BECCARIA, Giambatista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BECCARIA, Giambatista (al secolo Francesco Ludovico)

Antonio Pace

Nacque a Mondovì (Cuneo), il 3 ott. 1716, da Giovanni Battista e da Anna Maria Ingalis. Cominciò il noviziato presso l'Ordine degli scolopi a Frascati nel 1732, facendo la sua professione nel novembre dell'anno 1734, e assumendo, allora il nome di Giambatista (da lui scritto sempre in questo modo). Compì il corso regolare di studi in Narni e in Roma. L'impronta pratica data alle scuole scolopie da s. Giuseppe Calasanzio, fondatore dell'Ordine, corrispondente e molto probabilmente amico personale del Galilei, le aveva predisposte ad una rapida adozione delle nuove tendenze filosofiche e scientifiche: fatto significativo per la formazione del giovane Beccaria. Iniziò la sua carriera d'insegnante a Narni, dove fu mandato nel 1737 a supplire il maestro di "umanità" ammalato. Dopo aver ricevuto altri incarichi d'insegnamento nelle case scolopie di Urbino e di Palermo fu, nel 1744, richiamato a Roma a coprire la cattedra di filosofia nella scuola madre di S. Pantaleo, e quando, nel 1747, fu fondato il Collegio Calasanzio, fu nominato primo professore di filosofia nel nuovo centro. Nel successivo anno accademico, cominciò ad acquistare fama, specialmente per le tesi brillantemente sostenute dai suoi allievi.

Si preparava nel frattempo il teatro della sua futura carriera a Torino, dove Vittorio Amedeo II aveva riorganizzato l'università, prescrivendo nuove costituzioni, erigendo il nuovo palazzo in via Po e infondendo nuova vita nel corpo insegnante. Questa riforma fu continuata, sotto Carlo Emanuele III, che volle inoltre dare alla sua università un tono più spiccatamente nazionale. Quando, nel 1748, fu "giubilato" l'incaricato di fisica sperimentale, il cosentino p. Francesco Garro, venne offerta al B., la cattedra vacante.

I primi anni del novello professore furono procellosi. La sua nomina era stata effettuata ad istanza del marchese G. Morozzo, riformatore dell'università, con la collaborazione di G. A. Delbecchi, onegliese, e preposito generale dell'Ordine delle scuole pie. Ma il p. Garro, e il suo predecessore e maestro, p. Giuseppe Roma di Tolosa, tutti e due dell'Ordine dei minimi, erano rimasti fedeli all'indirizzo cartesiano dato a quest'ordine dal Mersenne. Fortemente cartesiana quindi la tradizione torinese. Il Garro, che avrebbe voluto come suo successore il francese François Jacquier, pure dei minimi, non potendo rassegnarsi alle innovazioni galileiane e newtoniane introdotte dal B., fece subito lega con i suoi allievi ed amici per allontanarlo. Fu a questo punto che il marchese Morozzo, avendo avuto sentore delle recenti scoperte elettriche dell'americano B. Franklin e delle esperienze che la comprovavano di Delor e Thomas F. Dalibard in Francia (1752), suggerì al B. di rafforzare la sua posizione distinguendosi in questo promettente ramo scientifico. Il B. si mise subito al lavoro, sicché l'anno dopo (Torino 1753) potè dare alle stampe la sua prima grande opera, intitolata Elettricismo artificiale e naturale.

Il volume s'impose immediatamente come lavoro magistrale di sintesi, chiarimento e sviluppo. Il punto di partenza è il concetto frankliniano di un fluido unico "positivo" o "negativo". Il B. procede poi con ricca documentazione sperimentale, in parte propria, in parte altrui, a esporre in modo razionale e organico le ipotesi e le teorie del Franklin, elaborazione questa di cui l'americano, nonostante la luminosità dei suoi intuiti, non era stato capace. La forma di presentazione adottata dal B. è quella scarna e rigorosamente logica dei testi matematici. Il volume è diviso in due libri, il primo dedicato all'elettricismo artificiale, il secondo all'elettricismo naturale. Ciascun libro è suddiviso in capitoli e in paragrafi numerati, costituenti una concisa catena di definizioni, principî, teoremi ed esperimenti, con continui rimandi al già esposto per facilitare la comprensione del nuovo. Notevole è non, soltanto l'acume con cui l'autore ripassò e raffinò gli esperimenti fatti da altri, ma la sua fertilità di fantasia nell'immaginarne dei nuovi. Sono degni altresì di particolare rilievo i suoi sforzi per identificare gli aspetti quantitativi nei fenomeni elettrici.

L'Elettricismo artificiale e naturale rimane forse l'opera principale del Beccaria. Fu accolto con entusiasmo universale, nonostante la sua veste italiana, quale "codice dell'elettricità". Lo stesso Franklin (che credette erroneamente il libro quasi una difesa personale delle sue idee contro l'indispettito scienziato francese J.-A. Nollet) lodò l'autore come "un maestro del metodo" che aveva "ridotto ad ordine sistematico le esperienze e posizioni disperse nelle mie carte" (lettera all'amico C. Colden, 30 ag. 1754, in Papers of B. Franklin, a c. di L.W. Labaree, New Haven-London 1962, V, p. 428). Il tributo culminante fu quello accordato da J. Priestley, il quale non esitò a dichiararlo nella sua monumentale History and present state of electricity (1767) il "grande genio italiano" che aveva "di gran lunga superato tutto quello fatto dagli elettricisti francesi ed inglesi".

Cinque anni di nuovi studi e ricerche permisero al B. di portare a compimento un secondo libro, intitolato Dell'elettricismo (Bologna 1758), consistente in quindici lettere allo scienziato bolognese I. B. Beccari, in cui il B. tornava precipuamente all'argomento dell'elettricità atmosferica, tema che non gli era parso sufficientemente svolto nella prima opera del 1753.

Vi fu grande costernazione fra i frankliniani nel 1759 quando il famoso episodio occorso all'inglese R. Symmer (delle calze nere e bianche elettrizzate contrariamente quando se le toglieva) risuscitò la vecchia ipotesi del doppio fluido. Per confutare questa minaccia il B. escogitò l'"elettricità vindice", dapprima accennata in una lettera De electricitate vindice (1767) diretta al Franklin, e poi illustrata con ampio apparecchio sperimentale nelle Experimenta atque observationes quibus electricitas vindex late constituitur atque explicatur (Torino 1769). Acquista valore, ironicamente, questo concetto di "elettricità vindice" per il fatto che A. Volta ventiquattrenne, opponendosi arditamente al venerando fisico piemontese, spiegò facilmente gli effetti simmeriani come semplice azione induttiva e ne prese lo spunto per il noto "elettroforo perpetuo".

Intraprendendo una rifusione complessiva e definitiva dei suoi lavori sull'elettricità, il B. pubblicò a Torino nel 1772 il volume Elettricismo artificiale (che il Franklin stimò opportuno far tradurre in inglese a Londra nel 1774). Il trattato Dell'elettricità terrestre atmosferica, concepito come la prima parte di un rifacimento delle sue conclusioni riguardo all'elettricità naturale, apparve a Torino nel 1775. Del resto del gran lavorio di revisione e di sintesi rimangono soltanto scritti e minute incompiuti e inediti.

Benché la ricerca nei fenomeni elettrici fosse quella che più occupò la vita intellettuale del B., egli lasciò editi e inediti, molti altri scritti su argomenti svariati: chimica, meteorologia, ottica, astronomia, idraulica, fisiologia. Gli furono inoltre affidati incarichi di carattere pratico, come la revisione del sistema di pesi e misure degli Stati sardi, l'installazione di parafulmini, la determinazione di un'unità per la distribuzione delle acque del Po. Il più vasto di questi lavori fu la misura del grado torinese, che gli attirò addosso critiche avverse per l'irregolarità dei metodi, e risultati assai divergenti da quelli ottenuti altrove, e che finì con il trascinarlo in una polemica con l'astronomo francese Dominique Cassini.

Alquanto grami gli ultimi anni del B. dopo la morte di Carlo Emanuele III (1773). Nella cerchia torinese era generalmente detestato per il suo carattere superbo, geloso e stizzoso. Sebbene avesse accettato con slancio le nomine amembro dell'Accademia delle scienze di Bologna e della Royal Society di Londra, si rifiutò di appartenere alla Società reale di Torino che poi divenne l'Accademia delle scienze.

Morì a Torino il 27 maggio 1781.

Il B. fu in Italia, e specialmente in Piemonte, con l'esempio, l'insegnamento, e gli scritti, stimolo alla generazione di scienziati che fiorì nell'ultimo quarto del sec. XVIII. Sarebbe stato forse meno completo l'oblio in cui cadde il suo nome se Prospero Balbo avesse realizzato la progettata sua edizione dell'opera omnia del vecchio maestro, di cui era riuscito a mettere insieme quasi tutte le carte. Purtroppo questa raccolta andò dispersa, e i due maggiori depositi di manoscritti beccariani si trovano nelle biblioteche del Vaticano (inaccessibili finché non saranno catalogati) e della American Philosophical Society a Filadelfia. Carte sparse si rinvengono in biblioteche e in archivi privati e pubblici d'Europa e d'America.

Bibl.: Per gli ambienti in cui si svolse l'attività del B.: L. Picanyol, L'antico Collegio Calasanzio di Roma, Roma 1938; T. Vallauri, Storia delle univer. degli studi del Piemonte, 3 voll., Torino 1845-46; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935 (con riserve però per la tesi principale dell'autore). In quanto alla biografia, rimangono fondamentali, ad onta di ovvie esagerazioni, le Memorie istor. intorno gli studi del padre G. B., Torino 1783, dell'allievo e successore alla cattedra di fisica sperimentale, G. A. Eandi. Altri preziosi ragguagli biografici dal nipote e successore di questo, A. M. Vassalli-Eandi, in un Notizia storica di G. B., in Lo spettatore (Milano), V, 2 (1816), ff. 101-105, 117-122. Da consultarsi anche: D. Perrero, Ancora del padre G. B…,in Il Risorgimento, VI(1881), n. 193; M. Piacenza, Note biografiche e bibliogr. e nuovi documenti su G. B., in Bollett. stor.-bibl. subalpino, IX (1904), pp. 209-228, 340-354; L. Berra, Note inedite sul p. G. B. B., in Bollett. d. Soc. per gli studi storici, archeol. ed artistici nella prov. di Cuneo, n.s., 1960, n. 45, pp. 129-144. Non privi d'interesse alcuni elogi contemporanei, come quello dell'amico A. Tana (Torino 1781) o quello nel Giorn. de' letterati (Pisa), L (1783), ff. 3-45 (anonimo, ma è di B. Bianucci). Per la valutazione degli studi elettrici del B., vecchia, ma tuttora ragguardevole l'analisi di F. Garelli, Sulle dottrine elettriche nel secolo XVIII, Mondovì 1866. In tempi più moderni, da rilevarsi particolarmente gli studi di M. Gliozzi: G. B. nella storia dell'elettricità, in Archeion, XVII (1935), pp. 15-47; L'elettrologia fino al Volta, Napoli 1937, I, pp. 209-236; Fisici piemontesi del Settecento nel movimento filos. del tempo, Torino 1962. Autorevole esame dell'influsso del B. sul Volta in G. Polvani, Alessandro Volta, Pisa 1942, pp. 51 s. Per i rapporti fra il B. e il Franklin, A. Pace, Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 49-70, 325-330. Della questione del grado torinese si sono occupati diversi studiosi: C. Carlomagno, Il grado torinese e le sue vicende, Torino 1921; G. Boccardi, La misura dell'arco di meridiano fatta dal padre B., Torino 1935; F. Sicardi, G. B. fisico e geodeta, in Quaderni della Meridiana (Mondovì), 1962, n. 1. La caparbietà del B. nel sostenere le proprie opinioni, anche quando erronee, viene ulteriormente illustrata da M. Gliozzi, La polemica sulla fosforescenza tra G. B. e Benjamin Wilson, in Physis, III (1961), pp. 113-124.

Un elenco pressoché esauriente delle opere del B., stampate ed inedite, inserì P. Balbo nelle Memorie istoriche dell'Eandi, pp. 153-161 (ultimamente riprodotto a parte da M. Parenti nella sua Biblioteca degli eruditi e dei bibliofili,n. 69, Firenze 1961). Considerazioni sull'intricato problema della sorte delle carte beccariane in A. Pace, The Manuscripts of Giambatista Beccaria, Correspondent of Benjamin Franklin, in Proceedings of the Amer. Philos. Soc., XCVI (1952), pp. 406-416.

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