COLONNA, Giordano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLONNA, Giordano

Peter Partner

Maggiore dei tre figlidi Agapito signore di Genazzano e di Caterina Conti, è ricordato nelle fonti per la prima volta nell'atto di matrimonio della sorella Paola del 18 genn. 1396 con il quale egli e suo fratello Oddone le confermarono laconcessione in dote di metà del paese di Capranica.

Il C., insieme con Adenolfo e Indebrando Conti, Teobaldo degli Annibaldi e Paolo Orsini, cooperò con le forze papali nella guerra scatenata contro Onorato Caetani nella Campagna romana da Bonifacio IX nella primavera del 1399. Questa linea politica distingueva nettamente la posizione del C. da quella dei Colonna di Palestrina, che erano in questo periodo decisamente ostili agli Annibaldi e agli Orsini. Il 19 maggio del medesimo anno Bonifacio IX ricompensò il C., al quale si riferì come a uno "de principibus alme urbis", assegnandogli l'ufficio di governatore e capitano della città di Anagni e dandogli in dono una casa confiscata in Anagni, già appartenuta a Onorato Caetani. Nel 1400 il C. fu presente a Roma alle cerimonie del giubileo.

Nelle successive guerre del grande scisma il C. recitò una parte prudente, molto diversa da quella sostenuta dai Colonna di Palestrina e strettamente collegata con la linea politica dei fratello ecclesiastico, Oddone. Il C. si unì però ai Colonna di Palestrina nell'attacco al Campidoglio dopo la morte di Bonifacio IX (1° ott. 1404). Come molti deiColonna egli fu elencato fra i "vassalli e aderenti" del re Ladislao d'Angiò-Durazzo nella pace da questi stipulata con Innocenzo VII il 13 ag. 1406. Dopo l'occupazione napoletana di Roma nell'aprile 1408, Ladislao proibì al C., come agli altri Colonna esiliati, di entrare nella città (23 giugno 1408). Nel 109 al C., che con il fratello Oddone aveva aderito all'obbedienza pisana, papa Alessandro V concesse il paese di Ripi. Il 15 giugno 1410 egli scortò a Roma il card. Pietro de Frias, legato pontificio del successore di Alessandro V, Giovanni XXIII. Il 3 agosto il C., insieme con tutti gli Orsini e con Alto Conti, si recò al palazzo Vaticano.

Quando Oddone Colonna fu nominato legato pontificio a Roma, nell'Umbria e nel Patrimonio (febbr. 1411) la posizione politica del C. ne fu notevolmente avvantaggiata. Giovanni XXIII nello stesso anno concesse al C. il vicariato apostolico di Olevano, Belvedere e Passerano. Il 4 febbr. 1413 il medesimo Giovanni XXIII dette al C. la facoltà di riammettere due paesi sulla via sublacense (Gerano e Cerreto Laziale) all'obbedienza della Chiesa.

Durante i drammatici eventi romani del 1414 il C. mantenne la sua solita prudenza. Il 22 giugno fu elencato fra i collegati, aderenti, seguaci e raccomandati di re Ladislao nel trattato firmato dal re con Firenze in quella data. Il 16 settembre, dopo la morte dell'Angiò-Durazzo, il C. giurò fedeltà al Comune di Roma nella persona del procuratore Piero Mactuzii. Nelle guerre fra Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza il C. prese posizione per quest'ultimo. Il 10 ag. 1417 faceva parte dell'esercito che al comando dello Sforza muoveva contro Braccio che aveva occupato Roma dove entrò il 27 agosto.

L'elezione di Oddone Colonna al soglio pontificio con il nome di Martino V (Costanza, 11 nov. 1417) fornì immediatamente al C. un importante ruolo politico. Dal nuovo pontefice egli venne inviato poco dopo l'elezione a Napoli per chiedere alla regina Giovanna di inviare una ambasciata a Costanza. Muzio Attendolo Sforza incontrò il C. nel Regno e convenne di consegnargli la città di "Roma con ogni cosa". Il C. ritornò nell'Urbe e ricevette la sottomissione di Roma e delle località del distretto romano in nome del papa. Per pacificate il Patrimonio Martino V autorizzò il C. a concedere una condotta in nome della Chiesa ad Angelo Broglio (Tartaglia da Lavello), che il pontefice voleva staccare da Fortebraccio (bolla del 13 dicembre del 1418).

Il 24 genn. 1419 il C. entrò a Napoli con il cardinale legato Pietro Morosini per assistere all'investitura papale del Regno nella persona di Giovanna. In quest'occasione il C., che secondo i Diurnali del duca di Monteleone "fo receputo honoratamente con lo Palio", persuase la regina a liberare suo marito, Giacomo di Borbone, dalla prigione e convinse inoltre il favorito reale, ser Gianni Caracciolo, a lasciare Napoli. La regina Giovanna lo investì dei ducati di Amalfi e di Venosa, promettendogli anche il principato di Salerno. Per mantenere queste dignità gli fu assegnata dalla regina una provvisione annua di 12.000 ducati; gli furono promessi poi altri 50.000 ducati, che dovevano essere tratti dalle entrate della città dell'Aquila. "Una nuova potenza feudale, quella dei Colonna, sorgeva allora nella tormentata Italia meridionale, con amputazioni rilevantissime di territori dei patrimonio dello Stato" (Pontieri). Il 3 apr. 1419 il C. lasciò Napoli per tornare a Roma; poco meno di un mese prima la regina Giovanna aveva scritto allo Sforza che egli doveva, secondo le indicazioni del C., partire per Roma con tutti i suoi armati.

La politica del C. consistette nel servirsi del potere armato di Muzio Attendolo Sforza per rafforzare l'influenza dei Colonna e del Papato nel Regno. Prima che lo Sforza partisse per Roma, nella primavera del 1419, il C. lo nominò gonfaloniere della Chiesa. Tornato nell'Urbe, il C. fu incaricato di pacificare il distretto di Roma, ponendo fine ai contrasti tra i Savelli e gli Orsini (12 apr. 1419). Nell'ottobre il C. ritornò a Napoli, dove Giovanna II lo incaricò di ricevere in consegna dalle truppe napoletane Terracina che egli doveva governare in nome della Chiesa (19 ott. 109). Dieci giorni più tardi egli presenziò all'incoronazione della regina, che nel marzo del 1420 gli concesse il principato di Salerno, promessogli l'anno precedente. Il 7 giugno egli si accordò con Raimondo Orsini e con il monastero di S. Paolo fuori le mura, ottenendo così l'effettivo controllo dei porti di Ardea e di Nettuno.

In periodi di crisi militare il C. fece prestiti alla S. Sede, comportandosi in ciò come gli altri membri della piccola cerchia che stava intorno al fratello papa. Nel luglio del 1421, quando il peso di finanziare l'esercito angioino, guidato da Muzio Attendolo Sforza, ricadde sul papa, il C. prestò alla Camera apostolica 1.000 fiorini d'oro. Nell'aprile del 1421 quando Luigi d'Angiò stava per sottomettere L'Aquila e stava per aver inizio la fase finale della guerra contro Braccio, il C. prestò 2.000 fiorini d'oro alla Camera apostolica; nel giugno del medesimo anno egli dette in prestito più di 700 fiorini. I sopraddetti 2.000 fiorini erano garantiti dal villaggio di Sipicciano (nella valle del Tevere, tra Bomarzo e Bagnorea), che precedentemente era appartenuto al fratello di Tartaglia da Lavello e a Ulisse Orsini, caduto in disgrazia. Il 1° dic. 1423 il C. fu autorizzato dal papa a vendere il castrum di Sipicciano per recuperare i denari prestati alla Camera. Il 6 genn. 1424 il pontefice approvò la vendita, effettuata dal C., di Sipicciano, a Pandolfo, Giovanni e Iacopo, conti di Anguillara. È chiaro che i prestiti fatti dal C. alla Chiesa non gli procurarono alcuna perdita finanziaria.

Grandi somme di denaro, parti delle quali probabilmente venivano dalle finanze papali, furono spese dal C. per incrementare il potere territoriale e la ricchezza della famiglia Colonna nello Stato pontificio; i principali beneficiari di quei territori furono i.Colonna di Genazzano. Si deve comunque dire che l'unica rendita pontificia assegnata al C., che noi conosciamo, fu quella, assai modesta, della trentesima parte dei profitti della gabella vini di Roma, attribuitagli in una bolla diretta a I. de Astallis e datata 23 nov. 1425. È anche possibile che il denaro pagato per i possedimenti del C. e della famiglia provenissero dai fondi del tesoro segreto, di cui i conti non esistono più. I possedimenti dei Colonna di Genazzano furono descritti in una bolla del 12 giugno 1421; erano comuni al C. e a Lorenzo Colonna, conte di Alba e consistevano in Genazzano, Cave, Rocca di Cave, Capranica, San Vito, Pisoniano, Ciciliano, e Olevano. Due anni più tardi, il 1° marzo 1423, il pontefice concesse l'esenzione dalle tasse del sale e del focatico per i possedimenti dei suoi due fratelli, possedimenti che in quell'anno comprendevano, oltre alle terre elencate nel 1421, anche Ardea, Marino e Frascati.

Ardea, che era di proprietà del monastero di S. Paolo fuori le mura, era passata nelle mani di Raimondo Orsini durante lo scisma. Il 7 giugno 1420 quest'ultimo si era accordato per restituire Ardea al monastero con un atto nel quale figurava anche il Colonna. Piero Palozzi ricevette Ardea in nome dei papa e ci si accordò allora che il monastero di S. Paolo fuori le mura avrebbe dato Ardea al C. in cambio di altri territori (27 marzo 1421). I cittadini di Ardea prestarono giuramento di fedeltà al C. il 14 maggio 1421. Il caso di Frascati non fu dissimile. Frascati apparteneva alla basilica di S. Giovanni in Laterano, ma era caduta sotto il controllo dei Colonna di Palestrina durante lo scisma. Il 30 dic. 1422 il C. comprò Frascati dal capitolo di S. Giovanni in Laterano per 10.000 fiorini d'oro; per questa transazione fu ottenuta l'approvazione del papa e di una speciale commissione di cardinali. Marino durante lo scisma era stata occupata da Cristoforo Caetani. Il C. nel 1419 ottenne il possesso di Marino, che Martino V autorizzò il 14 ottobre; e con l'atto del 18 marzo 1423, con il quale comprava Marino da Cristoforo Caetani per 12.000 fiorini d'oro, il C. perfezionò il suo diritto sul villaggio. In questo modo il nucleo dei territori dei Colonna di Genazzano si venne espandendo, favorito dall'acquisto di nuovi punti strategici, il più importante dei quali era Ardea. Il C. acquistò anche la metà di altri paesi del Lazio, tra i quali, il 23 febbr. 1421, Supino, di cui l'altra metà apparteneva alla famiglia degli Anguillara. Acquistò anche da questa famiglia, il 7 genn. 1424, la terza parte di Monterano per 2.000 ducati.

Un esempio dell'abilità del C. nell'usare la sua posizione politica per acquisire le proprietà di chiese e di altri nobili è offerto dalle conseguenze che ebbe il contrasto fra gli Annibaldi di La Molara e i Savelli di Castelgandolfo nel 1423. Il 22 agosto di quell'anno il C. (che era un parente acquisito degli Annibaldi) si interpose fra le due parti in lite e ottenne da loro garanzie della cessazione delle ostilità. Questi patti furono rotti da Paluzio Annibaldi, che tese un agguato a Savello Savelli, e l'uccise verso la fine del 1423. Le conseguenze di questo delitto furono negative per gli Annibaldi, ma favorevolissime al Colonna. L'8 dic. 1423 l'abate del monastero di S. Anastasio ad AquasSalvas denunciò i sequestri compiuti durante il periodo dello scisma da vari nobili turbolenti ai danni di Genzano e di Nemi, paesi di proprietà dell'abbazia. Infatti Tebaldo Annibaldi (e dopo di lui Riccardo e Giovanni Annibaldi) aveva sottratto all'abbazia Nemi e Niccolò Colonna (e dopo di lui Antonello Savelli) Genzano. L'abate, temendo che il riaprirsi delle ostilità potesse portare ad una nuova invasione dei due castra, pregò il C. come "amico speciale e pio protettore" dell'abbazia di prendere in affitto i due paesi di Genzano e di Nemi e il castello di Nemi per un periodo di tre anni. Un'altra versione del documento dell'8 dic. 1423 allude non all'affitto a termine dei luoghi da parte dell'abbazia, ma a un accordo in base al quale il C. li avrebbe accettati dall'abbazia in locationem perpetuam. L'ipocrita linguaggio di questi documenti non riesce a nascondere l'aggressione che il C. stava per realizzare contro le proprietà della Chiesa. La definitiva acquisizione di Genzano e Nemi da parte dei Colonna non ebbe luogo se non dopo la morte del C., ma la strada a questa acquisizione fu preparata dalle transazioni messe in pratica dal C. nel 1423.

Le devastazioni delle guerre del grande scisma avevano spopolato molti dei paesi dei monti Albani e rovinato la loro agricoltura. I casi di Nemi e Genzano sono stati riferiti sopra; la testimonianza dell'oratore fiorentino, Rinaldo degli Albizzi, può essere citata per Frascati e Marino. (16 ag. 1424): "Frascati luogo disutile, dove né dentro né di fuori si può alloggiare... Marino, che soleva essere buona terra, al presente per le guerre passate è si guasto, che per niuno modo vi si può alloggiare". Il C. sfruttò questo deplorevole stato di abbandono del territorio per accaparrarsi a buon mercato molti dei paesi della zona, inclusi Prata Porcia (vicino Monteporzio, definito "castrum dirutum"), Quadraro (vicino Frascati) e Monumento (Tor de' Schiavi, sulla via Prenestina). Tali acquisizioni caratterizzano il C. non come un condottiero, ma come un abile uomo d'affari e proprietario di terre. Egli agì non soltanto per proprio conto, ma anche come tutore e procuratore di membri della famiglia Colonna e di altre famiglie. Il C. persuase Giovanna II, per esempio, a nominarlo tutore delle figlie di Nicola, conte di Celano. Combinò così il matrimonio di una di esse (Iacovella) con un suo pupillo, Odoardo Colonna, figlio del defunto fratello Lorenzo Onofrio (7 maggio 1423). È possibile che in un primo periodo (1418-1420) avesse avanzato rivendicazioni sulla contea di Celano, senza tuttavia ottenerla. In seguito i figli di Nicola di Celano si accordarono per combattere come condottieri papali nel 1420-21 e il loro contratto d'ingaggio (1° maggio 1421) fu firmato nel palazzo romano del Colonna.

La parte più importante dell'attività del C. è anche la più difficileda documentare, perché le transazioni che la concernono furono fatte a voce. Questo è il ruolo svolto dal C. come consigliere di fiducia di suo fratello, papa Martino V. Le relazioni degli ambasciatori fiorentino e senese parlano ripetutamente del potere del C. di influenzare il papa; dopo la sua morte Rinaldo degli Albizzi scrisse che il conte di Montefeltro era diventato così potente nei consigli di Martino V, che pareva "che questo signor conte possa più nel papa che tutto il resto, e che fia un altro messer Giordano" (14 ott. 1424). È evidente nella corrispondenza di Pileo de Marini, arcivescovo di Genova, che il C. esercitò la sua influenza sul papa anche in affari esclusivamente spirituali, particolarmente quelli riguardanti patronati e processi ecclesiastici. Martino V dopo la morte del fratello sostenne che egli era morto logorato dalle fatiche delle negoziazioni sostenute per conto del papa e della Chiesa: "immensis laboribus arduisque curis in nostris et ecclesie dirigendis negotiis ultra quam ferre posset pressus, sicut, Deo placuit, extitit vita functus" (lettera del 26 nov. 1424). Il C. si occupò in special modo di combinare matrimoni di famiglia a scopi politici. Egli fu, per esempio, nominato come uno dei principali membri della lega progettata nel 1422da Filippo Maria Visconti con Martino V, che avrebbe richiesto il matrimonio di Caterina Colonna con il duca di Milano. Questo matrimonio non si realizzò, ma il C. come tutore di Caterina fu certamente responsabile delle sue nozze con Guidantonio di Montefeltro (4 marzo 1424). Il C. offrì Anna Colonna in isposa a Carlo Fortebraccio ancora bambino, nel marzo 1423, prima della rottura dei negoziati del papa con Braccio. Egli ebbe naturalmente un ruolo nelle trattative del pontefice con il Regno; fu uno dei testimoni - nella cappella segreta papale, il 25 apr. 1421 - dell'importante accordo di Martino V con il duca di Sessa, che segnò una svolta nell'influenza papale sulla nobiltà regnicola.

L'importanza militare del C. come barone feudale fu abbastanza considerevole: l'8 ott. 1421egli asseriva di poter mobilitare "cinquemila fanti tra de' miei vassalli e degli altri". Ma il suo ruolo realmente significativo fu quello di capo di un consorzio nobiliare, la cui influenza politica fu immensamente esaltata dall'elezione di suo fratello al soglio pontificio in un momento particolarmente importante per il potere temporale del papato. Il possesso indiviso fra fratelli di un nucleo di terre di famiglia fu tipico di tale consorzio nobiliare: questo principio fu attuato fra il C. e suo fratello Lorenzo, conte di Alba, nel 1421e fu ripetuto, dopo la morte del C., nella nota sistemazione dei beni dei Colonna del 1427.

Il C. ricostruì in gran parte il grande palazzo dei Colonna, vicino alla chiesa dei SS. Apostoli a Roma e forse si deve a lui la ricostruzione del XV secolo del palazzo Colonna a Genazzano. L'affetto provato per lui da Martino V si manifestò, quando il C. giaceva morente di peste a Marino nell'estate del 1424;il papa, contro il parere dei medici, volle entrare nella stanza ove il fratello era in punto di morte e tenergli la mano e confortarlo fino alla fine: morì il 16 giugno 1424. La leggenda che il C. sia morto di gioia nell'apprendere la nuova della battaglia dell'Aquila (2 giugno 1424) e della morte di Fortebraccio (5 giugno 1424) è falsa. Il C. sposò Mascia degli Annibaldi. Non gli sopravvisse alcun figlio legittimo, sebbene alcuni genealogisti sostengano che Battista Colonna fosse suo figlio.

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