GUZZETTA, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUZZETTA, Giorgio

Francesca Maria Lo Faro

Nacque il 23 apr. 1682 a Piana dei Greci (l'odierna Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo), la più popolosa e importante colonia albanese in Sicilia. I genitori, Lorenzo e Caterina Mamola, agricoltori, avevano conservato le tradizioni della terra d'origine e, pur sforniti di mezzi economici, vollero assicurare ai figli (tre femmine e cinque maschi) un'istruzione che desse loro migliori opportunità di vita: due, Calogero e Francesco, divennero parroci di Piana; un altro, Serafino, fu "definitore generale" degli agostiniani scalzi; Giuseppe, studente di medicina, morì a 22 anni.

Il G. fu affidato giovanissimo ai gesuiti di Trapani, dove era novizio Serafino, il fratello maggiore.

Ben presto mostrò capacità di panegirista e oratore sacro, e fu apprezzato dai gesuiti, che inutilmente lo invitarono a entrare nella Compagnia. Tornato a Piana, insegnò nella scuola pubblica appena istituita su iniziativa degli amministratori locali, prodigandosi per i giovani delle classi popolari. Parecchi allievi divennero poi suoi collaboratori, e due anche vescovi: G. Schirò, che fu arcivescovo di Durazzo, e G. Stassi, vescovo titolare di Lampsaco.

Nel 1702 il G. fu ammesso nel seminario di Monreale, retto allora dall'arcivescovo G. Roano. Nell'istituto, rinomato per gli studi sacri e letterari, il G. perfezionò le lingue classiche. Divenuto un valido antichista, riuscì a tradurre un arduo testo greco riguardante i privilegi della chiesa metropolitana di Palermo. La sua interpretazione fu apprezzata dal viceré card. F. Del Giudice, arcivescovo di Monreale, che lo nominò suo prosegretario. S. Zati, preposto della Congregazione dell'oratorio, gli propose di abbracciare la regola di S. Filippo Neri. Il G. acconsentì, ma trovò l'opposizione dei padri dell'oratorio di Palermo, forse contrari all'ingresso nell'organizzazione religiosa di rito latino di un giovane di rito greco-bizantino. Tuttavia il 5 dic. 1706, con dispensa papale, il G. fu ammesso nell'oratorio di Palermo (all'Olivella); avendo bisogno del patrimonio richiesto per assumere gli ordini sacri, gli fu assegnato uno di quelli che un abate, G. Prenestino, aveva lasciato alla Congregazione. Il 22 dic. 1707 venne ordinato sacerdote.

L'ingresso nella Congregazione filippina sancì il passaggio del G. al rito latino e, forse, provocò la crisi spirituale che per tre anni lo portò a voler abbandonare l'Ordine. Tra 1709 e 1710 cominciò a predicare in italiano e in albanese, segnalandosi per omelie modellate su quelle dei santi Basilio, Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno; a Napoli intrattenne l'uditorio della chiesa di rito greco. Quasi contemporaneamente gli fu accordato il permesso di confessare e, grazie alle influenti relazioni costruite attraverso il prestigio personale, divenne direttore spirituale di eminenti personalità a Palermo, Napoli, Roma.

Per la sua versatilità il G. cominciò anche a godere la protezione degli alti prelati e ricoprì numerosi incarichi. Fu amministratore della Congregazione; gli arcivescovi di Palermo lo nominarono prefetto dei novizi, con l'incarico di insegnare teologia e morale. Si segnalò come autore di allegazioni giuridiche, una delle quali a difesa delle monache basiliane del convento del Ss. Salvatore di Palermo (In difesa delle monache basiliane del real monastero del Ss. Salvatore di Palermo, Napoli 1722, con lo pseudonimo di Ellenio Agricola).

Questa multiforme attività non impedì al G. di intraprendere iniziative vaste, volte in primo luogo alla ripresa in Sicilia del rito greco-bizantino, che a causa delle disposizioni ecclesiastiche vigenti minacciava di scomparire. Impedire il passaggio della comunità albanese al rito latino richiedeva quadri culturalmente adeguati. A questo scopo, nel 1715, il G. fondò in Piana l'oratorio dei filippini di rito greco.

L'istituto, nato per rialzare le sorti del rito orientale, non fu un'iniziativa isolata. Nei progetti del G. in ogni colonia albanese di Sicilia dovevano sorgerne altri, dove avrebbero dimorato sacerdoti da mandare missionari in Grecia e Albania, per procurare il ritorno delle Chiese orientali separate all'unità cattolica. Il G. indirizzò tutte le sue opere a questo grande ideale missionario, ma non tralasciò di creare i necessari istituti per l'istruzione e l'educazione della gioventù. Salutò con gioia, nel 1728, l'inaugurazione del collegio dei nobili di Palermo. Contribuì inoltre alla fondazione dei collegi di Maria a Piana (1731), in altri centri del Palermitano e nelle diocesi di Cefalù e di Girgenti (ora Agrigento).

Il suo nome è legato al seminario greco-albanese di Palermo, da lui fondato nel 1734 per la formazione di sacerdoti appartenenti a quel gruppo etnolinguistico. L'istituzione colmava una lacuna giacché gli Albanesi, in Sicilia dalla fine del XV secolo, non avevano un proprio istituto per il clero e - sebbene i seminari arcivescovili di Palermo, Monreale e Agrigento avessero l'obbligo di mantenere uno o due alunni per ciascuna colonia - la comunità albanese avvertiva fortemente la mancanza d'un seminario proprio.

Il seminario fu dapprima finanziato con l'eredità di un sacerdote, O. Brancato (morto nel dicembre 1736). Maggiori proventi furono assicurati dal 1740, quando il G., recatosi a Napoli, ottenne dal re Carlo di Borbone una rendita annua di 1000 scudi. Andò poi a Roma dove, con l'interessamento del card. T. Acquaviva d'Aragona, arcivescovo di Monreale, ricevette da Benedetto XIV la necessaria approvazione e le bolle pontificie. Il soggiorno romano fu per lui fonte di delizie intellettuali, giacché, accompagnato da insigni studiosi, il G. ammirò i monumenti di antichità e belle arti e visitò un gran numero di chiese, gallerie, musei e biblioteche. Tornato a Palermo, trovò l'opposizione dei funzionari statali, dovuta forse ai complessi rapporti che allora intercorrevano tra corte borbonica e S. Sede. Fu pertanto costretto a tornare a Napoli, ma la nave che lo trasportava naufragò. A fatica il G. approdò a Ponza, dove, stremato dai disagi, vide aggravare una malattia agli occhi che presto lo avrebbe portato alla cecità. Raggiunta finalmente Napoli, grazie alle proprie relazioni ottenne l'approvazione delle bolle pontificie e presentò ai funzionari regi uno scritto e alcuni documenti tendenti a dimostrare che il re di Sicilia, come discendente degli Angioini e degli Aragonesi, poteva legittimamente accampare diritti sull'Albania (Del diritto che hanno i serenissimi re di Sicilia sopra l'Albania, onde ben possono intitolarsi re e despoti, cioè signori di essa). Il manoscritto, oltremodo gradito al re, fu consegnato al primo ministro e conservato presso gli Archivi di Stato. Il sovrano, da parte sua, ordinò che il reggimento dei soldati albanesi ("Real Macedone") fosse riconosciuto come reggimento nazionale a preferenza degli altri reggimenti esteri al servizio della Corona.

Le istituzioni culturali volute dal G. trovarono una battuta d'arresto nella bolla Etsi pastoralis di Benedetto XIV (1742), che di fatto proibiva il passaggio dal rito latino al rito greco, a detrimento delle comunità albanesi. Il G. presentò immediatamente una supplica al pontefice, con la speranza di indurlo a revocare la bolla. Nello scritto protestò in nome della comunità albanese e rivendicò che per suo merito, con la fondazione in Sicilia della Congregazione dell'oratorio, il celibato era divenuto stabile tra i sacerdoti di rito cattolico greco. Auspicò inoltre l'istituzione nei grandi ordini religiosi di settori di rito orientale, per rendere la loro azione apostolica più profonda ed efficace.

In particolare, sostenne l'utilità della creazione di gesuiti di rito greco, da impiegare nell'Oriente cristiano secondo un'idea già espressa dal defunto card. G.B. Tolomei. Il G. concluse affermando che aveva già iniziato le pratiche per fondare due collegi della Congregazione filippina a Cefalonia (col contributo del conte G. Carafa) e a Corfù (mercé il conte B. Capodistria), cui sarebbero seguiti altri in Grecia e in tutto il Levante. Per rendere stabile e fruttuosa la fondazione dei detti due collegi voleva che la cura e la direzione andassero ai gesuiti, e chiese la relativa approvazione. Il pontefice non revocò la bolla. Ma i re di Sicilia, usando il loro diritto di suprema regalia, non permisero che se ne desse esecuzione. Solo nel 1843 Ferdinando II consentì che fosse eseguita.

Nel 1749 il G. rifiutò il vescovado di Cefalù e, nello stesso tempo, sostenne contro la Corona i diritti e la giurisdizione ordinaria dei prelati siciliani. Su altro versante riuscì a risolvere la disputa che a Palazzo Adriano contrapponeva, per ragioni di giurisdizione ecclesiastica, il clero di rito latino a quello greco-bizantino. Nel 1751 chiese il regio patronato per il seminario greco-albanese di Palermo, dove riservò dodici posti per sacerdoti da mandare come missionari in Grecia, i quali, giovandosi della lingua studiata in seminario, avrebbero dovuto persuadere le popolazioni a tornare sotto l'ubbidienza della S. Sede, ripristinando l'antica unione delle Chiese greca e latina.

Sebbene il progetto non fosse eseguito, il seminario greco-albanese divenne ben presto il centro culturale e spirituale più ragguardevole delle comunità albanesi in Sicilia: oltre a formare il clero spiritualmente e liturgicamente fu un centro propulsore per la cultura albanese, giacché vi rifiorirono la vita liturgica, lo studio della lingua e della letteratura. Il gruppo etnolinguistico albanese riuscì pertanto a mantenere la propria identità, avendo nel clero il più forte tutore e il fulcro dell'identificazione etnica.

Le finalità missionarie, massimo scopo della vita del G., fecero sì che si preoccupasse delle Chiese di tradizione greca che non erano in piena comunione con la Chiesa romana. In particolare tentò di convertire al cattolicesimo gli ortodossi che giungevano a Palermo per commerci, e, riservando loro protezione e agevolazioni, di indurli ad abbracciare il cattolicesimo. Impegnatosi nell'istituzione in Sicilia di un vescovado di rito greco, il G. cointeressò nel progetto un amico, il balì G. Bonanni (terzogenito del principe di Cattolica), con una significativa lettera del 1° nov. 1751. L'opposizione dei vescovi latini - contro cui nulla poté l'influente mons. C. Galiani, arcivescovo di Tessalonica e primate di Macedonia e Albania - ritardò fino al 1784 l'introduzione del vescovado greco, affidato a G. Stassi, allievo prediletto del Guzzetta.

Nel 1752 le sue condizioni di salute si aggravarono, tanto che non poté andare a Napoli, dove il balì G. Bonanni lo sostituì in un delicato incarico. Diradò gli impegni pubblici ma rimase una figura di rilievo, come attesta una missiva inviatagli il 25 marzo 1754 da F. Testa, arcivescovo di Monreale.

Il G. morì a Partinico, dov'era ospite dei carmelitani, il 21 nov. 1756.

La sua personalità ha suscitato l'interesse dei circoli unionistici, e in specie dell'Associazione cattolica italiana per l'Oriente cristiano (sorta nel 1929). In questo contesto a Palermo fu avviata una causa per la sua beatificazione dai padri dell'oratorio (1934), poi riattivata dall'arcivescovo di Monreale e affidata alla diocesi di Piana (1984); il processo diocesano è ripreso il 21 nov. 2001.

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