TRÉCOURT, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TRECOURT, Giacomo

Matteo Bonanomi

TRÉCOURT, Giacomo. – Nacque a Bergamo il 22 agosto 1812 in una famiglia di origini francesi (la grafia Trècourt o Trecourt spesso sostituisce quella originale). Il padre Andrea, originario di Passy, un sobborgo di Parigi, fu militare al servizio dell’esercito francese in occasione delle campagne napoleoniche; durante la permanenza a Bergamo nel 1808, sposò Caterina Fantini.

Le condizioni precarie della famiglia Trécourt costrinsero il giovane – che aveva sette tra fratelli e sorelle – ad abbandonare presto la scuola per svolgere, secondo le parole del fratello Luigi, «la mercatura in un negozio di telerie»; ebbe tuttavia la possibilità di esercitarsi nella pratica del disegno con alcune tavole di Bartolomeo Pinelli di cui era entrato in possesso, e che ricopiò a penna. Il talento esibito in queste prime prove grafiche spinse il padre a iscriverlo all’Accademia Carrara, dove a partire dal 1829 frequentò i corsi di Giuseppe Diotti, seguendo la strada dei fratelli Francesco e Luigi. Gli anni trascorsi all’Accademia bergamasca furono ricchi di successi; attraverso la pubblicistica dell’epoca è possibile ricostruire la sequenza delle onorificenze. Per il disegno nel 1832 conseguì la medaglia d’argento con una Figura panneggiata rappresentante un profeta e l’anno successivo una medaglia d’oro con una composizione per il tema Un uomo caduto a terra da servire per una figura di soldato abbattuto dal suo avversario; nel 1835 ottenne per la classe di colorito la medaglia d’oro con un «quadro dipinto ad olio rappresentante due fanciulli tratti dal vero» (Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara).

Fin dagli esordi, Trécourt dimostrò un’ampia inventiva, affrontando studi dal vero, ritratti, composizioni religiose e quadri storici. Nel 1834 propose Daniele nella fossa dei leoni, seguito nel 1835, oltre ai consueti studi, da una Vergine, da un ritratto e da Zenobia salvata da alcuni pastori dalle acque del fiume Arasse, su incarico di Leonino Secco Suardo. La consacrazione arrivò nel 1837, quando, per lo stesso committente, eseguì il S. Nicola di Bari nell’atto di liberare tre innocenti condannati a morte (Zanica, Parrocchiale); il successo della grandiosa pala ne ampliò la fama, limitata fino ad allora all’ambito bergamasco. A partire dallo stesso anno, iniziò a partecipare alle annuali mostre dell’Accademia di Brera, dove esordì con il S. Nicola, che gli valse gli apprezzamenti di Giuseppe Sacchi, ma anche alcune critiche. A riprova del suo riconosciuto talento vanno ricordati gli incarichi dei suoi maestri, che gli commissionarono alcune delle opere presentate poi alla Carrara, tra cui due Studi dal vero richiesti da Diotti e Una famiglia nel dolore (Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara) per Pietro Ronzoni. Negli anni in cui si registra la doppia partecipazione alle esposizioni di Milano e Bergamo, Trécourt evitò di proporre i medesimi dipinti, se non in rari casi: L’educazione della Vergine, grande tela per la chiesa di S. Anna a Villongo San Filastro (1839), fu riproposta a Milano l’anno successivo; Alla notizia di una sciagura fu esposta nel 1840 sia a Milano sia a Bergamo. Trécourt esibì una grande abilità nel trattare con eguale bravura generi diversi, alternando ritratti (tra cui le acclamate tele raffiguranti Gerolamo Lovati e sua moglie Beatrice, 1843, Pavia, Musei civici) e soggetti storici (Cimabue osserva il piccolo Giotto che disegna le pecore, 1843), in particolare alcune tele ispirate alla figura di Tasso: Torquato Tasso ed Eleonora (1838), Torquato Tasso a Sorrento (1841) e Torquato Tasso che si scopre alla propria sorella (1843), del quale esiste un bozzetto preparatorio a olio (Cremona, Pinacoteca Ala Ponzone).

Questi furono anche gli anni del prestigio personale, contrassegnati nel 1838 dall’acquisto a Brera da parte dell’imperatore Ferdinando I d’Austria dello «studio dal vero» di Un vecchio con due fanciulle; dalla commissione di Paolo Tosio, con il tramite dell’architetto bresciano Rodolfo Valentini, per la sala ionica del proprio palazzo di Brescia, dove Trécourt dipinse a olio quattro lunette dedicate al tema dell’Educazione infantile (1839); infine, dall’ammissione nell’Accademia milanese come socio d’arte. Culmine di questa fulminea ascesa fu la nomina nel 1842, a soli trent’anni, a direttore della Civica scuola artistica di Pavia. L’incarico, legato al lascito testamentario di Defendente Sacchi, che destinò una consistente somma di denaro per la creazione di una scuola di pittura nella città lombarda, fu assegnato a Trécourt dopo la rinuncia di Enrico Scuri, che preferì succedere a Diotti nella direzione della Carrara, e che ne suggerì il nome.

Con l’avvio della direzione nell’istituto pavese, le apparizioni pubbliche di Trécourt iniziarono a rarefarsi. Abbandonato l’ambiente bergamasco, egli si ripresentò solamente alle esposizioni milanesi, in particolare con grandi tele – Ossian canta a Malvina le gesta di Carthon (Brescia, Musei civici di arte e storia), opera commissionata dal collezionista bresciano Camillo Brozzoni, e particolare per le suggestioni ‘romantiche’ del tema – e monumentali pale per chiese di provincia: l’Invenzione da parte di s. Ambrogio delle reliquie dei ss. Nazaro e Celso per la parrocchiale di Urgnano (1843), la Nascita di Maria Vergine per la chiesa della Natività di Maria a Rudiano (1845) e l’Immacolata per la chiesa di S. Martino ad Adrara San Martino, commissionata il 5 novembre 1843 e portata a termine nel 1847. Per la stessa chiesa Trécourt ricevette l’incarico di una nuova pala, Un miracolo di s. Martino, presentata fra le critiche dell’ambiente milanese nel 1854.

Gli impegni legati alla direzione della scuola e, forse, i giudizi negativi favorirono il progressivo isolamento del pittore, che a partire dalla metà del secolo si dedicò attivamente alla crescita e all’organizzazione dell’istituto civico. Molti sono gli esempi dell’intervento diretto di Trécourt, che si interessò sia della gestione ordinaria sia degli aspetti più puramente artistici. Ebbe come allievi Federico Faruffini e Tranquillo Cremona. Con costanza, valutò le singole richieste di ammissione e intervenne a favore dell’espulsione dello stesso Faruffini, a causa delle sue intemperanze caratteriali. Parimenti, si prodigò affinché la scuola si dotasse di materiali adatti all’istruzione degli alunni, tra cui modelli in gesso e opere pittoriche. Egli stesso eseguì a tal fine alcuni dipinti, come La mascherina e Le due orfanelle, acquistati nel 1865 dal Municipio di Pavia (1863-65; Pavia, Musei civici). Fu chiamato più volte a esprimere la propria opinione in merito all’acquisizione di opere d’arte. Famosa è la stroncatura che operò nei confronti di un presunto dipinto di Giovanni Battista Piazzetta, una Mezza figura dal vero, donato da Achille Sartorio e destinato alla scuola, descrivendolo come «baraccone di trivialissimo stile e di cattivo metodo di colorire».

Gli anni pavesi coincisero con la maturità artistica del pittore. Fu questo il periodo in cui si collocano alcune delle sue opere più celebri, tra i vertici qualitativi della sua produzione. Lord Byron sulle sponde del mare ellenico o l’Autoritratto in costume orientale (Pavia, Musei civici), databili entrambi al sesto decennio del secolo, più che evidenziare un generico interesse dell’artista per l’orientalismo, devono essere ricondotti a un clima collezionistico informato a specifiche predilezioni ideologiche e culturali, cui va associata per affinità tematica La schiava greca, ovvero un pensiero di vendetta esposta a Brera nel 1854 e ricordata dalle fonti nello studio del pittore dal 1853. A Pavia, grazie a un linguaggio che calibrava indagine analitica e misura, Trécourt seppe imporsi anche come principale ritrattista della borghesia e della nobiltà cittadina.

Nella sua biografia un peso importante rivestì la duratura amicizia con Giovanni Carnovali, detto il Piccio, stretta fin dagli anni della comune frequentazione dell’Accademia Carrara. Il legame, oltre a giustificare alcune influenze stilistiche (Ritratto di Lena Presti bambina; Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara), ha generato nella letteratura critica una ricca aneddotica. Al 1845 si data un ipotetico viaggio a Parigi che i due avrebbero intrapreso a piedi, desiderosi di confrontarsi con le opere di Eugène Delacroix, ma che nella realtà dovrebbe essere ridimensionato a un soggiorno a Roma. L’immutata stima si riscontra ancora all’altezza del 1863, quando Trécourt prese le difese di Carnovali in una controversia relativa a una pala raffigurante Agar per la parrocchiale di Alzano, duramente stroncata dalla critica.

Pur lontano dalla scena artistica italiana, Trécourt ebbe l’onore di partecipare con la pala di Zanica all’Esposizione nazionale di Firenze del 1861, cui seguì la nomina a socio onorario dell’Accademia nel 1862. Ottenne, inoltre, dal rettorato dell’Università di Pavia il prestigioso incarico di eseguire un Ritratto equestre di Vittorio Emanuele II (Pavia, Università), che presentò in occasione dell’esposizione dell’Accademia di Brera nel 1863.

Nel 1869 fu chiamato dai fratelli editori Rechiedei per collaborare a una nuova edizione dei Promessi sposi, per la quale eseguì incisioni che sostituirono alcune tavole di Francesco Gonin concepite per la Quarantana (Frate Cristoforo e Renzo dinanzi a Don Rodrigo morente, Milano, Civico gabinetto dei disegni; «E bene, prometti che non affronterai, che non provocherai nessuno»; La traversata di Renzo; Milano, Civica raccolta di stampe A. Bertarelli).

Gli ultimi anni di vita furono funestati da una lunga malattia; chiese il collocamento a riposo nel 1878 a causa di una paralisi progressiva e fu sostituito nel ruolo di direttore dal conservatore della scuola Giuseppe Lanfranchi.

Morì a Pavia il 15 maggio 1882.

Fonti e Bibl.: Cenno necrologico, in Bergamo o sia Notizie patrie, LXIX (1883), pp. 92-97; G. Toffetti, G. T. a Bergamo e Pavia, in Bergomum, XXX (1936), 2, pp. 75-96; Manzoni europeo, a cura di G. Pontiggia, Milano 1985, p. 128; I. Marelli, T., G., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 1050; F. Mazzocca, G. T., in I pittori bergamaschi dell’Ottocento, I, Il primo Romanticismo. L’Accademia, Bergamo 1992, pp. 444-481 (con bibl.); R. Bossaglia, Su due inediti di G. T., in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Scandicci 1994, pp. 319 s.; S. Zatti, in Musei civici di Pavia. La Quadreria dell’Ottocento, a cura di S. Zatti, Milano 2002, pp. 82-93 nn. 28-34; Accademia Carrara di Bergamo. I dipinti dell’Ottocento, Bergamo 2005, pp. 41, 82-85 nn. 27, 116-120; R. Mangili, in La Pinacoteca Ala Ponzone. L’Ottocento, Cremona 2008, pp. 132 s., nn. 140-141.

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