Bruno, Giordano

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Bruno, Giordano

Zaira Sorrenti

Filosofo, nato a Nola nel 1548 e morto a Roma nel 1600. B. non cita mai M. nelle sue opere, così come non cita molti altri autori a lui contemporanei. Si tratta, probabilmente, di una strategia dettata dalla necessità di evitare polemiche che avrebbero di fatto ostacolato ancor di più la libera circolazione del suo pensiero. Tuttavia, B. conosce molto bene l’opera di M., per almeno due ordini di ragioni. La prima: le opere di M. sono al centro dei dibattiti che animano i circoli culturali frequentati da B. a Parigi (1581-83; 1585-86) e a Londra (1583-85); la seconda: alcuni passaggi delle sue opere non possono essere compresi a fondo senza gli scritti del Segretario fiorentino.

Durante le sue peregrinazioni (1576-91), B. s’imbatte continuamente nel pensiero di M., ormai diventato, in un’Europa insanguinata da guerre civili e religiose, bandiera di principi e sentimenti opposti. A Ginevra (1578), conosce uno dei più calorosi oppositori di Innocent Gentillet, Niccolò Balbani, ministro della Chiesa calvinista, di cui ascolta le omelie sui Vangeli e sulle lettere paoline, come dichiarerà agli inquisitori di Venezia. Costretto dalle autorità ginevrine a lasciare la Svizzera, dopo aver soggiornato a Lione e a Tolosa, dove insegna per due anni, B. giunge a Parigi attratto, molto probabilmente, dalla figura di Enrico III. Il sovrano è particolarmente interessato al pensiero di M. che conosce grazie alla mediazione di Bartolomeo Del Bene e Jacopo Corbinelli. Quest’ultimo, ritenuto un accanito machiavéliste, è accusato di influenzare la politica del sovrano e di spingerlo verso l’irreligiosità leggendogli pagine machiavelliane. Corbinelli, tra l’altro, ebbe un ruolo determinante nell’esperienza parigina di B., come si evince dallo scambio epistolare con Gian Vincenzo Pinelli.

Quando B. lascia la Francia e giunge in Inghilterra, atteso e ospitato dall’ambasciatore francese Michel de Castelnau, a Londra entra in contatto con i collaboratori di John Wolfe (editore, tra il 1584 e il 1588, delle Istorie, dei Discorsi, del Principe, dell’Asino, dell’Arte della guerra), tra cui figurano membri del circolo di Philip Sidney, grande poeta e uomo di azione che B. stesso loda nelle dediche allo Spaccio de la bestia trionfante (Londra 1584) e al De gli eroici furori (Londra 1585). Lo Spaccio – che, come vedremo, risente fortemente dell’influenza di M. – viene pubblicato nello stesso anno in cui Wolfe dà alle stampe i Discorsi (e i Ragionamenti dell’Aretino). Correttore di bozze nella tipografia di Wolfe è Petruccio Ubaldini, che B. cita nella Cena de le Ceneri (Londra 1584). Legato a Wolfe è pure Alberico Gentili (→), autore del De Legationibus (1585), in cui emerge l’influenza dei Discorsi e del Principe. Nel suo ruolo di addetto all’ambasciata inglese presso la corte di Sassonia, il noto giurista aiuta B. a introdursi nell’Università di Wittenberg. Molto probabilmente, Gentili ispira il personaggio di Albertino, uno degli interlocutori del dialogo bruniano De l’infinito, universo e mondi (1584). Inoltre, Wolfe (che alcuni sospettarono, erroneamente, essere lo stampatore dei dialoghi bruniani) conosceva John Charlewood, presso cui B. pubblicò i suoi sei dialoghi italiani. Il Nolano lascia Londra nel 1585 e continua a viaggiare nel resto d’Europa, avendo sempre presente la lezione del Segretario fiorentino, che di fatto riecheggerà in tutta la sua opera.

Ma c’è di più. Non poche analogie, infatti, presenta la storia della ricezione delle opere dei due autori: la fortuna delle opere di B. ha avuto un percorso tormentato e controverso proprio come quella degli scritti di Machiavelli. Anche il pensiero di B. è stato strumentalizzato, ridotto a schemi spesso semplicistici e, talvolta, piegato a servire orientamenti politici e religiosi di segno contrario.

Solo negli ultimi decenni, con il rilancio degli studi bruniani, alcuni critici hanno avviato un’analisi attenta alla comparazione delle opere dei due autori. B. ha presente specialmente la lezione del Principe e dei Discorsi: il primo, spesso, offre al Nolano spunti polemici, il secondo quasi sempre modelli positivi. B. è attratto soprattutto dalla riflessione etico-politica condotta da M. sul tema della religione, componente essenziale del pensiero machiavelliano come della filosofia del Nolano. Con una differenza sostanziale: M. scrive in un’Europa che ancora non ha conosciuto gli effetti devastanti della Riforma luterana. Reagendo invece alle lacerazioni prodotte dalle lotte confessionali, B. concepisce una religione che sappia essere strumento di coesione sociale: la sua principale finalità non è quella di legare l’uomo a Dio, ma di legare l’uomo all’uomo, l’individuo alla società. L’etimologia stessa del termine religio custodisce il significato di (re-)ligare, e con tale accezione viene adoperata da B. nello Spaccio: «Gli ha donata Giove la potenza di legare» (Spaccio de la bestia trionfante, in Opere italiane, a cura di G. Aquilecchia, 2002, p. 261). Idea pur presente in M. quando scrive che

Debbono adunque i principi d’una republica, o d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono mantenergli; e, fatto, questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro republica religiosa, e per conseguente buona e unita (Discorsi I xii 7).

M. e B. convergono sul fatto che non ci possa essere né progresso né civiltà senza religione, quest’ultima intesa come legge divina al servizio della vita civile (Spaccio..., cit., p. 262; cfr. Discorsi I xi 3, 11). Già nella Cena de le Ceneri B., affermando il primato della filosofia sulla teologia, aveva anticipato alcuni temi centrali dello Spaccio, tra cui la tesi che il fine delle leggi divine non sia tanto «cercar la verità delle cose e speculazioni, quanto la bontà de’ costumi, profitto della civilità, convitto di popoli; e prattica per la commodità della umana conversazione, mantenimento di pace et aumento di republiche» (La cena de le Ceneri, in Opere italiane, a cura di G. Aquilecchia, 2002, p. 523). In questo passaggio B. sembra aver presente soprattutto Averroè e le tesi di Pietro Pomponazzi.

La religione per B. è una legge, un sistema di norme con finalità pratiche tra cui quella di formare buoni cittadini. Serve allo Stato ed è suo strumento. Così come per M., è un apparato necessario al governo della società e alla sua stabilità. Nello Spaccio, B. sviluppa tali concetti ribadendo che nessuna religione, mondana o celeste che sia, deve essere accettata se non porta «frutti utili e necessarii alla conversazione umana» (Spaccio..., cit., p. 262). Necessario è, dunque, mantenere il culto e il timore di Dio (p. 261; cfr. Discorsi I xi 19). Fondamentale preservare la ‘Fede’, perché la religione è stata «ordinata» innanzitutto per «quel tanto ch’appartiene alla comunione de gli uomini, alla civile conversazione» (Spaccio..., cit., p. 260). Concetti che saranno ripresi a Praga e a Francoforte: nella lettera dedicatoria degli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos (Opera latine conscripta, 1° vol., pars III, 1889, p. 4); e, nell’epistola dedicatoria indirizzata al principe Heinrich Julius von Braunschweig (De immenso et innumerabilibus, in Opera latine conscripta, 1° vol., pars I, 1879, p. 194). Evidenti i richiami ai capitoli xi e xii del libro I dei Discorsi, dove è pur presente un altro tema caro a B., l’elogio dei Romani (Spaccio..., cit., pp. 267-68; Discorsi I xi 17).

Le religioni possono essere considerate buone o nocive. Le prime favoriscono «gesti eroici» nella vita civile e accrescono la «gloria [...] ne gli petti umani» (Spaccio..., cit., p. 263; cfr. Discorsi II ii 30). Le seconde invitano alla divisione, alla superstizione e all’ozio. In B., come già in M., v’è la consapevolezza che il mondo è invecchiato. La religione che ha glorificato gli uomini attivi esortandoli all’eroicità è stata ora sorpassata da quella «nostra» incline all’ozio e lontana dal ricercare il vero bene. La religione dei Romani è morta. Diventa, dunque, necessario riformare i culti perché siano resi politicamente efficaci, senza pregiudizio della libertà filosofica. Anche qui la concezione machiavelliana della religione si fonde con quella averroistica. In questo quadro si inserisce la critica di B. e M. al cristianesimo: del tutto irrilevante per entrambi la dimensione soprannaturale della religione cristiana con il suo disprezzo per la mondanità in vista dell’ottenimento di un premio celeste (Spaccio..., cit., p. 267; Discorsi II ii 33-39). Nell’Oratio valedictoria (1588) B. descrive con termini machiavelliani il papa di Roma, «armato di chiavi e di spada, di frodi e di potenza [...] volpe e leone, vicario del tiranno infernale» (in G. Bruno, T. Campanella, Opere, a cura di A. Guzzo, R. Amerio, 1956, p. 685), sacerdote di un culto superstizioso e di un’animalesca ignoranza, contro cui sorge, come un Ercole, Lutero (Opera latine conscripta, 1° vol., pars I, 1879, p. 20). L’eco di Discorsi I xii 17 qui si giustappone a Principe xviii. Il filosofo sente la necessità di una riforma morale fondata sulla fatica e sulla virtù del lavoro in opposizione all’immobilismo dell’ozio. Il Nolano vede nei fanatismi religiosi le cause del collasso delle istituzioni civili e della pacifica convivenza tra i popoli. Ma è pur consapevole che la storia è soggetta a un continuo divenire che in parte si può anticipare, come insegnano i profeti, grazie all’analisi comparata di strutture o casi di fortuna simili. Così si esprime B. nel De imaginum signorum et idearum compositione (Opera latine conscripta, 2° vol., pars III, 1889, p. 107) sulla scia di Discorsi I ii 24-26. M. scrive una teoria dei governi, B. incentra il suo discorso sulla vita universale in cui la sorte dell’uomo, così come quella degli Stati e quella degli animali, è inglobata in un eterno divenire.

Oltre al Principe e ai Discorsi, anche la Mandragola offre una serie di spunti al Candelaio (1582). Le due celebri commedie presentano evidenti somiglianze: B. e M. fanno del comico uno strumento dotato di dignità e forza conoscitiva. Temi affini si snodano nelle commedie deformati da un riso che mai si disgiunge da un’attenta e partecipata riflessione etica.

Infine, un legame stringe il ‘bestiario’ bruniano a quello machiavelliano. Figure mitologiche come quella di Chirone e zoologiche come quella dell’asino e dell’aquila, così come di altre fiere presenti nelle poesie e, più in generale, nei testi bruniani non possono essere pienamente comprese senza far riferimento ai versi e alla prosa di Machiavelli.

Bibliografia: Opera latine conscripta, publicis sumptibus edita, recensebat F. Fiorentino [F. Tocco, H. Vitelli, V. Imbriani, C.M. Tallarigo], 3 voll. in 8 tt., Napoli-Firenze 1879-1891; Opere italiane, testi critici di G. Aquilecchia, coordinamento generale di N. Ordine, commento di G. Aquilecchia, N. Badaloni, G. Barberi-Squarotti, M.P. Ellero, M.A. Granada, J. Seidengart, 2 voll., Torino 2002.

Per gli studi critici si vedano: E.C. Davila, Storia delle guerre civili di Francia, Venezia 1630 (a cura di M. D’Addio, L. Gambino, 3 voll., Roma 1990); L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Napoli 1949; N. Badaloni, La filosofia di Giordano Bruno, Firenze 1955; I.P. Couliano, Eros et magie à la Renaissance, Paris 1984 (trad. it. Eros e magia nel Rinascimento, Milano 1987); M. Ciliberto, La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno, Roma 1986; N. Ordine, La cabala dell’asino. Asinità e conoscenza in Giordano Bruno, Napoli 1987; B. Levergeois, Giordano Bruno, Paris 1995; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Bari 1995; M.A. Granada, Maquiavelo y Giordano Bruno: religión civil y crítica del Cristianismo, «Bruniana & Campanelliana», 1998, 2, pp. 343-68; S. Ricci, ‘Fede’ e ‘dissimulazione’. Bruno lettore di Machiavelli nella crisi delle guerre di religione, «Filologia e critica», 2000, 2-3, pp. 245-62; S. Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Roma 2000; V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno con documenti editi ed inediti, Parigi-Torino 2000; F. Raimondi, La repubblica dell’assoluta giustizia. La politica di Giordano Bruno in Inghilterra, Pisa 2003; M. Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Milano 2007; N. Ordine, Contro il Vangelo armato, Milano 2007.

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