GIBERTI, Gian Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIBERTI, Gian Matteo

Angelo Turchini

Nato a Palermo il 20 sett. 1495, era figlio naturale del mercante genovese Franco Giberti e di una certa Maddalena. Il padre tornò a Genova e quindi si trasferì a Venezia nel 1497, dove visse sino al 1500. Sotto il pontificato di Giulio II si stabilì a Roma; divenuto chierico e protonotario apostolico, intraprese una redditizia carriera curiale e svolse una notevole attività diplomatica. Il G. fu probabilmente il maggiore dei suoi figli (di cui sono noti il fratello, Pasquale, nato a Venezia, e la sorella, Mariola).

In data imprecisata, ma probabilmente abbastanza presto, il G. entrò nell'Ordine dei domenicani, dove sarebbe probabilmente rimasto se suo padre, prefigurando per lui possibilità di migliori prospettive presso la corte romana, non l'avesse costretto a lasciarlo. Dopo aver compiuto gli studi alla scuola di Mariangelo Accursio, il G. li continuò presso l'Università di Bologna, alla scuola del latinista Gian Battista Pio. Favorito dalla figura paterna, nel dicembre 1514 il G. entrò a far parte della corte personale al servizio del cardinale Giulio de' Medici e da quella posizione riuscì a consolidare e innalzare la sua posizione alla corte papale.

L'ascesa al pontificato di Leone X e la prospettiva di una politica meno bellicosa rispetto a quella del predecessore, coincise con una crescita di prestigio della famiglia presso la Curia romana e con lo sviluppo della carriera del G., consolidata dal legame che univa il suo protettore al papa. L'attività curiale del G. iniziò con la legittimazione papale dei suoi natali (20 dic. 1514); venendo meno ogni ostacolo, e dopo aver ricevuto gli ordini minori, ottenne in poco tempo una gran quantità di uffici e di benefici ecclesiastici.

Come segretario del cardinale de' Medici ne seguì l'attività politica e l'ascesa, ed essendosi guadagnato la sua confidenza, poco alla volta concentrò nelle sue mani la corrispondenza diplomatica; Leone X finì quindi per assegnargli un ruolo di primo piano nella condotta degli affari politici dello Stato.

Rapidissime furono le tappe della carriera: nel 1515 era ancora a Bologna a seguire gli sviluppi della politica medicea e una volta rientrato a Roma vi risiedette a partire dal 1517, anno in cui gli fu data la cittadinanza. Giulio de' Medici, vicecancelliere dal 1517, si affidò al G. per la spedizione della corrispondenza diplomatica, dandogli altresì l'incarico di curare i rapporti con il pontefice durante le sue assenze da Roma.

Il ruolo gli procurò molti interessati elogi da parte di uomini di lettere desiderosi di guadagnare i suoi favori, ma secondo Niccolò di Schönberg, altro confidente di Giulio de' Medici, l'ambizione e l'abilità con cui il G. riusciva a ottenere cariche e privilegi gli procurarono anche violente antipatie e attacchi denigratori da parte di colleghi di Cancelleria o di umanisti come Pietro Aretino, Giovanni Rucellai e Baldassarre Castiglione.

Pur non adottando posizioni diverse da quelle dei suoi patroni, dopo l'elezione di Carlo V a imperatore, intensificò i rapporti con il partito filoimperiale. Il suo viaggio in Spagna dovette essere molto apprezzato, come testimonia la concessione di investitura imperiale dell'abbazia di S. Angelo in Brolo in Sicilia, ricevuta in commenda nell'ottobre 1519.

La questione luterana - che il G. discuteva allora con Girolamo Aleandro, rappresentante papale a Worms -, unita alle minacce delle truppe spagnole stanziate nel Regno di Napoli, costituivano il motivo di preoccupazione di Leone X e l'oggetto delle trattative tra il G. e i responsabili della politica imperiale per giungere all'alleanza tra il papa e l'imperatore, ratificata l'8 maggio 1521.

Il G. seguì la campagna militare contro la Francia, intervenendo nel coordinamento delle operazioni e il 25 nov. 1521 fu lui ad annunciare a Leone X la presa di Milano.

Dopo la morte di Leone X e l'elezione di Adriano VI (9 genn. 1522) il G., il cui protettore Giulio de' Medici aveva gestito il conclave e poneva una robusta ipoteca per la prossima elezione, fu inviato presso l'imperatore e il re d'Inghilterra. Nel corso del viaggio, iniziato alla fine di gennaio 1522, il G. incontrò il lord cancelliere cardinale T. Wolsey, che riaffermò le posizioni filoimperiali inglesi.

Imbarcatosi a Tarragona, il G. ritornò in Italia al seguito di Adriano VI, durante il pontificato del quale il G. rimase in ombra. La morte del papa e l'elezione (26 nov. 1523) del cardinale de' Medici al soglio pontificio (Clemente VII) lo riportarono in auge; la sua posizione, già autorevole, si fece ancora più solida con l'affidamento della Dataria. Dalla sua posizione di fiduciario del papa riuscì ad allontanare da Roma lo Schönberg con il pretesto di una missione diplomatica, guadagnando il massimo spazio nella finanza e nella politica pontificie.

Nominato vescovo di Verona, nell'agosto 1524 sollecitò la concessione del beneficio presso la Serenissima con una lettera in cui faceva l'elogio di Venezia, dichiarandosi al tempo stesso fautore della "libertà d'Italia". Francesco I contemporaneamente gli offriva la diocesi di Lodève. Nel corso di una missione diplomatica in Lombardia, iniziata il 30 ott. 1524, il G. pose le basi per l'alleanza franco-pontificia, conclusa il 12 dicembre e annunciata il successivo 2 genn. 1525.

Fu un cambiamento di campo di cui il G. portava la formale responsabilità agli occhi di Carlo V, che intese punire la sua "perfidia".

Rovesciatasi la situazione militare con la battaglia di Pavia (24 febbr. 1525), dove insieme con lo schieramento francese furono distrutti tutti i suoi piani, il G. confermò il carattere antiasburgico della politica pontificia, tesa a impedire la minaccia dell'egemonia imperiale. Incoraggiò e seguì il complotto ordito dal cancelliere del duca di Milano, Girolamo Morone, al fine di costringere il marchese di Pescara ad allearsi con il partito francese; tramite Ennio Filonardi cercò inoltre il sostegno delle truppe svizzere per la futura campagna militare. Intensificò i contatti con Francia e Venezia ed esercitò continue pressioni sul papa per arrivare alla Lega di Cognac (23 maggio 1526). Ma il patto tra lo Stato pontificio e Venezia, che il G. aveva cercato di realizzare sfruttando tutta la sua influenza su Clemente VII e la sua abilità di diplomatico, era destinato a fallire. La campagna militare successiva fu disastrosa e portò al sacco di Roma del 1527.

La disfatta delle armate cristiane a Mohács (29 ag. 1526) e la minaccia dell'avanzata turca costringevano il papa a orientarsi verso una tregua fra i principi cristiani, mentre l'occupazione di Roma, sostenuta dai Colonna, costituiva un severo affronto alla politica pontificia. Anche se il G. continuava nella sua linea antimperiale, i rovesci militari imposero l'accordo, tanto che nell'aprile 1527 egli si preparò a una nunziatura straordinaria in Francia, Inghilterra e Spagna per discutere le condizioni di una pace generale; ma il sacco dei Lanzichenecchi bloccò ogni iniziativa.

Imprigionato in Castel Sant'Angelo, il G. fu ostaggio degli assedianti; minacciato di morte a più riprese, il 5 novembre scrisse una supplica a Vittoria Colonna per essere collocato in una prigione più sicura in una fortezza spagnola. Relegato a palazzo Colonna, fuggì per raggiungere Clemente VII a Orvieto all'inizio di dicembre. Il 18 genn. 1528 era a Venezia, unico luogo per lui sicuro, come scriveva Wolsey.

Richiamato a Roma dal pontefice nel febbraio 1529, tentò inutilmente di riprendere la sua politica, nella diffidenza del partito imperiale, che ormai condizionava le scelte di Clemente VII. L'ostilità di Carlo V lo costrinse ad ammettere che per lui a Roma non vi era più spazio e, dopo la tremenda e umiliante esperienza dei giorni del sacco, maturò la decisione di allontanarsi dagli impegni politici che lo avevano assorbito e, ormai, deluso. La sua decisione si rese inevitabile quando fu evidente la linea politica ormai affermata, sancita dalla pace e dall'alleanza tra il papa e l'imperatore. Dopo aver presenziato all'incontro di Bologna del 1529, il G. tornò quindi nella sua diocesi di Verona.

La decisione del G. non fu condizionata soltanto dalle necessità politiche e dalla sconfitta del suo progetto di lega antimperiale: a Roma egli aveva frequentato ambienti orientati verso obiettivi di rinnovamento e di riforma della Chiesa e della disciplina, contro il malcostume del clero e per la sua riorganizzazione. Non fu trascurabile in ciò l'influenza di Gian Pietro Carafa, conosciuto durante il periodo della Dataria; allora il G. si era legato all'oratorio del Divino Amore, di cui sostenne il programma, incentrato su opere di carità e di assistenza, e in favore del quale intercedette presso Clemente VII. Le scelte di Carafa, che avevano una rigida attuazione anche nella sua vita privata, improntata a una grave serietà di costumi, suscitarono l'ammirazione del G., che trovava in quel programma la realizzazione di molti suoi ideali. Proprio Carafa lo aveva consacrato vescovo nel 1524, e a lui il G. aveva affidato la diocesi di Verona nel momento più drammatico della sua vita, durante la prigionia seguita al sacco.

Durante il periodo romano il G. aveva coltivato la passione per le lettere, partecipando alle riunioni dell'accademia che si riuniva attorno ad Angelo Colocci e mantenendo vivi i rapporti con i letterati più importanti del tempo come Giovanni Goritz e Girolamo Vida, ed esercitando un generoso mecenatismo, orientato verso testi per la prassi pastorale.

Il G. aveva partecipato ai lavori di una commissione istituita dal pontefice e soprattutto aveva cominciato l'opera di recupero dell'autorità del vescovo, affidandosi a buoni vicari generali e suffraganei, come Antonio Beccari e Callisto Amadei, che su suo mandato intrapresero azioni di riforma. Si limitarono i privilegi del capitolo della cattedrale, si intervenne contro i frati vaganti fuori dai monasteri, i non residenti, il concubinato; furono inoltre emanati molti decreti, testimonianza di un rapporto diretto con la diocesi cresciuto grazie alle visite pastorali.

Il ritorno a Verona portò a una accelerazione degli interventi riformatori; nonostante la sconfitta dei suoi progetti e ideali, il suo lavoro non fu meno convinto, infondendo in quella missione, perché tale lui la sentì, tutta la passione e il rigore che prima lo avevano impegnato in opere di altra natura. Già in una lettera del 13 ag. 1528, indirizzata all'illustre latinista Romolo Amaseo, il G. definì il suo modello di chierico, dai costumi irreprensibili, dal buon livello culturale e teologico, fondato non solo sulla conoscenza del diritto canonico e sulla filosofia scolastica ma soprattutto sulla Sacra Scrittura; tale figura avrebbe trovato spazio in una realtà diocesana retta da un vescovo residente e vigilante sui fedeli affidatigli.

Il carteggio con Lodovico Canossa offre un quadro della situazione, sia sul fallimento del progetto politico del G. sia sulla scoperta diffidenza di Venezia nei suoi confronti: il G. era infatti osteggiato da Venezia a causa del suo noto atteggiamento filofrancese e per la sua evidente intenzione di governare la diocesi in maniera diretta. Tuttavia la scelta di risiedere, da quel momento, nella diocesi riuscì a prevalere grazie al sostegno del papa.

Il G. si impegnò in un rinnovamento generale del clero, secondo un modello di sacerdote con qualità morali cristiane (non essendo la cosa così scontata) e una cultura adeguata al suo compito: doveva evitare inutili elucubrazioni teologiche e nutrirsi soprattutto della lettura dei testi sacri. Giunsero a Verona amici e collaboratori, interessati alla riforma della Chiesa, che contribuirono alla realizzazione di un'idea di vita religiosa che fu in seguito esportata. Il G. cercò di creare attorno a sé un gruppo di persone disponibili al servizio, dotate di cultura e di autorevolezza morale, capaci di essere esempio di integrità: furono principalmente Tullio Crispolti, Adamo Fumano, Niccolò Ormaneto; altri, come Francesco Berni e Marcantonio Flaminio aderirono a quel programma, per allontanarsi in un secondo momento.

Nella cerchia dei collaboratori furono promosse attività di studio e approfondimento delle Sacre Scritture, tradotte in un'ulteriore opera di evangelizzazione attraverso pubbliche letture dei Vangeli da parte di T. Crispolti e delle Lettere di s. Paolo da parte di Reginaldo Nerli.

L'amicizia con Gasparo Contarini e la conoscenza dell'azione di Filippo Sauli, furono per il G. di grande importanza. Il suo modello di visita personale si reggeva sul rigore e sulla scrupolosità, principî sui quali si fondava la sua "notula delle cose che si ha da vedere nelle visitazioni". Il testo doveva essere "portato a mano" ed era costituito da domande sui benefici ecclesiastici, sull'amministrazione dei sacramenti, sullo stato materiale delle chiese e soprattutto sullo "stato delle anime".

La notula ebbe presto una rapida diffusione locale e internazionale: fu mandata infatti al vescovo di Modena Giovanni Morone e, prima di giungere a Carlo Borromeo, fu utilizzata da Reginald Pole per la sua Reformatio Angliae. L'impostazione della visita cambiò quando il G. vi partecipò direttamente: in precedenza si prevedeva che, dopo il riconoscimento del titolo del beneficio e del suo valore, fosse valutata la preparazione e la moralità del sacerdote e che si ispezionasse il fonte battesimale. Quest'ordine fu sensibilmente mutato, ponendosi ora al primo punto il sacramento dell'eucarestia, divenuto oggetto di vera devozione.

Il G. visitò la città di Verona nel 1529, 1530, 1534 e 1542; visite alla diocesi si susseguirono nel 1530 e nel 1541; i vicari visitarono la città nel 1531, 1532, 1533 e 1537, la diocesi nel 1529 e nel 1532-33; si prestò grande attenzione alla situazione della popolazione e alle condizioni materiali, amministrative, morali e intellettuali del clero, che veniva spedito a studiare se considerato inadeguato.

Nel 1530 T. Crispolti raccolse un Sommario dei sermoni, pronunciati in occasione di visite distinguibili in tre partizioni: le questioni teologiche rilevanti - come il problema della giustificazione, della predestinazione e del libero arbitrio -, la riflessione sui peccati e la spiegazione dei dieci comandamenti a partire dalla Sacra Scrittura e richiamando la lettura e l'analisi dei Vangeli e dei testi paolini.

I sermoni, brevi e semplici, invitavano la popolazione alla fondazione di confraternite del Corpo di Cristo, o a rafforzarle dove già esistessero, a procurarsi un predicatore soprattutto per il periodo di quaresima, e un maestro che insegnasse ai bambini "litterae et boni mores". Proprio ai più piccoli il vescovo dedicò grande attenzione perché i genitori li educassero insegnando loro le preghiere fondamentali. Le direttive del G. furono esplicite, come il tono e lo stile che connota la sua predicazione; ciò si evince dall'unica predica attribuitagli con certezza nel Sommario dei sermoni di Crispolti, che si caratterizza per chiarezza e concisione e per una assoluta mancanza di ricercatezza e di eleganza.

Nella visita del 1530 fu distribuito un libretto di istruzioni in volgare scritto "pro instructione curatorum" da T. Crispolti, intitolato Breve ricordo. Anche se non era mancato un precedente di Filippo Sauli, ma in latino e con un'intonazione più generica, il lavoro di Crispolti fu una grossa novità; a questa esperienza veronese si guarderà con grande interesse anche da altre sedi, come Mantova e Bologna, dove l'operetta fu ristampata. Nelle Monitiones generales indirizzate al clero, il G. indicò l'opuscolo tra i testi da possedere.

Il Breve ricordo è una tappa fondamentale del percorso che portò il G. alla stesura della sua ultima opera, le Constitutiones. L'azione del G. è decisamente singolare e si discosta da quella di Carafa e di Contarini, per la sua volontà di intervenire non solo nei casi di degrado, ma in tutti gli strati della società al fine di rendere l'impegno religioso parte integrante della vita quotidiana.

Il testo rispondeva a queste esigenze perché, pur essendo destinato al clero, chiamava in causa anche la popolazione, cui si richiedeva espressamente di giudicare le azioni dei sacerdoti e la loro conformità alle prescrizioni; vi si mostrava la precisa intenzione di inculcare i dogmi fondamentali della dottrina cattolica e della pratica religiosa, pensando al tempo stesso a una diversa organizzazione.

Al termine di ogni visita il G. forniva un elenco di libri da utilizzare perché le indicazioni contenute nel Breve ricordo non restassero astratte ammonizioni e in modo da offrire basi sicure ai sacerdoti che mancavano di un'adeguata preparazione. Risposero a questi principî le Constitutiones per le monache e l'Istruzione de sacerdoti, opera di Crispolti stampata dopo la morte del Giberti.

Il libro diveniva strumento della celebrazione, utile a portare chiarezza nei rituali della messa, soprattutto per l'uso del volgare, nobilitato a diffondere le verità teologiche. Si prestava attenzione alla cruciale questione dell'amministrazione dei sacramenti, tanto che le prescrizioni sul battesimo, esposte nel Breve ricordo, entrarono quasi alla lettera nel Liber cathecumenorum fatto successivamente stampare dal G. e nelle Constitutiones; sempre in tal senso fu sostenuto il ruolo delle Societates Corporis Christi e fu accresciuta la loro diffusione.

Il G. si avvalse di stampatori, come i fratelli Nicolini da Sabbio dal 1529 e, dal 1540, di Antonio Putelleto, che pubblicavano testi rispondenti a esigenze di ordine pratico - come quella di fornire un rituale preciso onde evitare abusi e irregolarità - e finalizzati a istruire sacerdoti e fedeli sui fondamenti della fede.

Si avvalse inoltre di umanisti come A. Fumano - curatore di edizioni di testi patristici accolti con favore anche da Erasmo, come il commentario sulle epistole di s. Paolo di Giovanni Crisostomo -, e ancora del suo fidato collaboratore T. Crispolti, che intervenne con suoi testi, spesso anonimi, su aspetti della vita sociale e privata (le Pratiche del vivere cristiano); di rilievo è pure la pubblicazione dell'Enchiridion christianae religionis di Johannes Gropper.

Nel corso delle sue visite il G. esercitò anche funzioni di giudice, attività di cui esiste traccia in numerosi resoconti di interrogatori, riportati spesso anche nelle espressioni più colorite: in quella veste egli esaminò diversi casi di adulterio e di concubinato, pratica duramente colpita, e investigò sui preti le cui case erano frequentate da donne. Alla base vi era un vero e proprio programma pedagogico in cui acculturazione e recupero morale si combinavano in una diversa attenzione al clero e alla popolazione. Proprio dalla lotta al concubinato ebbe inizio la riforma del clero sancita da un editto emanato all'indomani della sua investitura, nel dicembre 1524, con il quale il G. impose ai sacerdoti di allontanare dalla loro casa donne sospette.

Fu lasciato largo spazio alle testimonianze di laici che non perdevano l'occasione di sottoporre le loro questioni, anche le più personali, al vescovo in visita; e, quindi, al centro dei resoconti vi sono le risse, le cause matrimoniali, le liti per questioni di eredità e altre controversie patrimoniali. Al G. e ai suoi collaboratori toccò dunque di intervenire in delicate questioni in materia matrimoniale e soprattutto su due questioni: i matrimoni tra consanguinei e la pratica del matrimonio per "verba de presenti".

Dal contatto con la realtà della sua diocesi il G. rafforzò la convinzione che fosse necessario operare un controllo più attento sui laici. Uno degli strumenti fu il "libro d'anime", il registro parrocchiale sul quale era descritta la popolazione e la disposizione religiosa dei fedeli, con l'indicazione dei nomi dei comunicati. L'obiettivo era di impedire gli abusi e di intervenire nelle situazioni irregolari attraverso il ricorso all'autorità ecclesiastica; dal sinodo fiorentino del 1517 fu tratta la rubrica De sponsalibus et matrimoniis, trascritta parola per parola. Il G. introdusse inoltre la regolare tenuta dei registri di battesimo, già da tempo in uso nella diocesi veronese, ma impose di indicare, accanto al nome dei battezzati, quello dei padrini, allo scopo di evitare la promiscuità dovuta alla "cognatio spiritualis".

Una questione spinosa nel suo governo episcopale fu quella dei monasteri femminili, accusati di essersi trasformati in luoghi di corruzione.

È difficile stabilire il reale stato dei monasteri femminili veronesi, forse non ancora così degradati; è necessario distinguere gli interventi promossi dal G. per risollevare lo stato di vero malessere e corruzione da quelli promossi invece per ridurre le esenzioni. Ciò deriva dall'ambiguità con cui viene usato il termine "riforma", spesso in una accezione più riduttiva del suo significato comune, e cioè come revisione delle normative dei monasteri. Il G. voleva abrogare la perpetuità della carica di badessa, limitandola a un periodo determinato, in modo da interrompere i legami tra questa figura e le famiglie più potenti, le quali orientavano spesso l'elezione secondo i loro interessi. Nel conseguimento di questo impegnativo obiettivo il G. ebbe contrasti sia con il Senato veneziano sia con le nobili famiglie veronesi; ma dopo una lunga battaglia riuscì a prevalere.

Il G. si occupò anche del clero regolare, svincolato dall'autorità del vescovo e troppo spesso assente: un breve del maggio 1529 gli conferì sugli esenti il più ampio potere di giudice ordinario.

Con la bolla di Sisto IV Regimini universalis i regolari avevano ottenuto di predicare i dogmi della Chiesa e quindi di guadagnare grandissima popolarità - derivata anche dal modo spesso animato con cui esponevano le tesi delle differenti scuole teologiche - a scapito del clero secolare. Il G. cercò sempre di controllare l'attività dei predicatori, stabilendo il luogo della predica, l'argomento e il modo in cui doveva essere espressa. A questo scopo intervenne con un testo, Per li padri predicatori e parrocchiani, in cui erano contenuti ammonizioni e insegnamenti; con lucidità il G., ribaltando i metodi tradizionali della predicazione e rivolgendosi direttamente ai fedeli, analizzava le caratteristiche della società locale che i predicatori non potevano ignorare. Per un altro verso indicò al clero secolare, con l'esempio e con l'azione, la strada da percorrere nella riappropriazione della facoltà di predicare, cercando soprattutto di educare i sacerdoti a omelie sfrondate da ogni sfoggio di cultura e capziosità filosofiche, assolutamente inutili di fronte alla popolazione. Il riferimento diretto doveva essere il Vangelo, predicato secondo le interpretazioni dei dottori della Chiesa, utilizzando un linguaggio vicino al popolo e con uno sguardo attento alle peculiarità di ogni parrocchia.

L'impegno profuso nella diocesi non allontanò, tuttavia, il G. dagli incarichi diplomatici. Nel 1532 fu infatti inviato come nunzio straordinario a Venezia, con l'intenzione di farne lo stabile rappresentante pontificio. Il 23 giugno 1536, anche alla luce dell'esperienza maturata nella sua diocesi, il G. fu chiamato a fare parte, insieme con altri importanti prelati, fra cui Gasparo Contarini e Reginald Pole, della commissione che elaborò il Consilium de emendanda Ecclesia, imperniato sull'obbligo di residenza in primo luogo dei prelati. L'anno successivo, insieme con il cardinale Pole, fu inviato in missione diplomatica in Inghilterra, ma il viaggio terminò in Francia a causa della forte opposizione inglese. In un incontro con Francesco I discusse del concilio e delle guerre d'Italia, mostrando la sua simpatia filofrancese. Tornato in Italia, il 19 dic. 1537 fu inviato a Vicenza per mettere a punto la preparazione del futuro concilio, e nel 1540 fu da Paolo III invitato a Roma per organizzare la riforma della Curia romana, ma chiese la dispensa per restare in diocesi.

Nel 1542 il G. portò a termine la stesura delle Constitutiones (edite a Verona, con breve pontificio del 22 maggio), che non furono il frutto di una celebrazione sinodale, da lui peraltro tenuta il 26 ott. 1534, ma di un'esperienza di vita, una summa del suo pensiero a conclusione del progetto iniziato nel 1530.

Nelle Constitutiones confluirono la lunga esperienza fatta a contatto con il clero e con i suoi fedeli, la grande passione per le lettere e la lunga preparazione della sua attività. L'opera suscitò grande ammirazione al concilio di Trento e tra i vescovi riformatori, che vi rintracciarono gli antecedenti della riforma tridentina.

Ma il 1542 fu anche un anno di crisi sul piano politico e religioso: la fuga di Bernardino Ochino dall'Italia alimentò sospetti di eresia nei confronti del G., avendolo egli accolto e protetto; la morte del cardinale Contarini lo privava di un sostegno importante e, infine, il 13 sett. 1542 fu denunciato al Consiglio dei dieci con l'accusa gravissima di spionaggio a favore della Francia. Convocato a Venezia, scrisse un importante memoriale difensivo e il 17 novembre tornò in sede in tutto discolpato, per dedicarsi alle istituzioni ecclesiastiche diocesane.

Ammalatosi all'inizio dell'inverno, dopo aver redatto le ultime disposizioni testamentarie (le prime sono dell'11 sett. 1536), morì a Verona il 20 dic. 1543.

L'unica edizione degli scritti del G. è quella curata da P. e G. Ballerini, Io. Matthaei Giberti episcopi Veronensis ecclesiasticae disciplinae ante Tridentinum synodum restauratoris solertissimi opera, Veronae 1733; Hostiliae 1740 (seconda ed. aumentata e corretta), che comprende molti editti, le Monitiones generales, le Constitutiones, edite una prima volta nel 1542, quindi nel 1565 e nel 1589; l'unica stesura manoscritta delle costituzioni gibertine è conservata presso la Biblioteca apostolica Vaticana.

Fonti e Bibl.: La documentazione archivistica del G., essendo stato bruciato per sua disposizione il carteggio, è in gran parte dispersa, in particolare quella del periodo romano; per la sua corrispondenza cfr. A. Prosperi, Tra evangelismo e controriforma: G.M. G. (1495-1543), Roma 1969, con ampio apparato bibliografico e riferimenti archivistici. P.F. Zini, Boni pastoris exemplum, s.l. 1556; G.B. Pighi, G.M. G. vescovo di Verona, Verona 1900; L. Simeoni, Un volume manoscritto di prediche attribuito al vescovo G., in Atti e memorie dell'Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, CX (1933), pp. 125-129; G. Barbieri, Aspetti sociali nell'opera riformatrice di G.M. G. (1495-1543), in Annali della Facoltà di economia e commercio, n.s., VI (1947), pp. 1-4 (estratto); H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I, Brescia 1948, ad indicem; Id., Il tipo ideale di vescovo secondo la riforma cattolica, Brescia 1950, ad indicem; O. Viviani, Il vescovo di Verona G.M. G. e il riordinamento dei monasteri femminili, in Atti e memorie dell'Accademia di agricoltura, scienze e lettere di  Verona, CXXXIII (1956-57), pp. 133-166; Id., Note su G.M. G. e i primi capitoli della "Societas caritatis", ibid., pp. 177-186; A. Grazioli, G.M. G., vescovo di Verona, precursore della riforma del concilio di Trento, Verona 1955; O. Viviani, La riforma sociale cattolica del vescovo di Verona G.M. G., in Nova Historia, n.s., VII (1955), pp. 85-110; E. Cattaneo, Influenze veronesi nella legislazione di s. Carlo Borromeo, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Atti del Convegno di storia della Chiesa in Italia (Bologna… 1958), Padova 1960, pp. 123-166; A. Prosperi, Di alcuni testi per il clero nell'Italia del primo Cinquecento, in Critica storica, VII (1968), 2, pp. 137-168 (ripubblica il Breve ricordo); P. Pavignani, Tullio Crispoldi da Rieti e il suo "Sommario" di prediche, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXVIII (1974), 2, pp. 536-562; A. Prosperi, Intellettuali e Chiesa all'inizio dell'età moderna, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 4, Torino 1981, pp. 159-252; M. Firpo, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, I, Roma 1981, ad indicem; F. Petrucci, Crispolti, Tullio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXX, Roma 1984, pp. 820-822; A. Prosperi, La figura del vescovo tra Quattrocento e Cinquecento, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 9, Torino 1986, pp. 216-262; P.C. Brownell, La figura di committente del vescovo Gianmatteo G., in Veronese e Verona, a cura di S. Marinelli, Verona 1988, pp. 53-83; G.M. G. vescovo di Verona, 1524-1543, Verona 1989; A. Fasani, Riforma pretridentina della diocesi di Verona. Visite pastorali di G.M. G., I-III, Vicenza 1989 (vi sono edite le visite pastorali del G.); Seminario sulle visite pastorali del vescovo G.M. G. (1525-1542), in Ricerche di storia sociale e religiosa, XL (1991), pp. 171-195; R. Pasquali, Le "Constitutiones" per il clero di G.M. G., ibid., pp. 231-237; P. Simoni, Appunti sulle opere a stampa del vescovo veronese G.M. G., in Studi storici Luigi Simeoni, XLIII (1993), pp. 147-167; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996, ad indicem; Dict. d'histoire et de géogr. ecclésiastiques, XX, sub voce.

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