SPEZIA, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SPEZIA, Giorgio.

Annibale Mottana

– Nacque a Piedimulera in Val d’Ossola l’8 maggio 1842, da Valentino e da Marietta Angelotti.

Il padre era immigrato da Calasca in valle Anzasca, dove esercitava la professione di coltivatore e minatore, ossia di addetto al trattamento a secco del grezzo estratto dalle miniere. La madre era di una famiglia di imprenditori con vasti interessi nelle miniere d’oro dell’area attorno a Macugnaga.

Dopo avere seguito gli studi primari a Novara e quelli superiori in parte a Novara e in parte a Pavia; appena iscritto a quella Università il diciottenne Spezia se ne allontanò per arruolarsi nella seconda schiera di volontari che, guidati da Enrico Cosenz, partirono da Genova il 6 luglio 1860 per unirsi ai Mille e con loro presero parte alla conquista della Sicilia e alla risalita lungo la penisola. Si distinse durante la battaglia del Volturno (1° ottobre 1860), dove partecipò alle cariche con cui la colonna garibaldina comandata da Giacomo Medici, che fronteggiava Capua dalle alture di Sant’Angelo e che fu attaccata per prima, seppe contenere l’assalto sferrato dai soldati borbonici.

Smobilitato nel 1861, tornò per un biennio all’Università di Pavia per passare poi alla Scuola d’applicazione per ingegneri di Torino dove seguì, tra gli altri, i corsi di mineralogia e di chimica impartiti da Bartolomeo Gastaldi e Johann Strüver; conseguì nel 1867 la laurea in ingegneria mineraria con una tesi Sulla ventilazione delle miniere. Entrò subito come coadiutore nel Museo di mineralogia dell’Università e Gastaldi gli affidò il primo lavoro: eseguire lo scandaglio dei fondali del lago di Mergozzo. A questo fece seguito l’incarico, da parte dei ministeri dell’Agricoltura e dei Lavori pubblici, di partecipare alla commissione che doveva studiare le cause degli avvallamenti di sponda verificatisi nel 1870 lungo le rive del lago Maggiore.

La conclusione fu che si verificavano smottamenti subacquei dovuti ai forti cambiamenti stagionali di livello delle acque del lago e, soprattutto, durante le grandi magre. Ne seguì la raccomandazione di regolare l’efflusso del Ticino tramite uno sbarramento a Sesto Calende.

Alla fine del 1870 Spezia decise di lasciare l’Italia per perfezionarsi all’estero. Scelse la Germania; per tre semestri seguì i corsi dell’Università di Gottinga tenuti dai chimici Hans Hübner e Friedrich Wöhler e dai geologi Karl von Seebach e Walter Sartorius von Waltershausen. L’anno seguente ne seguì altrettanti nella Scuola delle miniere di Berlino, tutti tenuti da geologi, tra cui Justus Roth con il quale stabilì un rapporto di reciproco rispetto destinato a durare tutta la vita. Nell’intervallo tra i vari semestri visitò miniere e impianti minerari, acquisendo un’estesa e profonda cultura geologico-mineralogica applicata allo studio dei giacimenti minerari e metalliferi.

Nel 1873 rientrò a Torino come assistente alla cattedra di mineralogia e geologia dell’Università e, contemporaneamente, anche alla Scuola di applicazione. Nel 1874, però, rinunziò a questo secondo titolo, perché fu nominato professore incaricato all’Università, essendo Angelo Sismonda, il titolare della cattedra, impedito dal fare lezione a causa di una grave infermità che in poco più di tre anni lo condusse alla morte.

Esperto alpinista, eseguì varie prime nel gruppo del monte Rosa; nel 1875, per un anno, fu presidente del Club alpino italiano, carica che esercitò con notevole successo. Essa gli conferì un’autorità che poi gli permise di difendere energicamente il concetto di deflusso minimo dei fiumi alpini, nei quali si andavano insediando dighe rese necessarie dalla nascente industria idroelettrica, e l’integrità della cascata del Toce. Non mancò di usare la sua abilità di alpinista per individuare località mineralogiche poco accessibili da cui trasse esemplari museali che convertì in interessanti argomenti di studio (berillo, zircone, melanoflogite, zolfo). In queste sue ricerche cercò sempre di mettere in relazione i minerali con il loro contesto petrografico: tra l’altro, studiò alcuni ‘calcefiri’ delle ofioliti delle Alpi occidentali e lo gneiss di Beura (Val d’Ossola), di cui precisò il carico di rottura che lo rendeva utile per le applicazioni in aggetto. Studiò anche il motivo dell’anomala flessibilità della itacolumite brasiliana, che attribuì a una particolare interconnessione dei granuli di quarzo e non alla presenza di inclusioni fluide.

In questo stesso periodo dovette trasferire il Museo nella nuova sede di palazzo Carignano, mutandone (pur se con la disapprovazione dell’ormai morente Sismonda) anche le modalità di esposizione degli esemplari. Nel 1878, a seguito di concorso nazionale, successe a Sismonda come titolare di mineralogia e geologia dell’Università, cattedra presto sdoppiata e di cui Spezia conservò la sola mineralogia.

Dopo una serie di altre ricerche miscellanee sui minerali, dedicate soprattutto alle loro condizioni d’ossidazione, alla loro fusibilità e alla caratterizzazione delle loro inclusioni fluide e gassose, che non lo portarono a quelle soddisfazioni culturali che egli desiderava, nel 1885, finalmente, Spezia individuò il filone di ricerca che lo soddisfece in pieno e che presto lo rese un caposcuola indiscusso in Italia, noto inoltre in tutto il mondo come uno dei precursori della mineralogia sperimentale (da lui chiamata geologia chimica).

Iniziò questo tipo di studi con una ricerca sulle condizioni di formazione dell’anidrite e della sua stabilità termica nei confronti del gesso; nel corso di lunghi esperimenti, ottenne risultati che lo portarono a una prima concezione sulle modalità di formazione dello zolfo dei giacimenti siciliani. Presentò il suo modello genetico al premio Reale 1890 e ne fu dichiarato covincitore alla pari di Carlo De Stefani. Lo studio fu poi pubblicato in forma di memoria (Sull’origine del solfo nei giacimenti solfiferi della Sicilia, Torino 1892). Il modello genetico proposto, endogeno e inorganico, fu poi dimostrato erroneo: alla riduzione del gesso che porta alla formazione dello zolfo contribuisce principalmente l’attività batterica.

Seguirono studi sperimentali sull’effetto della pressione nella formazione dell’apofillite e sulla stabilità del vetro che lo portarono, attraverso lo studio dell’opale, alla serie di ricerche anzitutto sull’effetto della pressione sul quarzo e, subito dopo, a quello combinato di pressione e temperatura sulla crescita del quarzo (La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, XXXI (1895-1896), pp. 246-250; Contribuzioni di geologia chimica: esperienze sul quarzo, ibid., XXXIII (1897-1898), pp. 289-308; Contribuzioni sperimentali alla cristallogenesi del quarzo, ibid., XLI (1905-1906), pp. 158-165). A tale scopo Spezia disegnò e fece costruire autoclavi idrotermali capaci di sostenere fino a 500 bar di pressione a temperature di 400 °C che, ricopiate da ricercatori tedeschi, vennero usate per la crescita di quarzo piezoelettrico per uso militare durante la prima guerra mondiale.

Il quarzo, nelle sue varie forme, divenne per Spezia il minerale privilegiato. Dimostrò non solo che facendo reagire zolfo con una soluzione di silicato sodico a 300 °C si ottiene quarzo in poche ore, ma, con i suoi esperimenti di crescita da germe che spesso duravano vari mesi, dimostrò anche che è possibile ottenere monocristalli di quarzo purissimo otticamente orientato, quando non geminati di tipo complesso. Tramite questi studi diede anche un contributo a comprendere il processo di fossilizzazione, in particolare la trasformazione di materiale organico (xiloide) in inorganico. Determinò, inoltre, le condizioni ambientali in cui operavano i minatori nello scavo della galleria ferroviaria del Sempione, allora in corso. Per tutte queste sue ricerche ottenne per la seconda volta, unico tra tutti i ricercatori italiani, il premio Reale (1898), condividendolo questa volta con Giuseppe De Lorenzo. Quando però estese a teorie petrologiche i suoi pur validissimi studi di mineralogia sperimentale, il più delle volte non conseguì risultati accettabili, perché poneva troppo in secondo piano l’effetto della pressione rispetto a quello di altre variabili intensive agenti sulle rocce (La pressione anche unita al tempo non produce reazioni chimiche: nota, in Atti del Congresso dei naturalisti italiani... 1906, Milano 1907, pp. 159-161).

Spezia fu un apprezzato didatta e manifestò la sua dedizione all’insegnamento pubblicando, con l’aiuto dei suoi studenti, notevoli dispense di mineralogia (1888, 1891, 1902). Inoltre, si batté affinché la mineralogia (intesa in senso ampio e includendo perciò la petrografia) rimanesse nel curriculum degli studenti di ingegneria e, più in generale, in tutta la scuola superiore.

Fu socio di tutte le principali Accademie delle scienze italiane (Lincei, XL e Torino) e di quella Imperiale di mineralogia di Mosca. Pur conoscendo bene il tedesco, pubblicò i suoi lavori in italiano (con l’eccezione di uno, giovanile) e quelli che considerava più importanti sugli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino. Rifiutò di assumersi responsabilità universitarie, ma coprì vari incarichi amministrativi e politici nella natia Val d’Ossola, che a Piedimulera gli ha dedicato la sezione del Museo detta Lithoteca, in cui sono esposti minerali ossolani e varie testimonianze dell’attività mineraria aurifera.

Morì improvvisamente nella sua casa di Torino il 10 novembre 1912.

Opere. L’elenco completo delle pubblicazioni (in tutto 63, incluse le note estemporanee) si ricava dai cataloghi delle biblioteche accademiche, per esempio da quella delle università di Torino e di Roma La Sapienza.

Fonti e Bibl.: Delle numerose commemorazioni, la più estesa e scientificamente più completa è quella di L. Colomba, G. S. e la sua opera scientifica, in Bollettino della Società geologica italiana, XXXI (1912), pp. CIII-CXXIV (con ritratto, ma priva di bibliografia). Schema costruttivo e numerose fotografie dell’autoclave (‘bomba’) idrotermale e dei cristalli di quarzo ottenuti con essa, in parte a colori, sono pubblicati da C. Trossarelli, Hydrothermal growth. The first historical achievement by G. S. on quartz, in Journal of gemmology, 1984, vol. 19, pp. 240-260.

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