Gesù Cristo 〈-ʃù krì-〉 (gr. 'Ιησοῦς Χριστός, 'Ιησοῦς ὁ Χριστός, anche Χριστὸς 'Ιησοῦς; lat. Iesus Christus, anche Ihesus, onde i compendî IHS, IHS, e simili). - Il fondatore del cristianesimo e della Chiesa; secondo la fede cristiana, il Redentore del genere umano e, conforme alle definizioni dei primi quattro concilî ecumenici, il Figlio di Dio, Verbo incarnato, vero Dio e vero Uomo. Nell'uso corrente, la forma intera del nome Gesù Cristo è sentita come più solenne e letter., e così anche la sola apposizione Cristo (esclusivamente letter. Cristo Gesù e il Cristo). Comunissimo invece l'uso del solo nome Gesù, più fam. e affettuoso, sia nell'insegnamento religioso, sia nella preghiera, nelle giaculatorie, in esclamazioni di dolore, di meraviglia, invocazioni d'aiuto, ecc. (oh G.!; G. mio! o Gesummio!; G., aiutateci; oh buon G.; e ripetuto, Gesù Gesù, con vario tono e significato); in alcune locuzioni: G. Bambino, G. Crocifisso, il
Il termine Cristo è propriamente apposizione e significa "Messia", cioè re consacrato dall'unzione sacra; ma è diventato ben presto parte integrante del nome e usato anche da solo. Il nome Gesù corrisponde all'ebraico Yēshūa‛ e, nella forma piena, Yēhüshūa‛, ossia Giosuè (che in greco è però 'Ιησοῦς), che significa "Yahweh [è] salvezza". Esso è interpretato almeno da un Vangelo, Matteo, come indicazione che in G. C. si sono realizzate le profezie messianiche (specie su Emmanuel e sul Servo sofferente di Yahweh: Isaia 7, 14; 9, 5; 52, 13-53, 12; ecc.). Più difficile e discussa l'altra apposizione, "Nazareno" (Ναζαρηνός) o "Nazoreo" (Ναζωραῖος; anche Ναζορενός "Nazoreno") che Matteo 2, 23, riferisce a
Gesù Cristo nei Vangeli. L'anno della nascita di G. C. non può essere fissato con assoluta precisione. Le indicazioni cronologiche fornite dai Vangeli si possono riassumere come segue: la nascita di G. (Mt. 2, 1-12.19; Lc. 1, 5-38) avvenne sotto il regno di Erode il Grande (morto nell'anno 750 di Roma), al tempo del censimento ordinato da Augusto, essendo governatore della
Tale, ridotto a uno schema essenzialissimo, è il racconto evangelico, base della fede e della speranza e anche della dottrina, della morale e della tradizione cristiane. Ma rimaneva al cristianesimo nascente il compito di chiarirsi, concettualmente, chi o che cosa fosse colui che
Interpretazioni non cristiane di Gesù Cristo.C'è oggi in genere una valutazione positiva del fondatore del cristianesimo. Un sommario censimento della cultura contemporanea fa emergere, infatti, una sorprendente cristologia "degli altri", cioè una comprensione positiva di G. che si manifesta al di fuori del cristianesimo (nell'ambito dell'ateismo o delle religioni non cristiane) o fuori dalle sue tradizionali categorie religiose e teologiche nella letteratura, nell'arte, nelle scienze filosofiche e psicologiche. Già
Cristologie contemporanee. Tutte le chiese cristiane confessano G. C., non solo come l'uomo paradigmatico o il profeta ispirato di Dio, ma come Figlio stesso di Dio e salvatore unico e universale dell'umanità. Esse annunciano il "C. biblico-ecclesiale", così come lo attingono dalla Scrittura e lo vivono nella loro esistenza di fede. L'esperienza bimillenaria di santità e testimonianza da parte del popolo di Dio si fonda proprio sul riconoscimento di G. come Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per la salvezza dell'umanità: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Atti 4,12). La comunità ecclesiale annuncia oggi come ieri che G. è il vivente, il liberatore assoluto dell'uomo, della storia, del cosmo e che solo in lui l'umanità trova il pieno significato alla sua vita. G. C. non è un mito, né un'idea atemporale, né una creazione astorica della comunità primitiva. G. è un personaggio storico, nel senso plenario del termine. Il primo nucleo cristologico è infatti la narrazione della storia di G., fonte primaria dell'esperienza cristiana di ogni tempo e luogo. È infatti la storia concreta di G. di Nazareth - i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti, la sua dottrina, la sua testimonianza, la sua morte in croce, la sua risurrezione - che costituisce la salvezza definitiva offerta da Dio a ogni essere umano. La sua storia è quindi la "storia di salvezza" di ogni essere umano e del cosmo intero, intendendo per storia non solo il fatto reale accaduto in un determinato tempo, spazio e contesto sociale e politico, ma anche il luogo di rivelazione e di realizzazione del piano salvifico di Dio. Nella prima accezione, G. è un personaggio storico vissuto all'inizio del primo secolo dell'era cristiana, che proprio da lui prende il nome e l'avvio. A questo livello G. può e deve essere colto nei suoi aspetti paradigmatici umani e religiosi. Non si può trascurare la presentazione storico-critica di G. C. e delle fonti cristiane, non solo per una risposta al problema della negazione della stessa esistenza di G. (ai tradizionali e noti
Cristologicamente parlando, il contenuto essenziale della professione di fede cristiana è legato all'annuncio della storia e della morte di Gesù. La predicazione di Pietro a Pentecoste è il racconto della storia teologica di G.: "Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: G. di Nazareth - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empî e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato" (Atti 2,22-24). Ogni interpretazione di G. deve quindi confrontarsi con la sua storia, da cui riceve avallo e fondamento. La domanda che tuttavia sorge è la seguente: il C. dell'annuncio ecclesiale contemporaneo, quello della liturgia, della religiosità popolare, dei dogmi, della teologia, della catechesi, della pastorale è lo stesso G. storico trasmesso e narrato dalle fonti bibliche? Oppure il C. annunciato oggi dai cristiani è un ampliamento indebito del G. biblico, quasi una trasfigurazione operata dalla primitiva comunità cristiana o una ellenizzazione dei primi concilî ecumenici, che lo hanno fissato soprattutto nella sua dimensione divina? Insomma il C. della fede è diverso dal G. della storia? E il C. ecclesiale è diverso da quello biblico? Se così fosse, non ci sarebbe continuità personale tra l'autentico G. della storia e l'inautentico C. della fede. Il problema da risolvere è quindi la comprensione ecclesiale di G. C. nella vita bimillenaria della Chiesa. Questo problema ha una sua storia esemplare, che si suole indicare come Leben-Jesu-Forschung ("ricerca della vita di G."), iniziata alla fine del sec. 18° in
Un altro elemento centrale della cristologia contemporanea riguarda l'affermazione dell'assolutezza e della definitività della salvezza offerta da G. C.: ciò significa che la volontà salvifica di Dio nei confronti dell'intera umanità si è manifestata e si è realizzata in modo unico e definitivo in C. e nella sua comunità ecclesiale, sacramento di salvezza nella storia. È lui che sostiene come unica fonte ogni altra invocazione e concessione di salvezza presente anche fuori del cristianesimo. C. è quindi il mediatore unico e costitutivo di salvezza per l'intera umanità. Solo in lui l'umanità, la storia e il cosmo trovano il loro significato definitivamente positivo, si realizzano totalmente, purificandosi e liberandosi dai cerchi negativi della morte fisica, psichica, sociale, etica, spirituale, cosmica. Significa che Gesù ha in sé stesso, nel suo evento e nella sua persona, le ragioni della definitività assoluta della salvezza. Egli non è solo un mediatore di salvezza, ma anche la fonte della salvezza. Nonostante la presenza di fede, grazia e salvezza anche fuori del cristianesimo, affermata tradizionalmente dalla Chiesa e ribadita dal concilio Vaticano II (Lumen gentium 16 e Ad gentes 3 e 7), il Nuovo Testamento ribadisce che la volontà salvifica universale di Dio è sempre collegata con la realtà di G. C.: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome" (Gv. 1,9-12). Dal misterioso episodio dei re magi venuti ad adorare G. appena nato (cfr. Mt. 2,1-12) alla predicazione degli apostoli dopo la Pasqua si sottolinea sempre il fatto che la volontà salvifica universale di Dio si attua in e attraverso l'evento C., visto come compimento di ogni rivelazione: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Ebr. 1,1-2). E ancora: "Dio nessuno l'ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv. 1,18). Dice Pietro a Gerusalemme di fronte ai capi e al sommo sacerdote: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Atti 4,12). E Paolo ribadisce che "non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato" (Rom. 10,12-13, che cita Gioele 3,5). Tutta l'umanità è quindi chiamata alla salvezza in C. morto e risorto per tutti. Prima di C. e fuori di C. ogni uomo ha potuto salvarsi per la fede e per l'obbedienza alla legge di Dio. Tuttavia C. rimane il salvatore unico e definitivo. Si veda la sintesi di ciò in I Tim. 2,4-6: "(Dio) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo C. G., che ha dato sé stesso in riscatto per tutti". Si trova qui il punto cruciale della cristologia: la considerazione, cioè, dell'evento C. come "escatologicamente insuperabile" e "assolutamente decisivo" per ogni essere umano che si salva anche fuori del cristianesimo, fuori cioè del riconoscimento esplicito di Gesù. L'assolutezza dell'evento C. emerge sia dalla considerazione, per es., che i fondatori delle altre grandi religioni non cristiane non si sono mai considerati mediatori assoluti di salvezza (né il Buddha storico, né
Iconografia. Sull'aspetto fisico di G. mancano testimonianze storiche; né alcuna delle immagini ritenute da pie tradizioni come eseguite durante la vita di Lui, o all'epoca della prima generazione cristiana, si possono con sicurezza far risalire oltre il sec. 5°; di ciò sembra essere valida testimonianza l'incertezza che intorno alla figura di G. è negli scrittori dal sec. 2° al 4°. Ritratti di G., insieme ad altri di filosofi, sono ricordati in ambienti gnostici e sincretistici nel 3° sec. Ma la generale opposizione alle immagini dovette essere particolarmente viva nel caso di G.; fu dunque favorita la rappresentazione indiretta: il Pastore, il Maestro, il Pescatore, il Nocchiero, il Basileus sono nel 3° sec. tutte allusioni a G.; lo stesso