GIGANTI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

GIGANTI (Γίγαντες, Gigantes)

F. Vian

1. In Omero (Od., vii, 58-6o, 206; x, 120) i G. sono esseri selvaggi, simili ai Ciclopi e ai Lestrigoni, che periscono vittime dell'insolenza del loro re Eurimedonte; Esiodo (Theog., l, 185-186) li classifica anche tra gli esseri intermedî tra gli dèi e gli uomini; li fa nascere dal sangue di Urano e li descrive come guerrieri. Il loro combattimento contro gli dèi ha dovuto essere raccontato in un'opera epica anteriore a Senofane (p. 1, 21 Diehl) e senza dubbio anche ad Alcmane (Parth., i, 27-35); il ricordo di questo poema si è conservato nei monumenti figurati arcaici e nel racconto di Apollodoro (Bibl., i, 6), che però contiene anche motivi recenti, ad esempio la menzione dei G. anguipedi.

Per vendicare i Titani, la Terra (Gea) genera i G. nella pianura di Flegra nella penisola calcidica. Era predetto che gli dèi non avrebbero potuto vincerli, se non si fossero alleati con un mortale; la Terra sperava anche di renderli immortali grazie ad una pianta magica. Ma Zeus parlò all'Aurora, alla Luce e al Sole di brillare (su alcuni monumenti la battaglia ha luogo durante la notte o termina al sorgere del sole: coppa di Berlino n. 2293, cratere di Polygnotos, metope del Partenone, cratere di Napoli, inv. 2045); egli raccoglie per primo il pharmakon e poi ottiene l'alleanza di Eracle. Allora la battaglia incomincia. Zeus fulmina Porfirione (o Efialte) nel momento in cui tentava di violare Hera; Atena uccide Encelado; Posidone seppellisce Polibote sotto la roccia di Nisiro, frammento staccato dell'isola di Coo; Efesto forgia e lancia masse di ferro incandescente; anche Apollo, Artemide, Ares, Dioniso e Hermes prendono parte alla battaglia. Ogni volta che un G. è toccato da un dio, Eracle lo ferisce con le sue frecce. Dopo la vittoria, gli dèi ritornano all'Olimpo in un corteo trionfale.

Artisti e poeti rinnovano il mito a partire da Polignoto e da Fidia. La battaglia assume le proporzioni di un conflitto cosmico tra gli dèi, garanti dell'ordine, e le forze ctonie: i G. si confondono con i Titani (Eurip., Ec., 472; Ifig. Taur., 224). D'altra parte sin dall'inizio del V sec., gli Etruschi rappresentano G. che sputano fuoco (bronzi di Boston e Vienna). I G. divennero dunque dèmoni tellurici e vulcanici: nella Magna Grecia hanno relazioni con Tifone che accolgono nelle loro file e di cui assumono l'aspetto anguipede (IV sec.); più tardi ammettono gli Ecatoncheiri (Callim., Hymn., iv, 141-147), poi gli Aloadi e compiono l'impresa di ammassare le montagne le une sulle altre. L'importanza di Zeus si accresce notevolmente in confronto a quella degli altri dèi; i suoi principali avversarî sono ormai Gies, Briareo, Encelado, ex-avversario di Atena, che egli precipita sotto la Sicilia, e soprattutto Tifone, che viene seppellito sotto l'isola d'Inarime, vicino alla Campania.

2. Alcuni documenti corinzi del primo venticinquennio del VI sec. contrappongono un dio nudo e imberbe (Zeus o Posidone) ad un avversario antropormofo; frontone di Corfù (G. Rodenwaldt, Korkyra, ii, 158-164); tavoletta di Corinto (Ant. Denkm., i, tav. 7, 3; ii, tav. 39, 4). Il vinto, che è nudo e senza armi, deve piuttosto essere interpretato come un Titano (cfr. la Titanomachia di Eumelo di Corinto). Le vere gigantomachie appaiono verso il 570 a. C. nell'arte corinzia e attica. Si elencano qui di seguito i principali tipi iconografici:

a) Il Gigante armato. Prima del 450, il G. è in generale un semplice oplita, senza carattere distintivo. Cionondimeno alcuni scultori gli danno una certa individualità: statura alta, barba o capigliatura rigida o irsuta, viso accigliato, grandi rocce come armi: cfr. i Tesori dei Sifni e dei Megaresi, il tempio di Selinunte. Sulle metope del Partenone solo cinque G. su dieci conservano lo scudo e all'inizio del IV sec. (anfora di Milo) i G. opliti divengono ancora più rari. Il tipo sopravvive sporadicamente nella grande scultura ellenistica (Ilion Novum, Pergamo, Priene), ma le opere provinciali e tardive lo ignorano quasi totalmente.

b) Il Gigante selvaggio. I G. di questo tipo sono nudi o vestiti di pelli di animali; talvolta di un panno: combattono soprattutto con pietre o rocce. I primi esempi chiari ci sono forniti dal fregio del Tesoro dei Sifni e dall'arte etrusca dell'inizio del V sec. (sui G. che sputano fuoco, v. oltre). La ceramica di stile severo e libero contrappone talvolta il G. selvaggio al G. armato o contamina i due tipi: Acropoli A 196; British Museum E 443.

Il G. privo di panoplia prevale a cominciare da Fidia: metope i, ix, xii, xiii del Partenone (si può avere un'idea dei visi dalle figure dello scudo Strangford e dallo skỳphos del Louvre G 372). I capelli e la barba sono in generale irsuti: ma alcuni G. hanno un viso giovanile. L'abbigliamento e l'armamento possono essere diversi: clamide, petaso, berretto frigio (Atene inv. 1333), doppia ascia (metopa Ix del Partenone), tronchi di alberi, torce (anfora di Milo), martelli, piccole scuri (Napoli, inv. 2045), clave (Berlino inv. 3375). Sul cratere di Leningrado 523 l'avversario di Zeus ha le gambe entro il terreno; la stessa raffigurazione convenzionale, destinata a simbolizzare l'origine ctonia dei G., si ritrova sul cratere di Bari 4399 e a Priene (Smith, 1166). Gli artisti ellenistici si contentano di sfruttare queste diverse innovazioni. L'arma abituale rimane la pietra o la roccia; si nota anche la doppia ascia (Lagina, lastra i), lo stiletto (avversario di Tritone a Pergamo) e il tronco di albero (fregio di Roma). Gli avversari di Latona, di Phoibe e di Atena a Pergamo sono alati, per contaminazione con il tipo di Tifone (v.).

c) Il Gigante anguipede. Nel VI sec., gli artisti corinzî e calcidesi rappresentano Tifone, in lotta contro Zeus, sotto l'aspetto di un mostro anguipede e alato. Il tema scompare subito in Grecia, ma sopravvive in Etruria fino al III sec. (cfr. F. Vian, Répert., pp. 9-11). Non si può escludere che l'arte greca riscopra l'anguipede tramite questa intermediaria; comunque essa l'introduce nella gigantomachia nel IV sec. (lèkythos àpula di Berlino, inv. 3375). Il G. anguipede, barbuto o imberbe, alato o no, è assai popolare in Italia meridionale alla fine del IV sec. e nel III: (applique di Villa Giulia; lastra di Monaco). Su due ciste di Preneste le gambe anguipedi sono sostituite da code di pesci, sul modello di Tritone o di Scilla. Il G. anguipede è adottato dagli scultori di Pergamo (190-165) e predomina in seguito in tutto il mondo ellenistico. Mentre i Tifoni arcaici sono alati e le loro code di serpente hanno origine sotto il torso, i G. hanno raramente le ali (salvo a Pergamo e a Priene) e sono umani fino alle coscie e alle ginocchia; le loro gambe sono costituite da protomi di serpenti dalle fauci minacciose. Oltre alle pietre e alle rocce, essi utilizzano sovente tronchi di alberi (fregi di Pergamo e di Roma; pilastri di Leptis; sarcofago del Vaticano), più raramente il bastone (gemma di Berlino 1437) oppure lo scudo (Pergamo: l'avversario d'Oceano). A Pergamo, uno di essi ha orecchie a punta (avversario di Zeus); altri hanno corna di toro o testa e gambe di leone (fregio S).

3. La gigantomachia fino all'età di Polignoto. La gigantomachia ha dapprima l'aspetto di una battaglia epica. La maggior parte dei vasi attici arcaici trovati sull'Acropoli (Acropoli 607, 1632, 2134, 2211) contengono al centro un motivo complesso: Zeus che lancia folgori sale sulla quadriga, di cui Eracle occupa già la piattaforma, pronto a lanciare le sue frecce; in secondo piano Gea supplica Zeus, mentre Atena brandisce la lancia contro i G. che fronteggiano la quadriga; il gruppo è circondato da diversi combattimenti individuali. Questi vasi, di cui i più antichi sono contemporanei alla riorganizzazione delle Panatenee nel 566/5 a. C., riproducono senza dubbio il soggetto che era ricamato sul peplo panatenaico. Verso il 530 i pittori di vasi rinunciano ai grandi fregi conservando solo il motivo centrale, più o meno semplificato o deformato (British Museum B 208; Vaticano 360-365). Il fregio del Tesoro dei Sifnî, attorno al 525 a. C., s'ispira ancora alla stessa tradizione. Raffigura al centro il carro di Zeus, senza dubbio con Eracle; poi, davanti, Hera e Atena; sull'ala sinistra si succedono Efesto, Kore e Demetra, poi Dioniso e Cibele su una biga tirata da due leoni (motivo di origine asiatica), infine i Letoidi; sull'ala destra prendono posto Ares, Hermes, Posidone e il carro di Anfitrite, poi all'estremità, un dio oplita non identificato. Il frontone del tempio degli Alcmeonidi innova raffigurando il carro di Zeus di fronte (o di tre quarti) e gli altri dèi ammassati da una parte e dall'altra (in particolare i Letoidi, Atena e Dioniso). Lo schema arcaico successivamente ricompare solo sulla coppa di Berlino 2293.

Altri artisti ignorano il carro di Zeus e si accontentano di allineare combattimenti individuali: Louvre E 732 (A: Zeus ed Hera; B: Hermes, Atena e Posidone); Tesoro dei Megaresi (Dioniso o Posidone, Atena, Zeus, Eracle, Apollo o Ares); tempio dei Pisistratidi (Atena circondata certamente da Eracle e da Zeus); metope dei templi F e E di Selinunte. Questa disposizione è la regola nella ceramica a figure rosse, anteriore all'età del pittore Polignoto, del quale non risulta però che avesse trattato questo soggetto (Acropoli A 196; Parigi, Bibliothèque Nationale 673; British Museum E 469; Ferrara T. 313; cfr. anche il fregio del Poseidonion del Sunio). Le opere etrusche del periodo intorno al 500 conoscono ambedue i tipi di gigantomachia, ma deformano i modelli greci, sia per incomprensione, sia per introdurre motivi locali (anfora Depoletti, hydrìa di Marsiglia, bronzi di Boston, di Vienna e del Vaticano).

4. Età di Fidia e dei suoi successori. Certamente sotto l'impulso di una composizione pittorica dovuta a un grande artista, la gigantomachia diventa una battaglia cosmica in cui gli dèi dell'Olimpo, dall'alto del cielo, respingono l'assalto dei Giganti. Già verso il 475 la coppa di Berlino 2293 raffigura Selene e simbolizza l'Olimpo con una colonna. Trent'anni dopo, il ceramografo Polygnotos (v. polygnotos, I°) rappresenta su un cratere di Ferrara un vero combattimento sulle alture. Sul Partenone Fidia suggerisce nel frontone la decorazione cosmica con il sorgere di Helios; ma la stretta cornice delle metope non aveva permesso di rinunciare allo schema dei combattimenti individuali (successivamente sono messi in scena Hermes, Dioniso, Ares, Atena e Nike, Anfitrite, Posidone, Hera, Zeus, Apollo, Artemide, Eros, Eracle, Afrodite, Efesto e Helios). Invece egli ha avuto piena libertà nella pittura che ornava l'interno dello scudo di Atena Parthénos (438 a. C.). Il cratere di Napoli, inv. 2045, ne riproduce le linee principali: i G., intorno a Gea, scalano una montagna delimitata dalla vòlta celeste; Selene declina ad occidente, mentre Helios sorge ad oriente; la parte superiore del cratere è mutilata: in mezzo agli dèi che combattevano al di sopra della vòlta si trovava certo Zeus con la folgore vicino alla sua quadriga condotta da Nike. Le pitture di Polignoto e dello scudo della Parthènos hanno ispirato parecchie opere in ceramica tra il 420 e il 375 a. C.: anfora di Milo, frammento di Würzburg, crateri di Leningrado 223 e di Bari 4399. Invece altri pittori rimangono fedeli allo schema dei combattimenti individuali: Ferrara T 300 (forse influenzato dalle metope del Partenone); Berlino 2531.

5. Epoca ellenistica e romana. L'opera fondamentale è il fregio dell'altare di Pergamo (190-165). La battaglia si trasforma in una vera mischia e, se non si svolge sui fianchi di una montagna, la presenza di divinità naturalistiche o simboliche avverte che essa ha per cornice e per posta l'universo intiero. All'ala sinistra si trovano Dioniso e il suo corteo, poi i Titani e le Titanidi che parteggiano per Zeus; il gruppo di Cibele (che è forse accompagnata da Efesto), gli dèi della luce (Eos, Helios, Theia, Selene, Iperione) infine Temide, Phoibe e Asteria. Al centro sono riuniti i principali dèi dell'Olimpo: i Letoidi e i loro alleati (Ecate, Latona), Hermes (?), Demetra (?), Hera, il carro di Zeus tirato dai Vènti, Eracle, Zeus, Atena e Nike, Gea supplicante e Ares. L'ala destra comincia con il gruppo di Afrodite; poi si susseguono alcuni dèi di difficile identificazione, certamente divinità primordiali che corrispondono ai Titani: i Fiumi, Stige, le Moire (o, secondo Kähler, la Notte circondata da Enio e dagli dèi della guerra a sinistra, dalle Erinni e dalle Moire a destra); vengono infine Posidone, gli altri dèi del mare e Oceano.

Molte opere ellenistiche rimangono fedeli alla tradizione dei combattimenti individuali. Le metope di Ilion Novum, verso il 300 a. C., hanno ancora un ordinamento classico, per quanto gli atteggiamenti siano più violenti e più patetici. I monumenti più recenti portano il segno dell'arte di Pergamo: rilievi di Priene, di Lagina, di Roma, di Afrodisiade e di Leptis. Gli scultori concedono un posto importante alle divinità locali (Ecate a Lagina, Afrodite a Afrodisiade) o straniere (Serapide e Iside a Leptis), nonché alle personificazioni naturalistiche o morali. Essi evocano volentieri la decorazione con un paesaggio di rocce e di alberi e prendono in prestito motivi dal combattimento sulle alture: il dio domina il suo avversario rimpicciolito dalle sue gambe anguipedi; in primo piano alcuni G. sono abbattuti o ruzzolano giù a testa avanti (Lagina, lastra xiv; Leptis).

Il tema fidiaco della battaglia per l'Olimpo sopravvive ugualmente. L'ex voto di Attalo I, sull'acropoli di Atene, sembra essere stato costituito da statue poste a livelli differenti (cfr. Plut., Ant., 60, 2). Lo stesso concetto si ritrova nell'epoca romana (stucchi della Camera di Issione nella Casa dei Vettii; porta di bronzo dell'Artemision di Efeso; bronzo di Boston 03.983). Talvolta i G. soli sono rappresentati ammassati sul fianco di una montagna (sarcofago del Vaticano; stele di Tembra; mosaico di Piazza Armerina).

6. Motivi iconografici principali. a) Zeus. Nel VI sec. Zeus combatte a piedi o sul carro; porta l'elmo e lo scudo-egida sull'anfora del Louvre E 732; su alcuni monumenti è accompagnato da Nike (Acropoli 631), o da un leone (Acropoli 2134); successivamente, nel V sec., da un'aquila che vola (British Museum E 469; cratere del Piccolo Palazzo). Polignoto e Fidia gli ridanno il carro: carro con i cavalli alati guidato da Hera (Partenone; Ferrara T. 313; più tardi Pergamo) o quadriga montata da Nike con le ali spiegate (cratere di Polygnotos; anfora di Milo; frammento di Würzburg). Lo Zeus di Pergamo ha l'egida gettata sul braccio sinistro e la sua onnipotenza si manifesta con fulmini ed aquile. Il dio conduce lui stesso il suo carro sul cammeo di Athenion e su alcune monete. La gigantomachia di Zeus diviene un motivo banale nell'epoca imperiale, in particolare sui rilievi mitriaci della Gallia e della Germania e sulle monete dell'Asia Minore. Il tema si muta talvolta in simbolo: sulle monete di Akmonia e di Bruzos, Zeus siede su un trono sostenuto da due anguipedi.

b) Eracle. Nelle opere greche anteriori al IV sec., Erade è un semplice ausiliario di Zeus o di Atena e combatte con l'arco. La clava, apparsa per la prima volta nelle gigantomachie etrusche (verso il 500), si generalizza a cominciare dal IV secolo. Il combattimento di Eracle viene allora trattato come un tema indipendente sulle gemme ed anche nella grande scultura (gruppo di Wilton House che raffigura Eracle preso alla cintura da un Gigante).

c) Atena. Combatte contro Encelado di solito a piedi, armata di lancia, raramente di spada (Louvre E 732); le si aggiunge talvolta la civetta o il serpente: coppa della Acropoli, Roebuck; Ferrara T. 313; vaso a rilievo del Vaticano; Pergamo. Sul Partenone e sul fregio di Pergamo è incoronata da Nike. Dal 530 al 500, i pittori attici la rappresentano anche su una quadriga vista di tre quarti che calpesta i G. vinti; essa è talvolta accompagnata da Eracle; British Museum B. 252; Vaticano 381.11 carro riappare su monete imperiali della Cilicia. Su parecchie opere etrusche Atena e Eracle uccidono il loro avversario con il braccio che gli hanno staccato poco prima: ad esempio sull'hydrìa di Marsiglia e sul bronzo di Vienna.

d) Hera. Talvolta prende parte attiva al combattimento, talvolta fa da auriga a Zeus. Il tema della violenza viene delineato a Lagina, dove la dea deve difendersi dalle iniziative di un G.; sul fregio di Roma si tiene in disparte dalla battaglia ed è protetta da Efesto e da Iride (?).

e) Posidone. In un primo tempo tiene il tridente con la mano destra e porta, sulla spalla sinistra, l'isolotto di Nisiro con cui si prepara a schiacciare Polibote; quando è sul carro o vicino al suo carro, l'isola non si trova più sulla spalla, ma si eleva sul suolo, pronta a cadere: Acropoli 607; fregio del Tesoro dei Sifnî (?); Partenone; Ferrara T. 300. Nisiro comincia a mancare dal 470 (crateri del Petit Palais; di Ferrara T. 313), poi scompare completamente nel IV secolo. Secondo Pausania (1, 2, 4), un gruppo del Ceramico di Atene raffigurava Posidone che combatte a cavallo: l'anfora di Milo e alcune falere di Blisnitza ne conservano alcune repliche. A Pergamo il dio, sul carro, è scortato da numerose divinità marine; su una cista di Villa Giulia l'accompagnano alcuni mostri.

f) I Letoidi. Le loro armi abituali sono l'arco e la lancia, o la spada. Ma, a partire dai vasi fidiaci, Artemide riceve piuttosto la torcia: anfora di Milo (in cui Apollo è ugualmente dadoforo); Berlino 2531; Lagina. Le dee apparentate ad Artemide combattono anch'esse con torce: Ecate (Ferrara T. 313; cratere di Polygnotos; Pergamo), Febo e Latona (fregi di Pergamo, di Roma e forse di Lagina).

g) Dioniso. In un primo tempo è assistito da animali che saltano sul G. come i cani di Atteone: leone, cani, pantera, serpente: Acropoli 607; 1632, 2134, 2211; British Museum B 253. Verso la fine del VI sec. questi animali divengono meno numerosi e il dio riceve i suoi attributi specifici: il tirso, il kàntharos e il ceppo di vite con cui imprigiona i suoi avversarî: tempio degli Alcmeonidi (cfr. Eurip., Ion, 217-219); stàmnos Campana; Bibliothèque Nationale 573; British Museum E 443 ed E 469; Ferrara T. 313. Sul fregio del Tesoro dei Sifnî combatte contro il G. Cantaro vicino al carro di Cibele tirato da leoni. Nel V sec., sotto l'influenza del dramma satirico, appare una scorta spesso burlesca di satiri (Orvieto, inv. 1044; skỳphos di Bruxelles), poi la truppa delle menadi (Boston 00.342; Bologna 286; Ferrara T. 300-313; Napoli, inv. 245). Successivamente il dio è rappresentato su un carro tirato da pantere (anfora di Milo; frammento di Würzburg) o da grifoni alati (Berlino, inv. 3375); oppure cavalca una pantera (terracotta di Yale; cista prenestina di Monaco). Gli scultori di Pergamo riuniscono la maggior parte di questi temi: Dioniso accompagnato da una pantera, i satiri, le menadi e le ninfe, Cibele che cavalca un leone (che si ritrova anche a Priene).

h) Efesto. Nel VI sec. riattiva i mantici della sua fucina per rendere incandescenti i blocchi di ferro che lancerà contro i G.: Acropoli 2134; fregio del Tesoro dei Sifnî (sul cratere Acropoli 607 combatte con la lancia, ma la fucina è forse raffigurata). Nel V sec. lancia i blocchi incandescenti con le sue tenaglie: Berlino 2293; Bibliothèque Nationale 573; Ferrara T. 313; Partenone. Sui fregi di Lagina e di Roma tiene un martello.

i) Afrodite. Combatte tutte le volte vigorosamente con la sua lancia o con la sua spada (Acropoli 607; Partenone; Pergamo). Ma, a cominciare da Fidia, è seguita da Eros (Partenone; anfora di Milo) ed alcuni artisti suggeriscono che essa conti più sulla sua bellezza che sulle sue armi per vincere (Lagina; fregio di Afrodisiade; porta dell'Artemision di Efeso).

Monumenti considerati. - IV secolo. Pìnax corinzio di Berlino (575-550): Brunn-Bruckmann, Ant. Denkmäler, ii, tav. 29, 9. Pinax d'Eleusi (verso il 570): ᾿Εϕημ. ᾿Αρχ., 1885, p. 178, tav. 9, 12-12 a. - Anfora attica del Louvre E 732 (verso il 560): E. Pottier, Vases ant., 11, tav. 54. - Anfora dell'Acropoli 2211 (560-550): B. Graef-E. Langlotz, Akrop. Vas., i, tav. 94. - Cratere di Lydos, Acropoli 607 (560-550): ibid., tavv. 33-35; W. Kraiker, in Ath. Mitt., 1934, p. 19. - Kàntharos dell'Acropoli 2134 (560-550): B. Graef-E. Langlotz, op. cit., i, tav. 94. - Kàntharos di Nearchos, Acropoli 612 (560-550): ibid., tav. 36. - Cratere di Sakonides, Acropoli 631 (56o-550): ibid., tav. 36. - Kỳlix dell'Acropoli (560-55o): C. Roebuck, in Hesperia, 1940, p. 199, n. 134, fig. 31. - Kỳlix dell'Acropoli 1632 (550-540): B. Graef-E. Langlotz, op. cit., tav. 84; [sui vasi dell'Acropoli, cfr. J. D. Beazley, in Proceed. Brit. Acad., 1947, p. 35; sulla loro ricostituzione cfr.: F. Vian, Guerre des Géants, 95-101, 104-106; id., Répert., tavv. 23-25, 28]. - Anfore del British Museum B 208, B 252, B 25 (verso il 530): C. V. A., Brit. Mus., fasc. 4, iii H, tav. 48,3 1; 62, 2 e 3. - Anfore del Vaticano 360, 365 e 381 (verso il 530): C. Albizzati, Vasi ant. Vat., tavv. 47, 50 e 53. - Fregio N del Tesoro dei Sifnî a Delfi (verso il 525): Fouilles de Delphes, iv, 2, 72-97, tavv. 13-15 e fuori testo 6-9; P. de la Coste-Messelière, Au Musée de Pelphes, pp. 310-330, tavv. 21-29; V. Lenzen, The Fig. of Dionysos on the Siphn. Frieze, Berkeley-Los Angeles 1946; E. Mastrokostas, in Ath. Mitt., 1956, pp. 77-82. - Frontone del Tesoro dei Megaresi a Olimpia (verso il 520): G. Treu, Olympia, iii, 5, tavv. 2-4. - Frontone E del tempio dei Pisistratidi sull'Acropoli (verso il 520): H. Schrader, Arch. Marmorbildw. d. Akrop., iii, pp. 345-377, tavv. 185-192. Kỳlix a figure rosse dell'Acropoli A 196 (520-510): B. Graef-E. Langlotz, op. cit., ii, n. 211, tav. 10. - Frontone O dal tempio d'Apollo a Delfi (510-500): Fouilles de Delphes, iv, 3, 15-32, tav. 36 e fuori testo 3-4. - Metope del tempio F di Selinunte (510-500): Brunn-Bruckmann, Denkm., tav. 289.

V secolo. Hydrìa etrusca di Marsiglia (500-490): F. Vian, in Rev. Ét. Anc., 1949, p. 26, tavv. 1-2. - Anfora etrusca Depoletti (500-475): G. Micali, Mon. ined., i, tav. 37, 1. - Bronzi etruschi di Boston di Vienna e del Vaticano (500-490): G. Hanfmann, in Art. Bull., 1937, p. 463, figg. 1-3, 6. - Metopa del tempio E di Selinunte (verso il 490): Brunn-Bruckmann, Denkm., tav. 291 b. - Stàmnos Campana del Louvre (490-480): F. Villard, in Rev. Arch., 1947, ii, p. 5 ss. - Kỳlix di Berlino 2293 (480-470): Furtwängler-Reichhold, tav. 160. - Kỳlix di Parigi, Bibliothèque Nationale 573 (480-470): A. B. Cook, Zeus, iii, p. 16, tav. 3. - Stàmnos del Brit. Mus. E 443 (480-470): C. V. A., Brit. Mus., fasc. 3, iii, 1 c, tav. 21, 3. - Cratere del Brit. Mus. E 469 (verso il 470): T. Webster, Niobidenmaler, tav. 1. - Cratere di Parigi, Petit Palais (verso il 470): C. V. A., Petit Palais, fasc. 1, tav. 23. Stàmnos d'Orvieto inv. 1044 (verso il 470): e. V. A., Mus. Comun. Umbri, fasc. i, iii, i c, tav. 9. - Skỳphos di Bruxelles (470-460): D. Feytmans, Vases grecs Bibl. roy., tavv. 25-28. - Stàmnos di Boston 00.342 (verso il 460): F. Vian, Répert., tav. 41. - Cratere di Bologna 286 (verso il 460): T. Webster, Niobidenmaler, tav. 7. - Cratere di Ferrara T. 313 (460-450): P. E. Arias, Spina, tavv. 34-36. - Fregio del Poseidonion dal Sunio (450-445): R. Herbig, in Ath. Mitt., 1941, p. 87, tavv. 42, 48-49, 50-51. - Metope E del Partenone (verso il 445): C. Praschniker, Parthenonstudien, pp. 142-235. - Cratere di Ferrara T. 300 (verso il 440): P. E. Arias, op. cit., tavv. 66-67. - Cratere di Polygnotos a Ferrara (verso il 440): id., ibid., tavv. 69-73. - Interno dello scudo dell'Atena Parthènos (438) e scudo Strangford: A. von Salis, in Jahrbuch, 1940, pp. 90-169, figg. 3-5, tav. 2; F. Vian, Guerre des Géants, pp. 149-160, fig. 7; H. Walter, in Ath. Mitt., '954-5, pp. 95-104. - Skỳphos del Louvre G 372 (verso il 430): Furtwängler-Reichhold, iii, tav. 168. - Kỳlix di Berlino 2531 di Aristophanes e Erginos (420-400): ibid., tav. 127. - Cratere di Napoli, inv. 2045 (420-400): A. von Salis, op. cit., fig. 1-2 e 34. - Pelike di Atene, inv. 1333 (420-400): id., ibid., fig. 19. - Frammenti di Würzburg (420-400): id., ibid., figg. 21-24.

IV secolo. Anfora di Milo al Louvre (400-380): Furtwängler-Reichhold, ii, tavv. 96-97. - Lékythos àpula di Berlino, inv. 3375 (400-375): H. Winnefeld, Festschrift O. Benndorf, p. 72, tav. 1. - Cratere àpulo di Leningrado 523 (375-350): A. B. Cook, Zeus, iii, tav. 8. Cratere àpulo di Bari 4399 (375-350): A. von Salis, in Jahrbuch, 1940, p. 96, figg. 6-7. - Falere di Blisnitza (verso il 340): L. Stephani, in Compte-rendu Comm. imp. arch. St. Pétersbourg, 1865, p. 172, tav. 5, 5-6. - Applique àpula di Villa Giulia (350-325): W. Züchner, in Jahrbuch, xiv Ergänz.-heft (1942), p. 102, tav. 8. - Vaso a rilievo del Vaticano (fine del IV sec.): D. Thompson, in Hesperia, 1939, p. 298, fig. 11. - Metope di Ilion Novurn (verso il 300): H. Winnefeld, in W. Dörpfeld, Troja u. Ilion, ii, p. 430, tavv. 49-51.

III-II secolo. Coppa megarese di Yale (III sec.): P. Baur, in Am. Journ. Arch., 1941, p. 229, fig. 1, tavv. 11-12. - Lastra àpula di Monaco (III sec.): I. Sieveking, in Münch. Jahrb. bild. Kunst, 1922, p. 124, fig. 6-7. - Ciste di Preneste (verso il 250): J. Sieveking, Bronzen Samml. Loeb, tavv. 40-43; G. Battaglia, in Not. Scavi, 1933, p. 186, figg. 8-9, tav. 3. - Cista di Preneste a Villa Giulia (fine del III sec.): F. Inghirami, Mon. Etr., iii, tav. 17. - Gemma di Berlino 1437 (fine del III sec.): A. Furtwängler, Gemmen, i, tavv. 27, 19. - Ex voto di Attalo I (o II) ad Atene (201 ?): A. Schober, Kunst v. Pergamon, pp. 121-149. - Fregio del grande altare di Pergamo (190-165): H. Winnefeld, Altert. v. Perg., iii, 2; H. Kähler, Der grosse Fries von Perg.; A. Schober, op. cit., p. 77 ss. - Fregio del tempio di Atena a Pnene (158): A. Smith, Brit. Mus. Cat. Sculpt., nn. 1165-1 176; M. Schede, Ruinen v. Priéne, p. 37, figg. 45-46. - Gruppo di Wilton House: A. Furtwängler, in Arch. Zeit., 1881, p. 161. - Cammeo d'Athenion a Napoli (II sec.): G. Lippold, Gemmen u. Kameen, tavv. 3, 4.

Opere tarde. Fregio O dell'Hekateion di Lagina (fine del I sec. a. C.): A. Schober, Fries d. Hek. v. Lagina, Baden bei Wien 1933. - Stucchi dipinti della Camera d'Issione nella Casa dei Vettii a Pompei (I sec. d. C.): E. Curtius, Wandmal. Pompejis, pp. 59, 62, fig. 17. - Porta di bronzo dell'Artemision di Efeso, dono di Traiano: cfr. Themistius, Orat., xiii, 176 d; Kedrenos, Hist. comp., 565. Sarcofago del Vaticano (II sec.): W. Amelung, Skulpt. Vat. Mus., ii, n. 414 b, tav. 53. - Stele di Tembra: F. Vian, Répert., tav. 18. - Fregio d'Afrodisiade (epoca d'Adriano): S. Reinach, Rép. Rel., i, 2; M. Squarciapino, Scuola di Afrodisia, pp. 69-71. - Fregio di Roma (principio del II sec.): W. Amelung, in Röm. Mitt., 1905, p. 121, tav. 5. - Bronzo di Boston 03.983 : F. Vian, Répert., tav. 57. - Pilastri di Leptis Magna: R. Bartoccini, in Notiz. arch. d. Minist. d. Colonie, 1922, p. 81, figg. 11-18; M. Squarciapino, op. cit., p. 84, tav. 26; id., in Rend. Pont. Acc., xxviii, 1955-6, p. 169 ss. - Monete di Seleucia in Cilicia (II e III sec.): G. Hill, Cat. Gr. Coins Brit. Mus., Cilicia, 133, n. 26, tav. 23, 10; Imhoof-Blumer, in Zeitschr. f. Num., 1885, p. 137, tav. 4, 11. - Monete d'Akmonia e di Bruzos (III sec.): B. V. Head, Cat. Gr. Coins Brit. Mus., Phrygia, 17, tav. 4, 2; Imhoof-Blumer, l. c., p. 138, tav. 4, 13. - Mosaico della sala trilobata di Piazza Armerina: B. Pace, Mosaici di Piazza Arm., p. 49, tav. 2. - Sull'utilizzazione dell'anguipede all'epoca tarda, cfr. Ch. Picard, in Karthago, iv, 1953, pp. 97-117.

Bibl.: M. Mayer, Die Giganten und Titanen in der antiken Sagen u. Kunst, Berlino 1887; J. Ilberg-E. Kuhnert, in Roscher, I, 2, cc. 1639-73, s. v. Giganten; O. Waser, in Pauly-Wissowa, III Suppl., 1918, cc. 655-759, s. v. Giganten; F. Vian, Répertoire des Gigantomachies figurées dans l'art grec et romain, Parigi 1951; id., La guerre des Géants. Le mythe avant l'époque hellénistique, Parigi 1952.