ALMIRANTE, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani (2020)

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ALMIRANTE, Giorgio

Giuseppe Parlato

La nascita e gli studi

Nacque a Salsomaggiore (Parma) il 27 giugno 1914. Il padre, Mario, regista e doppiatore, era figlio e nipote d’arte: suo padre, Nunzio, era capocomico e il nonno, Pasquale, era diventato attore per dissimulare la sua attività carbonara a Napoli tra il 1820 e il 1830. La madre, Rita Almaroli, torinese, era costumista di teatro e Giorgio era nato a Salsomaggiore a causa di uno dei tanti spostamenti dovuti agli impegni teatrali della famiglia.

Giorgio aveva diversi altri parenti attori, tutti col cognome Almirante; la cugina Italia, che fu una delle più importanti attrici del muto e partecipò al film Cabiria, e tre zii: Ernesto, caratterista famoso diretto da Luigi Zampa, Mario Monicelli, Alessandro Blasetti, Steno e Federico Fellini; Giacomo, attore con Totò in San Giovanni decollato e capocomico in diverse compagnie; Luigi, cui Giorgio fu più legato, attore teatrale di opere pirandelliane e shakespeariane che lavorò con grandi registi, dai De Filippo a Carlo Ludovico Bragaglia, da Mario Camerini a Mario Bonnard, da Alberto Lattuada a Carmine Gallone.

Nel 1920 la famiglia si trasferì a Torino e Almirante frequentò le scuole elementari alla Leone Fontana, nel popolare quartiere Vanchiglia. Rimase a Torino fino ai primi anni del Liceo classico, che concluse a Roma dove la famiglia, all’inizio degli anni Trenta, aveva fissato la propria residenza, attirata dal ruolo che la città stava assumendo nell’industria cinematografica. Nel 1934 nasceva la Direzione nazionale della cinematografia, due anni dopo veniva costruita Cinecittà e in questo contesto il padre si trovò in un ambiente professionale molto favorevole.

Nel fascismo e nella Repubblica Sociale

Almirante si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia della Sapienza e ben presto si dedicò al giornalismo politico: nel 1932 entrò come praticante al quotidiano Il Tevere, diretto da Telesio Interlandi. Nel 1934 si classificò quinto ai Littoriali della letteratura e dell’arte nella sezione di critica cinematografica. Nel 1937 si laureò con una tesi sulla fortuna di Dante nel Settecento italiano, relatore l’italianista Vittorio Rossi.

In quello stesso anno Il Tevere iniziava la campagna di stampa contro gli ebrei e per la purezza della razza. Un anno dopo furono introdotte le leggi razziali. Almirante partecipò attivamente alla campagna del quotidiano di Interlandi, al quale poi si unirono anche altri giornali,

Dopo il servizio militare, tornò al giornale dove era diventato redattore capo.

Il 5 agosto 1938 usciva il primo numero de La difesa della razza, diretta da Interlandi: Almirante, segretario di redazione della rivista, vi pubblicò il suo primo articolo, contro l’imperatore romano Caracalla accusato di avere danneggiato la razza romana consentendo la cittadinanza ai provinciali e favorendo di fatto il meticciato. Continuò la polemica contro gli ebrei che considerò  'non italiani'. Nel dopoguerra, in più occasioni, ripudiò sia le tesi che aveva sostenuto sulla questione razziale, sia la stessa esperienza della rivista di Interlandi.

Nel 1940 chiese di andare come corrispondente di guerra al fronte africano e fu decorato di Croce di guerra al valor militare.

Il 26 luglio 1943, il giorno successivo alla caduta del fascismo, Almirante andò regolarmente al lavoro a Il Tevere con il distintivo del Partito nazionale fascista (PNF) sulla giacca: furono alcuni collaboratori del giornale a strapparglielo: questo episodio anticipò quale sarebbe stato l’atteggiamento di Almirante, rispetto al giudizio sul fascismo, anche negli anni successivi.

Tra il luglio e il settembre del 1943 aveva trovato lavoro al ministero della Cultura popolare dove Ferdinando Mezzasoma era stato direttore generale dell'Ufficio stampa fino al 25 luglio. Nel settembre dello stesso anno Mezzasoma divenne ministro della Cultura popolare nel governo della Repubblica sociale italiana (RSI). In seguito a un incontro fortuito con lo stesso Mezzasoma, Almirante, che nel frattempo era stato richiamato alle armi, fu riassunto in quel Ministero, nel quale diventerà capogabinetto nel maggio del 1944.

Nella RSI Almirante non svolse attività propriamente politica, ma soprattutto burocratica e giornalistica; ebbe però modo di esprimersi negativamente nei confronti di coloro che, pur fascisti, lamentavano un eccessivo peso politico del Partito, come il giornalista Concetto Pettinato, che fu rimosso dalla direzione de La Stampa anche su intervento di Almirante.

Risale a quel periodo e al suo incarico di capogabinetto l’affaire che lo coinvolgerà anni dopo: nel 1971, infatti, subito dopo il successo alle elezioni amministrative del suo Partito, il Movimento sociale italiano (MSI), Almirante fu accusato di aver firmato un bando del ministero della Difesa nazionale della RSI con il quale si annunciava la pena di morte ai renitenti alla leva. In realtà, Almirante non aveva firmato il bando ma solo la sua trasmissione alle prefetture, come competenza di quel Ministero. Come tutti i funzionari dei ministeri della RSI trasferiti al Nord, anche Almirante fu arruolato nella Brigata Nera 'ministeriale' che operò in Val d’Ossola, dal settembre del 1944 al gennaio del 1945, senza peraltro giungere a scontri con i partigiani.

La clandestinità e la nascita del Movimento sociale italiano

Nei giorni dell’insurrezione, Almirante trovò rifugio a Milano nell’abitazione di Emanuele Levi, un amico ebreo e compagno di scuola a Torino, il quale così restituiva la cortesia al vecchio amico che lo aveva nascosto, durante la RSI, nei locali del Ministero all’insaputa del ministro Mezzasoma. Anzi, Almirante aveva anche cercato di evitare al padre di Levi la deportazione in Germania, dove poi era morto. Successivamente, l’amico ebreo lo ospitò a Torino, presentandolo a un ingegnere titolare di un’azienda di motorini elettrici, che Almirante andava a vendere in giro per Torino e provincia sotto il falso nome di Alloni.

Nell’estate del 1946, dopo il referendum istituzionale, l’amnistia promulgata dal guardasigilli Palmiro Togliatti aprì le porte delle carceri a migliaia di fascisti; Almirante decise di raggiungere Roma.

Nella capitale Pino Romualdi stava organizzando i primi nuclei di fascisti clandestini intenzionati a proseguire la lotta politica. In occasione del referendum, Romualdi aveva trattato con i repubblicani e con i monarchici al fine di ottenere l’amnistia per i fascisti. Contemporaneamente, nel corso del 1946, erano tornati anche i prigionieri di guerra 'non cooperatori', quelli che non avevano accettato l’offerta di collaborare con l’esercito alleato, i quali si misero immediatamente a disposizione di Romualdi. A quel punto fu possibile pensare alla creazione di un nuovo soggetto politico: con Romualdi operarono in tal senso Arturo Michelini, Ezio Maria Gray, Giorgio Pini, Franco De Agazio (ucciso dalla Volante Rossa nel 1947), Giovanni Tonelli, Mario Tedeschi e Valerio Pignatelli con la moglie Maria. In quel periodo Almirante, raggiunta nel frattempo Roma, rimase estraneo alle attività del neofascismo clandestino occupandosi prevalentemente di insegnamento, dando lezioni private di latino e greco, e come docente in un istituto privato religioso. Tornò all’attività politica nel novembre del 1946 e si ritrovò con alcuni amici, che erano stati nella RSI, a costituire un piccolo movimento, il Movimento italiano di unità sociale (MIUS), fondato da Elio Lodolini e Mario Cassiano. Almirante fu presente alle riunioni preparatorie del nuovo Partito e a quella del 26 dicembre 1946 nella quale ufficialmente nacque il MSI: Romualdi e Michelini, che ne erano la vera guida politica, incaricarono Giacinto Trevisonno di svolgere il ruolo, essenzialmente operativo, di segretario del Partito. Ma nel giugno del 1947, il segretario si dimise perché contrario ad accogliere nel Partito i vecchi fascisti del regime e fu sostituito con Almirante.

La prima segreteria

Da quel momento la biografia di Almirante coincide con la storia del MSI: per oltre quarant’anni ne fu il personaggio più noto e per oltre la metà di questi ne fu il leader. Alla fine del 1947 si misurò con le prime elezioni che coinvolsero il Partito: alle amministrative per il Campidoglio, dopo una dura campagna elettorale, il MSI sfiorò il 4% ottenendo tre seggi che contribuirono, in maniera determinante, a eleggere il sindaco democristiano Salvatore Rebecchini. Era la linea di Romualdi, anticomunista e moderata, destinata a interrompersi con il suo arresto nel marzo del 1948 e la sua conseguente condanna a tre anni e mezzo di carcere per collaborazionismo.

Almirante divenne così il vero segretario; volle dare al Partito una impostazione identitaria, con un forte legame alla RSI più che al ventennio fascista: fu attento a non schiacciare il MSI sulla destra conservatrice, riproponendo le riforme sociali della RSI e del fascismo rivoluzionario, allontanando la prospettiva di un semplice anticomunismo. Interpretò la voce e i sentimenti degli sconfitti, sia di quelli che combatterono contro gli Alleati occidentali, sia di quelli che combatterono la guerra civile. Il risultato fu, in periodo di guerra fredda, un sostanziale isolamento del Partito. Ma contemporaneamente Almirante riuscì a portarlo in Parlamento: erano solo cinque deputati (tra cui lo stesso Almirante) e un senatore, ma in questo modo il MSI fu legittimato dal suffragio popolare e combatté la sua battaglia contro il Patto Atlantico (optò per l’astensione solo per distinguersi dai comunisti), contro la Democrazia cristiana (DC) e il governo centrista, ma anche contro i monarchici e la destra moderata.

Almirante mostrò da segretario la sua principale abilità, che poi fu una costante nella sua vita politica, ovvero l’inossidabile legame con la base dei militanti: dotato di una memoria prodigiosa, ricordava persone ed eventi e in questo modo riuscì a stabilire un rapporto speciale con le sezioni, anche le più piccole, e con i loro dirigenti.

Il rapporto con il fascismo

Che il fascismo fosse il suo preciso punto di riferimento a livello umano e politico è fuor di dubbio; che tuttavia Almirante abbia fatto proprio lo slogan di Augusto De Marsanich, che lo seguì nella segreteria, «Non rinnegare e non restaurare», è altrettanto indubbio. La sua correttezza parlamentare, il suo permanere orgogliosamente all’opposizione, senza alcuna speranza di raggiungere il potere, erano dimostrazione da un lato di una assoluta fedeltà ai principi del fascismo ma anche di una pratica e, spesso, sofferta accettazione delle regole dello Stato democratico.

Il fascismo per Almirante – come per tutto il MSI – non era tanto un’ideologia, quanto un 'vissuto', un comportamento, uno stile di vita. Si potevano accettare lo Stato democratico, le elezioni, il suffragio popolare, pur mantenendo riserve sulla loro efficacia e sulla loro legittimità. Ma alla condizione di non dovere, contemporaneamente, rinnegare vent’anni di fascismo, quindi se stessi e il proprio passato. In questo senso, Almirante trasformò la nostalgia da sentimento in  arma politica.

D’altra parte il MSI, proprio a partire dal secondo congresso (Roma, 1949) si divise nelle tre correnti che rappresentavano le tre modalità in cui il fascismo si era manifestato.

La prima era quella del fascismo inteso come alternativa nazionale e sociale al capitalismo, la linea dei Fasci di combattimento del 1919 e della RSI, che nel dopoguerra divenne la 'sinistra nazionale', antiamericana in politica estera, contro la destra cattolica e liberale, contro la monarchia; si trattava della posizione alla quale Almirante si sentiva più vicino.

La seconda era quella del fascismo inteso come pragmatismo politico, in funzione anticomunista, che mirava al collocamento del MSI nell’alveo della destra moderata: era il 'centro' di Michelini, disposto, pur di impedire il centro-sinistra, a sacrificare la nostalgia e la mitizzazione del fascismo. Infine, la terza era quella che interpretava il fascismo come fenomeno europeo, legato ai miti del nazionalsocialismo, fedele alla visione tradizionalista di Julius Evola: era la destra di Rauti, fortemente antiamericana, antimoderna, la più restia ad accettare, anche solo tatticamente, il metodo democratico.

Dal punto di vista politico, Almirante ritenne che il vero fascismo fosse quello dei giovani, antiborghese e corporativo, quello della RSI e della socializzazione delle imprese, quello dell’ultimo Giovanni Gentile, quello dell’umanesimo del lavoro di Genesi e struttura della società: non a caso, le proposte politiche alle quali fu più legato e che propose costantemente furono la integrazione in senso corporativo della rappresentanza parlamentare e la partecipazione agli utili e alla gestione delle imprese che, insieme con la repubblica presidenziale, costituirono gli elementi qualificanti della sua proposta politica. La repubblica presidenziale rientrava nel progetto di uno Stato forte nel quale il regionalismo rappresentava un elemento centrifugo; di qui la sua costante polemica contro gli statuti speciali del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige, ai quali dedicò i due più lunghi discorsi parlamentari, rispettivamente di otto ore e mezza, il 3 luglio 1962, e di nove ore e un quarto, il 16 gennaio 1971.

L’opposizione interna

In questo quadro, quando si presentarono le condizioni di una flessione della DC a favore della destra, il MSI decise di abbandonare l’intransigenza di Almirante per raccogliere consensi nell’area moderata e meridionale, che poco aveva avuto a che spartire con Salò e con la guerra civile. Messo in minoranza Almirante, gli successe De Marsanich, che era già stato sottosegretario durante il fascismo.

Di fronte ai tentativi di scioglimento del MSI ai sensi della legge Scelba (1952), il Partito si ricompattò e Almirante dedicò uno dei suoi discorsi più lunghi e più efficaci alla denuncia della incostituzionalità della legge, sottolineando la difficoltà di liquidare un Partito come il MSI che da anni sedeva in Parlamento e che rispettava le regole della democrazia.

La grande popolarità conquistata dal MSI con la campagna per il ritorno di Trieste all’Italia e il successo alle elezioni del 1953 coincisero con le difficoltà della coalizione centrista che, dopo il fallimento della legge elettorale maggioritaria voluta da Alcide De Gasperi, aveva una maggioranza molto risicata: sembrò che vi fossero le condizioni per un duraturo inserimento del MSI nel grande gioco politico e l’appoggio ai governi di Giuseppe Pella, di Adone Zoli, di Antonio Segni e di Fernando Tambroni sembrò dimostrarlo.

Michelini, diventato segretario nel 1954, proseguì la linea di De Marsanich puntando a una sempre maggiore disponibilità del MSI ad appoggiare governi chiusi a sinistra e sperando che le contraddizioni interne della DC portassero alla nascita di un secondo partito cattolico, saldamente collocato a destra. Questa strategia determinò l’uscita dal Partito della destra di Rauti e della sinistra legata a Salò.

Il VI congresso, programmato per il luglio 1960, quando il MSI appoggiava con voti determinanti il governo del democristiano Tambroni, avrebbe ribadito la piena accettazione da parte del MSI del pluralismo e della democrazia nonché la sua estraneità ai totalitarismi, alla dittatura e al razzismo.

Ma la scelta di Genova come sede congressuale fu considerata una sfida all’antifascismo, in quanto la città era stata insignita di medaglia d’oro della Resistenza (peraltro, come Milano, sede del precedente congresso). La reazione di piazza seguita all’annuncio del congresso compromise definitivamente il tentativo di Michelini, non permise lo svolgimento del congresso, fece cadere il governo Tambroni e creò le condizioni per la nascita del centro-sinistra.

Michelini, tuttavia, proseguì la sua strategia, ormai sempre meno incisiva, e Almirante continuò a rimanere all’opposizione. Nel frattempo l’elemento giovanile era sempre più deluso dal Partito, considerato troppo conservatore. Il caso più significativo avvenne nel 1968, allorché le strutture giovanili di destra entrarono in crisi: se in tutti gli anni Cinquanta erano state in grado di realizzare un notevole proselitismo, tanto da essere spesso maggioritarie negli atenei, ora si trovavano in forte difficoltà anche a causa della posizione ufficiale del Partito, duramente contraria alla contestazione. L’immagine di Almirante che con Giulio Caradonna guidava i giovani missini contro coloro che avevano occupato la Sapienza di Roma (e tra questi c’erano anche giovani di destra) è stata il simbolo di un Partito che, anche nell’ala più movimentista, veniva identificato come il difensore a oltranza del sistema. Fu da quel momento che iniziò la diaspora dei giovani missini verso altri lidi, in genere verso la destra radicale e rivoluzionaria.

La seconda segreteria

Nel 1969, anno della morte di Michelini, Almirante tornò alla segreteria del Partito, che gestì con molta duttilità, operando su due direttrici piuttosto diverse.

Da un lato continuò la politica di destra che aveva caratterizzato la segreteria precedente: di qui la Destra Nazionale (DN), il nuovo nome aggiunto al vecchio MSI, a significare un forte ancoraggio a destra, con i monarchici e con i cattolici.

Dall’altro parlò di 'alternativa al sistema': per Almirante era solo la critica alla 'partitocrazia' e la proposta di una riforma parlamentare in senso corporativo, ovvero con una rappresentanza delle categorie produttive; ma per il gruppo di Rauti e per molti giovani, invece, era la prospettiva di un ribaltamento del sistema politico, con valori spesso estranei alla democrazia parlamentare.

Su questo doppio binario, la politica del MSI-DN proseguì positivamente per qualche anno. I risultati vennero alle elezioni amministrative del 1971 e alle politiche del 1972, quando raggiunse il suo massimo storico: 8,6% alla Camera e 9,1% al Senato, quasi tre milioni di voti per complessivi 81 parlamentari. Si avvicinarono al Partito personaggi provenienti da mondi diversi e talvolta lontani dal MSI-DN: oltre ai monarchici, due generali, Giovanni De Lorenzo, già capo del SIFAR (Servizio informazioni forze armate, in funzione fino al 1966), e Vito Miceli, già direttore del SID (Servizio informazioni difesa, istituito nel 1966), l’ammiraglio Gino Birindelli, già comandante navale NATO del Sud Europa, che divenne presidente del Partito, gli ex DC Agostino Greggi e Giulio Giacchero, quest’ultimo già partigiano cattolico, Armando Plebe, filosofo ex marxista.

La reazione delle altre forze politiche e delle istituzioni fu immediata: nessun accordo, nessuna concessione al MSI-DN e quindi nessuna legittimazione. Tre furono le modalità che riuscirono, nel breve volgere di quattro anni, a interrompere la forza espansiva del Partito: in primo luogo, la violenza della sinistra extraparlamentare, che colpì molti giovani missini e alcuni dirigenti innescando un crescendo di terrorismo politico durato per oltre un decennio. In secondo luogo, le accuse di ricostituzione del partito fascista da parte della magistratura formulate dal 1972 con ben quattro autorizzazioni a procedere: nel 1973, nel 1975, nel 1979 e nel 1984. In terzo luogo, il governo neocentrista aperto ai liberali che ebbe la funzione di recuperare alla DC e ai partiti di centro i voti moderati 'in libera uscita', come aveva sottolineato il nuovo capo del governo, Giulio Andreotti.

Nel 1974 il MSI-DN decise di appoggiare il referendum abrogativo della legge sul divorzio, introdotta nel 1970. Fu una scelta essenzialmente politica, che personalmente Almirante non condivise e che lo coinvolse anche personalmente. Infatti il segretario missino si era sposato, con rito civile a San Marino, nel marzo del 1951 con Gabriella Magnatti, il cui precedente matrimonio era stato annullato. Almirante aveva conosciuto la Magnatti nel periodo immediatamente successivo all’armistizio e nel 1946 era nata una figlia, Rita. Qualche mese dopo il matrimonio aveva conosciuto Raffaella Assunta Stramandinoli, sposata con il marchese de Medici e con tre figli. Nel 1953, separatasi dal marito, si era trasferita a Roma con i figli, convivendo con Almirante da cui nel 1955 ebbe una figlia, Giuliana. Nell’ottobre del 1969 era stato celebrato un matrimonio 'di coscienza', con solo rito religioso; per questo motivo Almirante venne accusato di essere legalmente bigamo e quindi non interessato al divorzio.

Dopo la sconfitta sul divorzio il già delicato rapporto tra i 'moderati' e i fautori dell’alternativa al sistema si incrinò definitivamente. L’uccisione dell’agente Antonio Marino a Milano, nel 1974, da parte di due estremisti di destra – per altro immediatamente denunciati dal Partito – provocò le dimissioni di Birindelli e nei moderati la sensazione che Almirante non riuscisse più a controllare l’elemento giovanile.

Nel 1976 la pesante sconfitta alle elezioni politiche indusse una congrua parte del MSI-DN a chiedere le dimissioni del segretario. Nel dicembre, dopo mesi di polemiche, i moderati  (Alfredo Covelli, Achille Lauro, Ernesto De Marzio, Giovanni Roberti, Gastone Nencioni, Raffaele Delfino) si costituirono in gruppo parlamentare autonomo con il nome di Democrazia nazionale: fu la scissione proporzionalmente più ampia della Repubblica. Lasciarono Almirante 17 deputati su 34 e 9 senatori su 15. Il segretario reagì con veemenza, raccogliendo il Partito attorno a sé. Fu una scissione di vertice: non una sola sezione aderì al nuovo Partito che nelle elezioni del 1979 non ottenne rappresentanze parlamentari.

Nuova Repubblica

Dopo il congresso del 1977 iniziò un’altra fase della seconda segreteria di Almirante, segnata da una forte e ormai carismatica presenza del leader. Tale fase fu caratterizzata anche da una proposta, quella della repubblica presidenziale, che si inseriva nella crisi delle istituzioni denunciata un po’ da tutte le forze politiche. Almirante aveva già in passato affrontato, in una sua opera, Processo al Parlamento, il problema della 'partitocrazia', della sovrapposizione delle due Camere, ma soprattutto del potere dei partiti, tale da compromettere, secondo lui, una corretta funzionalità della democrazia.

In tutt’altro contesto si poneva invece il fermento del mondo giovanile di destra, che proponeva soluzioni più metapolitiche che politiche: giornali come La voce della fogna di Marco Tarchi, le radio libere, la musica alternativa furono il sintomo di un movimento giovanile che intendeva uscire dall’isolamento politico. In questo senso i quattro Campi Hobbit (1977-1981) rappresentarono una novità assoluta che, organizzata dalla componente rautiana, introdussero temi sociali quali disoccupazione, condizione della donna ed ecologismo che non erano normalmente trattati dal Partito.

Nel 1979, in occasione del XII congresso, tenutosi a Napoli, Almirante lanciò la proposta della repubblica presidenziale, con l’elezione popolare del capo dello Stato. Nel frattempo, il MSI-DN si era presentato alle prime elezioni europee e in quella circostanza Almirante aveva promosso la costituzione dell’Eurodestra con il Parti des Forces Nouvelles di Tixier-Vignancourt, con Fuerza Nueva di Blas Piñar e con l’Unione politica nazionale greca: solo il MSI-DN ottenne una rappresentanza parlamentare a Strasburgo con quattro eletti, fra questi anche Almirante.

Nel XIII congresso (Roma, febbraio 1982), Almirante presentò il progetto di una nuova Costituzione: prevedeva una repubblica presidenziale, con l’elezione diretta del capo dello Stato, dei presidenti delle regioni, delle province e dei comuni, un Parlamento monocamerale eletto per metà dal popolo e per metà dalle categorie; inoltre si prevedeva il ripristino della pena di morte e il servizio militare volontario. Nel 1983 il progetto di riforma fu presentato alla Commissione bicamerale, presieduta da Aldo Bozzi, dal deputato del MSI-DN Franco Franchi.

Nel 1982 un pesante sospetto calò su Almirante: un ex terrorista di destra, Vincenzo Vinciguerra, confessò di essere l’autore materiale dell’attentato di Peteano (maggio 1972) nel quale rimasero uccisi tre carabinieri, attirati in una trappola da tre aderenti di Ordine Nuovo. Vinciguerra rivelò che Almirante avrebbe favorito la fuga in Spagna di uno degli attentatori, Carlo Cicuttini; dopo essere stato rinviato a giudizio nel 1986, beneficiò di un’amnistia prima dell’inizio del processo.

Gli ultimi anni furono segnati da un progressivo isolamento del Partito: non ebbe seguito la improvvisa apertura di Bettino Craxi, che invitò il MSI-DN per la prima volta alle consultazioni per la crisi di governo del luglio 1983. Ormai senza oppositori di rilievo, al congresso del 1984 Almirante fu rieletto segretario per la sesta volta, per acclamazione.

Sorrento 1987

Se le elezioni del 1983 erano state positive per il MSI, che aveva raggiunto il secondo migliore risultato della sua storia, il 6,8 alla Camera e il 7,3 al Senato, per complessivi 60 parlamentari, quattro anni dopo, nelle elezioni anticipate del 1987, ci fu invece un ridimensionamento: il MSI-DN appariva bloccato tra la sua politica tradizionale e quella alternativa al sistema che mostrava ben scarse possibilità di realizzarsi. Inoltre, Almirante aveva seri problemi di salute e pertanto l’eventualità di un cambio della guardia era da molti, dentro e fuori il Partito, considerata tutt’altro che improbabile.

Il problema, semmai, era quello della successione: la scissione di Democrazia Nazionale aveva eliminato molti quarantenni e cinquantenni e il ricambio diventava più difficile; lo stesso atteggiamento del segretario nell’ultimo decennio era stato tale da non prefigurare la possibilità che il successore si potesse individuare tra gli uomini più in vista del Partito.

Fu così indetto il XV congresso a Sorrento, per il dicembre del 1987. Approssimandosi l’appuntamento congressuale, Almirante mise subito in chiaro che il fascismo continuava a essere centrale nella proposta politica del Partito, tanto che raccomandò di diffidare delle storicizzazioni perché potevano essere un’anticamera della liquidazione. Un paio di mesi prima del congresso, indicò il possibile successore in Gianfranco Fini.

Nel discorso inaugurale, Almirante ribadì il concetto: «Noi siamo quello che fummo e saremo domani quello che siamo». Delle sei liste che si presentarono, quattro sostennero Fini e due Rauti; ma ciò nonostante fu necessario un ballottaggio per la vittoria del giovane delfino. Almirante dovette attendere il primo Comitato centrale dopo il congresso per essere nominato presidente, e solo a maggioranza. Ricoprì la carica per soli quattro mesi: la sua salute, già precaria, peggiorò e, dopo un’ultima operazione, morì il 22 maggio 1988. Il giorno prima era mancato anche Pino Romualdi, per cui il Partito decise di celebrare funerali comuni.

Opere

Il Movimento Sociale Italiano, Milano s.d (ma 1958); La verità sull’Alto Adige, a cura del MSI, Roma 1959; Mezzasoma rievocato da Giorgio Almirante e da Fernando Feliciani, Roma 1959; Processo al Parlamento, 2 voll., Roma 1969; La Destra avanza, Milano 1972; Autobiografia di un fucilatore, Milano 1973; Zona B. Dal Diktat alla rinuncia, Torino 1976; Processo alla Repubblica, Roma 1980; Carlo Borsani, Roma 1979 (con Carlo Borsani jr); Robert Brasillach, Roma 1979; José Antonio Primo de Rivera, Roma 1980; Francesco Giunta e il fascismo triestino, Trieste 1983 (con S. Giacomelli); Almirante in Parlamento, a cura del gruppo MSI-DN alla Camera, Roma 1989; Discorsi parlamentari, 5 voll., Roma 2008.

Fonti e Bibliografia

Presso l’Archivio centrale dello Stato sono molti i fondi relativi al MSI nei quali evidentemente ci si riferisce ad Almirante, in particolare si possono segnalare quelli del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza. Altri documenti si trovano presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, soprattutto nei Fondi Giano Accame, Adalberto Baldoni, Mario Cassiano, Raffaele Delfino, Istituto di studi corporativiGaetano Rasi, Primo Siena, Nino Tripodi.

A.A. Mola, Giorgio Almirante, in Il Parlamento italiano 1861-1992, XXI, Gli anni difficili della Repubblica. La crisi politica e il terrorismo, Milano 1992, pp. 431-448; S. Setta, Giorgio Almirante, in V. De Grazia - S. Luzzatto, Dizionario del fascismo, I, Torino 2002, pp. 39 s.; F. Servello, Almirante, con un saggio di G. Malgieri su Pino Romualdi, Soveria Mannelli 2008; V. La Russa, Giorgio Almirante. Da Mussolini a Fini, Milano 2009; A. Grandi. Almirante. Biografia di un fascista, Milano 2014; per studi e approfondimenti su aspetti specifici, G. de Medici, Le origini del MSI. Dal clandestinismo al primo congresso (1943-1948), Roma 1986, ad ind.; G.S. Rossi, Alternativa e doppiopetto. Il MSI dalla contestazione alla destra nazionale (1968-1973), Roma 1992, ad ind.; R. Chiarini, Destra italiana. Dall' Unità d'Italia ad Alleanza Nazionale, Venezia 1995, ad ind.; M. Tarchi, Esuli in patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Parma 1995, ad ind.; Id., Cinquant’anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Milano 1995, ad ind.; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna 2006, ad ind.; A. Carioti, Gli orfani di Salò. Il “Sessantotto nero” dei giovani neofascisti del dopoguerra 1945-1951, Milano 2008, ad ind.; G. Pardini, Fascisti in democrazia. Uomini, idee, giornali (1946-1958), Firenze 2008, ad ind.;

A. Baldoni, Storia della Destra. Dal postfascismo al popolo della libertà, Firenze 2009, ad ind.; E. Cassina Wolff, L’inchiostro dei vinti. Stampa e ideologia neofascista 1945-1953, Milano 2012, ad ind.; N. Rao, Trilogia della celtica, Milano 2014, ad ind.; A. Baldoni, Destra senza veli 1946-2017. Storia e retroscena dalla nascita del MSI ad oggi, Roma 2017, ad ind.; G. Parlato, La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale, Milano 2017, ad indicem.

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