VALERIO, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALERIO, Giorgio

Mario Perugini

VALERIO, Giorgio. – Nacque a Milano il 20 marzo 1904, da Guido e da Olga Kogan, primo di quattro figli.

Proveniva da una buona famiglia lombarda, nota anche per i successi sportivi: il padre era stato giocatore e uno dei soci fondatori dell’attuale Associazione calcio Milan, mentre la sorella Lucia fu la prima tennista italiana a vincere i campionati internazionali d’Italia nel 1931.

Laureatosi il 13 settembre 1926 in ingegneria elettrotecnica presso il Politecnico di Milano, venne assunto otto giorni dopo dalla Società generale italiana Edison di elettricità. Dopo il primo incarico da progettista del sistema delle tubazioni della centrale termoelettrica di Genova, iniziò a scalare rapidamente la gerarchica aziendale assumendo l’incarico di direttore commerciale nel 1927 e di direttore amministrativo nel 1935. Diventava così uno degli elementi più importanti del gruppo dirigente plasmato in quegli anni da Giacinto Motta, amministratore delegato dell’azienda dal 1918 al 1942.

La strategia messa in atto da Motta nel corso degli anni Venti e Trenta aveva puntato a fare della Edison la capogruppo industriale e finanziaria di un vero e proprio gruppo industriale integrato. Nel 1934, cinquantesimo anniversario della fondazione dell’azienda, la Edison aveva un capitale sociale di circa 1,5 miliardi di lire, dato che ne faceva di gran lunga la prima società italiana per capitalizzazione, e controllava direttamente o indirettamente poco meno di ottanta società con un capitale complessivo di 3,7 miliardi di lire. Il gruppo produceva oltre 3,1 milioni di kWh, pari a circa un quarto dell’intera produzione nazionale, energia che vendeva a oltre 1,2 milioni di clienti, suddivisi fra aziende industriali e privati. La cifra distintiva della gestione di Motta, oltre al riassetto strategico e organizzativo del gruppo, fu inoltre il lungo processo di stabilizzazione degli assetti proprietari della Edison. Fin dal periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, l’azienda venne infatti coinvolta nel più generale processo di trasformazione delle strutture di governo dell’industria elettrica italiana. L’‘italianizzazione’ di parecchie imprese elettriche, fino ad allora controllate da holding estere, modificò molto rapidamente gli equilibri fra i gruppi elettrici e le banche che li avevano storicamente sostenuti, rompendo alleanze di lunga data e favorendone di nuove. Per garantire la stabilità degli assetti proprietari, necessaria per portare avanti con tranquillità i propri progetti di espansione, Motta aveva varato nell’estate del 1923 un patto di sindacato che in pochi anni sarebbe arrivato a raggruppare un totale di trentaquattro azionisti, fra società e privati, che rappresentavano una quota pari al 31,5% del totale delle azioni.

L’avallo definitivo della posizione di predominio della componente manageriale negli assetti di potere della maggiore impresa elettrica italiana avvenne nell’estate del 1935 con il riacquisto delle azioni della Edison (circa un quarto del totale) entrate in possesso dello Stato in seguito alla costituzione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) e l’acquisizione dei portafogli azionari delle ex banche miste. In assenza di un azionista di controllo, Motta varò, a partire dal 1937, alcune riforme del modello gestionale – redazione del bilancio consolidato del gruppo, creazione di un consiglio di gruppo composto dagli amministratori delegati di tutte le consociate, costituzione di un ufficio di coordinamento di gruppo per le sue esigenze tecniche, industriali, commerciali, amministrative, fiscali, fra le altre – che posero le basi per la trasformazione della Edison negli anni successivi in una vera e propria public company di tipo anglosassone, nella quale il ruolo guida del management era sostanzialmente riconosciuto dall’insieme degli azionisti.

Nel febbraio del 1942, dopo le dimissioni di Motta per motivi di salute, la carica di amministratore delegato, a cui si aggiunse dal 1944 quella di presidente, venne assunta dall’ingegner Pietro Ferrerio mentre Valerio fu nominato direttore generale.

Nel secondo dopoguerra il suo impegno si concentrò nel ripristino degli impianti danneggiati e nella ripresa delle costruzioni elettriche. La Edison, grazie anche ai finanziamenti del Piano Marshall, investì cifre ingenti, in particolare nel periodo 1949-59, per la realizzazione di dighe e di centrali idroelettriche, impegno culminato con la costruzione della più grande centrale idroelettrica d’Europa, quella di Santa Massenza I, per una potenza di 350.000 kW, progettata per sfruttare le acque del fiume Sarca in Trentino ed entrata in funzione nel 1957. Un uguale fervore costruttivo interessò le centrali termoelettriche, con le realizzazioni di Genova, Piacenza e Tavazzano. Risultato di tale impegno fu l’ampliamento della produzione elettrica complessiva del gruppo rappresentato dal passaggio, nell’arco degli anni Cinquanta, da 5,33 a 11,43 milioni di kWh. Nel 1962, anno della nazionalizzazione dell’industria elettrica, la produzione del gruppo equivaleva al 25% del totale nazionale.

Valerio, divenuto amministratore delegato nel 1952, avviò una nuova trasformazione organizzativa della società, che fu imperniata sulla costituzione nel 1955 della Edisonvolta, un’impresa specializzata nella produzione, il trasporto e la distribuzione commerciale dell’energia elettrica. In previsione della nazionalizzazione vennero mantenuti in pancia alla capogruppo soltanto gli impianti completamente ammortizzati e ritenuti utili per fini futuri di autoproduzione. Parallelamente avviò una politica di diversificazione produttiva attraverso investimenti nella siderurgia e nella metalmeccanica, nell’elettronica, nel tessile, nell’abbigliamento e nell’alimentare, per finire con la grande distribuzione, con l’acquisizione nel 1966 della Standa. Di particolare interesse fu il precoce tentativo di Valerio di far entrare la Edison nel settore nucleare, prima attraverso l’impulso dato alla fondazione nel 1946 a Milano del CISE (Centro Informazioni Studi Esperienze), con l’intento di condurre ricerche nel campo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare, e poi attraverso la costruzione di una centrale nucleare a Trino Vercellese, inaugurata nel 1946.

In questo processo di crescita composito e sostanzialmente caotico acquisì ben presto una centralità crescente in termini industriali e finanziari l’impegno della Edison in campo chimico. La strategia elaborata da Valerio per l’ingresso in questo settore si articolò su un doppio binario: acquisizione di tecnologia e know-how dall’estero e sperimentazione di nuove filiere produttive. Per quanto riguarda il primo aspetto, la via scelta per appropriarsi rapidamente del patrimonio tecnico-scientifico necessario per operare nel nuovo settore fu la creazione di nuove imprese in compartecipazione con importanti gruppi multinazionali stranieri, come la Monsanto con cui si costituì nel 1955 la Sicedison per la petrolchimica, l’Union Carbide, partner della Edison nell’impresa produttrice di plastiche Celene, creata nel 1957, e la Chemstrand con cui la Edison decise di creare, sempre in quest’ultimo anno, un’ulteriore società per la produzione di fibre acriliche: la ACSA (Applicazioni Chimiche Società per Azioni).

Lo scontro con la Montecatini, la maggiore impresa chimica italiana, fu a questo punto inevitabile e giocato anche sulle scelte in tema di materie prime e filiere di produzione. A differenza di questa e di altre imprese italiane come la SIR (Società Italiana Resine), che stavano erigendo i primi impianti petrolchimici italiani basati sull’impiego di derivati petroliferi, quali la nafta e il gasolio, come materia prima la Edison di Valerio puntò sulla filiera dell’acetilene, che era possibile ricavare dal metano o dal carburo di calcio, creando tre poli chimici integrati a Mantova, Porto Marghera (Venezia) e Priolo (Siracusa). La Edison aveva dalla sua il vantaggio di poter perseguire, grazie alle risorse finanziarie derivanti dalla ‘rendita elettrica’ e dagli accordi tecnologici stipulati con le multinazionali straniere, una politica di investimenti aggressiva, finalizzata alla costruzione di impianti di grandi dimensioni che garantivano la possibilità di produrre a basso costo una serie di prodotti chimici di base di largo consumo, come i fertilizzanti e le fibre sintetiche. Ciò nonostante la dura guerra dei prezzi avviata in contrasto con la Montecatini finì per diventare proibitiva con l’ingresso nel settore chimico dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) di Enrico Mattei che, attraverso la sua consociata ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili), costruì nella seconda metà degli anni Cinquanta un imponente impianto a Ravenna per la produzione di fertilizzanti e gomma sintetica.

A causa del crescente aumento della concorrenza a livello nazionale i risultati economici conseguiti dalla Edison fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta non potevano dirsi soddisfacenti. Basti pensare che nel 1961 tutte le consociate attive in campo chimico chiusero in perdita. Quando, sul finire del 1962, la nazionalizzazione dell’energia elettrica venne approvata nella versione per cui si era battuto Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, che prevedeva l’indennizzo delle società anziché dei loro azionisti, la Edison sembrò tuttavia poter avere i mezzi necessari per realizzare finalmente con successo il proprio progetto di espansione nell’industria chimica. Nacque così, per realizzarsi concretamente a fine 1965, il progetto di Valerio di fondere l’Edison, di cui aveva assunto alcuni mesi prima anche la carica di presidente, con la Montecatini, prevenendo l’ipotesi alternativa di un intervento dell’IRI per risolvere i problemi d’indebitamento di quest’ultima. Valerio, appoggiato dal mondo finanziario e industriale (in primo luogo la Banca d’Italia, Mediobanca, il cui amministratore delegato Enrico Cuccia negoziò l’accordo stesso, e l’IRI), nonché dalle forze politiche di maggioranza, si trovò a gestire di fatto il processo di fusione, da cui fu sostanzialmente estromesso il management della Montecatini. La nomina a cavaliere del Lavoro nel giugno del 1967 contribuì a sancire il ruolo di preminenza assunto da Valerio ai vertici del gruppo dirigente del capitalismo italiano.

Ciò nonostante, le aspettative e le speranze riposte nella nuova società – che assunse prima la denominazione di Montecatini Edison e poi dal 1970 quella di Montedison – andarono deluse nel breve volgere di pochi anni. La fusione delle due capogruppo creò problemi di coordinamento che non vennero risolti a causa dell’accesa rivalità fra i gruppi dirigenti originari, rivalità che Valerio non fu sostanzialmente capace di mediare. Non si procedette a un’effettiva opera di riorganizzazione delle diverse società operative, cosicché la struttura produttiva continuò a lungo a essere frammentata e priva di un indirizzo unitario di sviluppo. La posizione di Valerio fu indebolita non solo dai cattivi risultati finanziari dell’azienda postfusione, ma anche dall’ingresso nel capitale dell’ENI, che iniziò ad acquistare in Borsa azioni della Montecatini Edison a partire dall’aprile del 1968 al fine di risolvere a proprio favore il contrasto con il gruppo chimico rivale.

Nell’aprile del 1970 fu infine sostituito alla presidenza dell’azienda da Cesare Merzagora. Subito dopo cominciò per Valerio l’ultimo atto della sua parabola, quello che lo vide sul banco degli imputati per lo scandalo dei ‘fondi neri’, denunciato alla magistratura dallo stesso Merzagora: alcune decine di miliardi di lire stornati dai bilanci della Edison prima e della Montecatini Edison poi a partire dagli anni Cinquanta e destinati al finanziamento illecito dei principali partiti politici di governo. Accusato di falso in bilancio e appropriazione indebita nel dicembre del 1971, fu assolto nell’aprile del 1980 con formula piena perché il fatto non costituiva reato.

Valerio si era tuttavia spento alcuni mesi prima, l’8 dicembre del 1979, in una clinica milanese, assistito dalla moglie di origini russe Viviana Talan Lubovitch, sposata nel 1935, e dai tre figli Olga, Guido e Claudio.

Fonti e Bibl.: I documenti relativi alla storia della Edison, tra cui i bilanci e i libri sociali di tutte le società del gruppo, nonché i documenti della presidenza Valerio, sono conservati presso l’Archivio storico della Edison Spa, custodito in parte presso la sede di Foro Buonaparte, a Milano, e in parte presso un deposito a Caleppio di Settala (Milano).

Sempre sulla storia dell’azienda elettrica milanese si segnalano: Energia e sviluppo. L’industria elettrica italiana e la società Edison, a cura di B. Bezza, Bologna 1991, ad ind.; G. Sapelli, La Edison di G. V., in Storia dell’industria elettrica in Italia, IV, Dal dopoguerra alla nazionalizzazione 1945-1962, a cura di V. Castronovo, Roma 1994, pp. 521-546. Particolarmente critico della figura di Valerio e delle sue capacità manageriali è il volume E. Scalfari - G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano 1974, passim; maggiormente positivo invece il giudizio espresso da Mario Silvestri, tecnico di livello internazionale nel campo dell’energia nucleare e consulente della Edison, nel volume Il costo della menzogna. Italia nucleare 1945-1968, Torino 1968, passim. Alcune utili notizie biografiche sono state tratte da Marzio Fabbri, Morto V., uomo del «boom» caduto sulla fusione Montedison, in La Stampa, 9 dicembre 1979.

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