GHERARDO da Cremona

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHERARDO (Gerardo) da Cremona

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Nacque nel 1114, presumibilmente a Cremona. La data di nascita si ricava dal brano di una breve biografia che sarebbe stata redatta da alcuni suoi socii (colleghi e discepoli) non molto tempo dopo la sua morte (i più antichi manoscritti che la tramandano sono datati al XIII sec.), nella quale si afferma: "Viam autem uniuerse carnis ingressus est anno vite sue lxxiij°, in anno domini nostri Jesu Christi M°clxxx septimo" (Sudhoff, 1914-15, p. 76). Non è noto dove egli abbia compiuto gli studi, anche se si può ipotizzare che possa aver frequentato la scuola capitolare di Cremona. In un testimone del Super viaticum Costantini, un commento all'opera del traduttore dell'XI secolo Costantino Africano (attribuito anche allo stesso G.), egli viene indicato come "Girardus Cremonensis, professione philosophus" (cfr. Morpurgo, p. 53). Intorno al 1144 era già a Toledo, dove si sarebbe recato mosso dal desiderio di apprendere la lingua araba al fine di accostarsi direttamente alla cultura scientifica e filosofica prodotta e trasmessa in ambito mozarabico.

La presenza a Toledo è avvalorata dai documenti presenti nel cartolario della locale cattedrale, dove, fra il maggio 1157 e il marzo 1176, compare quale componente del capitolo un "Girardus" che è stato identificato con Gherardo. Nel primo documento G. sottoscrive con l'appellativo di "magister Girardus" una costituzione del vescovo Giovanni (Hernández, pp. 119 s.); in questo stesso documento compare fra i sottoscrittori anche "Gondisalvus archidiaconus", nel quale è stato identificato Domenico Gundisalvo (Gundissalinus), anch'egli traduttore dall'arabo. Nel secondo documento (marzo 1174) G. sottoscrive con la formula: "Ego G.(eraldus) dictus magister confirmo" (ibid., pp. 165 s.). Nel documento del 1° marzo 1176 la sottoscrizione riporta in forma estesa: "Ego Girardus dictus magister" (ibid., pp. 174 s.). Forse è da ravvisare lo stesso G. in quel "Geraldus diaconus" che sottoscrive un documento dell'11 marzo 1162 relativo alla concessione in favore del priore e dei canonici di S. Agostino della chiesa toledana S. Leocadia (ibid., pp. 134 s.). Quest'ultima fonte potrebbe confermare l'ipotesi che G. avesse preso almeno gli ordini minori.

Una preziosa testimonianza sulla sua attività di magister a Toledo si trova nell'ultimo capitolo della Philosophia di Daniel da Morley, dove l'autore ricorda che: "Cum vero predicta et cetera talium in hunc modum necessario evenire in Ysagogis Yapharis auditoribus suis affirmaret Girardus Tolethanus, qui Galippo mixtarabe interpretante Almagesti latinavit, obstupui ceterisque, qui lectionibus eius assidebant, molestius tuli eique velut indignatus Homiliam beati Gregorii, in qua contra mathematicos disputat, obieci". Di seguito il brano riporta una discussione avvenuta tra lo stesso Daniel e G. sull'influenza degli astri nel determinare il destino dell'uomo. Di un dialogo di argomento medico fra G. e alcuni suoi socii si ha testimonianza nel già ricordato commento al Viaticum Costantini (cfr. Morpurgo, pp. 53 s.).

G. morì nel 1187, probabilmente a Toledo, come si ricorda nell'elogio che si trova al termine della Vita: "Toleti uixit, Toletum reddidit astris" (Sudhoff, 1914-15, p. 80). Il domenicano Francesco Pipino, autore di un Chronicon risalente agli inizi del XIV secolo, che dovette avere notizia della Vita redatta dai socii, sostiene che: "sepultus est Cremonae in monasterio Sanctae Luciae" (col. 601); la stessa notizia ("oblatus… in ecclesia S. Luciae de Cremona") si ritrova anche nell'explicit di un ms. fiorentino contenente una traduzione di G. (Bibl. Medicea Laurenziana, LXXIII.23; cfr. Bandini, col. 48). Contro la testimonianza della Vita, C.A. Nallino (in Enc. Italiana) ha sostenuto che G. sarebbe invece morto a Cremona.

Il lungo soggiorno toledano di G. fu impegnato in massima parte nella attività di traduzione di opere scientifiche e filosofiche dalla lingua araba. È stata a lungo sostenuta la presenza a Toledo, nel corso del XII secolo, di una vera e propria scuola di traduttori dall'arabo, di cui G. sarebbe stato uno dei più importanti esponenti insieme con Giovanni da Siviglia (Iohannes Hispalensis) e Domenico Gundisalvo. In Toledo doveva essere senz'altro presente una scuola cattedrale, legata quindi alla formazione del clero, esigenza questa particolarmente sentita dopo che, riconquistata dall'esercito cristiano di Alfonso VI (1085), la città era diventata capitale del Regno di Castiglia. Sia la testimonianza del cartolario, sia quella di Daniel da Morley relative a G. sono fra i documenti principali presi a fondamento dell'ipotesi della presenza di una vera e propria scuola a Toledo nel XII secolo della quale l'attività di traduzione dall'arabo sarebbe stata il fulcro (cfr. d'Alverny, 1982, pp. 444-457 e Burnett, 1995), ma la discussione storiografica è ancora in atto. Anche la Vita sarebbe testimonianza di una attività in qualche modo organizzata del lavoro di traduttore di G., compiuto, singolarmente o con la collaborazione di altre figure, come il "Galippus" (Galib) mozarabo ricordato da Daniel da Morley (cfr. Vernet, p. 93 e Jacquart, Les traductions, 1990, p. 62).

L'importanza della Vita quale fonte dell'attività svolta a Toledo da G. risiede non tanto nelle indicazioni biografiche, che sono piuttosto scarne, quanto nella presenza di un elenco di 71 traduzioni. Secondo gli stessi autori l'elenco venne redatto al fine di evitare che altri potessero appropriarsi della loro paternità: "Ne per presumptuosam rapinam libris ab ipso translatis titulus infingatur alienus" (Sudhoff, 1914-15, p. 75). È da notare che la Vita con l'annesso elenco è riportata, dai manoscritti che la trasmettono, alla fine della traduzione compiuta da G. dell'opera Microtegni (Ars parva) di Galeno accompagnata dal commento di 'Alī ibn Ridwān; anche gli allievi di Galeno avevano lasciato un ricordo del maestro con un elenco delle sue opere, e a questa tradizione si rifanno esplicitamente gli autori della vita di G.: "Cuncta opera ab eodem translata […] inmitando Galieni de commemoracione suorum librorum, in fine eiusdem per socios ipsius diligentissime fuerunt connumerata" (Sudhoff, 1914-15, p. 75). L'impostazione retorica della Vita, e quindi dell'elenco di opere, è stata presa come pretesto per sminuirne il valore (Lemay, 1978, pp. 173-175), anche se nel corso del tempo gran parte delle traduzioni di G. sono state riconosciute proprio grazie alla loro presenza nell'elenco dei socii. Questa fonte, oltre che da Sudhoff (1914-15, pp. 75-80), è stata edita da Boncompagni (pp. 3-7 dell'estr.), Wüstenfeld e, in traduzione inglese, da Mc Vaugh (1974, pp. 35-38).

Una suddivisione per discipline del corpus di traduzioni compiute da G., funzionale e coerente all'organizzazione del sapere nel XIII secolo, si ricava già dalla Vita ("cuncta opera ab eodem translata, tam de dialectica quam de geometrica, tam de astrologia quam de philosophia, tam de phisica quam de aliis scienciis", Sudhoff, 1914-15, p. 75), ed è stata ripresa in ultimo da R. Lemay (1978), che ne segue anche la numerazione. Altri studiosi (Steinschneider) hanno invece preferito classificare le traduzioni di G. secondo il nome degli autori, distinguendoli fra greci e arabi. Qui, pur mantenendo una sommaria ma sostanziale suddivisione per grandi aree disciplinari (filosofia, medicina, matematica, astronomia, più alcune opere alchemiche e geomantiche), si è preferito accorpare le traduzioni degli scritti aristotelici e pseudoaristotelici, mentre si è conservato alle altre opere, anche se dello stesso autore, il loro posto all'interno delle singole discipline.

Naturalmente, né tutte le opere presenti nell'elenco dei socii si possono identificare con precisione, né il numero delle opere ivi presente si può considerare definitivo. Fin dalle raccolte manoscritte del periodo immediatamente successivo a quello di attività di G., infatti, per un naturale processo di assimilazione, opere che si trovavano in rapporto di semplice contiguità materiale in uno stesso codice con traduzioni effettivamente compiute da G. gli sono state attribuite. Anche in tempi più recenti, sulla base di criteri diversi, da quello stilistico a quello fondato sulla contiguità nei manoscritti, si è avuto un allargamento del corpus di opere tradotte da G., al quale si è aggiunta anche l'attribuzione di opere originali di cui non vi è traccia nella Vita.

L'attività di G. ha avuto una notevole importanza per la trasmissione del sapere scientifico (teorico e pratico) in età medievale, anche se non tutte le sue traduzioni hanno avuto la stessa fortuna. Il suo metodo di traduzione, studiato solo per alcune opere (cfr. Minio Paluello, 1968; Opelt, 1960; Jacquart, Les traductions, 1990), è conforme al metodo di molti traduttori dall'arabo a lui contemporanei, che si caratterizzava per la tecnica "a calco" (verbum de verbo), la quale, a scapito della correttezza dell'organizzazione sintattica della frase latina, riproduceva il periodo arabo parola per parola. Nel XIII secolo Ruggero Bacone criticava le traduzioni aristoteliche di G. riscontrandovi imperizia linguistica e filosofico-scientifica: "Alii vero qui infinita quasi converterunt in latinum ut Gerardus Cremonensis, Michael Scotus, Alvredus Anglicus, Hermannus Alemannus nec linguas scirent, etiam non latinam" (cfr. Grabmann, p. 59); più di recente la fedeltà al testo arabo è stata invece riconosciuta come una importante qualità delle sue traduzioni.

La prima traduzione di G. nominata nella vita dei socii è quella degli Analytica posteriora di Aristotele (elenco Sudhoff, n. 1). Dagli studi di L. Minio Paluello, che hanno portato all'edizione della traduzione di G. all'interno del corpus dell'Aristoteles Latinus, si ricava che G. avrebbe usato per la sua traduzione (detta "Translatio Gerardi") non la traduzione araba compiuta da Abū Bishr Mattà, come aveva creduto lo Steinschneider (p. 16), ma la traduzione di un anonimo, il cui testo in alcune parti si avvicina a quello di Abū Bishr Mattà. Il testo della traduzione gherardiana è in Aristotele, Analytica posteriora, a cura di L. Minio Paluello - B.G. Dod, Leiden 1968, pp. 187-282 (Aristoteles Latinus, IV, 3). Degli Analytica posteriora non si disponeva al tempo di G. di una versione latina affidabile; contemporanea alla traduzione gherardiana, e di maggiore fortuna, fu la traduzione greco-latina di Giacomo Veneto. L'importanza della traduzione del testo aristotelico compiuta da G., così come della sua traduzione della parafrasi degli Analytica posteriora aristotelici di Temistio risiede però nell'aver reso disponibili in latino i testi (l'uno più completo, ma anche di più difficile lettura, l'altro più accessibile) fondativi delle modalità dell'argomentazione scientifica (nella traduzione dall'arabo il titolo degli Analytica posteriora è De demonstratione), coerentemente con le scelte generali dell'attività di traduttore di G., che, come vedremo, fece soprattutto versioni latine di opere di scienza e di filosofia della scienza (cfr. Hugonnard-Roche, pp. 46 s.). Della parafrasi degli Analytica posteriora aristotelici di Temistio tradotta da G. (elenco Sudhoff, n. 2) non ci è pervenuto il testo arabo. La traduzione è stata pubblicata da J.R. O'Donnell sulla base di tre manoscritti, il migliore dei quali è conservato a Toledo, Biblioteca capitular, ms. Lat. 17.14, cc. 54r-77v: Themistius' Paraphrasis of the Posterior Analytics in Gerard of C.'s translation, in Mediaeval Studies, XX (1958), pp. 239-315. Il testo della traduzione si interrompe al capitolo 19 del secondo libro.

Le altre opere aristoteliche tradotte da G. appartengono al gruppo degli scritti di filosofia naturale: si tratta della Physica, del De caelo, del De generatione et corruptione e dei Meteora. La traduzione della Physica aristotelica (detta "Physica Cremonensis"), n. 34 dell'elenco Sudhoff ("Liber Aristotelis de naturali auditu tractatus VIII") è ancora inedita e non ebbe una grande diffusione: cfr. Aristoteles Latinus (VII, 1), Physica. Translatio vetus, a cura di F. Bossier - J. Brams, Leiden-New York 1990, pp. LI-LIV.

La traduzione di G. del De caelo (detta "Translatio vetus", elenco Sudhoff, n. 35), condotta su un testo arabo attribuito a Yahyā ibn al-Bitrīq, ebbe una discreta fortuna: unica traduzione in uso nelle scuole fino all'inizio del XIII secolo, essa è conservata in un centinaio di manoscritti. Il testo della traduzione gherardiana è stato edito da I. Opelt in calce all'edizione del De caelo et mundo di Alberto Magno (Opera omnia, V, 1), a cura di P. Hossfeld, Monasterii Westfalorum 1971; sulla traduzione gherardiana cfr. Opelt, 1960 e Kingsley. La versione di G. è presente a Milano, Bibl. Trivulziana, cod. 764, del XIII sec., che conserva anche altre traduzioni di G. di opere aristoteliche o pseudoaristoteliche (cfr. Aristoteles Latinus. Codices, II, pp. 997 s.).

Ancora inedita è la traduzione del De generatione et corruptione (detta "Translatio Cremonensis"; elenco Sudhoff, n. 37), trasmessa da 8 manoscritti. L'originale arabo non ci è pervenuto: si può però ipotizzare che l'antecedente di G. sia la traduzione araba di Ishāq ibn Hunayn (cfr. Serra, 1973, pp. 386 s.; cfr. anche Aristoteles Latinus (IX, 1), De generatione et corruptione. Translatio vetus, a cura di J. Judycka, Leiden 1986, pp. IX s.). Un brano della traduzione è stato pubblicato da A. Jourdain, Recherches critiques sur l'âge et l'origine des traductions latines d'Aristote, Paris 1943 (rist., New York 1960), pp. 120 s. e 411 s.

Maggiore fortuna ebbe invece la traduzione compiuta da G. dei primi tre libri dei Meteora (detta "Translatio vetus", elenco Sudhoff, n. 38). In realtà G. avrebbe compiuto la traduzione anche del quarto libro del trattato aristotelico, ma nei manoscritti che hanno tramandato il testo dei Meteora alla versione gherardiana dei primi tre libri si accompagna sempre la traduzione del quarto libro che dal greco ne diede Enrico Aristippo. Un unico frammento del primo capitolo del quarto libro nella traduzione di G. si conserverebbe in un ms. parigino (Bibl. nat., Fonds Latin, 6325) e venne scoperto da F.H. Fobes. L'edizione del primo libro della traduzione di G. si deve a P.L. Schoonheim, Aristoteles' Meteorologie in arabischer und lateinischer Übersetzung. Textkritische Ausgabe des ersten Buches, Leiden 1978.

G. tradusse anche alcuni scritti pseudoaristotelici. Il Liber de causis ("Liber aristotelis de expositione bonitatis pure", n. 33 dell'elenco Sudhoff). Attribuito ad Avendauth, un contemporaneo di G. vissuto anch'egli a Toledo, oppure a un ignoto compilatore vissuto a Baghdād fra il X e l'XI secolo, il Liber de causis ebbe una notevole fortuna durante il Medioevo nella traduzione latina di G., sulla quale venne condotto il commento di s. Tommaso, il quale per primo riconobbe l'inautenticità dell'attribuzione ad Aristotele e la diretta derivazione del Liber de causis dall'Elementatio theologica di Proclo. Il testo latino del Liber de causis nella traduzione di G. si trova pubblicato in O. Bardenhewer, Die pseudo-aristotelische Schrift Über das reine Gute bekannt unter dem Namen Liber de causis, Freiburg i.Br. 1882 (ristampa Frankfurt a.M. 1961), pp. 163-191 e in A. Pattin, Le Liber de causis. Édition établie à l'aide de 90 manuscrits, in Tijdschrift voor philosophie, XXVIII (1966), pp. 90-203.

Altro scritto pseudoaristotelico tradotto da G. è il De causis proprietatum elementorum (o De elementis) ("Liber Aristotilis de causis proprietatum et elementorum quatuor; tractatum autem secondum non transtulit, eo quia non invenit eum in arabico nisi de fine eius parum", n. 36 dell'elenco Sudhoff), del quale, secondo la testimonianza dell'elenco dei socii, confermata anche dalla tradizione manoscritta, G. tradusse però solo il primo libro (cfr. Aristoteles Latinus, I, pp. 91 s., che fa riferimento al cod. conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, n. 764, c. 72r: "Tractatus primus de causis proprietatum et elementorum quatuor translatus a magistro Girardo Cremonensi in Tolleto"). La traduzione di G. è pubblicata in Alberto Magno, Opera omnia, V, 2, a cura di P. Hossfeld, Monasterii Westfalorum 1980, pp. 47-106 (cfr. Schmitt - Knox, p. 20, e d'Alverny, 1986).

G. avrebbe tradotto anche il De lapidibus pseudoaristotelico, ma la versione gherardiana, che non compare nell'elenco dei socii, non è stata individuata con precisione (cfr. Schmitt - Knox, pp. 37 s.).

Di Alessandro di Afrodisia G. tradusse alcuni brevi trattati, di cui non si conosce l'originale greco, e che sono probabilmente brani tratti da opere più ampie. Nell'elenco Sudhoff i trattati sono uniti sotto un'unica voce, corrispondente al n. 39: "Tractatus unus Alexandri Afrodysij de tempore et alius de sensu et alius de eo, quod augmentum et incrementum fuit in forma et non in yle". Si tratta di: De sensu et sensato, forse parte di un commento perduto al De anima aristotelico, pubblicato da Théry (pp. 86-91); De motu et tempore, tratto forse da un commento alla Fisica di Aristotele (ibid., pp. 92-97); De augmento, forse un breve estratto dal commento al De generatione et corruptione di Aristotele, tradotto in arabo da Hunayn ibn Ishāk (ibid., pp. 99 s.). A G. è stata attribuita, ma con riserve, anche la traduzione del trattato di Alessandro di Afrodisia De intellectu et intellecto (ibid. pp. 74-82). È da ascrivere ad al-Kindī e non ad Alessandro di Afrodisia un trattato De unitate, la cui traduzione, non presente nell'elenco dei socii, è attribuita a G. da F. Wüstenfeld; l'attribuzione del trattato ad Alessandro è ripresa acriticamente da G. Sarton (p. 340) e discussa da Lemay, 1978, pp. 180 s.

Al n. 3 dell'elenco dei socii, quindi immediatamente dopo l'indicazione della traduzione degli Analytica posteriora e della parafrasi temistiana degli stessi Analytica, compare l'indicazione della traduzione di un "Liber Tetarabij de sillogismo", che presenta notevoli difficoltà di identificazione fra le traduzioni latine delle opere di al-Fārābī. Minio Paluello (1951, p. 123 n. 1), basandosi probabilmente proprio sul luogo in cui si trova indicato il testo nell'elenco dei socii, lo identifica senz'altro con una traduzione latina perduta del commento di al-Fārābī ai Secondi Analitici. Più di recente, e anche sulla base dello studio di M. Grignaschi (1972), H. Hugonnard-Roche (pp. 47 s.) ha concluso: "On ne connait pas, en effet, de version latine d'un traité d'al-Fārābī qui porte ce titre… Le titre De syllogismo figurant sur la liste des traductions de Gérard suggère que celui-ci a traduit un texte du savant arabe se rapportant aux Premiers Analytiques, à moins qu'il n'y ait eu erreur sur l'identification du traité en question, et que ce titre ne recouvre un traité concernant les Seconds Analytiques, ce qui semblerait mieux correspondre aux préoccupations de Gérard. Étant donné, d'autre part, que plusieurs traités d'al-Fārābī sur le syllogisme sont conservés en arabe, il est impossible, dans l'état actuel de nos [sic] connaissance, d'identifier l'ouvrage traduit par Gérard. Il reste que cette traduction concourait, de toute évidence, à l'exécution du grand dessein formé par Gérard de réunir, en version latine, quelques-uns des plus importants ouvrages touchant la théorie de la science". Ancora Hugonnard-Roche ha notato che in Lemay (1978) viene dato come incipit della traduzione di questo trattato di al-Fārābī l'incipit della traduzione di G. di un'altra opera di al-Fārābī, il De scientiis (n. 42 dell'elenco Sudhoff). Si tratta di un'importante opera di sistematizzazione del sapere che venne usata, forse proprio nella traduzione di G., da Domenico Gundisalvo per la sua De divisione philosophiae, testo importante per la riforma e riorganizzazione delle discipline del quadrivio che avvenne proprio nel corso del XII secolo (cfr. Beaujouan). La traduzione di G. è stata edita, insieme con l'originale arabo in al-Fārābī, Catálogo de las ciencias… segunda edición, a cura di A. Gonzáles Palencia, Madrid 1953, pp. 119-176, sulla base del testo trasmesso dal codice parigino, Bibl. nat., Fonds Latin, 9335, che rappresenta il più importante testimone delle traduzioni gherardiane.

G. ha tradotto anche la "Distinctio Affarabij super librum Aristotilis de naturali auditu", n. 40 dell'elenco dei socii. Si tratta di una esposizione del testo della Physica di Aristotele (da non confondere con il vero e proprio commento di cui al-Fārābī avrebbe fornito il testo aristotelico, presumibilmente tradotto dallo stesso G.), la cui traduzione di G. della parte dedicata al quarto libro della Physica è pubblicata da A. Birkenmajer, Eine wiedergefundene Übersetzung Gerhards von C., in Aus der Geisteswelt des Mittelalters. Studien und Texte Martin Grabmann zur Vollendung des 60. Lebensjahres von Freunden und Schülern gewidmet, a cura di A. Lang - J. Lechner - M. Schmaus, I, Münster 1935, pp. 472-481 (il testo è alle pp. 475-481; cfr. Salmon, pp. 251-256).

Non compare nell'elenco dei socii il Flos Alfarabi secundum sententiam Aristotelis, versione latina di alcuni paragrafi delle Fontes questionum, attribuite ad al-Fārābī. Recentemente Serra ha proposto di riconoscere, seppure in forma dubitativa, la paternità gherardiana della traduzione di quest'opera (cfr. Serra, 1993, pp. 51-63; alle pp. 64-66 è pubblicato il testo).

G. ha compiuto la versione latina di alcuni trattati di al-Kindī: nell'elenco dei socii, oltre a opere filosofiche, sono presenti anche un trattato di medicina e uno di ottica. La traduzione dei trattati filosofici è stata pubblicata in Die philosophischen Abhandlungen des Ja'qūb ben Ishāq al-Kindī, a cura di A. Nagy, Münster 1897. Si tratta del "Verbum Jacob Alkindi de intentione antiquorum in ratione, translatum a magistro Gerardo Cremonensi" (Liber Alkindi de intellectu [et intellecto]), pp. 1-11, non presente nell'elenco dei socii (su questo testo cfr. Jolivet); sull'identificazione di questo trattato, che si confonde all'interno della vasta trattatistica filosofica sull'argomento cfr. Lemay, 1978, p. 181. Più sicura, grazie anche alla presenza nell'elenco dei socii (n. 43), è l'identificazione del Liber de somno et visione quem edidit Jacobus Alchindus, magister vero Gerardus Cremonensis transtulit ex arabico in latinum (pubblicato da Nagy, in Die philosophischen Abhandlungen, cit., pp. 12-27), e dell'importante Liber de quinque essentiis (elenco, n. 41, pubblicato ibid., pp. 28-40). Per il rapporto tra il lessico filosofico usato da G. in questo trattato, quello da lui stesso usato nella traduzione del De scientiis di al-Fārābī e quello dei trattati e traduzioni sullo stesso argomento di Ermanno di Carinzia e di Domenico Gundisalvo, cfr. Lemay, 1978, pp. 181 s.

Tra filosofia e medicina si situano le traduzioni dei due trattati di Isaac Israeli, medico ebreo vissuto in Egitto nel X secolo. Si tratta del De elementis (n. 54 elenco Sudhoff) e del De definicionibus (n. 55 elenco Sudhoff), la cui traduzione latina è stata attribuita anche a Costantino Africano. Il testo del De elementis si legge ancora nell'ed. degli Opera omnia di Isaac Israeli, Lugduni, Johannis de Platea, 1515, cc. IVv-Xv. Il De definicionibus è stato edito in J.T. Muckle, pp. 300-328. Un elenco dei manoscritti del De definicionibus più completo di quello usato dal Muckle è in d'Alverny, 1986, pp. 74 s. Su Isaac Israeli cfr. Ullmann, pp. 137 s.

G. è considerato, insieme con Costantino Africano, il più importante mediatore di sapere medico dell'età medievale, e in particolare delle conoscenze e del lessico della medicina che del mondo antico vennero rifondati e rielaborati grazie alla lezione degli scienziati arabi. G. ha tradotto, fra le altre, opere di Ippocrate, Galeno, al-Razī e Avicenna, e fra le sue opere originali vi sarebbero proprio alcune opere mediche.

Di Ippocrate G. ha tradotto l'Acutorum (morborum)regimen (o Dieta acutorum) insieme con il commento di Galeno ("Expositiones Galieni super librum Ypocratis de regimine acutorum [sic] egritudinum tractatus I", n. 45 dell'elenco Sudhoff), sulla tradizione del quale cfr. Kibre, 1975, pp. 103-123. Vedi anche: Sezgin, III, pp. 33 s., 118; Ullmann, p. 51 n. 61. La traduzione del trattato di Ippocrate compare in alcuni manoscritti come opera di Costantino Africano. Al n. 52 dell'elenco compare il "Liber de expositione libri Ypocratis in pronosticatione tractatus III". Sulla tradizione dei Prognostica di Ippocrate cfr. Sezgin, III, pp. 32, 123; Ullmann, p. 50 n. 59 e Kibre, 1981, pp. 267-289. Il "Liber veritatis Ypocratis" (n. 53 dell'elenco dei socii) è da identificare con lo scritto pseudoippocrateo Capsula eburnea, sul quale cfr. Sudhoff, 1915; Ullmann, pp. 33 s. n. 29; Kibre, 1978, pp. 194 s., 199-207.

Oltre ai commenti alle opere ippocratee e pseudoippocratee ora ricordate, G. ha tradotto diversi trattati di Galeno. Jacquart (Les traductions, 1990, pp. 57 s.) ha sottolineato l'importanza delle traduzioni galeniche compiute da G., passate in secondo piano rispetto alle versioni degli scritti dei medici arabi (al-Razī, Avicenna e altri) anche per la mancanza di uno strumento di ricerca del tipo dell'Hippocrates Latinus. È da riconoscere nel n. 44 della lista dei socii ("Liber Galieni de elementis") il De elementis Galieni secundum Hippocratem, per il quale cfr. Sezgin, III, pp. 86 s., Ullmann, pp. 38 s. n. 4 e Kibre, 1978, pp. 219-221. Altre testi galenici tradotti da G. sono il De complexionibus (elenco Sudhoff, n. 47), sul quale, oltre a Sezgin, III, p. 87 e Ullmann, p. 39 n. 5, si può vedere Thorndike, 1958. La traduzione di G. di questo trattato è stata stampata all'interno della grande raccolta di testi di Galeno stampata alla fine del XV secolo: Galenus, Opera, Venetiis, Philippus Pincius, 1490 (cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke, n. 10481). A esso segue nell'elenco il De malicia complexionis diverse (elenco Sudhoff, n. 48), sul quale cfr. Sezgin, III, p. 109 e Ullmann, p. 39 n.7; il De simplici medicina (elenco Sudhoff, n. 49) sul quale cfr. Sezgin, III, pp. 109 s. e Ullmann, pp. 47 s. n. 49; il De criticis diebus (elenco Sudhoff, n. 50), sul modo di determinare i giorni critici nel decorso di una malattia cronica o acuta (cfr. Sezgin, III, p. 96 e Ullmann, p. 43 n. 30) e il De crisi (elenco Sudhoff, n. 51). Sulla tradizione della traduzione arabo-latina del De crisi galenico cfr. l'edizione del testo greco a cura di B. Alexanderson, Stockholm 1967, pp. 51-53; Sezgin, III, p. 95 e Ullmann, p. 43 n. 29.

Particolarmente importante fra le traduzioni di Galeno risulta l'Ars parva (Tegni o Microtegni) con il commento del medico arabo 'Alī ibn Ridwān (n. 64 della lista dei socii). È da ricordare che proprio in calce ad alcuni esemplari manoscritti di quest'opera si trovano la Vita di G. e l'elenco delle sue traduzioni: qui l'Ars parva con il commento di 'Alī ibn Ridwān sono detti "novissime ab eo translati" (Sudhoff, 1914-15, p. 75). Si tratterebbe dunque di una fra le ultime opere a essere stata tradotta e, quindi, una delle poche versioni di G. a poter essere datata, seppur con una certa approssimazione. Sul rapporto tra la traduzione di G., le altre traduzioni e i commenti medievali, e sulla fortuna della traduzione stessa cfr. Ottosson, pp. 25-28; cfr. anche Sezgin, III, p. 81 e Ullmann, p. 45. Non fa parte dell'elenco la traduzione della Megategni di Galeno, che si ipotizza però che possa essere stata tradotta da G. (cfr. Jacquart, Les traductions, 1990, p. 58).

G. ha tradotto anche il De secretis (n. 46 della lista Sudhoff), un fortunato apocrifo di Galeno, o, meglio, un estratto da diverse sue opere. Un elenco dei mss. dell'opera si trova in Thorndike, 1947, p. 775; cfr. anche Sezgin, III, p. 126 e Ullmann, p. 60 n. 23.

Oltre alle opere filosofiche già ricordate, G. ha tradotto anche un trattato medico di al-Kindī, il Liber de gradibus ("Liber Jacob Achindi de gradibus tract. I", n. 62 dell'elenco dei socii), che tratta del rapporto matematico fra la quantità di farmaco da usare e l'efficacia di questo sulla malattia. Il trattato nella traduzione latina di G. è stato pubblicato all'interno degli Opera medica omnia di Arnaldo di Villanova, a cura di M.R. Mc Vaugh, II, Aphorismi de gradibus, Granada-Barcelona 1975, pp. 263-305.

G. ha tradotto le più importanti opere del medico arabo al-Razī. Si tratta del Liber ad Almansorem (n. 56 della lista Sudhoff), che conobbe una notevole fortuna come manuale di medicina durante il corso del Medioevo. La prima edizione venne pubblicata a Milano, per L. Pachel e U. Scinzeneler, nel 1481 (Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia [IGI], n. 8345), insieme con altre opere di al-Razī tradotte da Gherardo. Recentemente Jacquart, studiando la tradizione manoscritta del Liber ad Almansorem, ne ha riconosciuto due diverse versioni della traduzione latina e ha ipotizzato che G. sia stato l'autore di una sola delle due versioni, forse la revisione di una traduzione precedente compiuta da qualcuno dei suoi stessi collaboratori (Jacquart, 1994); la versione di G. è stata riprodotta nella maggior parte delle edizioni dell'opera fra il XV e il XVI secolo. Le altre opere di al-Razī tradotte da G. sono il Liber divisionum (n. 57 dell'elenco Sudhoff), pubblicato con il Liber ad Almansorem, e il Liber introductorius in medicinam parvus (n. 58 dell'elenco Sudhoff). Su queste opere cfr. Sezgin, III, pp. 280 s., 284; Ullmann, pp. 131 s.; Repertorium, p. 108 e Lemay, 1978, p. 183. Oltre alle opere che compaiono nella lista dei socii, è stato ipotizzato che G. abbia tradotto anche altre opere di al-Razī: il De iuncturarum egritudinibus, il De egritudinibus puerorum (queste due opere si trovano spesso congiunte all'interno della tradizione manoscritta sotto il titolo Experimenta Rasis), l'Antidotarium e il De preservatione ab egritudine lapidis. Lemay (1978, pp. 183 s.) ricostruisce lo status quaestionis sulla attribuzione a G. della traduzione di queste opere, dalle iniziali ipotesi di Wüstenfeld ai riscontri di Thorndike sulla tradizione manoscritta delle opere di al-Razī in traduzione latina; sulla base degli stessi riscontri non sembra da attribuire a G. la traduzione degli Aphorismi Rasis.

G. ha tradotto anche due scritti chimico-alchemici attribuiti ad al-Razī, il De aluminibus et salibus e il Liber luminis luminum, presenti nella lista dei socii ai nn. 66 e 67. Il De aluminibus et salibus è stato edito da R. Steele, Practical chemistry in the twelfth century. Rasis de aluminibus et salibus. Translated by Gerard of C., in Isis, XII (1929), pp. 14-42; il Liber luminis luminum è stato edito parzialmente da Ruska, pp. 61-65 (cfr. Repertorium, pp. 108 s. e Lemay, 1978, pp. 185 s.). Nell'elenco dei socii, al n. 65, come "Liber divinitatis", figura un altro scritto alchemico, il Liber divinitatis de LXX, attribuito all'autore arabo Yābir ibn Hayān. Il testo è stato edito da M. Berthelot (cfr. Ruska, pp. 40-45; Lemay, 1978, p. 185).

Altre opere di medicina tradotte da G. sono il Liber medicinarum simplicium et ciborum di Ibn al-Wāfid (Abenguefit, n. 59 della lista Sudhoff), un contemporaneo di G.; sul Liber medicinarum cfr. Sezgin, III, pp. 228 s. e Ullmann, pp. 210, 273.

La Practica Serapionis di Yahiā ibn Sarāfyūn ("Breviarius Sarapionis Johannis", n. 60 dell'elenco Sudhoff), pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1497 per B. Locatelli e O. Scoto (Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia [IGI], nn. 8924, 8926; v. anche Sezgin, III, p. 241 e Ullmann, pp. 102 s.), e la Chirurgia di Abū Qāsim Ibn 'Abbās Zahrāwī (n. 61 dell'elenco Sudhoff), fortunata sezione dell'opera enciclopedica al-Tasrīf; cfr. Sezgin, III, pp. 323-325 e Ullmann, pp. 149-151; la traduzione di G. è stata pubblicata da E. Irblich con la riproduzione in facsimile del ms. S.N.2641 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, I-II, Graz 1979-80.

G. tradusse anche un'altra importante summa del sapere medico medievale, il Canone di Avicenna (Ibn Sīnā) (elenco Sudhoff, n. 63: "Canon Auiceni tractatus V"). Fu tramite la traduzione gherardiana che il testo del medico e filosofo arabo venne conosciuto e divenne patrimonio dei medici e degli studiosi del Medioevo e di parte dell'Età moderna, fino a quando Girolamo Ramusio e Andrea Alpago, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, non intervennero sul testo della traduzione di G. per emendarla e per corredarla di indici più completi. La traduzione del Canone venne stampata per la prima volta in un incunabolo che non presenta né luogo né anno di edizione "per Adolfus Rusch" (cfr. Gesamtkatalogder Wiegendrucke, n. 3114, che identifica il luogo e il periodo di edizione: Strasburgo, ante 1473). Sulle edizioni successive cfr. Gesamtkatalog, nn. 3115-3127 e J.L. Choulant, Handbuch der Bücherkunde für die ältere Medicin, Leipzig 1841 (rist. anast. 1926), pp. 362-366. Sulla fortuna dell'opera fino a tutto il XVI secolo ha compiuto uno studio completo Nancy Siraisi. A G. è stata attribuita anche la prima traduzione di un'altra opera di sintesi della scienza medica di Avicenna, il Carmen de medicina, comunemente attribuita al medico francese Ermengaudus Blaise (Armengaudus Blasini, XIII secolo): cfr. Avicenna, Poème de la médecineCantica Avicennae, a cura di H. Jahier - A. Noureddine, Paris 1956, pp. 101 s. Anche la traduzione degli Aphorismi di Mesue (ibn Masawayhī), che non compare nella lista dei socii, è stata attribuita a G., cfr. Lemay, 1978, p. 188.

A G. è stato attribuito sulla base della testimonianza di alcuni manoscritti un commento al Viaticum di Costantino Africano, testo interessante perché al suo interno sono presenti espressioni di polemica nei confronti delle scuole mediche di Salerno e di Montpellier (cfr. Morpurgo, pp. 53 s.). Secondo Wüstenfeld G. avrebbe composto anche alcune glosse a due opere di Isaac Israeli, il Viaticum e le Dietae universales, e una Summa de modo medendi et ordine curandi (cfr. Lemay, 1978, p. 189).

"Amore tantum Almagesti, quem apud Latinos minime reperit, Toletum perrexit": la Vita di G. redatta dai socii (ed. Sudhoff, p. 76) ricorda come G. si sia diretto a Toledo proprio con l'intento di conoscere più distesamente la principale opera astronomica di Tolomeo, ossia la Matematike syntaxis, conosciuta nel Medioevo con il nome di Almagestum e corrispondente al Liber Almagesti dell'elenco gherardiano (n. 22).

Non è noto quando G. abbia intrapreso la traduzione della summa astrologica di Tolomeo. Quando Daniel da Morley assistette intorno al 1170 alle lezioni toledane di G., quest'ultimo era già noto per aver tradotto ("latinavit") proprio l'Almagesto. Un manoscritto laurenziano (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, LXXXIX. sup. 45) contenente la versione di G. reca come data di composizione del codice l'anno 1175: i primi anni Settanta del XII secolo devono quindi essere accolti come terminus ante quem di questa traduzione da parte di Gherardo. A parere di P. Kunitzsch proprio la traduzione dell'Almagesto accompagnò G. lungo tutta la sua permanenza a Toledo. Edita una prima volta a Venezia nel 1515 (Almagestum Claudii Ptolomei Pheludiensis Alexandrini Astronomorum princeps, per Petrum de Liechtenstein, Venetiis 1516, cfr. Carmody, p. 15; Stillwell, nn. 97, 215), la traduzione dell'Almagesto è stata oggetto di studio da parte del Kunitzsch (1974, 1990, 1991, 1993), che ha anche edito il cosiddetto "Catalogo delle stelle", forse la più nota e diffusa sezione dell'opera (corrispondente al libro VII, cap. 5 - libro VIII cap. 1), dove è presente una lista di 1025 stelle disposte in 48 costellazioni e descritte nella loro longitudine, latitudine e grandezza (P. Kunitzsch, Claudius Ptolomäus. Der Sternkatalog des Almagest. Die arabisch-mittelalterliche Tradition, II, Die lateinische Übersetzung Gerhards von C., Wiesbaden 1990).

A lungo controversa è stata l'attribuzione a G. della paternità di un'opera, nota con il titolo di Theorica planetarum, una sorta di compendio dell'Almagesto volto a illustrare i movimenti delle sfere celesti e quelli della Terra. La Theorica planetarum è stata edita diverse volte nel corso del XV secolo sia singolarmente (cfr. IGI, nn. 4227 s.), sia unita alla Sphaera mundi di Giovanni da Sacrobosco (IGI, nn. 5337-5340, 5342); ed è stata oggetto di studio da parte di Carmody, che ne ha proposto una nuova edizione (Theorica planetarum Gherardi, Berkeley-Los Angeles 1942). Carmody però, sulla scorta di Boncompagni e di Nallino (Il G. Cremonese…) ha attribuito l'opera a Gherardo di Sabbioneta, un astronomo padano vissuto nella seconda metà del XIII secolo, autore di consultazioni astrologiche (iudicia) redatte tra il 1255 e il 1260 (alcuni excerpta di queste, commissionate anche da piccoli feudatari padani quali Buoso da Dovara e Umberto Pallavicino, furono editi da Boncompagni, pp. 74 s., dal manoscritto della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4083). L'attribuzione a Gherardo da Sabbioneta (ancora riconfermata in Lexikon des Mittelalters, IV, 2, 1989, col. 1436, e nel Gesamtkatalog der Wiegendrucke, IX, 1991, coll. 407 s.) è stata però negata, in favore di G., da Sezgin (IV, p. 45), nonché da Lemay (1978, p. 189), che qualifica la Theorica…, testo base fra l'altro per l'insegnamento dell'astronomia nelle facoltà d'arti nel corso del XIII e XIV secolo, come "original work" di G. da Cremona. Tale attribuzione accolta con maggiore prudenza da altri studiosi (cfr. Federici Vescovini, 1990, che ritiene che l'opera "possa attribuirsi probabilmente a Gherardo da Cremona o a Gherardo unitamente a Giovanni da Siviglia", p. 120) è ancora oggetto di discussione: la paternità di G. per esempio non è accolta da O. Pedersen. Di questo testo dovette anche esistere una versione in catalano conservata un tempo in un codice, ora scomparso, della Biblioteca Fabroniana di Pistoia (cfr. Pernau Espelt, che attribuisce l'opera a Gherardo da Sabbioneta).

Con il titolo di "Liber Affagani continens capitula XXX" (n. 21 dell'elenco) i socii ricordano la traduzione dell'opera dell'astronomo persiano al-Fargānī (Alfraganus), un breve compendio dell'Almagesto (edita da R. Campani, Il Libro dell'aggregazione delle stelle, Città di Castello 1910, cfr. Repertorium, p. 104). Secondo Kunitzsch (1990) il Liber Affagani fu tradotto da G. prima dell'Almagesto in funzione propedeutica, al fine di affrontare, con più esperienza, l'opera maggiore dell'astronomo egiziano. G. tradusse anche il "Liber introductoriis Ptolomei ad artem spericam" (n. 23), ritenuta da K. Manitius la traduzione dall'arabo di un'opera di Geminio da Rodi (alcuni frammenti sono editi dal Manitius in appendice alla sua edizione di Geminio degli Elementa astronomiae, Lipsiae 1898, pp. 285-289; ma cfr. anche Lemay, 1978, p. 178, il quale ritiene che il testo originale tradotto da G. sia opera di un autore arabo).

Il "Liber Messohala de orbe" (n. 25) corrisponde al De elementis et orbibus celestis, opera dell'astronomo Mašallāh vissuto a Baghdād a cavallo fra l'VIII e il IX secolo. La traduzione del De elementis…, il cui originale in lingua araba non ci è pervenuto, è edito in J. Stabius, De scientia motu orbis, Norimbergae 1504 e in J. Heller, De elementis et orbibus coelestis liber antiquus Messahalae…, ibid. 1549. Nell'elenco gherardiano sono presenti due trattati dell'astronomo e matematico Thābit ibn Qurra (m. 801): si tratta del "Liber de expositione nominum Thebit Almagesti…" e del "Liber Tebith de motu accessionis et recessionis…" (nn. 28 s.). Il primo (noto anche con il titolo De hiis que indigent expositione antequam legatur Almagesti) è costituito da una breve introduzione all'Almagesto (edito da F.J. Carmody in Four Latin tracts of Thābit ben Qurra, Berkeley-Los Angeles 1940, pp. 14-19; riedito dallo stesso Carmody in The astronomical works of Thābit ben Qurra, ibid. 1960, pp. 131-139; un giudizio sul valore delle edizioni di Carmody in Kunitzsch, 1990, p. 78). La seconda opera, che tratta della teoria della trepidazione, ci è nota solo grazie alla traduzione di G., che è edita da Carmody, Four Latin Tracts…, cit., pp. 102-113 e da J. Millás Vallicrosa, Estudios sobre Azarquiel, Madrid-Granada 1943-50, pp. 496-509. Oltre alle opere ricordate dai socii G. tradusse anche, sempre di Thābit, un trattatello sul computo dell'anno solare chiamato da Carmody De anno solis (edito in The astronomical works, cit., pp. 63-78, cfr. anche per queste ultime due opere O. Neugebauer, Thābit ben Qurra. On the solar year and on the motion of the eighth sphere, in Proceedings of the American Philosophical Society, CVI [1962], pp. 264-299).

Il "Liber Iebri t. IX" (n. 24) tradotto da G. con il titolo De astronomia (edito in P. Apianus, Instrumentum primi mobilis, Norimbergae 1534, pp. 1-146; cfr. Repertorium, p. 105) è una rielaborazione critica in nove libri dell'Almagesto, opera di Jābir ibn Aflah (prima metà del secolo XII). A parere di Carmody (1956, p. 164) è da attribuire a Jābir anche la paternità di un altro trattato tradotto da G. con il titolo di Almagestum parvum (ma cfr. anche Lorch, che non ritiene l'Almagestum parvum opera di Jābir). Attribuita a G., anche se non inclusa nella lista dei socii, è la traduzione di un'opera di Ibn al-Haytham (noto anche come Alhazen), dal titolo Optica ed edita in F. Risnerus in Opticae Thesauri Alahzeni Arabis libri septem, nunc primi editi. Eiusdem liber de crepusculis et nubium ascensionibus…, Basileae 1572, pp. 1-252 (cfr. Repertorium, p. 106; cfr. anche A.I. Sabra, The Optics of Ibn al-Haytham, London 1989, pp. LXXIII s.). Della traduzione del Liber de crepusculis (n. 32) sono note due edizioni del XVI secolo in P. Nonius (P. Nuñez), De crepusculis liber unus, nunc recens et natus et editus. Item Allacen Arabis vetustissimi, de causis crepuscolorum…, Olyssipone 1542, pp. 64-72 e nella già segnalata edizione della traduzione dell'Optica, pp. 283-288 (cfr. anche Lindberg, 1975, p. 16). L'opera è comunemente attribuita a Ibn al-Haytham, anche se si è fatta strada l'ipotesi che essa sia piuttosto da attribuire all'astronomo mozarabo Abu 'Abdallah ibn Mu'ādh (sec. XI): cfr. A.I. Sabra, The authorship of the Liber de crepusculis, an eleventh-century work on atmospheric refraction, in Isis, LVIII (1967), pp. 77-85. Tale paternità dell'opera è riconfermata nella traduzione del Liber proposta da A.M. Smith, The Latin version of Ibn Mu'ādh's treatise On twilight and of the rising of clouds, in Arabic sciences and philosophy, II (1992), pp. 83-132.

Fra le opere a carattere astronomico devono essere ricordate le traduzioni di G. del Liber Jahen ("Liber tabularum [et] Ahen cum regulis suis", n. 31) delle Tabulae Tholetanae (o Canones Tholetani) e del cosiddetto Calendario di Cordova (ossia il "Liber anoche et est tanquam sacerdotis mar' legium t. XIII", n. 71). Il Liber Jahen, una tavola astronomica computata sul meridiano della città di Jaén, è opera di Abu 'Abdallah ibn Mu'ādh, cui è stata attribuita, come già segnalato, la paternità del Liber de crepusculis, comunemente ritenuto opera di Ibn al-Haytham. La traduzione del Liber Jahen, della quale non sono noti i manoscritti, è edita in appendice all'opera di Mašallāh, indicata in precedenza, del De elementis et orbibus coelestis (Norimbergae 1549, a cura di J. Heller); benché nel volume non sia indicato l'autore della versione latina, questi viene comunemente indicato in G. (v. H. Hermelink, Tabulae Jahen, in Archive for history of exact sciences, II [1964], pp. 108-112; cfr. Mercier, p. 101). Le Tabulae Tholetanae sono opera dell'astronomo e matematico, contemporaneo di G., az-Zarqālī (Azarchèl). La traduzione non è ricordata esplicitamente nell'elenco dei socii, ma viene attribuita a G., "sulla scorta di esplicite attestazioni manoscritte" (Pizzamiglio, 1988, p. 33); delle Tabulae non sono note edizioni complete, ma solo frammentarie (cfr. Repertorium, p. 110, che confonde però quest'opera con il n. 31 dell'elenco gherardiano). Il Calendario di Cordova è un manuale di computo che indica la durata dei giorni nel corso dell'anno e le feste religiose cristiane; fornisce inoltre precetti medici e calcoli astrologici, nonché consigli sulle pratiche agricole. Il Calendario è il frutto della sovrapposizione di due opere di due distinti autori: il medico, lessicografo e poeta, 'Arib ibn Sa'd al-Qurtubī (cfr. Sezgin, VII, p. 355) e il vescovo di Elvira, vissuto nella seconda metà del X secolo, Rabī ibn Zaid al-Usquf, noto anche come Recemundo (ibid., p. 356). La traduzione di G. è stata edita da Ch. Pellat (Leiden 1961), che ha integrato e completato il testo precedentemente offerto da R. Dozy (cfr. Repertorium, p. 103, e la bibliografia ivi segnalata).

Strettamente connesso all'astronomia, nella ripartizione delle opere tradotte da G. ricordate dai socii, è il "Liber de geomancie" (n. 68 incipit: "Si quis per artem geomaticam"; cfr. per i manoscritti, Thorndike - Kibre, col. 1462; cfr. anche Charmasson, p. 130). L'opera, della quale non è noto l'autore, fu molto celebre nel corso del Medioevo, come testimoniano le numerose citazioni presenti in trattati cronologicamente posteriori (cfr. Charmasson, pp. 138 s., che segnala versioni manoscritte in volgare, sia francese, sia italiano, derivate dalla traduzione di G. del Liber de geomancie). A G. è stata anche attribuita la traduzione di un altro trattato di geomanzia, noto con il titolo Estimaverunt Indi dall'incipit presente nei codici che lo tramandano, ma tale attribuzione non è accolta dalla letteratura più recente (cfr. Charmasson, pp. 111-119). Completano questa breve sezione il "Liber Alfadoch, id est de arab de bachi" (n. 69), un manuale di previsioni astrologiche opera dell'astronomo persiano al-Fadl ibn Sahl (sec. IX; cfr. Lemay, 1978, p. 186; Sezgin, VII, pp. 115 s.; Kunitzsch, 1990, pp. 79 s.) e il "Liber de accidentibus alfeth" (n. 70, cfr. Wüstenfeld, p. 76; i dati offerti da Lemay, 1978, p. 186 si riferiscono al sopracitato Liber alfadoch).

Di particolare e rilevante importanza risulta anche il contributo di G. alla diffusione delle scienze matematiche. La lista redatta dai socii attesta ben 17 opere di autori sia greci, sia arabi e rivela un quadro disciplinare molto articolato che, solo schematicamente, può essere classificato in testi attinenti l'orientamento euclideo, trattati legati "alla concezione e alla prassi matematica archimedea" (Pizzamiglio, 1990, p. 88) e "manuali attinenti alla nuova scienza dell'algebra" (ibid.). A questa lista deve essere affiancata una sezione di opere che, per comodità, possono essere definite intermedie in quanto volte al collegamento tra le diverse discipline matematiche considerate. La letteratura scientifica ha infine considerato più attinenti alla matematica opere segnalate nell'elenco gherardiano in un altro settore; sono stati anche qui individuati, inoltre, testi non compresi nella lista, ma ritenuti con tutta probabilità tradotti da Gherardo.

Con il titolo "Liber Euclidis…" (n. 4 dell'elenco) i socii ricordavano la traduzione di G. degli Elementa di Euclide, opera originariamente in tredici capitoli o libri, alla quale se ne aggiunsero nel corso del tempo altri due, opera l'uno di Ipsicle (matematico vissuto nel II secolo a.C.), mentre l'altro fu redatto intorno al VI secolo dopo Cristo. Uno dei testimoni contenenti il Liber Euclidis, il manoscritto Vaticano Rossiano n. 579 (XIV secolo) reca all'inizio di ogni singolo libro, eccezion fatta per il nono e il quindicesimo, la data del 1167, l'anno, probabilmente, a parere di Busard (1984, p. XXIII), in cui la traduzione di G. fu compiuta. Il lavoro subì senz'altro, da parte dello stesso G., ulteriori interventi stilistici nel corso del tempo tali da offrire "a more standardized and uniform wording, as well as better Latin style which is not as severely "Arabicized" as Gerard's translations normally are" (Id., 1997, p. 20). Nel suo lavoro G. tenne conto in primo luogo della traduzione ai primi tredici libri di Ishāq ben Qūrra, mentre gli ultimi due libri gli furono noti grazie alla traduzione di Qustā ben Lūqā (cfr. Sezgin, V, p. 101). La traduzione di G., al pari di quella di Adelardo di Bath (1120 circa) e di Ermanno di Carinzia (seconda metà del sec. XII) fu in seguito soppiantata dalla versione latina proposta nel XIII secolo da Campano da Novara. I socii ricordano anche un Liber datorum (n. 16), corrispondente alla traduzione dei Data di Euclide, del quale non è nota un'edizione (cfr. le brevi annotazioni in Sezgin, Geschichte, V, pp. 101, 116, e in Lemay, 1978, p. 178). Un altro testo di Euclide compare infine con il titolo di "Liber divisionum" (n. 19). Si tratterebbe di un'opera dedicata "alla suddivisione di una figura geometrica piana in altre figure simili e dissimili" (Pizzamiglio, 199o, p. 92) che, ricordata da Proclo (V secolo d.C.), ci è nota oggi solo per alcuni frammenti tradotti in arabo, ma che fu senz'altro conosciuta, nella traduzione di G., da Leonardo Fibonacci (Leonardo Pisano) che se ne avvalse nella sua Practica geometriae.

Accanto a questo corpus euclideo ritroviamo la traduzione del "Liber Avarivii super Euclidem" (n. 15), ampio commento ai primi dieci libri del trattato di Euclide, redatto da al-Nayrīzī nei primi decenni del X secolo, edita da M. Curtze (Anaritii in decem libros priores Elementorum Euclidis Commentarii ex interpretatione Gherardi Cremonensis, in Euclidis opera omnia, Supplementum, Leipzig 1899, pp. 1-252). Una recente edizione critica, limitata al commento dei primi quattro libri è proposta da P.M.J.E. Tummers, The Latin translation of Anaritius' Commentary on Euclid's Elements of geometry, Nijmegen 1994. Le traduzioni dei commenti di Ahmad ibn Yūsuf (morto nel 942 circa) al terzo e al quinto libro degli Elementa sono ricordate dai socii rispettivamente con il titolo "Liber de arcubus similibus" (n. 7, edito da H.L.L. Busard - P.S. van Koningsveld, Der Liber de arcubus similibus der Ahmes ibn Jusuf, in Annals of science, XXX [1973], pp. 381-406) e con quello di "Liber Hameti de proportione et proportionalitate…" (n. 11), noto anche come Epistola de proportione et proportionalitate. Un frammento di questo trattatello, relativo alla statera, oltre che da M. Curtze in Euclidis opera omnia, Supplementum, cit., pp. XXVIII-XXIX, è stato edito da M. Clagett in The science of mechanics in the Middle Ages, Madison 1959, pp. 69 s. e, sempre da Clagett, in Archimedes in the Middle Ages, I, ibid. 1964, pp. 629 s. L'Epistola de proportione è stata oggetto di una dissertazione dottorale da parte di un'allieva dello stesso Clagett, Dorothy Schrader (cfr. ibid., p. 629). Il decimo capitolo dedicato alle grandezze incommensurabili è l'argomento di due distinti commenti ugualmente tradotti da Gherardo. Nel "Liber iudei super decipium [decimum] Euclidis…" (n. 12) va ravvisato con tutta probabilità l'ampio commento di Abū Muhamad ibn 'Abdalāqi al Baghdādī (sec. XI-XII, cfr. Suter, p. 24, ma cfr. anche Sezgin, V, p. 389 che attribuisce invece quest'opera al matematico Abū Yūsuf Ya 'qūb ibn Muhamad ar-Rāzī). La traduzione, oltre che da M. Curtze (in Euclidis opera omnia, Supplementum, cit., pp. 252-386), è stata edita da B. Boncompagni con il titolo De numeris et lineis (Roma 1863-64; titolo desunto dall'incipit del manoscritto utilizzato: Cambridge, University Library, ms. Mm.II.18, cc. 69v-76v). Una veste critica del Liber iudei… è stata proposta da H.L.L. Busard (1997, pp. 19-110), il quale ha suggerito quale autore del commento il matematico Yūhannā al-Qass. La traduzione di un altro commento al decimo libro di Euclide, redatto da Pappo d'Alessandria (fine III sec. d.C.) e diffuso con la versione in arabo di Abū 'Uthmān (IX-X sec.), è comunemente attribuita a G., benché essa non sia espressamente ricordata dai socii (edita secondo la lezione del manoscritto Parigi, Bibl. nat., Fonds Latin, 7377.A, cc. 68-70 da G. Junge, Das Fragment der lateinischen Übersetzung des Pappus Kommentars zum 10. Buch Euklids, in Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, Astronomie und Physik, Abt. B, III, Berlin 1936, pp. 1-17; cfr. Lemay, 1978, p. 177, il quale ha erroneamente indicato questa edizione come relativa al Liber iudei super decimum Euclidis sopra ricordato).

Nel "Liber carastonie" (n. 20 dell'elenco gherardiano) va ravvisato un trattato del già ricordato Thābit ibn Qurra (m. 801), la cui traduzione da parte di G. è edita da E.A. Moody - M. Clagett in The Medieval science of weights, Madison 1960, pp. 88-117 (cfr. anche K. Jaouiche, Le livre du Qarastùn de Thābit ibn Qurra, Leiden 1976, ad indicem).

La traduzione dell'opera di Archimede rappresenta un ulteriore tassello dell'impegno di G. nel trasmettere al mondo latino occidentale l'eredità del pensiero matematico dell'antichità. Accanto a questa produzione G. propose anche un vasto e articolato panorama di autori arabi, veri e propri continuatori del matematico siracusano. I socii ricordano con il generico titolo di Liber Archimedis tractatus primus (n. 6) un'opera che M. Clagett ha individuato nel De mensura circuli, tradito, fra gli altri, dal manoscritto Paris, Bibl. nat., Fonds Latin, 9335, contenente la più importante e sicura silloge delle opere matematiche tradotte da G. (cfr. l'edizione di Clagett, Archimedes in the Middle Ages, I, cit., pp. 40-55). Il De mensura era già stato tradotto, poco tempo prima di G., da Platone di Tivoli (Plato Tiburtinus), ma la traduzione di G. si distacca da quella di Platone per la qualità stilistica e per la puntuale resa concettuale. Grazie all'opera di G. gli studiosi e i lettori del XII secolo ebbero finalmente accesso a una "most accurate and popular translation of the De mensura circuli" (ibid., p. 223), testo che contiene fra l'altro, nell'ultima delle tre proposizioni in cui ci è giunto, "il noto valore del rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio, cioè il valore approssimato per difetto e per eccesso del numero π" (Pizzamiglio, 1990, p. 96).

Di pari valore scientifico deve essere considerato il "Liber trium fratrum" (n. 10 della lista dei socii), ossia la traduzione nota con il titolo Verba filiorum Moysii filiis Sekir id est Maumeti, Maeti, Hasen, opera dei figli del matematico Mūsā ibn Shākir, comunemente chiamati banū Mūsā (sec. IX), che contribuì in modo indubbio alla diffusione del pensiero geometrico archimedeo (ugualmente edita da Clagett, ibid., pp. 238-355). Sempre Clagett sulla scorta di un unico testimone manoscritto (Madrid, Bibl. nacional, ms. 10010, c. 84r) ha edito, ancora di Archimede, alcuni frammenti del De sphaera et cylindro (ibid., pp. 433-439). A questo "filone" si ricollega anche, a parere degli storici delle scienze matematiche, il "Liber de practica geometrie tractatus I" (n. 14 dell'elenco) che, sconosciuto a Sarton (p. 341) e a Lemay (1978, p. 177), è stato identificato da Busard nel Liber mensurationum, noto anche nei codici che lo tramandano come Liber in quo terrarum et corporum continentur mensurationes Ababuchri qui dicebatur Heus, opera del matematico Abū Bekr (cfr. H.L.L. Busard, L'algèbre au Moyen Âge: le Liber mensurationum d'Abū Bekr, in Journal des savants, aprile-giugno 1968, pp. 65-124; l'ed. della traduzione si trova alle pp. 86-124).

Nel corso della sua attività di traduttore G. ha rivolto una particolare attenzione a opere di matematica applicata che possono essere considerate propedeutiche allo studio dell'astronomia e alla summa di quest'ultima rappresentata dall'Almagesto di Tolomeo. Il "Liber Theodosi de speris…" (n. 5 della lista dei socii) va identificato nel De sphaera, opera in tre libri di Teodosio di Bitinia (II-I sec. a.C.). Tradotto anche da Platone di Tivoli, l'edizione della traduzione di G. (per i manoscritti cfr. Thorndike - Kibre, I, col. 1523, ma cfr. anche Carmody, 1956, p. 22) è in corso di preparazione da parte di R. Lorch (cfr. Pizzamiglio, 1992, p. 100; cfr. anche Kunitzsch, 1992, p. 76). Il catalogo dei socii ricorda un'altra opera di Teodosio: si tratta del "Liber Theodosi de locis habitabilibus…" (n. 26, cfr. Sezgin, V, pp. 155 s.), un breve trattato che descrive la volta celeste nelle diverse fasi dell'anno. Non si conosce alcuna edizione della traduzione di G.; incertezza solleva infatti attribuire a G. la versione dell'opera di Teodosio edita da F. Maurolico in Autolyci de sphera quae movetur liber et Theodosii Tripolitae de habitationibus, Messanae 1558; Romae 1587 (cfr. Lemay, 1978, p. 179). Da annoverare in questa sezione anche il Liber de figuris sphaericis di Menelao di Alessandria (I secolo a.C.) ricordato dai socii con il titolo di "Liber Milei tractatus" (n. 8). La traduzione di G. del trattato di Menelao è inedita (cfr. A.A. Björnbo, Studien über Menelaos Sphaerik, in Abhandlungen zur Geschichte der mathem. Wissenschaften, XIV [1902], pp. 11-15; per i manoscritti cfr. anche Thorndike - Kibre, col. 397). All'opera di Menelao si ricollegano due altri scritti tradotti da Gherardo. Il primo è il Liber Thebit de figura albeata (n. 9), ossia il Liber de figura sectore (edito da A.A. Björnbo, Thābits Werk über Trasversalensatz…, in Abhandlungen zur Geschichte der Naturwissenschaften und der Medizin, VII [1924], pp. 6-24; per le edizioni del XVI secolo cfr. Carmody, 1956, p. 123, e Stillwell, pp. 70 s.), opera di Thābit ibn Qurra, autore del succitato Liber Quarastonis, e la già segnalata Epistola de proportione et proportionalitate di Ahamad ibn Yūsuf.

Altri due autori greci sono ancora da ricordare in questa ripartizione di scritti matematici intermedi: si tratta di Ipsicle di Alessandria e di Autolico. Del primo G. tradusse gli Anaphorica (corrispondente al "Liber Esculegi t. I", n. 27 dell'elenco gherardiano). Brevi excerpta della traduzione di G., contenuta nel già ricordato manoscritto parigino (Bibl. nat., Fonds Latin, 9335; cfr. anche Catalogus translationum, pp. 173, 424 per ulteriori dati), sono presenti in calce alla traduzione tedesca dalla versione araba curata da M. Krause nell'edizione critica del testo (cfr. V. de Falco - M. Krause, Hypsicles. Die Auffangszeiten der Gestirne, in Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Göttingen, s. 3, LXII [1966], pp. 76-84). Sempre Krause segnala (p. 64) un'edizione della traduzione di G. degli Anaphorica, curata da K. Manitius (Des Hypsikles Schrift Anaphorikos nach Überlieferungund Inhalt kritisch behandelt, in Programm des Gymnasium zum heiligen Kreuz in Dresden, I, Dresden 1888, pp. III-XXXI). La traduzione gherardiana del "Liber Autolici de spera mota…" (n. 30) è stata oggetto di edizione da parte di J. Mogenet, La traduction latine par Gérard de Cremone de la Sphère en mouvement d'Autolycus, in Archives internationales pour l'histoire des sciences, II (1948), pp. 139-164 (cfr. per ulteriori manoscritti Catalogus translationum, p. 170).

In questa ripartizione di opere di matematica applicata devono essere considerate le traduzioni, da parte di G., dei trattati di ottica. Nel "Liber Tidei de speculo…" (n. 17) va ravvisata la traduzione dall'arabo dell'opera dell'astronomo e matematico, vissuto nel II secolo a.C., Diocle (edita da A.A. Björnbo - S. Vogl, Al-Kindi, Tideus, und Pseudo-Euklid. Drei optische Werke, in Abhandlungen zur Geschichte der mathem. Wissenschaften mit Einschluss ihrer Anwendungen, XXVI [1912], 3, pp. 123-147; per i manoscritti cfr. Lindberg, 1975, pp. 76 s.). Sempre Björnbo e Vogl hanno edito nella stessa occasione (pp. 3-46) il "Liber Alchindi de aspectibus…" (n. 18, cfr. Lindberg, 1975, pp. 21 s.) opera del già ricordato al-Kindi. A G. è attribuita anche la traduzione del De speculis comburentibus di Ibn al-Haytham, autore del già segnalato trattato di ottica; l'opera è stata edita da J.L. Heiberg - E. Wiedemann, Ibn al-Haitams Schrift über parabolische Hohlspiegel, in Bibliotheca Mathematica. Zeitschrift für Geschichte der mathematischen Wissenschaften, s. 3, X (1909-10), pp. 201-237, l'edizione alle pp. 218-231; cfr. anche Lindberg, 1975, pp. 20 s. La traduzione, attribuita a G., di un frammento del primo libro del De conicis di Apollonio di Perga (III-II secolo a.C.), dal titolo De piramidibus, è edita in Apollonii Pergaei opera quae Graece extant…, a cura di J.L. Heiberg, II, Lipsiae 1893, pp. LXXV-LXXX.

Con il titolo di "Liber acharismidis iebra et almichabala…" (n. 13) i socii ricordavano la traduzione dell'opera di al-Kwārizmī, la cui diffusione nell'Europa occidentale costituì una delle più significative tappe nel progresso della conoscenza matematica. La traduzione del Liber de algebra è stata edita da G. Libri, che però non ne ha riconosciuto la paternità a G., in Histoire des sciences mathémathiques en Italie, I, Paris 1838, pp. 253-297 (per l'attribuzione di tale versione a G., cfr. A.A. Björnbo, Gerhard von C. Übersetzung von Alkwarizmis Algebra und von Euklids Elementen, in Bibliotheca mathematica. Zeitschrift für Geschichte der mathematischen Wissenschaften, s. 3, VI [1905], pp. 239-241). Il Liber de algebra è stato oggetto di un'edizione critica da parte di B. Hughes in Medieval Studies, XLVIII (1986), pp. 211-263.

Con tutta probabilità G. ha anche tradotto un Liber de algebra, opera del matematico persiano Abū Kāmil (850 circa - 930; cfr. Pizzamiglio, 1988, p. 43; Id., 1990, p. 104). Una versione della traduzione del Liber de algebra, tradita da un manoscritto vaticano (Vat. lat. 4606, cc. 72r-76v), è stata edita da B. Boncompagni nella sua monografia (pp. 28-51) e, in modo parziale, da L.C. Karpinski, The algebra of Abū Kāmil, in Bibliotheca mathematica. Zeitschrift für Geschichte der matematischen Wissenschaften, s. 3, XII (1911-12), pp. 40-55: l'edizione tiene conto della lezione del manoscritto Parigi, Bibl. nat., Fonds Latin, 7377.A, cc. 71-97.

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