CAMINO, Gherardo da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMINO, Gherardo da

Johannes Rainer

Figlio di Tolberto conte di Ceneda e signore di Solighetto, e di Leonardina della Torre, nacque probabilmente nel quarto decennio del sec. XIV dal ramo "di sotto" della celebre famiglia di feudatari trevigiani. Tolberto, "erede de' feudi e de' beni del padre Rizzardo siccome del militare valore, ed attaccamento alla patria e Repubblica Veneta" (Federici, p. 101), era riuscito a recuperare molte terre ed alcuni villaggi - tra l'altro, anche il castello di Cesalto -, che suo padre o comunque i due rami della sua famiglia avevano perduto nel corso degli avvenimenti politici succedutisi a Treviso nella prima metà del secolo. "Uomo di grande coraggio, e valor militare fu Gerardo, ma troppo incerto e vago nelle sue risoluzioni, e perciò perdette se non la grandezza ed il potere, certamente la fortuna e il premio" (ibid., pp. 103 ss.). Nel 1372 si batté bravamente coi Veneziani contro gli Ungheresi: catturato, nel corso di uno scontro presso Sacile, fu condotto dapprima a Padova e poi in Ungheria, dove rimase prigioniero sino alla fine della guerra (10 nov. 1373). Rientrato in Italia, rimase fedelmente devoto ai Veneziani sino al 1378, in seguito sembra che abbia loro voltato le spalle per passare dalla parte degli Ungheresi nell'ambito della lega che unì la Repubblica di Genova, i Carraresi di Padova, il patriarca di Aquileia, e gli altri Camino, e che affrontò Venezia in quella che fu detta, da uno dei suoi episodi più salienti, la guerra di Chioggia. Le operazioni militari contro il C. furono condotte, per ordine del governo veneziano, da Rambaldo di Collalto ed ebbero come obiettivo l'occupazione dei borghi e la distruzione dei luoghi fortificati sottoposti all'autorità del conte di Ceneda. Solighetto fu occupato ed il suo castello raso al suolo; la "bastia" di Cesalto fu data alle fiamme e nell'incendio trovarono la morte numerosi difensori (agosto 1380). La stessa moglie del C., Elisabetta da Lorenzago, fu fatta prigioniera insieme col figlio Ercole, che venne probabilmente tradotto a Venezia.

Tornato non prima del 1382 dalla parte dei Veneziani, dopo la conclusione della pace tra i collegati e la Serenissima - pace nella quale il C. compare ancora come alleato al re d'Ungheria (8 ag. 1381) -, il conte di Ceneda si guadagnò in tal modo l'inimicizia di Francesco I da Carrara, che riprese le ostilità contro di lui: il 15 ag. 1383 i Padovani occuparono Cordignano; Motta, importante piazzaforte, cadde nelle loro mani il 15 ottobre successivo. Lo stesso C., gravemente ferito da due verrettoni mentre tentava di fermare l'assalto nemico, fu preso prigioniero e tradotto sotto buona scorta a Padova, dove fu incarcerato. Un ulteriore colpo alle fortune della sua famiglia fu la scomparsa del fratello del C., Rizzardo, morto sul finire di quello stesso anno. Non sappiamo quando il conte di Ceneda venne rimesso in libertà. Certo non era compreso nel gruppo dei numerosi esponenti politici, anche sospetti, che nel 1390, dopo la conquista di Treviso da parte dei Veneziani, vennero amnistiati dal governo della Serenissima (ducale del 14 ag. 1390: cfr. Federici). A quanto sembra, egli non era in buoni rapporti con la Signoria; preferì perciò ritirarsi, insieme col figlio Ercole, presso Iacopo Porzia. Si trovava infatti presso di lui quando, nel 1391, suscitò una rivolta in Belluno per tentare di strappare la città al dominio veneziano (deposizione del 12 marzo 1391: ibid.); ma fallì nell'intento. Mentre a Venezia si stava istituendo un processo contro di lui, il C. venne improvvisamente a morte.

La moglie del C., Elisabetta da Lorenzago apparteneva, secondo un documento prodotto dal Federici (p. 105), alla famiglia dei signori di Lorenzago, un castello sulla Livenza; era di famiglia nobile, quindi. Tale notizia sembra confermata dal fatto che nell'estate del 1383, quando occuparono Motta e otturarono il conte di Ceneda, i Padovani permisero ad Elisabetta di trasferirsi con i figli e con tutti i suoi beni mobili a Lorenzago, presso i parenti. Dalla moglie, oltre al già ricordato Ercole, il C. aveva avuto anche una figlia, Iacopina.

Fonti e Bibl.: Parlamento friulano, I, a cura di P. S. Leicht, Bologna 1917, pp. 293, 296; P. M. Federici, Notizie storico-genealogiche della famiglia de' signori da Camino, Venezia 1788, pp. 103-106; P. Paschini, Storia del Friuli, II, Udine 1954, p. 177; F. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Camino.

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