FANO, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FANO, Giorgio

Franco Laicini

Nacque a Trieste il 21 apr. 1885. Il padre Guglielmo, ebreo appartenente alla media borghesia e medico otorinolaringoiatra molto noto a Trieste, assicurava alla famiglia una vita agiata; la madre, Amalia Sanguinetti, morì quando egli era ancora giovane. L'adolescenza del F. fu abbastanza tormentata e difficile soprattutto per carenza d'affetti; frequentò le scuole regolari austriache con scarso profitto ed ebbe amici che in seguito si riveleranno figure rappresentative della cultura italiana: il cugino Ettore Cantoni, Virgilio Giotti (di cui sposò in prime nozze la sorella Maria), Italo Svevo, Vittorio Furlani, Giulio Rovan, ma in particolar modo Umberto Poli, il cui pseudonimo, Saba, fu inventato proprio dal Fano.

Lo stretto legame fra i due spinse Saba a dedicargli la sua raccolta di versi Coi miei occhi del 1912, e a ricordare poi quegli anni giovanili vissuti insieme nell'Autobiografia del 1924. Insieme acquistarono una libreria che fu causa di forti contrasti sui metodi di conduzione, fin quando non venne ceduta interamente a Saba, ma, nonostante le divergenze, la loro amicizia non venne mai meno.

Questo ambiente, unito agli studi che di propria iniziativa condusse nella Biblioteca civica di Trieste, furono la base della formazione culturale del Fano. Grazie a un assegno mensile paterno, trascorse gli anni antecedenti la grande guerra a Firenze, polo di attrazione della cultura italiana dell'epoca. Ancora una volta non fu l'università, che pur frequentava, ad indirizzare i suoi studi, bensì il contatto con l'ambiente de La Voce, che lo indusse a studiare sui testi originali alcuni tra i più grandi filosofi tedeschi, quali Kant, Hegel, Fichte, Schelling. Risale a questi stessi anni la scoperta dell'idealismo italiano, testimoniata da alcune lettere dell'estate 1912 scambiate con Benedetto Croce; in esse sono già presenti i cardini dell'idealismo del F., organicamente esposti nell'articolo L'Estetica nel sistema di Benedetto Croce, pubblicato nello stesso 1912 sulla rivista L'Anima di G. Amendola e G. Papini (I, pp. 355-380). Tornato a Trieste, aderì ai movimenti irredentisti, ma la morte del padre nel 1914 lo pose davanti alla realtà della vita pratica. Durante il periodo bellico, infatti, tutte le sue energie furono impegnate nel mantenimento della famiglia, impresa rivelatasi difficile anche a causa di alcune attività commerciali da lui intraprese e che si conclusero con scarso successo.

Terminata la guerra, il F. riprese i suoi studi filosofici laureandosi nel 1923 a Padova col massimo dei voti; la sua tesi di laurea, Dell'universo ovvero di me stesso: saggio di una filosofia solipsistica, fu poi pubblicata nel 1926 sulla Rivista d'Italia (XXIX, pp. 917-42). Negli stessi anni a Trieste si andava diffondendo l'interesse per la psicanalisi ad opera di Edoardo Weiss, discepolo di Freud, e ciò non mancò di suscitare reazioni contrapposte. Per il F. questa scienza si fondava esclusivamente sul principio d'autorità, con il quale si può affermare tutto e il contrario di tutto.

Ma l'accusa principale, in pieno accordo con la sua formazione idealista, era che, poiché nulla esiste se non per la nostra coscienza, non si può affermare l'esistenza dell'inconscio. Forti furono le polemiche con il Weiss, ma la stima in lui come medico non fu mai messa in dubbio dal F. che, turbato dagli strani comportamenti di suo figlio Mino Virgilio (che venne alla fine internato in un manicomio, dove morì nel 1937), ricorse a lui fidando nella sua professionalità.

Intanto il F. proseguiva l'analisi della filosofia del Croce: Una discussione indiana sull'idealismo (in Rivista di filosofia, XIX [1928], pp. 232-54); La filosofia di B. Croce. Saggio di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito (in Giornale critico della filosofia italiana, IX [1928], pp. 401-28; X [1929], pp. 94-139); La negazione della filosofia nell'idealismo attuale (in Arch. di filos. ital., II [1932], pp. 57-101); Ilsistema dialettico dello spirito (Roma 1937); sono, per la maggior parte, interventi pubblicati su riviste e da considerarsi tappe di avvicinamento a quello che si può indicare come il compimento di tale ricerca: La filosofia del Croce. Saggio di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito (Milano 1946), titolo analogo allo scritto del 1928-29.

Professore di filosofia presso vari licei di Trieste dal 1925, il F. aspirava tuttavia all'insegnamento universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate dagli intralci posti dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di antifascista che egli si procurò nel 1930 quando, commemorando il cugino Enrico Ella, volontario nella grande guerra e morto sul Podgora nel 1915, tenne un discorso in cui traspariva, in maniera non molto velata, la convinzione che il sacrificio di tante vite per la libertà veniva rinnegato dal regime politico allora dominante. Questa sua presa di posizione gli costò alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e la fama di antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria.

Un aiuto importante in questo senso gli venne offerto da Giuseppe Lombardo Radice, che gli procurò il posto di assistente volontario di pedagogia presso la facoltà di magistero dell'università di Roma, incarico che tenne dal 1936 al 1938. L'interessamento da parte di Lombardo Radice, che aveva conosciuto personalmente il F. a Trieste, si deve alla favorevole impressione ricevuta dalla lettura di La negazione della filosofia nell'idealismo attuale (Roma 1932), in cui il F. tracciava le ultime evoluzioni dell'idealismo che conducevano necessariamente alla negazione delle categorie.

Nel 1938, in seguito alle leggi razziali, il F. venne allontanato dall'insegnamento universitario, ma continuò la sua attività come professore di filosofia presso la scuola militare e la scuola media ebraica.

Dopo la caduta del fascismo e per sfuggire alle deportazioni, nell'autunno del 1943 il F. lasciò Roma con la famiglia e si nascose in Abruzzo, dove continuò i suoi studi. Fidandosi quasi esclusivamente della memoria, poiché costretto a lasciare tutti i suoi appunti a Roma, scrisse la parte conclusiva del suo volume sulla filosofia di Croce. Finita la guerra, riprese il suo posto all'università di Roma, ottenendo vari incarichi presso gli istituti di pedagogia e filosofia., ma senza mai preoccuparsi di trovare una sistemazione stabile o di ottenere quei riconoscimenti a cui pur poteva aspirare. Questi anni del dopoguerra, fino al giorno della sua morte, sono quelli in cui pubblicò gli scritti più importanti: del 1946 è il già citato saggio La filosofia del Croce, in cui la polemica non è indirizzata al sistema globale della filosofia crociana, ma insiste sull'arbitrarietà di certe scelte che contrastano con il movimento dialettico proprio dell'idealismo.

Il terreno di scontro è il significato filosofico dello sviluppo storico: l'unica categoria a cui si può dare piena dignità conoscitiva è, secondo l'insegnamento crociano, la filosofia, a cui sono ridotte, con procedimenti arbitrari, tutte le altre scienze. La critica del F. tende, al contrario, a rivalutare soprattutto le scienze empiriche che rischiano invece, nel neoidealismo, di perdere qualsiasi valore. L'opera del F. si sviluppa, perciò, nel tentativo di dimostrare la validità e dignità della scienza. Riprendendo l'impostazione del pensiero di Vico e di Hegel della Fenomenologia, il F. tenta una restaurazione della filosofia della storia a cui, sia pur con una certa cautela, si possono ricondurre le varie fasi della storia dell'uomo, non più considerato solo come puro spirito, ma anche nel suo reale sviluppo storico.

In quest'ottica si inseriscono anche gli studi sul neopositivismo e la pubblicazione del volume Teosofia orientale e filosofia greca (Firenze 1949), in cui si sottolinea l'importanza della matematica nello sviluppo del pensiero greco e quindi ancora il significato storico della scienza. Sulla stessa linea si inserisce lo studio sulla nascita del linguaggio che si concretizza nel Saggio sulle origini del linguaggio. Con una storia critica delle dottrine glottogoniche (Torino 1962); nell'opera il filosofo mette a frutto i suoi interessi per le scienze empiriche, ed in senso più ampio definisce uno dei punti focali del suo idealismo: lo studio delle origini della civiltà e il trapasso dallo stato animale a quello umano.

Qui intervengono le osservazioni di Vico sulle origini ferine dell'uomo; è questa un'altra occasione di diversità dal neoidealismo italiano che, pur rifacendosi a Vico, aveva sottovalutato un'importante fase storica - l'umanità primitiva - riducendola a momento dello spirito, senza valorizzare il delicato passaggio da animalità ad umanità. Se dal punto di vista specialistico quest'opera ebbe varie opposizioni, benché in seguito diverse intuizioni ivi contenute si siano dimostrate vere, la sua importanza sta nell'aver aperto all'idealismo un nuovo campo d'indagine, indicando alla filosofia una diversa prospettiva storica.Il Saggio è stato riedito, nella forma integrale ch'era nelle primitive intenzioni dell'autore", con il titolo Origini e natura del linguaggio, a cura di Anna e Guido Fano, con Presentazione di L. Heilmann.

Se questo è il filone principale della speculazione filosofica del F., i suoi interessi spaziarono in vari campi: l'adesione al movimento paneuropeo di R. Coudenhove Kalergi, la pubblicazione di racconti per l'infanzia, i contributi allo studio di problemi pedagogici.

Recatosi a Siena a presiedere una commissione d'esami, il F. morì il 20 sett. 1963.

Bibl.: S. Timpanaro ir., In margine alle "Cronache di filosofia italiana", 2. Un idealista misconosciuto: G. F., in Società, IX (1959), pp. 1076-87; Id., G. F., in Belfagor, XIX (1964), pp. 452-61; G. Stibelli, L'idealismo dialettico di G. F., in Id., La filosofia friulana e giuliana nel contesto della cultura italiana, Udine 1972, pp. 209-23; S. Lantier, Il pensiero di G. F. Il linguaggio tra filosofia e scienza, Trieste 1976; G. Voghera, F., o l'idealismo riveduto e corretto, in Il Piccolo, 18 sett. 1983, p. 3.

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