di Roma, la traduzione di Mastro Pulce (Meister Floh) di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. In quegli anni difficili trovò conforto nella compagnia dei Bellonci e dei pochi amici rimasti a Roma, come Bobi Bazlen e Guido Piovene. Fu proprio quest’ultimo a segnalare Vigolo per una collaborazione nella critica musicale per il quotidiano L’Epoca. I suoi pezzi furono subito notati per il modo insolito con cui erano pensati e scritti, facendo reagire insieme, in modo dialettico, musica e filosofia, poesia e informazione.

Già Contini, nel suo articolo Giorgio Vigolo «à la musique» (uscito su Circoli nel 1934) aveva rivendicato per il poeta una «qualità musicale» della scrittura. L’osservazione continiana riconosceva alla scrittura musicale di Vigolo una qualità poetica indissociabile dal discorso critico e dalla sensibilità narrativa. Il saggismo musicale di Vigolo non è tanto un tipo di studio o di argomentazione sull’oggetto musicale, quanto una specifica forma di discorso narrativo: attraverso il racconto di storie e di cose musicali, egli esplorò le possibili congiunzioni fra letteratura e musica.

Dal 1946 al 1948 svolse lo stesso incarico per Il Risorgimento liberale, dove uscirono anche dei racconti. La sua attività di critico musicale passò anche per la radio, in cui, dal 1948 al 1976, condusse varie rubriche radiofoniche. A partire dal 1948 e fino al 1966 tenne la critica musicale su Il Mondo di Mario Pannunzio, per poi approdare, con lo stesso incarico, al Corriere della sera, su cui scrisse fino al 1975. La sua lunga carriera di musicologo trovò una sistemazione significativa nel volume Mille e una sera all’opera e al concerto (Firenze 1971). Gli scritti dispersi e le carte della Raccolta Vigolo (Roma, Biblioteca nazionale) hanno permesso di ricostruire anche il profilo di un’inedita raccolta di scritti musicali (ora in G. Vigolo, Diabolus in musica. Prose ed elzeviri musicali, a cura di C. Spila, Rovereto 2008).

Nel 1949 passò a Mondadori, con cui pubblicò Linea della vita, libro in cui rafforzò la sua solitaria e originale ricerca poetica tra barocco e romanticismo. La sua cultura fu quella di un intellettuale eclettico e raffinato, dalle vaste ed eterogenee letture, che ebbe un suo particolare centro nevralgico nel barocco romano e nel romanticismo tedesco. L’intera attività di Vigolo come scrittore, traduttore, critico e filologo fu sempre sostenuta da un’indefessa fedeltà al credo romantico: la ‘difesa’ della poesia, della musica e dell’arte romantiche non ebbe per lui carattere anacronistico, ma fu un’affermazione della forza creatrice del poeta (G. Vigolo, Difesa dei Romantici, in Quaderni ACI, 1954, n. 12, pp. 5-24). Documento diretto di questo suo personalissimo itinerario culturale è l’edizione critica dei Sonetti di Belli (Milano 1952).

Nel 1958 pubblicò per Einaudi la sua traduzione delle Poesie di Hölderlin, frutto di un lavoro decennale.

Alla traduzione delle liriche, Vigolo accompagnò un lungo Saggio introduttivo, che è uno scritto fondamentale su Hölderlin. La passione vigoliana per il poeta tedesco è il segnale di un preciso orientamento culturale che alla filosofia pura tende ad anteporre una filosofia intesa come aspetto interno dell’operazione poetica. La filosofia, cioè, diviene praxis poetica: ovvero la poesia tende a configurarsi come filosofia.

L’anno successivo uscì per Neri Pozza il volume di poesie Canto del destino (Venezia 1959), che ottenne il premio Marzotto. Nel 1960 la casa editrice Bompiani pubblicò il volume di racconti Le notti romane (premio Bagutta, 1961), esempi di un surrealismo visionario e onirico.

Il 1963 fu l’anno delle celebrazioni per il centenario della morte di Belli nelle quali anche Vigolo fu coinvolto come eminente specialista: pubblicò il monumentale studio in due volumi Il genio del Belli (Milano 1963). In seguito riprese a occuparsi del poeta romano, collaborando con Pietro Gibellini a una nuova edizione aggiornata dei Sonetti per Mondadori (1979).

Sistemò il suo corpus poetico nel volume La luce ricorda (Milano 1967), con il quale vinse il premio Viareggio (1968). Alcuni anni dopo uscirono l’antologia Poesie scelte, a cura di Marco Ariani (1976), e il nuovo libro di poesie I fantasmi di pietra (1977) in cui si confermò l’aspirazione a proporre una coscienza artigianale del fare poetico, nell’epoca dell’arte tecnologica e della società di massa.

Nel 1969, iniziò la collaborazione con la terza pagina del Corriere della sera con scritti di varia natura, elzeviri e racconti. Questi testi, con altri di epoche diverse, vennero poi raccolti in Spettro solare (Milano 1973).

Il 14 febbraio 1979 fu celebrato in Campidoglio, nella sala della Protomoteca, con una cerimonia pubblica voluta dall’allora sindaco Giulio Carlo Argan.

Le sue ultime opere uscirono con gli evocativi titoli di: La fame degli occhi (Roma 1982) e Il canocchiale metafisico (Roma 1982). Per interessamento di Pietro Cimatti, fu pubblicato il racconto lungo La Virgilia (Milano 1982), composto nel 1921 (oggi in G. Vigolo, Roma fantastica, a cura di M. Vigilante, Milano 2013, pp. 3-110).

Morì a Roma il 9 gennaio 1983.

Opere. Fra le opere di Vigolo, oltre a quelle già citate, sono da ricordare l’antologia belliana Er giorno der giudizzio, Milano 1957; lo scritto Per una psicologia dell’antiromanticismo contemporaneo, in Miscellanea di studi in onore di Bonaventura Tecchi, Roma 1969, pp. 723-737; il romanzo postumo La vita del beato Piroleo, a cura di P. Cimatti, Milano 1983. Altri testi sono stati pubblicati in C. Spila, G. V. antimoderno: scritti inediti sul Romanticismo, in Gli intellettuali italiani e l’Europa (1903-1956), a cura di F. Petroni - M. Tortora, Lecce 2007, pp. 143-167. Vanno segnalate anche le ristampe della traduzione di Hoffmann, Mastro Pulce, Milano 1980 e Torino 1991; la ristampa di La città dell’anima, a cura di B. Nacci, Milano 1994; la nuova edizione della raccolta Conclave dei sogni, a cura di S. Ramat, Genova 2003. Le edizioni critiche: Poesie religiose e altre inedite, a cura di G. Rigobello, Roma 2001; La città dell’anima, a cura di G. Rigobello, Milano 2003.

Fonti e Bibl.: Materiali in forma manoscritta (diari, lettere, scritti vari, abbozzi) sono conservati a Roma, Biblioteca nazionale, Raccolta Giorgio Vigolo. Parte di questi documenti è stata pubblicata in C. Spila, Il sogno delle pietre. Romanticismo e antimodernismo nella poetica di G. V., Manziana 2007, pp. 109-144. Altri documenti (taccuini, carte manoscritte) sono conservati a Pavia, Università degli studi, Centro manoscritti, Fondo Vigolo, e a Roma, Università di Roma La Sapienza, Archivio del Novecento, Archivio Georges de Canino.

La bibliografia critica più completa e aggiornata è compresa nel volume di M. Vigilante, L’eremita di Roma. Vita e opere di G. V., Roma 2010, pp. 127-141. Per un quadro generale sull’opera si veda anche M. Ariani, V., Firenze 1976. Dal punto di vista della biografia, ricoprono un certo interesse i carteggi con Alberto Moravia (P. Frandini, Alberto Moravia a G. V., in Nuovi argomenti, 2003, n. 21, pp. 81-105) e con Contini (C. Spila, E necessaria è la fedeltà. Notizia di un carteggio tra Gianfranco Contini e G. V. (1933-1945), in Filologia e critica, XXXVI (2011), 3, pp. 450-462). Tra i contributi critici più recenti: Le carte di una vita. Ricordo di G. V., a cura di M. Vigilante - F. Onorati, in Il 996, VI (2008), 3, n. monografico; V. Tabaglio, Diabolus in musica di G. V.: una proposta di edizione, in Studi e problemi di critica testuale, LXXXVI (2013), pp. 167-188; A. Gialloreto, Le rivelazioni della luce. Studio sull’opera di G. V., Roma 2017; il volume collettaneo In questo mio guscio di favole. G. V. e il suo tempo, a cura di A. Gialloreto, Novate Milanese 2018.

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