FIESCHI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIESCHI, Giacomo

Giovanni Nuti

Nacque nella prima metà del sec. XIII da Opizzo del ramo ligure dei conti di Lavagna e da una Simona, della quale non ci è noto il casato (Foliatium notariorum, I, c. 525v).

Opizzo era figlio - forse il secondogenito - di Ugo "Fliscus", dato che alla morte del fratello Alberto, avvenuta prima del 1226, toccò a lui il compito di guidare la famiglia; compito al quale assolse proseguendo la politica paterna, volta a restaurare o affermare la presenza dei Fieschi nella Riviera di Levante e soprattutto nella pieve di Lavagna, del consortile dei cui "comites" i Fieschi stessi facevano parte. La pieve costituiva infatti il naturale sbocco al mare del vasto feudo, che controllava le strade di comunicazione tra il versante ligure e quello padano dell'Appennino, anche se lungo la costa Genova aveva fondato i borghi di Sestri Levante e di Chiavari, per garantirsi un sia pur parziale controllo sul comitato. Opizzo è citato per la prima volta nel 1211, quando risulta insieme col fratello Alberto in lite col vescovo di Bobbio. I suoi interessi furono a lungo rivolti al suo vasto feudo, perché risulta che a più riprese comperò terre a Sestri, a Chiavari (borghi nei quali già possedeva case), a Rapallo. Solo episodicamente - a quanto ne sappiamo - si occupò di commercio: da un atto databile intorno al 1230 risulta aver finanziato Ugo Embriaco con una commenda (Foliatium notariorum, I, c. 171r); si mantenne fedele a questa linea almeno finché l'ascesa del fratello Sinibaldo al soglio pontificio col nome di Innocenzo IV non lo chiamò a collaborare con la politica finanziaria della Curia romana.

In quegli anni Opizzo, pur lasciando ai membri più giovani della famiglia il compito di sostenere un ruolo attivo negli avvenimenti della regione, fu il vero ispiratore della linea politica allora seguita e attuata dai Fieschi. Trasferitosi a Genova, si insediò significativamente in un palazzo sito sulla stessa piazza della cattedrale. Aveva portato con sé la sua piccola corte feudale formata dallo scriptor et camerarius Giacomo Ravaldo, da gastaldiones e da servitores, in stridente contrasto con il tessuto commerciale e borghese della città. Dopo il periodo di momentanea eclissi della fortuna familiare avutosi durante gli anni del governo di Guglielmo Boccanegra (questi nel 1259 si insediò nel palazzo di Opizzo), riprese in pieno il suo ruolo politico ed incrementò il prestigio familiare nella pieve di Lavagna, dove il papa Innocenzo IV aveva coordinato le varie istituzioni religiose ed assistenziali create dalla sua casa, legandole alla chiesa di S. Salvatore, fondata nel 1252. Opizzo morì verso il 1268.

Aveva sposato una Simona, la quale era ancora in vita nel 1280. Da lei aveva avuto, oltre al F.: Andrea, che fondò l'ospedale di S. Cristoforo presso Chiavari; Guglielmo, che divenne cardinale; Ugolino, Tedisio, Enrico. Per il Federici avrebbe avuto inoltre due figlie: una, di cui non ricorda il nome, che avrebbe sposato Ruggero di Sanseverino, e Argentina, poi moglie di Corrado Spinola. Le fonti ricordano tuttavia anche una Piperina, moglie di Enrico Mallone, e una Verdina, moglie di Ansaldo Luxio, come sue figlie.

Il F., ancor giovane, è ricordato per la prima volta come uno dei protagonisti dell'audace colpo di mano che portò nel 1244 alla liberazione di papa Innocenzo IV, assediato in Sutri da Federico II. Nel 1247, insieme coi cugini Alberto e Niccolò, arruolò un piccolo contingente di truppe con cui attaccò e riprese il castello di Pessina, nella Riviera di Levante, che era stato occupato dalla famiglia Luxardo, da tempo in lotta coi signori di Carpena, alleati dei Fieschi. Quando divenne più duro lo scontro tra Federico II ed Innocenzo IV, toccò alla famiglia del pontefice compiere l'ingente sforzo finanziario necessario per assoldare i 300 balestrieri che furono inviati in soccorso di Parma, assediata dal re Enzo. Per trovare i fondi necessari, il padre del F., proprietario di una metà, e un suo nipote, Niccolò, proprietario dell'altra metà, il 20 maggio 1247 vendettero alla famiglia Ceba una torre nel quartiere di S. Siro.

Il 4 sett. 1249 il F. fu creato da Guglielmo d'Olanda, da poco incoronato ad Aquisgrana re dei Romani, insieme col padre e con altri membri della famiglia, conte palatino. Con diploma del 2 ottobre di quello stesso anno ottenne dal sovrano l'immunità perpetua da ogni colletta, imperiale o comunale, ed il diritto di avocare alla propria curia ogni giudizio riguardante loro vassalli.

Come scrivono gli Annali genovesi, fu il F. il "praecipuus auctor" di tale politica: egli permise infatti con la sua azione il ritorno a Genova dei capi ghibellini e si adoperò per una conciliazione tra le varie famiglie. Il 1º nov. 1250 ricevette in restituzione dal papa una parte della somma spesa per finanziare la difesa di Parma: il denaro venne depositato presso la Tavola dei Bonsignori di Siena. Non ci risulta che egli abbia avuto responsabilità di gestione nella societas allora costituita dai Fieschi per impiegare l'ingente disponibilità di capitale liquido, alimentato anche da apporti provenienti dalla Curia romana, societas nella quale si impegnarono, invece, facendovi confluire loro investimenti, alcuni suoi stretti parenti: il padre Opizzo, il cugino Tedisio e l'altro cugino Niccolò di Tedisio.

Spinto sia dal probabile suggerimento del papa, sia dagli stretti legami di parentela che lo univano a molte casate ghibelline - secondo il Federici, tra l'altro, una sua figlia, Flisca, aveva sposato Andreolo De Mari, il potente ammiraglio di Federico II -, sia dalla fitta rete di rapporti economici, che egli aveva intrecciato con esse, sia - infine - anche dalla necessità di rinsaldare le forze dell'oligarchia cittadina, il F. si era fatto promotore in quel periodo di una politica di riconciliazione in Genova, ottenendo che nel 1251, grazie anche alla mediazione di Martino, prevosto di Parma e delegato del pontefice, il Comune di Genova riammettesse in città i fuorusciti e si impegnasse inoltre ad indennizzarli per i danni subiti. In quello stesso anno il nome del F. appare per primo nella lunga lista di consiliatores che il 19 febbraio sottoscrissero la pace tra il Comune genovese e Savona.

La politica finanziaria portata avanti dai Fieschi fece anche maturare all'interno della famiglia il disegno si fondare una zecca, grazie al diritto concesso dal titolo di conte palatino. Il 6 ott. 1253 il F. promise al senese R. Bramanzoni, agente in Genova della Gran Tavola dei Bonsignori, e a G. Leccacorvo che si sarebbe adoperato perché il padre concedesse loro per due anni la facoltà di coniare nel feudo di Savignone, acquistato tra il 1242 e il 1252, miliaresi dello stesso peso di quelli genovesi; tale accordo ad ogni modo era subordinato al consenso del Comune. Non sappiamo, tuttavia, se tale progetto sia stato poi attuato.

Il 18 apr. 1254 un debito dell'arcivescovo di Milano verso alcuni mercanti fu pagato al F., che depositò la somma presso il banco del piacentino Guglielmo Leccacorvo, spesso utilizzato dalla famiglia per consegnare al papa il denaro ricavato dai benefici spettanti alla Curia romana. Nello stesso anno, il 15 luglio, il F., come consiliator del Comune genovese, fu presente alla nomina di Enrico del Bisagno ad ambasciatore a Firenze.

La morte di Innocenzo IV (7 dic. 1254) mise i Fieschi negli anni successivi in maggiori difficoltà, aggravate dal colpo di Stato, che portò al governo Guglielmo Boccanegra (1257), e dalla politica antioligarchica attuata dal nuovo padrone di Genova. Il 20 genn. 1258, il Boccanegra stabilì che non si potessero più imporre dazi sulle merci dei Genovesi transitanti per Savignone e Parissione, terre di dominio fliscano, e per la Valle Scrivia. L'anno dopo, in seguito al fallimento di una congiura, cui i Fieschi non erano estranei, i responsabili del moto furono esiliati: il Boccanegra si stabilì nel palazzo di Opizzo Fieschi, probabilmente confiscato.

Alla cospirazione il F. dovette rimanere estraneo: non fu infatti colpito da alcun provvedimento punitivo e, d'altro canto, risulta aver continuato a risiedere in città anche negli anni seguenti. L'11 dic. 1259, dopo l'inatteso fallimento del banco del Leccacorvo, nei confronti del quale la sua famiglia vantava rilevanti crediti, il F. comunicò ai liquidatori di quell'istituto finanziario che li avrebbe considerati responsabili nel caso in cui fosse riuscito a fuggire qualcuno dei soci del banco Leccacorvo affidati alla loro custodia per ordine del Boccanegra. Quando la caduta del Boccanegra (9 maggio 1262) ed il crescente prestigio del card. Ottobono Fieschi, cugino del F., permisero alla loro famiglia di riprendere l'antico ruolo in Genova e di presentarsi come punto di riferimento per il partito guelfo, il F. ebbe il compito di seguire con particolare attenzione i rapporti con Carlo d'Angiò, i cui domini rappresentavano una minaccia per i territori della Riviera di Ponente sottoposti all'autorità del Comune di Genova.

Nel 1266, insieme con Isnardo Malaspina, ricevette da Oberto Pelavicino, il quale agiva in nome di Carlo d'Angiò, Pontremoli, il centro viario di eccezionale importanza per le comunicazioni appenniniche, che quel sovrano, dopo la vittoria su Manfredi e la conquista del Regno di Sicilia, aveva assegnato in feudo alla sua casata per remunerarla dell'aiuto prestatogli. Nel 1269 fu nominato da Oberto Pelavicino, nel testamento dettato il 23 aprile, tutore dei suoi figli.

Il 16 apr. 1270 il F. risulta presente in città; quando, nell'ottobre, fu attuato il colpo di Stato e le forze dei ribelli ebbero la meglio sulla resistenza guelfa, egli offri protezione e rifugio al podestà sconfitto nel suo palazzo in piazza S. Lorenzo; e quando la famiglia fu costretta all'esilio, probabilmente egli trovò riparo in Savignone o in uno dei castelli che controllavano, nella Riviera di Levante, il vasto feudo esteso dalla costa alle vallate appenniniche più inaccessibili, che costitui, con i suoi piccoli castelli situati in punti strategici della zona, il centro di resistenza più efficace per la famiglia. La sconfitta patita in Genova segnò la fine del F. come personalità di primo piano nella gestione della politica familiare. Insieme con il cugino Niccolò, il 9 luglio 1280, dal re di Germania Rodolfo d'Asburgo ricevette la conferma delle franchigie e dei privilegi concessi dai suoi predecessori. Nel 1285, con altri membri della famiglia, intervenne presso la Curia romana contro il Comune genovese, accusato di violare accordi precedentemente stipulati. Onorio IV intimò (23 luglio 1285) ai capitani del Popolo di giustificarsi davanti al delegato papale, cui era stata affidata la questione; tuttavia, la minaccia non ebbe conseguenze.

Il F. morì poco dopo, prima del marzo 1288, quando un documento lo ricorda come già defunto.

Aveva sposato una Bellavia, di cui non conosciamo il casato. Da lei aveva avuto numerosi figli: sei maschi - Opizzo, Guglielmo, Andrea, Manfredo, Francesco e Luchino - e due figlie, Claretta o Caretta, poi moglie di Guido Pallavicini, e Flisca, andata in sposa ad Andreolo De Mari.

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