GIAN GASTONE I de' Medici, granduca di Toscana

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIAN GASTONE I de' Medici, granduca di Toscana

Maria Pia Paoli

Nacque a Firenze il 25 maggio 1671, terzogenito del granduca Cosimo III e di Margherita Luisa, figlia di Gastone duca d'Orléans e di Margherita di Lorena.

Di pochi anni dopo è il ritorno in Francia dell'irrequieta Margherita Luisa che, a causa dei pessimi rapporti col granduca, abbandonò G. e gli altri due figli, il primogenito Ferdinando e Anna Maria Luisa, nelle ville medicee di Poggio Imperiale e di Castello.

G., come del resto il fratello e la sorella, figlia prediletta di Cosimo III, nella prima adolescenza mantenne con la madre un rapporto epistolare formalmente affettuoso e Margherita Luisa contraccambiava inviando al piccolo G. e ai suoi fratelli dei doni che avevano ai suoi occhi non tanto il requisito di essere bene accetti, quanto di essere "à la dernière mode" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 6298, cc. 154, 169 s., 175, 191-194).

Dell'educazione di G. si sarebbe dovuta occupare la nonna paterna, Vittoria Della Rovere, ma fu premura di Cosimo affidare anche il figlio cadetto, come era tradizione nella famiglia, alle cure di un aio qualificato. A tal proposito nel 1678 Cosimo dette indicazioni al senatore Bartolomeo Gherardini, auditore di Siena, perché trovasse un soggetto idoneo e possibilmente senese, come il suo primo precettore, Volunnio Bandinelli, diventato poi cardinale.

La scelta cadde su Pietro Biringucci, che avrà anche il ruolo di maestro di casa di Gian Gastone. Tra i primi precettori di G. va ricordato anche l'incisore Valerio Spada di Colle Valdelsa, allievo di Lorenzo Lippi.

Altri personaggi illustri nelle lettere e nelle scienze assicurarono a G. quel bagaglio culturale che contribuì a farlo apprezzare come uno dei più dotti principi d'Europa: Vincenzo Viviani e Benedetto Bresciani per la matematica e la filosofia sperimentale, Giuseppe Averani per la giurisprudenza, il cardinale Enrico Noris per la storia sacra e per l'antiquaria. Con profitto G. si dedicò anche allo studio del greco, del latino, dello spagnolo, del francese, del tedesco e perfino dell'inglese, lingua poco diffusa ma familiare nella cerchia degli eruditi fiorentini in contatto con gli ambienti della Royal Society e poi dei "freemasons", che tanta parte avranno nella storia politica e culturale toscana del primo Settecento.

Nella lingua tedesca fu maestro di G. e dei suoi fratelli il padre gesuita Giovanni Battista Frölich, in francese il padre fogliante Pierre de Saint-Louis, del monastero della Pace di Firenze, col quale G. trascorse le ore di studio nel casino detto "Il Cavaliere", ideato nel giardino di Boboli dal cardinale Leopoldo de' Medici e fatto ampliare appositamente per il principe. Mappamondi, carte geografiche, libri, curiosità e strumenti scientifici vi trovavano posto secondo il gusto del tempo. Per l'apprendimento del greco G. trasse profitto dalla frequentazione con Anton Maria Salvini, illustre membro delle Accademie della Crusca e degli Apatisti di Firenze, oltre che di altre accademie italiane, conosciuto per le sue traduzioni dei testi classici greci e della coeva letteratura inglese.

Nel 1688 furono dedicati a G. i Poemata varia, del gesuita Tommaso Strozzi. Il contenuto dell'opera, un tema profano come la scoperta della pianta del cacao nel Messico e temi sacri come la parafrasi di alcuni salmi biblici, troverà uno sbocco più deciso e aperto alle innovazioni scientifiche e letterarie proprio all'epoca del governo di Gian Gastone. Suo aiutante di camera, maestro dei paggi di corte e poi bibliotecario, fu uno dei suoi primi precettori, Benedetto Bresciani, conosciuto anche per gli interessi musicali e soprattutto come autore del trattato inedito Del sistema armonico, nel quale si descriveva il funzionamento del "cimbalo onnicordo", inventato nel 1670 da Francesco Nigetti e poi acquistato dallo stesso Bresciani.

Nel 1696 il pistoiese Niccolò Buti, erudito e matematico, dedicò al principe l'edizione commentata della versione latina dei quattro libri dei Conica di Apollonio Pergeo e dei trattati De sectione cilindri e De sectione coni di Sereno di Antinoe.

Dopo la condanna della fisica democritea, di cui nel 1691 Cosimo III aveva proibito l'insegnamento nell'Università pisana, questo risveglio di interesse per la matematica sotto la protezione del giovane principe assumeva particolare significato, nonostante G. fosse decisamente sotto l'egida paterna.

I dissapori nati col brillante e gaudente fratello, col quale peraltro condivideva la passione per musica e teatro, erano dovuti al ruolo angusto di principe cadetto di Gian Gastone. Il carteggio del 1688, quasi tutto orientato sul matrimonio tra Ferdinando e Violante Beatrice di Baviera, celebrato con sfarzo nella chiesa metropolitana fiorentina, mostra una sua certa indifferenza, anche se da quelle nozze G. trasse il vantaggio personale di poter compiere un primo viaggio lontano dalla patria, a Loreto, a Padova, a Venezia e poi a Bologna, dove si recò per incontrare la cognata. Nel frattempo si intensificava lo scambio epistolare con vari prelati e religiosi toscani, quali Bandino Panciatichi e Giovan Francesco Poggi, i quali - quasi tutti protetti dello zio Francesco Maria, creato cardinale nel 1686 -, si misero al servizio di G. in vista di una sua carriera ecclesiastica alla corte di Roma.

Riconosciuto come principe colto e devoto, G. continuò a essere un riferimento per la cultura del tempo. Gli veniva dedicata l'opera antimaterialista del gesuita Paolo Segneri, L'incredulo senza scusa, pubblicata a Firenze nel 1690 e il matematico gesuita milanese Tommaso Ceva gli inviò il suo poema in esametri latini Iesus puer, pubblicato in quell'anno. Ben diverso sarà invece il rapporto con il padre Ceva al tempo del governo di G., quando questi, nel 1724, in un clima più favorevole alle novità scientifiche, si scontrerà con le posizioni antiaristoteliche del matematico camaldolese Guido Grandi, professore nello Studio pisano.

Nell'animo del giovane principe si faceva strada, intanto, quell'umore malinconico che lo accompagnerà tutta la vita e che tanto preoccupava il padre, lo zio cardinale e gli archiatri di corte, Francesco Redi e Giuseppe Del Papa. Nessun giovamento dal punto di vista dell'umore gli aveva procurato il viaggio compiuto nel maggio del 1691 per accompagnare a Verona la sorella, andata sposa all'elettore palatino Giovanni Guglielmo di Neuburg. Nonostante il ruolo subalterno al fratello, G. non fu escluso da coinvolgimenti gratificanti quali la partecipazione alla Consulta, che al tempo di Cosimo III si riuniva una volta la settimana per dirimere gli affari interni dello Stato, e il patrocinio dello Studio e dell'Accademia della Crusca. A G., da poco destinato a questo ruolo, Filippo Baldinucci dedicava una sua Lezione intorno a' pittori greci e latini (Firenze 1692). Sempre in questi anni fu chiamato dal padre a soprintendere l'arte della seta in un momento di ripresa degli investimenti e della produzione nel settore.

Preoccupato per la mancanza di eredi da parte dei figli, nel 1695 Cosimo III decise di compiere un pellegrinaggio a Loreto accompagnato da G. e da un seguito di 150 persone. Il rientro a Firenze coincise per G. con la messa a punto delle trattative per il suo matrimonio, alle quali dette un contributo decisivo la sorella, consapevole che la scelta della futura sposa doveva tenere conto anche dei problemi finanziari attraversati in quel momento dalla famiglia Medici, date le pesanti contribuzioni imposte dall'imperatore ai principi italiani considerati vassalli dell'Impero. La scelta cadde infine sulla venticinquenne e poco avvenente Anna Maria Francesca, figlia del duca Giulio di Sassonia Lauenburg e vedova dell'elettore palatino Filippo di Neuburg.

Nel maggio 1697, in vista di questo matrimonio, Cosimo III provvide a dividere in parti uguali i beni allodiali tra Ferdinando e G., al quale fu destinata una pensione annua di 24.000 fiorini da pagarsi a Praga vita natural durante. In caso di morte del padre o del fratello, tale cifra sarebbe stata ridotta, ma integrata con il possesso dei beni ereditari e dei fidecommessi della famiglia, incluso, una volta morto lo zio cardinale Francesco Maria, il principato di Capestrano nel Regno di Napoli. Tra i beni assegnati a G. c'erano alcune fattorie nel territorio pisano, la più redditizia delle quali era quella di Bellavista, poi venduta al marchese Francesco Feroni.

Il viaggio di G. verso la Germania iniziò il 27 maggio 1697, con un seguito di 21 persone. Fino al 1705, anno del definitivo ritorno in patria di G., le notizie sul suo soggiorno in Boemia e il suo sfortunato matrimonio saranno l'oggetto principale della corrispondenza col padre, e del carteggio tra la sorella e lo zio cardinale, tra i ministri e residenti toscani all'estero e la segreteria di Stato.

Cosimo III seguì con trepidazione le varie tappe del viaggio di G. fino a Düsseldorf, dove il 2 luglio 1697 si celebrò il matrimonio nella cappella del castello, dimora degli elettori palatini. La funzione, molto sfarzosa, fu officiata dal vescovo ausiliare di Osnabrück e tutta la regia fu opera dell'elettrice. Contrariamente a quanto accadeva in casi analoghi, a ricordo di questo evento non resta nessuna orazione o descrizione a stampa, eccetto un componimento pubblicato a Düsseldorf nel 1697 sulle feste organizzate dall'elettore Guglielmo (I Castori, barriera tra le feste celebratesi nelle nozze de' ser. principi Gio. G. di Toscana ed Anna Maria Francesca…): una prova evidente di quanto quelle nozze, avvenute eccezionalmente in terra straniera, si prospettassero da subito all'insegna della precarietà.

Conoscendo bene la predilezione di Cosimo per Anna Maria Luisa, il giorno dopo il matrimonio G. si affrettava a rassicurare il padre sulla situazione felice della sorella che, "non intedeschita punto" e "amata ismisuratissimamente" dal marito, viveva come una regina, circondata da ricche suppellettili e da una splendida corte (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5915, 3 luglio 1697).

Resistendo ai richiami del padre, nella primavera del 1698 G. partì da Praga per un viaggio da compiere in incognito come "marchese di Siena". Del viaggio fu stesa una relazione dal suo scalco, Anton Filippo de' Giudici. Questa fuga di G. dalla moglie, rozza e volubile, fu abilmente nobilitata dall'autore della relazione con l'esempio di Ulisse quale simbolo della necessità dell'uomo di sentirsi "cittadino del mondo" (ibid., 6391).

Animato da curiosità artistiche e scientifiche, il principe visitò la Francia, le Fiandre, l'Olanda e poi di nuovo la Germania. A Parigi ebbe l'onore di essere ricevuto familiarmente da Luigi XIV, che gli diede in dono una spada tempestata di pietre preziose. Introdotto dal marchese Averado Salviati, residente di Cosimo, riuscì a vedere anche la madre, ma dopo ventitré anni di lontananza l'incontro fu piuttosto freddo. Decisamente più consolanti furono le visite alle Tuileries, al gabinetto di medaglie del re, all'abbazia di Saint-Cyr, culla del giansenismo, dove G. sperava di incontrare madame de Maintenon. Da Parigi passò poi in Olanda dove, a Leida, visitò il giardino dei semplici e il Museo anatomico, mentre a Rotterdam e ad Amsterdam si interessò ai luoghi tipici del traffico mercantile, al porto, all'arsenale, alla sede della Compagnia delle Indie. Un incontro significativo fu quello con l'erudito e antiquario di Utrecht Johannes Graevius, corrispondente di Antonio Magliabechi dal 1675, al quale seguì una visita alla celebre biblioteca di Wolfenbüttel. Nell'autunno del 1698 fece infine ritorno, attraverso la foresta delle Ardenne, all'odiata Reichstadt, "luogo miserabile" dal quale altre volte fuggirà verso Praga e Amburgo, dove si incontrerà con G.W. Leibniz. All'Università di Praga G. si appassionò alle lezioni di diritto della natura e delle genti, che incideranno sui suoi provvedimenti futuri per il rinnovamento degli studi a Pisa.

La sua situazione coniugale, ormai fortemente compromessa, fu oggetto di una lunga lettera inviata al padre il 18 apr. 1699, nella quale G. si lamentava dell'umore "bisbetico naturale" della moglie, della difficoltà di stare accanto a quella principessa "imperiosa e superba che vorrebbe conculcar tutti e che comanda a tutti credendo di essere la più gran Signora del mondo per aver quelle quattro zolle in Boemia" (ibid.) e che per di più odiava l'Italia e gli Italiani al punto che sarebbe stato difficile, oltre che fastidioso per lui, convincerla ad abitare a Firenze. Consapevole della vita dissoluta a cui si era abbandonato, dedito al bere e al gioco d'azzardo, costatogli molti debiti, G. imputava alla consorte la sua condizione, ritenendola molto simile a quella in cui aveva ridotto il precedente marito.

Carlo Rinuccini, in viaggio verso Londra per complimentarsi con Anna Stuart, divenuta regina nel 1702, scriveva a Cosimo di aver raccolto gli sfoghi della nuora sui costumi poco affettuosi di G., per nulla consoni alla procreazione. Nella questione intervennero vari autorevoli personaggi, tra i quali l'arcivescovo di Praga, i parenti della principessa e il padre spirituale di G., il gesuita Massimiliano Wictroscki, rettore del collegio di S. Ignazio di Praga, che seguì i viaggi di G. fino all'eretica Amburgo e che considerò positivo il momentaneo ritorno di G. nella sua città per la Pasqua del 1703.

In quell'anno moriva a Firenze uno dei suoi maestri prediletti, Vincenzo Viviani, e Guido Grandi dedicava a G. il primo testo comparso in Italia sul calcolo infinitesimale, il De quadratura cyrculi et hyperbolae.

A Praga intanto, davanti al tribunale delle Tavole, Anna Maria Francesca reclamava la restituzione delle gioie donatele dal marito e contestatele dalla corte toscana per quella parte che si riteneva portata solo "per maggior degnità della sposa", come era documentato da scritture segrete concordate nel 1697 a correzione dei capitoli matrimoniali ufficiali (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5911). In extremis, nel 1708, Cosimo III rivolse una supplica al papa perché almeno in foro conscientiae convincesse la nuora ad abitare a Firenze insieme con G., perché la "clemenza dell'aria nativa ed altre naturali esperienze" avrebbero giovato alle sue facoltà di procreazione. Ma a nulla valsero i pareri dei teologi e dei canonisti coinvolti per richiamare la principessa ai suoi doveri: la moglie di G. fu irremovibile e rimase in Boemia (Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 35, n. 4).

Dal 1705 G. non lasciò più Firenze e la separazione di fatto dalla moglie comportò l'intensificazione delle trattative per le nozze del cardinale Francesco Maria de' Medici con Eleonora Gonzaga di Guastalla. Il matrimonio avvenne nel 1709, ma lo zio di G. morì nel 1711 senza lasciare eredi.

Queste sfavorevoli vicende familiari si legavano agli eventi della politica internazionale; nel 1711 Carlo d'Asburgo, re (terzo di questo nome) di Spagna dal 1703, fu eletto imperatore (sesto di questo nome), modificando rapidamente le sorti della guerra di successione spagnola. Subito insorsero problemi connessi al possesso del feudo di Capestrano e degli altri feudi medicei situati nella provincia di Abruzzo Ultra nel Regno di Napoli, che dopo la morte del cardinale sarebbero spettati a G. non come eredità, ma in virtù della donazione fatta ai secondogeniti di casa Medici dal granduca Ferdinando I e confermata da Cosimo II. La questione fu discussa dai tribunali della Gran Corte della Vicaria e della Regia Camera della Sommaria, che difendeva le prerogative imperiali, e nel contesto di quel dibattito Cosimo inviò G. a Milano per incontrare Carlo VI e ribadirgli che accettava di ricevere da lui l'investitura di Siena non in quanto imperatore ma come re di Spagna e comunque in attesa dei trattati che avrebbero riconosciuto Filippo di Borbone come re di Spagna.

La morte senza eredi del gran principe Ferdinando, avvenuta nel 1713, portò all'eccezionale risoluzione di destinare alla successione la figlia Anna Maria Luisa e, dopo di lei, Elisabetta Farnese, discendente da Margherita de' Medici sposa di Odoardo Farnese. Il motu proprio di Cosimo fu ratificato dal Senato fiorentino il 27 nov. 1713 e comportò notevoli complicazioni diplomatiche.

Fu infatti accolto con favore dalla Francia, che vedeva in quella scelta la possibilità di inserirsi nella successione grazie alla parentela di Elisabetta Farnese con i Medici, ma fu naturalmente osteggiato dall'Impero, che sosteneva la dipendenza feudale del Granducato.

Il motu proprio aveva inoltre deciso l'emancipazione di G., che diventava quindi gran principe. Schivo e distaccato, egli non si avvalse dei privilegi connessi alla sua nuova condizione e non prese possesso degli appartamenti, a lui destinati, al primo piano della reggia di Pitti, dove fino ad allora aveva abitato il fratello, ma preferì rimanere nelle sue stanze vicino alla Biblioteca Palatina, custodita da Antonio Magliabechi, col quale spesso amava conversare di libri. Al fratello Ferdinando G. subentrò, invece, volentieri nel patrocinio del Giornale de' letterati d'Italia, edito a Venezia.

Nel 1717 rientrò a Firenze la sorella, rimasta vedova; l'accoglienza riservatale dal granduca e da tutta la corte fu regale, ma criticata da G., inasprito con lei a causa del suo disgraziato matrimonio. Nonostante ciò, dovette accettare ancora una volta le decisioni di Cosimo, che tra il 1719 e il 1720 lasciò disposizioni circa l'appannaggio e il trattamento a corte da riservarsi all'elettrice.

Tramontata e superata dallo stesso Cosimo l'ipotesi - presentata da Rinuccini alla conferenza di Getruidenberg nel 1710 - della restaurazione della Repubblica fiorentina dopo l'estinzione della dinastia, il trattato di Londra (1718), confermato dal congresso di Cambrai (1722), stabilì che l'infante don Carlos, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese, sarebbe succeduto in Toscana e nei Ducati di Parma e Piacenza una volta estintesi le dinastie Medici e Farnese. Uno dei pretesti utilizzati per opporsi a tale risoluzione fu il presunto conflitto sorto tra Cosimo e G., la cui assenza da Firenze avrebbe impedito di accettare il trattato. L'erudito Giovanni Lami, da tempo vicino alla corte, annotava nel suo diario che G. "fece finta" di essere disgustato col padre, che se ne andò a Livorno, "e tutto il popolo" credeva a questa versione (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 3808, c. 140).

In realtà Cosimo III e G. intesero sempre salvaguardare la libertà e la neutralità dello Stato dalle pretese imperiali e dai pericoli della guerra, da G. respinta nel 1733, allo scoppio della guerra di successione polacca, come inadatta al carattere pacifico della popolazione toscana.

Nel giugno 1720, in occasione delle tradizionali feste di S. Giovanni Battista, patrono di Firenze, in assenza del padre, ormai stanco e malato, G. ricevette gli omaggi delle città e Comunità soggette dello Stato.

Questo atto che, contro le regole del cerimoniale più stretto, lo presentava già come il sovrano legittimo, costituì una parentesi di ufficialità nella vita del principe. Era infatti generalmente contornato di lacché, valletti e "provvisionati di camera", uomini e donne di varia estrazione sociale, nobili e popolani, provenienti da molte parti d'Italia e d'Europa, alcuni anche da Albania, Turchia e Tunisia. Si trattava dei suoi 379 "ruspanti", cosiddetti dalle monete d'oro, i "ruspi", che ricevevano da G. pubblicamente a corte od occultamente - quando entravano in gioco personaggi del patriziato fiorentino desiderosi di non comparire - nelle rispettive case. Le cronache e i diari del tempo e le biografie di G., che cominciavano a circolare anonime, sono pieni di episodi sui suoi costumi sodomitici e sui bizzarri personaggi di cui si circondava e che spesso lo spinsero ad allontanarsi da Firenze accompagnato dalla cognata Violante.

La morte del padre, avvenuta il 31 ott. 1723, gli rese inevitabile l'assunzione delle responsabilità di governo. A G. granduca il 24 novembre furono dedicate alcune Istruzioni redatte da Ludovico Fantoni, che aveva servito la corte a Roma, Mantova e in Olanda (Arch. di Stato di Firenze, Misc. Medicea 400).

Il senso delle Istruzioni, retaggio di un'antica tradizione della letteratura politica rinascimentale, era in quel momento decisamente influenzato dalla necessità di una svolta che il pericolo della successione straniera rendeva più impellente. Dalla scelta dei ministri il discorso di Fantoni scivolava sull'economia, che egli proponeva di rinvigorire richiamando la nobiltà alla mercatura, ai banchi, all'arte della seta, in opposizione al modello di vita nobiliare cortigiana o legata a ruoli angusti nell'apparato burocratico. Un capitolo, altrettanto significativo, era dedicato ai rapporti con la corte di Roma ed esortava il granduca perché facesse rispettare la sua giurisdizione da uomini "savi, cristiani e cattolici, ma non scrupolosi e timidi". Le Istruzioni si concludevano con un invito esplicito a G. perché provvedesse "col suo genio ben regolato" a mantenere "dentro il confine del non vizioso" i divertimenti pubblici e privati.

In gran parte i ministri di G. corrisposero alle aspettative di Fantoni; alcuni di loro furono confermati, come il marchese Carlo Rinuccini segretario di Guerra, e tra i nuovi ve ne erano di umili origini, come il segretario Lorenzo Caramelli di Pistoia e Giulio Franchini Taviani, residente a Parigi. Il patriziato era presente fra i provveditori e consiglieri di Stato con Coriolano Montemagni e Giovan Antonio Tornaquinci. Alla segreteria delle Tratte, ufficio adibito all'elezione dei ministri intrinseci ed estrinseci dello Stato, andarono Carlo e Giuseppe Ginori; della Consulta fecero parte l'elettrice palatina e Violante di Baviera. Sulle nomine influì molto l'auditore Pier Francesco Mormorai che coniugava, secondo i suggerimenti di Fantoni, "il legale, il politico e l'economico". Anche sotto G. si verificò una crescita dell'apparato burocratico e del ruolo della corte, tanto che alla fine della dinastia, nel 1737, nella sola Firenze gli impiegati erano 2000 e i salariati di corte 399. Un ruolo importante assunsero i "valletti di camera": uno di loro, il favorito di G., Giuliano Dami di Mercatale Valdipesa, fece una rapida e molto chiacchierata ascesa: da ragazzo raccoglieva letame e, divenuto cittadino fiorentino, nel 1721 era entrato nel Consiglio dei duecento assumendo via via le cariche di procuratore di Palazzo e di ufficiale del Monte comune.

I casi di peculato, il più clamoroso dei quali fu l'ammanco di 13.000 scudi nelle casse del Monte redimibile ad opera del provveditore Tommaso Buonaventuri, ucciso nel 1731, non inficiarono un sistema finanziario abbastanza stabile, risvegliato dalla riduzione dei tassi dal 5 al 3,5%; l'effetto benefico era legato all'istituzione, nel 1725 e 1726, dei nuovi Monti, nonché alla soppressione delle "collette universali" e delle cosiddette "pensioni sul credo", concesse da Cosimo III a protestanti ed ebrei convertiti. Nel 1727 fu eliminata anche la gabella sulle vendite delle bestie "del piè tondo", mentre restò in vigore la tassa calcolata sulla base di cifre forfettarie concordate col Fisco. Nei confronti delle famiglie di nuova nobiltà G. continuò la politica paterna, ovvero consentì loro di far parte dell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano, facendo ricorso all'aumento di capitale nelle commende di patronato familiare. Lentezze e ritardi continuarono a verificarsi nel settore delle bonifiche e dell'agricoltura in genere, governata da una politica che scoraggiava l'attività dei produttori. Il celebre Discorso sopra la Maremma di Siena dell'abate Sallustio Bandini, che proponeva la libertà del commercio insieme con una impostazione di tipo mercantilistico, fu composto nel 1737 ma pubblicato solo nel 1775, in un clima più sensibile alle riforme economiche.

Senza dubbio più decisa fu la sterzata impressa da G. ai rapporti Stato-Chiesa, grazie alla collaborazione dei senatori Filippo Buonarroti e Giulio Rucellai, segretari del Regio Diritto. Con un bando del 25 maggio 1724 fu così estesa la giurisdizione del Magistrato supremo, che poteva giudicare civilmente in cause tra ecclesiastici e laici fino ad allora di competenza episcopale. Nel 1734Rucellai e Rinuccini, d'accordo con l'inquisitore di Livorno, ottennero da G. la concessione agli ebrei della città di recintare con un muro il loro cimitero a condizione di non porvi iscrizioni (Ibid., Regio Diritto, 279, c. 275). Le prerogative sovrane erano inoltre rivendicate contro il proposto di Livorno, Sebastiano Cellesi, per impedirgli di celebrare con troppa frequenza i matrimoni dei soldati di stanza nel porto e sui quali G., come ogni altro principe, reclamava il diritto di intervenire. Con altrettanta decisione furono respinte le pretese di esenzione fiscale degli ospedali di S. Maria Nuova di Firenze e di S. Maria della Scala di Siena, i quali sostenevano di essere "luoghi pii ecclesiastici".

Un caso emblematico di questo scontro tra principe, Chiesa locale e Curia romana fu la trasformazione dell'antico ospedale fiorentino di S. Giovanni Battista di Bonifazio in un ospizio per i poveri finanziato con le rendite derivanti dalla chiusura di quattro monasteri femminili, cosa che creò un precedente significativo sulla strada delle soppressioni di conventi e monasteri più tardi intrapresa dal governo lorenese. Clemente XII Corsini, dati i legami della sua famiglia con Firenze e i Medici, rispose favorevolmente alla richiesta di G. con la bolla Universae Ecclesiae (1734) ma, volendo affidare all'arcivescovo di Firenze e non a G. il governo dell'ospizio, suscitò le reazioni di chi, come Rucellai, avanzava principî giurisdizionalisti.

Nel solco della politica paterna è da considerarsi il sostegno ai monaci della Congregazione cistercense riformata della Trappa, stabilitisi nel convento di Buonsollazzo nei pressi di Firenze, e ai padri della missione di S. Vincenzo de' Paoli, che da tempo si occupavano dell'istruzione del clero promuovendo anche numerosi ritiri ed esercizi spirituali per laici in molte diocesi e città dello Stato. Fu inoltre grazie all'intervento di G. che nel 1726 Pescia, già elevata da terra a città nel 1699, diventò anche sede di vescovato.

Questa politica nei confronti della Chiesa locale fu parallela all'asprezza con cui G. intervenne nei confronti dei frati domenicani di S. Maria Novella di Firenze, ai quali impedì di "intrudersi" nella custodia della cospicua biblioteca lasciata "alla pubblica utilità" dall'amico Antonio Magliabechi, morto nel 1714, e affidata nel 1724 allo scienziato Giovanni Targioni Tozzetti con la soprintendenza di Carlo Rinuccini. Il convento di S. Maria Novella era il quartier generale del padre Salvatore Ascanio, rappresentante della Corona spagnola a Firenze, e quindi l'atto di G. è da considerarsi uno dei tanti modi con i quali, nonostante le apparenze di acquiescenza al partito spagnolo attribuitegli dai suoi detrattori, egli tentava indirettamente di boicottarne l'influenza.

Costretto quasi sempre a letto da una caduta occorsagli nel 1729, G. non rinunciò a mostrare tutta la sua fermezza per impedire l'ingresso di truppe spagnole in Toscana al posto delle milizie svizzere previste dal trattato di Londra, cercando per questo, con l'aiuto del cardinale A.-H. de Fleury, l'appoggio dei Francesi nella difesa dei diritti suoi e di quelli della sorella.

Ancora nel 1726 - non è chiaro in base a quali presupposti -, a Vienna si sperava che G. potesse avere degli eredi e si inviava a Firenze il ministro Girolamo Kaimo, istruito a non introdurre novità e a respingere le istigazioni del ministro di Spagna, l'onnipresente Ascanio, che nel 1725, per la morte del suo re Luigi I - avvenuta l'anno precedente -, aveva organizzato sontuose esequie nella basilica fiorentina di S. Lorenzo elargendo, come al solito, cospicue elemosine e doti ai parroci e alle fanciulle della città. Con Filippo V sul trono di Spagna e con l'elezione del cardinale Lorenzo Corsini al soglio pontificio con il nome di Clemente XII, avvenuta il 12 luglio 1730 -nella quale ebbe molta parte la volontà di G. di avere un papa amico e non troppo favorevole all'Impero -, nel 1731 arrivò in Toscana l'infante don Carlos, del quale G. e Sofia Dorotea di Parma furono dichiarati contutori.

Pur mantenendo fede all'impegno di esercitare una politica di neutralità che scongiurasse la guerra e destreggiandosi sempre tra Spagna e Impero, l'11 sett. 1731 G. depositò presso l'arcivescovo di Pisa, Tommaso Frosini, una protesta segreta, pubblicata nel 1800 come Testamento politico del granduca Giovan Gastone e appena ricordata da Riguccio Galluzzi nella sua Istoria. Il documento fu sottoscritto dal luogotenente fiscale Sigismondo Landini alla presenza del segretario Tornaquinci e dell'illustre giureconsulto e consigliere Giovan Battista Neri Badia. Tramite il marchese Ferdinando Bartolomei, G. faceva presente ai sovrani d'Europa che la successione toscana doveva avvenire "quietamente e all'amichevole" e che a nome del popolo fiorentino non riconosceva quegli atti decisi a Vienna che riducevano il Granducato a feudo dell'Impero.

Da chiarire resta la predilezione accordata da G. all'arcivescovo di Pisa come "primo vescovo di Toscana". Noto per il suo antigiansenismo, Frosini fu tra i primi vescovi ad aderire alla bolla Unigenitus e sostenne le ragioni dell'immunità ecclesiastica, inimicandosi il giurisdizionalista Bernardo Tanucci al punto da sentirsi indotto a chiedere al papa e a G. le dimissioni dalla carica episcopale, subito respinte da entrambi. A Frosini lo stesso Cosimo III aveva comunicato le sue ultime volontà sulla successione, che forse G. si sentì in dovere di rispettare e di rinforzare con la sua accorata protesta.

Nel 1731 morì Violante Beatrice di Baviera; nel suo testamento aveva lasciato a G., in segno dell'affetto e della stima che li avevano sempre uniti, l'anello donatole dal suocero per le nozze. A Violante, infatti, G. aveva spesso delegato gli appuntamenti più importanti dei riti particolarmente sfarzosi e solenni quando, in occasione del giubileo del 1725, la gran principessa si recò a Roma con un seguito di 80 persone, accolta da Benedetto XIII dal quale, nel 1727, le fu conferita l'ambita onorificenza della Rosa d'oro. A questa cerimonia, che si svolse a Firenze in S. Maria Novella, G. non partecipò, coerente con la sua polemica nei confronti di padre Ascanio e con il suo scarso interesse per le manifestazioni religiose, mentre condivise con la cognata la passione per la musica e per il teatro.

Al di là delle molte voci che circolavano sulla dissolutezza del sovrano, per la prima volta la corte di Pitti aveva assunto una fisionomia davvero cosmopolita, in contatto con i numerosi salotti della città frequentati e animati da artisti, letterati, musici e dame brillanti come Anna Maria Valvasone, moglie del balì Suárez de la Concha. La delicata transizione politica non ebbe, infatti, ripercussioni significative su quelle nuove forme di sociabilità che a Firenze, come a Livorno, Pisa o Siena coinvolgevano uomini e donne e perfino il giovanissimo don Carlos.

Il 22 marzo 1731 alla presenza di G. e del conte Manuel de Bonavides, maggiordomo maggiore di don Carlos, si svolse un consiglio per esaminare tre questioni: l'assegnazione di denaro a don Carlos per mantenere le truppe spagnole, la costruzione di una strada più ampia che portasse dalla Garfagnana verso Parma e infine il giuramento del Senato in favore dell'infante. Per evitare problemi diplomatici con l'imperatore nessuna decisione fu presa al riguardo, mentre l'abate Giulio Franchini Taviani, residente a Parigi, cercava di trarre dei vantaggi economici dalla sofferta successione, caldeggiando presso il marchese di Castellara l'insediamento a Livorno di una compagnia di commercio - fortemente osteggiata dagli Olandesi - collegata con quella aperta a Cadice dagli Spagnoli per il commercio con le Filippine (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4879, 14 luglio 1731).

Il presagio della fine della dinastia aveva reso G. vulnerabile sul piano politico, ma non lo scoraggiò nella continuità del mecenatismo mediceo verso la cultura. Di questo beneficiarono le università di Pisa e di Firenze e alcune accademie di vecchia o recente istituzione. Un episodio rilevante è da considerarsi l'istituzione, avvenuta con motu proprio di G. il 6 nov. 1726, della cattedra pisana, la prima in Italia, di diritto della natura, affidata al giovane Pompeo Neri, figlio di Giovan Battista, nel 1728 trasferita allo Studio fiorentino e tenuta per un altro anno dal Neri.

La fiorente scuola giuridica pisana, inaugurata da Giuseppe Averani al tempo di Cosimo III, proseguiva con successo con gli allievi Bernardo Tanucci, professore di diritto civile dal 1726 al 1732, Angelo Tavanti, Antonio Niccolini, Giovan Gualberto De Soria, Leopoldo Guadagni. Allievi del Tanucci furono Giulio Rucellai, il poeta Tommaso Crudeli e Luigi Viviani, autore di un inedito Compendio istorico del governo civile, economico e militare della Toscana, scritto per don Carlos prima della sua partenza per Napoli. Dall'influenza di quest'ultimo e del marchese Bartolomeo Corsini dipese, nel 1734, la nomina a provveditore dell'Università di Pisa dell'oratoriano Gaspare Cerati, precettore dell'infante durante il suo soggiorno a Parma. Grazie a Cerati, G. favorì l'istituzione di nuovi insegnamenti di chirurgia teorica, chimica, algebra e, accogliendo anche le sollecitazioni del matematico Guido Grandi, provvide alla costruzione di un osservatorio astronomico. Significativo fu il ritorno alla cattedra pisana di teologia scolastica del servita Gerardo Capassi, che in passato aveva avuto problemi con il S. Uffizio ed era caduto in disgrazia per aver contestato l'autenticità degli atti dei martiri Cresci e compagni, venerati nel Mugello e cari alla devozione medicea.

Un ruolo importante fu quello degli scolopi Odoardo Corsini, professore di logica dal 1735, e Alessandro Politi, professore di lingua greca e di belle lettere. L'eclettismo filosofico che mirava a conciliare Cartesio, Galileo, l'atomismo di Gassendi (nel 1727, a cura di Niccolò Averani, usciva a Firenze l'Opera omnia di Gassendi e nel 1728 l'edizione delle Opere di Galileo Galilei a cura di Tommaso Buonaventuri), la fisica e la metafisica di J. Locke e di I. Newton con l'ortodossia cattolica, si univa al culto per la filologia e l'antiquaria. Il Politi dedicò a G. il primo volume della traduzione latina dei Commentarii in Homeri Iliadem di Eustazio (Firenze 1730-35).

Il rinnovato interesse per lo studio del greco si svolgeva in polemica con la cultura gesuitica, considerata troppo antiquata e alla quale si contrapponeva l'erudito Giovanni Lami, chiamato da G. nel 1733 allo Studio fiorentino per insegnare storia ecclesiastica. Al centro delle relazioni tra i numerosi personaggi che a Firenze ebbero contatti con la colonia inglese, gravitante attorno ai residenti H. Newton, F. Colman, C. Fane e H. Mann, fu il medico mugellano Antonio Cocchi, professore di medicina teorica a Pisa dal 1726 al 1728. Al Cocchi, primo membro della loggia massonica italiana costituita a Firenze nel 1731 da Charles Sackville conte di Middlesex e dal celebre antiquario e collezionista di Hannover, il barone Philip von Stosch, fecero capo, tra gli altri, il poeta casentinese Tommaso Crudeli, processato dal S. Uffizio di Firenze solo dopo la morte di G., il ministro Giulio Rucellai e lo stampatore Andrea Bonducci. Quest'ultimo, esiliato a Lucca dal S. Uffizio per aver recitato un elogio della sodomia quando era studente nel collegio teologico pisano, nel 1736 rivolse a G. una lettera poetica per ottenere la grazia di ritornare in patria.

Se censura e Inquisizione non disturbarono troppo il clima di relativa libertà instauratosi al tempo di G., si fece sentire in varie circostanze il controllo esercitato da padre Ascanio su tutti coloro che nei salotti, nei caffè e nelle conversazioni accademiche della capitale osavano pronunciarsi contro il "genio spagnolo". Ne fecero le spese Scipione Maffei e il contralto castrato Gaetano Berenstadt, frequentatore della libreria di A.M. Piazzini. Dell'entourage della corte fece parte anche il poeta Giovan Battista Fagiuoli, che nei suoi versi e nelle sue commedie toccava temi sociali di attualità come il fenomeno del cicisbeismo. A G. nel 1731 Domenico Civinini dedicò un discorso accademico, Della storia e natura del caffè, recitato nella sede della Società botanica fiorentina rinnovatasi tra il 1723 e il 1734 sotto la protezione di G. ad opera di P.A. Micheli e A. Cocchi. Anche il Civinini, esaltando la storia naturale come branca della filosofia, vedeva in G. l'interlocutore giusto per diffondere e sostenere in modo nuovo la scienza sperimentale.

Arricchitosi di molti vocaboli scientifici, nel 1729 era uscito il primo volume della quarta edizione del Vocabolario della Crusca, mentre l'etruscheria (risale al 1723-24 l'edizione del De Etruria regali dello scozzese Thomas Dempster commissionata da Cosimo II) e l'antiquaria, da tempo coltivate nella Toscana medicea a difesa di identità e valori autoctoni (nel 1734 A.F. Gori dedicava a G. il primo tomo del suo Museum Florentinum), trovavano finalmente uno sbocco concreto nella fondazione dell'Accademia etrusca di Cortona e della Società Colombaria di Firenze.

Con i suoi interessi eruditi, quasi sempre ritirato in camera in pessime condizioni igieniche, afflitto dall'obesità e dalla gotta, G. stava per concludere la sua esistenza con la certezza che il Granducato, in seguito ai mutamenti provocati dalla guerra di successione polacca, sarebbe stato destinato a Francesco Stefano, duca di Lorena. In una lettera del 18 ott. 1736, indirizzata all'imperatore Carlo VI, G. si dichiarava addirittura "onorato" di ricevere da lui l'investitura dei propri feudi, altre volte tanto controversa (Ibid., Mediceo del principato, 1143). Nonostante queste manifestazioni di debolezza da parte di G., propenso a distribuire cariche a persone non meritevoli e timorose di perdere terreno con l'avvento delle nuove dinastie, un certo lustro alla corte fu garantito dalla presenza di musicisti di talento, tra cui vanno ricordati Bartolomeo Cristofori - l'inventore del pianoforte, già protetto del gran principe Ferdinando, al quale successe nel 1732 Pietro Mazzetti come custode della Guardaroba degli strumenti -, e il tiorbista Niccolò Susier, autore di un copioso diario, utile per la ricostruzione della vita culturale fiorentina del tempo.

Scarso fu invece l'intervento di G. sugli arredi di palazzo Pitti e delle ville medicee, che si arricchirono di molti oggetti preziosi in ebano, oro e pietre dure quasi tutti per commissione dell'elettrice e in qualche caso di don Carlos. Sotto la custodia di Giovanni Bianchi, figlio del più erudito Sebastiano, la Galleria Palatina subì un graduale declino che sarà superato soltanto dopo la fine della dinastia sotto la direzione di Antonio Cocchi.

Un evento carico di significato e da tempo atteso dalla comunità dei dotti doveva concludere significativamente il governo dell'ultimo granduca de' Medici, principe "illuminato e senza pregiudizio", come lo definì Giovan Battista Clemente Nelli nella Vita di Galilei; vincendo gli ostacoli frapposti dal S. Uffizio, il 12 marzo 1737 le spoglie di Galilei furono collocate nel mausoleo appositamente costruito davanti alla tomba di Michelangelo nella basilica di S. Croce.

Il 5 febbr. 1737 le truppe austriache, subentrate agli Spagnoli, avevano giurato fedeltà al granduca morente. In extremis, insieme col viatico, Pier Francesco de' Ricci gli pose sul petto la croce dell'Ordine di S. Stefano perché ottenesse le indulgenze concesse dai pontefici ai cavalieri.

G. morì a Firenze il 9 luglio 1737, assistito dalla sorella e dai medici Niccolò Gualtieri e Giovanni Sebastiano Franchi. Le esequie furono celebrate il 9 ott. 1737. L'orazione funebre, recitata da Giuseppe Buondelmonti, quasi un monito per i successori lorenesi, tingeva di ideali motivi antidispotici e contrattualistici il pacifico governo di G., al quale si attribuiva il merito di aver conservato ai sudditi i loro diritti naturali.

Un anno dopo anche il canonico Salvino Salvini tesseva l'elogio di G. davanti agli accademici della Crusca. L'orazione fu poi stampata a spese e in casa di A.F. Gori nel 1738 con dedica all'elettrice palatina, unica superstite dei Medici. Scomparsa ogni allusione polemica alla successione, restava viva e suggestiva l'immagine del principe colto, rievocato come signore della sua città, piuttosto che di uno Stato, e che come un sole aveva legato ogni cosa, facendo di Firenze l'Atene di un'antica e ben collaudata metafora.

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