PINCIO, Giano Pirro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PINCIO, Giano Pirro

Benedetta Valtorta

PINCIO (Penci, Penzi), Giano Pirro. – Nacque a Canneto sull’Oglio (Mantova) da Domenico di Giovanni e da Giovanna Fiera, verosimilmente nel terzo quarto del XV secolo.

Sappiamo poco della sua formazione: nel corso della giovinezza lasciò Canneto per recarsi a Venezia, dove lo zio paterno Filippo aveva stabilito una stamperia attiva con alterne fortune dal 1490. Verosimilmente, in quegli anni si dedicò allo studio della letteratura e conseguì il titolo di doctor utriusque iuris, con il quale è ricordato in un atto di donazione dell’anno 1554 (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2616, c. 67r). La presenza a Venezia a fianco dello zio Filippo è documentata da una serie di brevi epigrammi latini di Pincio presenti in alcuni volumi a stampa apparsi in quella città a partire dal 1490 (Galeno, Marziale nell’edizione di Domizio Calderini e Giorgio Merula, i Tristia di Ovidio con il commento di Bartolomeo Merula, il Decretum di Graziano con glossa ordinaria di Giovanni Teutonico e Bartolomeo da Brescia, la Lectura super primo Sententiarum di Alfonso Varga); allo stesso periodo appartiene l’allestimento di una nuova edizione dell’Orthographia di Giovanni Tortelli, che Pincio dedicò al patrizio veneziano Francesco Capello (Venezia, F. Pincio, 1493).

Questi primi interventi di un Pincio forse non ancora ventenne testimoniano solidi contatti con l’umanista Antonio Mancinelli (m. circa 1505) e uno stretto legame («Thesea amicitia» B. Merula, commento ai Tristia di Ovidio, Venezia 1499) con il mantovano Bartolomeo Merula; documentano anche il progressivo passaggio dalla semplice traduzione latina del nome di battesimo (Iohannes Petrus Pincius) a una forma più ricercata e suggestiva, Iohannes Pyrrhus, fino al definitivo Ianus Pyrrhus Pincius, che esprime con chiarezza l’importanza che per l’arte di Pincio svolse l’imitazione dei modelli classici.

Poche sono le notizie riguardanti i primi anni del XVI secolo: è verosimile pensare che, lasciato il Veneto, Pincio iniziasse a Trento, senza tuttavia mai recidere i legami con la patria di origine, l’attività di insegnante. Le fonti (d’Arco, Notizie, 1739, p. 27) rendono noto il matrimonio con Agnese «di Glese» (Cles); dal matrimonio nasceranno tre figli: Lucio Romolo, che diverrà segretario del vescovo principe di Trento Bernardo Clesio e canonico della cattedrale cittadina, A. Cornelio, Camilla.

Nel 1512 Pincio compose la lettera di dedica a Sigismondo Gonzaga, fratello di Francesco, dei Commentarii in primam et secundam ff. novi partem dell’aretino Francesco Accolti (Trino 1512), che aveva provveduto a corredare di un commento commissionato al giurista Benedetto Vadi di Fossombrone; è conservata inoltre dal codice di Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. XI.110 (=4366), cc. 1r-56v, una lunga orazione funebre in onore della moglie del patrizio veronese Alvise Alberti. In occasione della morte del vescovo di Trento Georg von Neideck, il 5 giugno 1514, Pincio fu incaricato di comporre alcuni epitafi in suo ricordo (cfr. Bonelli, 1765, p. 174): ma è dal 1515, con l’insediamento sul soglio episcopale di Trento di Bernardo Clesio, che il nome e la produzione letteraria di Pincio si legarono indissolubilmente a quello del celebre principe vescovo. A Trento egli restò per molti anni, esercitando con vicende alterne l’attività di insegnante, e risalgono al periodo dell’episcopato elesiano alcune opere considerate perdute e conservate nei manoscritti 30 e 329 della Biblioteca di S. Bernardino di Trento: il discorso tenuto il 9 settembre 1515 in occasione della prima messa celebrata da Clesio nella cattedrale, otto componimenti in distici elegiaci e un poemetto in 48 distici.

Tuttavia, già nel 1521 dovevano essere chiare le intenzioni di Pincio di abbandonare l’insegnamento a Trento e rientrare a Mantova: in una lettera del 28 maggio 1521 Clesio chiese ai consoli trentini di trattenerlo, «quia vir est satis eruditus, et civitati commodo et honori» (in Bonelli, 1762, p. 302). Gli sforzi però dovettero risultare inutili: a partire dal settembre 1521 nei documenti dell’Archivio di Stato di Mantova troviamo tracce sempre più significative della presenza di Pincio a Canneto e successivamente a Mantova (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Decreti, lib., 35, cc. 195r-v; b. 2932, lib. 298, cc. 111r-v; b. 2506, cc. 24r-v, 478r-479v; b. 2513, cc. 393r-v). Nel 1531 Pincio doveva essere ormai stabilmente a Mantova, come documentano i tentativi da parte di Clesio di riaverlo a Trento (lettera a Federico Gonzaga, ibid., b. 1403, c. 137, e Trento, Biblioteca civica, Mss., 1115, cc. 43v-44r); il 20 settembre 1531 (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Decr., lib. 39, cc. 101v-102r) il duca di Mantova affidò ufficialmente a Pincio l’insegnamento pubblico per le scuole inferiori.

Da alcuni documenti qui ricordati e dalla lettera, datata 24 marzo 1531, premessa da Pincio all’opera dell’amico Agostino Saturnio Lazzaroni, Mercurius Maior sive Grammaticarum Institutionum libri X (Basileae 1546), si può rilevare come egli fosse già definito «poeta laureatus»: è verosimile che tale riconoscimento, di cui non abbiamo notizie dirette, gli fosse stato conferito dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo a Trento, nel 1508.

Le vicende biografiche fin qui riportate traggono conferma da un componimento in strofe saffiche che il poeta trentino Niccolò d’Arco (m. 1546/47) scrisse per difendere Pincio dalle accuse di detrattore, In Patelanum Pintiomastigem (Numeri, 234). Nel carme si ricordano i successi di Pincio: la brillante attività di oratore e insegnante a Trento (vv. 5-6), il successivo trasferimento a Mantova (v. 7), l’incoronazione a poeta da parte dell’imperatore (vv. 9-10), le lodi ottenute dal celebre Andrea Navagero (v. 13), la fama di poeta ormai consolidata (v. 14) e l’abbandono di Venezia (vv. 15-16).

Il ritorno alla corte di Mantova non fu definitivo, come Pincio avrebbe voluto: dopo solo cinque anni, nel 1536, per motivi ignoti, egli non riscuoteva già più il favore dei Gonzaga. Da una lettera inviata da Pincio a Federico II, duca di Mantova, da Canneto (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2524, cc. n.n.), apprendiamo che il duca aveva in quell’anno bruscamente revocato a Pincio, per motivi ignoti, il mandato per l’insegnamento nella città.

Abbandonata la corte dei Gonzaga, è verosimile che Pincio si rivolgesse al suo vecchio protettore, Bernardo Clesio, con il quale aveva continuato nel frattempo a intrattenere amichevoli rapporti.

Nell’ambiente trentino furono concepite le opere più ambiziose di Pincio: il poema in versi eroici in tre libri, il De navigatione regis Philippi in Hispaniam, che narra delle peripezie affrontate da Filippo il Bello, arciduca d’Austria, per raggiungere i suoi possedimenti spagnoli alla morte di Isabella di Castiglia, edito a Mantova per i tipi di Venturino Ruffinelli senza indicazione di data (ma post 1531), con dedica al figlio di Filippo, Ferdinando d’Asburgo; un’epopea in versi di cui non sembra restare altro che un eloquente titolo, Clesiada; infine, le due opere in prosa, che troveranno una collocazione editoriale unificata nel volume a stampa del 1546 (Mantova, V. Ruffinelli): il De gestis ducum Tridentinorum, de Gallorum Senonum adventu in Italiam, de origine urbis Tridentinae, de appellatione et transitu Alpium, de confinibus Italiae, in due libri, dedicato a Cristoforo Madruzzo; e il De vitis pontificum Tridentinorum, in dodici libri, dedicato, dopo la morte di Clesio, al nipote di questi, Aliprando. Il De vitis pontificum, pur chiaramente concepito in funzione di panegirico sull’operato di Clesio, al quale sono dedicati i libri VI-XII, riesce a dipingere con vivacità, seppure da una prospettiva limitata come quella locale della storia del Trentino, il più ampio quadro della storia d’Europa della prima metà del XVI secolo: la nascita e le conseguenze dell’eresia luterana, la guerra dei contadini, le invasioni turche, le vicende della corte asburgica.

Sono numerose le fonti classiche rintracciabili nell’opera storica di Pincio: prima di tutto Livio e Cicerone, poi Sallustio, Virgilio, Ovidio, Svetonio, Plinio il Vecchio, ma anche testi più ricercati come Tacito, Seneca tragico, Macrobio, Aulo Gellio. In generale, ogni scena significativa del De vitis è ripensata e descritta sulla falsariga di un testo di riferimento. Così è sotto il segno di Macrobio (e Plinio, per la descrizione delle inaudite meraviglie) l’opulenta raffinatezza del banchetto a Trento per la consacrazione del nuovo vescovo; è giocato tutto sull’identificazione fra Cneo Pompeo e Carlo d’Asburgo, trasfigurando il secondo nel summus imperator del ciceroniano De imperio Cn. Pompeii, il discorso con il quale Clesio riesce a persuadere i principi elettori a favorire l’elezione di Carlo V; il discorso di Tullo Ostilio in Livio, I, 28, dà le parole al prefetto Castellalto; addirittura parlano con periodi tratti dal De coniuratione Catilinae sallustiano i delegati dei contadini. Nell’insieme il testo di Pincio, sebbene si riveli spesso piegato alle esigenze dell’elogio cortigiano e talora goffo, non è privo di una sua grandezza e forza espressiva. Le due opere in prosa del Pincio furono tradotte in volgare nel XVII secolo da Agostino Barisella, frate dei minori osservanti riformati, ed edite per i tipi della stamperia Zanetti di Trento.

Il 18 gennaio 1538 i consoli trentini invitarono nuovamente Pincio a ricoprire l’incarico di praeceptor nella scuola pubblica: dopo tale data, conclusasi senza accordo la trattativa relativa all’incarico (Trento, Archivio comunale, 3870, fasc. 421, cc. 448r-449r), del magistero di Pincio non compaiono più tracce nei documenti trentini. Il 30 luglio 1539 morì improvvisamente Bernardo Clesio, alla cui sorte pare indissolubilmente legata anche la fortuna di Pincio. Scarse sono le notizie su Pincio dopo la scomparsa del suo protettore: fu forse la fama passata a valergli la seconda incoronazione a poeta da parte di Carlo V, nel corso di un incontro che poté svolgersi nel corso del viaggio dell’imperatore in Italia (è documentata infatti una sua sosta a Canneto il 27 giugno 1543).

Non si conoscono né il luogo né la data della morte di Pincio. Costituisce un terminus post quem l’atto notarile, ricordato dallo storico mantovano Carlo d’Arco (Notizie, 1739, pp. 27 s.) e identificabile con il documento conservato presso l’Archivio di Stato di Mantova (Archivio Gonzaga, b. 2616, cc. 67r-72r), con il quale, il 17 settembre 1554, Pincio, «comes Palatinus ac poeta Caesareus, doctor utriusque iuris», che doveva ormai aver superato i settant’anni, effettuò una donazione a favore del nipote, figlio di Camilla, alla presenza dell’unico figlio sopravvissuto, Lucio Romolo. La morte dovette seguire di lì a poco.

Traduzioni: Annali, ovvero croniche di Trento…, Bologna 1967 (rist. anast. dell'ed. Trento 1648); Vita di Bernardo Clesio, a cura di B. Valtorta, Tricase 2011.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Documenti patrii d’Arco, VI, pp. 118 s.: C. d’Arco, Annotazioni genealogiche di famiglie mantovane che possono servire alla esatta compilazione della storia di queste; ibid., VI, pp. 25-30: C. d’Arco, Notizie delle Accademie, dei Giornali e delle Tipografie che furono in Mantova, e di circa mille scrittori mantovani dal secolo XVI fino al presente; Hieronymi Fracastorii Veronensis, Adami Fumani Canonici Veronensis et Nicholai Archii Carmina, II, Patavii 1739, pp. 252 s.; B. Bonelli, Notizie istorico-critiche intorno al B.M. Adelpreto vescovo e comprotettore della Chiesa di Trento, III, 1, Trento 1762, pp. 302, 366-370; 2, Trento 1765, pp. 173 s.; F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 26 s.; A. Luzio - R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie d’Isabella d’Este Gonzaga, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXIV (1899), pp. 34 s.; C. Ausserer - G. Gerola, I documenti clesiani del Buon Consiglio, Venezia 1925, p. 101 (doc. 138), 112 (doc. 151); O. Dell’Antonio, Chi è il traduttore del P.?, in Studi trentini di scienze storiche, X (1929), pp. 262-267; S. Weber, I maestri di grammatica a Trento fino alla venuta dei PP. Gesuiti, in Studi trentini, I (1929), pp. 289-296; G. Steinmayr, Carmi latini in lode di Bernardo Clesio, in Annuario del Regio Liceo Scientifico Galileo Galilei di Trento, 1932-33, pp. 105-109; Italian Printers 1501-1520. An annotated List, with an Introduction, a cura di F.J. Norton, London 1958, p. 148; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, II, Mantova 1959, pp. 383 s.; E. Franceschini, Discorso breve sull’umanesimo nel Trentino, in Aevum, XXXV (1961), p. 247; R. Tisot, Ricerche sulla vita e sull’epistolario del cardinale Bernardo Clesio (1485-1539), Trento 1969, p. 76; E. Agosta del Forte, Storia e storici mantovani, Mantova 1971, pp. 45-107; La biblioteca del cardinale Bernardo Clesio. Trento, Castello del Buonconsiglio, 29 maggio - 31 agosto 1985, Trento 1985, pp. 17-18, passim; L. de Finis, Dai maestri di grammatica al Ginnasio Liceo di via S. Trinità in Trento, Trento 1987, pp. 42-47; Bernardo Clesio e il suo tempo, a cura di P. Prodi, I, Roma 1987, pp. 17 s.; L. Borrelli - S. Groff - M. Hausbergher, Edizioni per i Madruzzo (1540-1659). Dedicatari, committenti e autori nella famiglia dei principi vescovi di Trento, Trento 1993, pp. 98-100 n. 21, 208 n. 235; M. Welber, I Numeri di Nicolò d’Arco, Trento 1996, p. 105; Augustinus Saturnius [A. Lazzaroni], Mercurius Maior sive grammaticae institutiones, a cura di M. Mañas Núñez, Cáceres 1997, pp. 38-43; Incunaboli e cinquecentine della Fondazione Biblioteca S. Bernardino di Trento, a cura di C. Fedele - A. Gonzo, Trento 2004, II, pp. 814 s. nn. 2716-2720; III, p. 1456; G. Osti, Attraverso la regione trentino-tirolese nel Cinquecento, Rovereto 2011, pp. 129 s.; N.I. Barbieri, Cultura letteraria intorno a Federico Gonzaga, primo duca di Mantova, tesi di dottorato, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2011-12, pp. 44-47; L. de Finis, Mille anni di studi classici in Trentino, Trento 2012, pp. 45-50.

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