RANGONI, Gherardo II

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RANGONI, Gherardo

Giancarlo Andenna

II. – Figlio di Guglielmo (v. la voce in questo Dizionario) e di Guiglia, e pertanto fratello maggiore di Giacomino Rangoni (v. la voce in questo Dizionario), nacque forse attorno al 1180 a Modena, e ivi crebbe; nel 1204 partecipò alla conquista di Costantinopoli durante la Quarta crociata.

Nel decennio successivo iniziò la sua carriera politica documentata, con l’onorifico compito di ricevere a S. Pellegrino (Mo) il giovanissimo re Enrico, figlio di Federico II (scortato dall’arcivescovo di Palermo e diretto in Germania) e di accompagnarlo al ponte di Guilingua, al confine con Parma e Reggio (1216). La carriera podestarile iniziò attorno al 23 dicembre 1222, quando assunse il reggimento di Pistoia, di durata annuale. Nel suo anno di governo Rangoni svolse con ottima professionalità e abilità un’intensa attività politica e diplomatica, nell’intero scacchiere della Toscana centrosettentrionale, dentro e fuori il territorio pistoiese.

Proprio all’inizio del mandato (23-24 dicembre 1222), Rangoni intimò tanto agli abitanti del castello appenninico di Batoni, quanto agli abitanti di Lamporecchio in Valdinievole di presentarsi, per giustificare le aggressioni da loro perpetrate ai danni del vescovo Soffredo; ma difese poi (marzo 1223) gli uomini di Batoni contro i quali l’abate di Nonantola aveva sollecitato i legati papali. Nei mesi successivi ebbe problemi a ottenere obbedienza dal Comune di Montevettolini presso Monsummano Terme (maggio 1223), e a pacificare (con l’aiuto dei consoli dei milites di Pistoia) i turbolenti cavalieri del castello di Tizzana (novembre 1223).

Sul fronte della politica estera, il 9 febbraio 1223, a Serravalle, stipulò un accordo di reciproca immunità (con impegno di risarcimento entro 15 giorni) e di gestione condivisa dei bandi, di durata annuale, con il Comune di Montecatini. Cercò inoltre un accordo tra Comune e vescovo di Pistoia mediante un arbitrato dell’arcivescovo di Pisa Vitale, nominando all’uopo un procuratore del Comune che si recasse nella città sull’Arno. Ancora nel febbraio 1223 inviò a Cremona ambasciatori del Comune di Pistoia, per ottenere (dal podestà Gerardo da Cornazzano, o in sua vece dall’advocatus e dai consules mercatorum della città lombarda) l’immediata condanna di Gatto di Casalmaggiore (Liber censuum, 1915, p. 145). In marzo affidò a Gualtiero Bonaccorsi il compito di ricevere gli ostaggi fiorentini e lucchesi che il podestà di Pisa aveva confinato a Pistoia; la questione si trascinò a lungo, e Rangoni ebbe poi a che fare col podestà lucchese Pietro Vento, che aspirava (agosto 1223) al riscatto  dei suoi cittadini, convenendo sulla nomina di garanti (sacramentali) che dovevano evitare la fuga dei confinati (o l’escamotage di una partenza per la crociata) prima della stipula della pace.

Scarsa è invece la documentazione sulla successiva podesteria di Rangoni (Siena, 1225, sino al 20 dicembre quando il Caleffo vecchio segnala la liquidazione del suo stipendio). Il Muratori, nelle note al testo della Cronaca Sanese, lo ricorda per aver organizzato, con suo nipote Manette, una spettacolare giostra nel prato della Porta a Camollia con scontri di cavalieri (Andrea Dei, Cronica Sanese, in RIS, XV/6, 1729, p. 31).

Nell’incarico immediatamente successivo – Bologna, dal gennaio 1226 – Rangoni tenne una posizione decisamente antifedericiana. In previsione dell’arrivo dell’esercito imperiale (alla volta della dieta di Cremona), rafforzò innanzitutto le difese urbiche, con lo scavo dei fossati e la costruzione di un palancatum, designò 100 cittadini (peraltro privi di capacità deliberativa sul piano della spesa) per la partecipazione alle riunioni della Lega di Lombardia (cui egli presenziò in prima persona solo in una occasione, il 21 novembre a Bologna), e si recò lui stesso alla dieta. Raggiunta la pace, il Comune di Bologna, ancora guidato dal Rangoni, inviò a Mantova per un mese 300 balestrieri e 200 equites al servizio dell’imperatore e della Lega, istituzioni in quel momento rappacificate.

Rangoni ebbe un’ottima intesa col vescovo petroniano Enrico e con le istituzioni principali della chiesa cittadina (arcidiacono, arciprete, canonici), che concessero a lui e al Comune la scelta di un “cappellano del palazzo comunale”: un frate (francescano, domenicano o altro) destinato a celebrare la messa nelle sedi civiche, ovviamente sempre soggetto all’autorità del vescovo. Problematici furono invece i rapporti con Modena, cui l’imperatore concesse (giugno 1226) di ritoccare i confini con Bologna scatenando il risentimento della città felsinea, sfociato in scontri a S. Cesario e nella fondazione di Castelfranco.

La successiva tappa della carriera politica di Rangoni fu spinosissima e impegnativa. Fu chiamato infatti a guidare gli estrinseci veronesi, arroccati a S. Bonifacio, nel castello del conte di Verona Rizzardo (espulso dalla città con la sua pars Comitum dopo che si era ribellato al confino a Venezia deciso dal podestà Matteo Giustiniani, e – avendo occupato il palazzo comunale – era stato sconfitto e cacciato, col podestà stesso). Rangoni, che nell’occasione un cronista ferocemente ostile ai ghibellini veronesi definisce «vir prudens et strenuus, sapiens, providus et astutus» (Rolandini Patavini Cronica, 1905-1908, p. 41), si impegnò ad allearsi con Padova (retta dal veneziano Stefano Badoer) per imporre il rientro dei banditi; Rolandino gli mette in bocca, nel corso delle trattative, un eloquente discorso indirizzato ai cittadini padovani «amatores iusticie et malorum castigatores» (Ibid., p. 42); ma militarmente parlando si combinò poco e furono conquistati solo alcuni centri del distretto.

La fama anche militare di Rangoni non fu intaccata, e la sua carriera proseguì nel 1232 con una seconda podesteria senese (nella quale spicca la conquista e la distruzione del castello e della rocca di Montepulciano, 27 ottobre 1232) e nel 1234 con una podesteria pavese. La città ticinese (con Cremona e pochi cavalieri di Parma, Modena e Reggio) era alleata di Federico II, e Rangoni ne guidò l’esercito alla battaglia di Genivolta (dall’esito incerto). Ottenne la riconferma per il 1235 (durante l’assenza dell’imperatore), e nel 1236 sostituì il podestà federiciano di Rimini, Paolo Traversari. Il contingente di fanti riminesi fu sconfitto dai Faentini, insieme con l’esercito ravennate e forlivese, ma Rangoni ottenne per Rimini una pace separata.

Dopo alcuni anni, Rangoni ritornò sulla scena nel 1240-41 partecipando (come podestà di Mantova in pectore per il 1241) alla campagna dell’esercito mantovano nel territorio veronese; la dura sconfitta subita a Trevenzuolo (3 novembre 1240), ove il podestà di Mantova in carica perse la vita, portò alla cattura e alla carcerazione a Verona in vinculis ferreis, con altri milites, del «domnus Girardus de Rangono de Mutina, qui debebat esse potestas futurus civitatis Mantue» (Annales Mantuani, 1866, p. 22). Il cronista veronese Parisio da Cerea afferma erroneamente che Rangoni morì, mentre restò in carcere per ben sette anni, sino al martedì santo del 1247, quando i carcerati catturati durante lo scontro di Trevenzuolo furono scambiati con i prigionieri veronesi presi nel castello di Ostiglia nel gennaio 1244. Nelle settimane successive Gherardo Rangoni seguì le scelte politiche del fratello Giacomino e del suo proprio figlio, Guglielmo, che abbandonarono l’esercito di re Enzo e passarono alle forze papali (22 aprile 1247) edificando poi la civitas di Vittoria. Dopo la sconfitta e la cattura di re Enzo a Fossalta (25 maggio 1249), Rangoni rientrò in Parma sotto la protezione delle truppe comandate dal cardinal Ottaviano Ubaldini.

Ormai i Rangoni erano in modo totale legati al partito papale, e al suo rientro in Italia (giugno 1251) dopo la morte dell’imperatore, Innocenzo IV a Milano designò Gherardo Rangoni podestà della grande città lombarda, in sostituzione di Giovanni de Ripa morto improvvisamente. Rangoni prese servizio entro luglio 1251, quando i suoi vicari scrissero al podestà di Mantova per ottenere aiuti contro il marchese Pelavicino, il marchese Lancia e i Cremonesi che intendevano occupare la città di Lodi, pronta ad allearsi con i Milanesi. Per finanziare l’impresa di Lodi, Rangoni prese peraltro provvedimenti anche a Milano, chiedendo al consiglio del Comune (19 settembre) l’autorizzazione a vendere all’asta comunia et pascua, operazione che fu compiuta nel dicembre 1251 per un totale circa 350 pertiche nella valle del Naviglio e a Baggio, e a vendere (previo computo delle medesime) le scorte comunali di grano e altri cereali conservate a S. Ambrogio.

Prima del febbraio, 1252, Rangoni fu sostituito nella carica da Pietro Avogadro di Como. Ma pochi mesi dopo (8 agosto) «vestì l’abito dei frati Minori», come ricorda - senza menzionare fonti - il Corio (Storia di Milano, 1855, p. 482).

Nel 1710 il  francescano A.M. De Turre, con riferimento a una biografia di Innocenzo IV di Paolo Pansa confuse i due frati minori di Modena di nome Gherardo, vale a dire Rangoni e Gherardo Boccabadati o Maletta (v. la voce in questo Dizionario). Wadding poco dopo consacrò l’errore, e solo nel 1760 il frate Flaminio di Parma seppe distinguere tra i due; Tiraboschi riprese e notò anzi per primo che Rangoni divenne frate minore solo dopo il 1251. Una ulteriore messa a punto della questione fu edita dal Tiraboschi e poi ristampata a cura di Luigi Maini nel 1856, ma i due storici non corressero le errate affermazioni di Parisio da Cerea, in quanto essi non conoscevano gli Annales Mantuani.

Il 27 marzo 1254 (cfr. Flaminio da Parma) Rangoni era a Ferrara, insieme con Salimbene de Adam, di fronte ad Azzo d’Este e al vescovo della città Giovanni Querini, per la professione religiosa di Beatrice, figlia del marchese. Salimbene dunque conosceva bene Gherardo Rangoni de Mutina qui fuit frater Minor (Salimbene, Cronica, 1905-1913, p. 70).

Il frate cronista riferisce anche che fu Rangoni a raccontargli l’aneddoto dei due cognomi di Egidio da Gente (che binomius fuit perché era detto anche de domina Agnete dal nome della madre), ma che era chiamato «da Gente» perché quando era nei paesi d'oltre mare, parlando familiarmente degli eserciti, diceva di sovente: «La nostra gente si comporta così!». Rangoni gli raccontò anche un episodio della vita di Egidio Bafulo da Parma (padre di due usurai pentiti e divenuti frati francescani): a Costantinopoli, era stato testimone oculare (presens erat et vidit) di una prodezza di costui, che durante l’assedio del 1204 aveva  battuto con forza la sua spada d’assalto contro la porta della città (Ibid., p. 612).

Non è noto l’anno della morte di fra Gherardo Rangoni.

A distanza di quattro secoli, parla di lui il Tassoni nella Secchia rapita in due punti: nel canto I (vv. 110-112), quando il podestà di Modena, Lorenzo Scotti, ebbe a formare una schiera di milites e «ne diede il comando e lo stendardo/ al figlio di Rangon, detto Gherardo»; e nel canto III (vv. 281-288), ove Rangoni è descritto insieme al fratello Giacomino:

«due figli avea Rangon d’alto valore /Gherardo il forte, e Giacopin l’astuto; /Gherardo che d’etade era il maggiore/e ’n più sublime grado era venuto./Delle genti paterne avea l’onore/e ’l governo al fratel quivi ceduto:/ ond’egli se ’n venia portando altero/ Una conchiglia d’or sovra il cimiero». Non sappiamo da quando la conchiglia sia stata usata come insegna familiare, ma al tempo del Tassoni i Rangoni la esibivano nel loro stemma, anche se non è verosimile che Gherardo l’abbia già usata al tempo della battaglia di Fossalta.

Fonti e Bibl.: Cherubino Ghirardacci, Della historia di Bologna, Parte prima, per Giovanni Rossi, Bologna 1596, pp. 143 s.; Parisius de Cereta, Chronicon Veronense, in RIS, VIII, Mediolani 1726, col. 624; Andrea Dei, Cronica Sanese,  in Ibid., XV, Mediolani 1729, coll. 23, 25; Annales Mediolanenses ab anno 1230 usque ad annum MCCCCII, in Ibid., XVI, Mediolani 1730, coll. 655 s.; Matteus de Griffonibus, Memoriale Historicum rerum Bononiensium, in Ibid., XVIII, Mediolani 1731, col. 110; Bartolomeo della Pugliola, Historia Miscella Bononiensis, in Ibid., XVIII, Mediolani 1731, col. 255; L.A. Muratori, Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, V, Roma 1755, Dissertazione 46, p. 30; Annales Senenses, ed. I.F. Böhmer, in MGH, Scriptores, XVIIII, Hannoverae 1866, pp. 12, 22, 56, 229; Annales Mantuani, in Ibid., XVIIII, Hannoverae 1866, p. 22; Rolandini Patavini Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, aa. 1200 cc.-1262, a cura di A. Bonardi, in RIS2, VIII/1, Città di Castello, 1905-[1908], pp. 41-43; Salimbene de Adam, Chronica, in MGH, Scriptores, XXXII, a cura di O. Older-Egger, Hannoverae-Lipsiae 1905-1913, pp. 70, 612; Liber Censuum Comunis Pistorii, a cura di Q. Santoli, Pistoia 1915, pp. LXVI, 141-150; Johannis de Bazano, Chronicon Mutinense, (1188-1363), a cura di T. Casini, in RIS2, XV/4, Città di Castello 1917, p. 15; Il Caleffo vecchio del Comune di Siena, I, a cura di G. Cecchini, Siena 1931, p. 321; Cronache senesi, in RIS2, XV/6,  a cura di A. Lisini - F. Iacometti, Bologna,1931-1939, p. 31; Gli Atti del Comune di Milano del secolo XIII, a cura di M.F. Baroni, I, 1217-1250, Milano 1976, pp. 251 s.; Gli Atti del Comune di Milano nel secolo XIII, II/1 (1251-1262), a cura di M.F. Baroni - R. Perelli Cippo, Alessandria 1982, pp. 38, 48, 49; Paride da Cerea, Il Chronicon Veronense e i suoi continuatori, 1/1, I volgarizzamenti della Cronaca Parisiana con l’antica continuazione (1115-1277), a cura di R. Vaccari. Legnago 2014, pp. 157 s.

A.M. De Turre, Annalium Ordinis Minorum supplementa, Augustae Taurinorum 1710, pp. 59 s.; Flaminio di Parma, Memorie Istoriche delle Chiese e dei Conventi dei frati Minori dell’Osservante e riformata Provincia di Bologna, I, Parma 1760, pp. 418 s.; II,  pp. 101-103; G. Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana, IV, Modena 1774, pp. 172 s.; L.A. Muratori, Annali d’Italia e altre opere varie, III, Milano 1838, pp. 339, 389; A. Tassoni, La secchia rapita poema eroicomico con annotazioni e col canto dell’Oceano, Firenze 1824, pp. 4, 44; G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, IV/1, Pavia 1830, p. 120; B. Corio, Storia di Milano eseguita sull’edizione principe del 1503, Milano 1855, I, p. 482; Dei beati G. Rangoni e Gherardo Boccabadati di Modena dell'ordine dei frati minori, dissertazione dell'abate Girolamo Tiraboschi edita per cura del dott. Luigi Maini, con addizioni relative specialmente alla vita del beato Gherardo Boccabadati, Modena 1856; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel secolo XIII, Rimini 1862, pp. 209 s.; Dizionario generale di Scienze, Lettere e Arti, Storia e Geografia, XIX, Torino 1864, p. 216; Fra Panfilo da Magliano, Storia compendiosa di San Francesco e dei Francescani, I, Roma 1874, p. 439; Alessandro Tassoni, La secchia rapita. L’oceano e le rime a cura di G. Rossi, Bari 1930, Libro I, vv. 110-112, Libro III, vv. 281-288; Z. Zafarana, Boccadati, Gherardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, X, Roma 1968, pp. 822 s.; A. Turchini, Comune di Rimini e famiglia Malatesta. Gli Archivi Antichi, Cesena 2009, p. 358; G. Francesconi, Districtus civitatis Pistorii: strutture e trasformazioni del potere in un contado toscano, Pistoia 2007, p. 223; G.M. Varanini, San Bonifacio, in Dizionario Biografico degli Italiani, XC, Roma 2017, pp. 121-126

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