PITTALUGA, Gerolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PITTALUGA, Gerolamo

Daniele Sanguineti

– Nacque probabilmente nel 1691. Il biografo Carlo Giuseppe Ratti fissò la nascita di questo artista nel «sobborgo di San Pier d’Arena» in un’umile famiglia guidata dal padre contadino Giovanni Battista, e ne dichiarò la morte nel 1743, «mentre egli appena compieva il cinquantesimosecondo del viver suo» (Ratti, 1769, pp. 289, 291). Questi dati cronologici non sono stati tuttavia confortati da fonti d’archivio. Lo stesso biografo fu incline a trascurare, nel manoscritto preparatorio, la citazione di elementi cronologici, ad eccezione di un appunto, vergato a margine – «morì Pittaluga d’anni 52» –, che sembra però entrare in conflitto con la narrazione della perdita della vista «nel cinquantesimo di sua età», per un «velo formatoseli nella luce dell’occhio», ossia per una cataratta, e con la guarigione, dovuta all’arrivo in città di un celebre oculista, dopo tre anni. Più opportunamente nella versione a stampa collocò la malattia oculare quando Pittaluga era «pervenuto all’età di quarant’anni, o circa» (p. 290).

Ratti, dunque, dedicò allo scultore un’autonoma biografia sia nella versione manoscritta sia in quella a stampa delle Vite, definendolo un «soggetto di molto merito per l’eccellenza nella sua professione» (p. 289). Federigo Alizeri lo ricordò tra i non «spregevoli maestri in scultura» (1875, p. 638).

Il giovane Gerolamo, dopo aver esternato la propensione artistica disegnando «le più belle pitture di que’ superbi palazzi», si dedicò «a modellare, parimente da sé; così a lavorare in legno»: il biografo ricordò, in queste prime fasi, la creazione di «una non piccola immagine del Crocifisso» che «fu stimata opera d’artefice già provetto» (Ratti, 1769, p. 289). Successivamente lo scultore divenne discepolo di Pietro Maria Ciurlo, suo compatriota, «e in breve corso di tempo superollo» (p. 289): si può supporre che Pittaluga, autodidatta per un certo periodo (come confermò Ratti anche nel manoscritto, dove ricordava che «avanti d’andare dal Ciurlo avea fatto già un Crocifisso senza alcuna guida e di qualche grandezza», Ratti, 1762, 1997, p. 207), si fosse affiancato al maestro più tardi del solito, intorno ai quindici anni, e che dunque avesse iniziato l’apprendistato verso il 1706 per terminarlo entro i primi anni del decennio successivo. I progressi conseguiti con Ciurlo e «gli studii fatti da sé», ovvero la strenua osservazione dell’ingente patrimonio di statuaria lignea disponibile in città e, soprattutto, dei moderni risultati dell’attività di Anton Maria Maragliano, gli consentirono l’acquisizione di una così notevole maestria professionale da sorpassare «i migliori dell’arte sua [...], per la profonda intelligenza non meno che per la accurata diligenza» (p. 208). Il primo dato archivistico disponibile vede lo scultore, il 24 settembre 1721, ricevere la commissione, insieme a Giacomo Boda, «ambi di loro professione scultori», della fornitura di una serie di arredi lignei per la chiesa della Ss. Annunziata del Vastato: è lecito ipotizzare che a Pittaluga competessero i busti di santi e di papi, tuttora esposti in chiesa, mentre a Boda i candelieri, i reliquiari e un baldacchino (Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, 10360bis, notaio Giovanni Lorenzo Pratolongo, 24 settembre 1721). Nel 1730 fu invece pagato dalla comunità parrocchiale di Caminata di Ne per la realizzazione della Madonna del Carmine (Avena, 2007). Nel corso degli anni Venti si deve probabilmente datare la grandiosa «cassa» processionale raffigurante l’Annunciazione, eseguita per la «casaccia» di S. Antonio Abate di Chiavari e identificabile con quella citata da Ratti in quel sito nella sola versione manoscritta della biografia (Sanguineti, 1998, p. 62). In quest’ultimo gruppo è notevole il debito verso il linguaggio maraglianesco, declinato attraverso un’accentuazione dell’esuberanza compositiva.

Le altre opere menzionate dal biografo, il Crocifisso con la Madonna Addolorata e S. Giovanni Evangelista per la parrocchiale di S. Sabina, il Crocifisso e un disperso S. Antonio da Padova rispettivamente per la parrocchiale e per la chiesa dedicata al patavino di Sampierdarena, esemplificano un’attività di successo svolta in parallelo a quella maraglianesca. Tuttavia i lavori destinati al sobborgo natio e le «vantaggiose occasioni di far lavori in piccolo» (Ratti, 1769, p. 290), in legno e in avorio, sottendono la necessità di ricercare una committenza privilegiata e di creare una specialità professionale. L’abilità «assai grande nel lavorare di picciole figure» (Ratti, 1762, 1997, p. 208), ricordata dal biografo, favorì l’insorgere di attribuzioni, fino ad ora mai confortate da dati d’archivio, circa la dedizione, comunque da non escludere, alla statuaria presepiale (Cervetto, 1903, pp. 59 s.): gli studiosi concordano in particolare sull’infondatezza della sua qualifica di animalista del presepe genovese (Biavati - Sommariva, 1993, p. 33 nota 1; Galassi, 1993, p. 47). Non si ritiene invece sufficientemente probante il confronto stilistico tra la Madonna Addolorata parte del gruppo della chiesa di S. Sabina e alcuni manichini da presepe, delle collezioni civiche genovesi, per ritenere possibile l’attribuzione di questi ultimi allo scultore o alla sua bottega, di cui peraltro nulla si conosce (Galassi, 1993, p. 47). Non è improbabile, a proposito della produzione presepiale, che si fosse verificata una certa confusione d’identità con Domenico Pittaluga, noto per aver firmato un manichino ligneo femminile conservato nel Museo Etnografico di Triora. Dopo la guarigione dalla cataratta, intorno al 1735 – stando a Ratti – fece seguito la ripresa del lavoro e, in particolare, la realizzazione di «un tabernacolo di legno ricco di belissime statuine pel re di Portogallo» (1762, 1997, pp. 208 s.), ossia «alcuni bassi rilievi, esprimenti storie della Santa Scrittura» che decorano il tabernacolo per la chiesa dei Cappuccini a Lisbona, realizzandoli, secondo Ratti, sulla base dei disegni forniti da Lorenzo De Ferrari. Il complesso, ancora conservato, e giudicato tra i «più egregi lavori» del maestro (1769, p. 291), è in effetti databile, per le vicende di edificazione della chiesa, alla fine degli anni Trenta e presenta una partitura del tutto simile al tabernacolo eseguito, simultaneamente, per lo stesso ordine di Genova.

Non si hanno sue ulteriori notizie in seguito a questa commissione.

Fonti e Bibl.: Genova, Archivio Storico del Comune di Genova, Molfino, 44: C.G. Ratti, Storia de’ pittori, scultori et architetti liguri e de’ foresti che in Genova operarono… (1762), cc. 170v-171v (nell'edizione a cura di M. Migliorini, Genova 1997, pp. 207-209).

C.G. Ratti, Delle vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, Genova 1769, pp. 289-291; D.C. Finocchietti, Della scultura e tarsia in legno dagli antichi tempi ad oggi: notizie storico-monografiche, Firenze 1873, p. 183; F. Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova 1875, p. 638; L.A. Cervetto, Il Natale, il Capo d’Anno e l’Epifania nell’arte e nella storia genovese, Genova 1903, pp. 59 s.; O. Grosso, Le Casacce e la scultura lignea sacra genovese del Seicento e del Settecento, Genova 1939, p. 47; Id., All’ombra della Lanterna di Genova, Milano 1946, p. 151; F. Franchini Guelfi, Il Settecento. Theatrum sacrum e magnifico apparato, in La scultura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, p. 287; G. Biavati - G. Sommariva, L’antico presepe genovese, Genova 1993, p. 33 nota 1; M.C. Galassi, Artefici e collezionisti dei presepi genovesi, in Venite adoremus. Note sul presepe genovese (catal., Ottawa - Genova, 1993-94), a cura di G. Rotondi Terminiello, Genova 1993, pp. 39, 47; D. Sanguineti, Scultura lignea genovese: i fratelli Galleano, Giovanni Maragliano e gli altri, in Antologia di Belle Arti, n.s., LV-LVIII (1998), p. 62; Id., Problematiche e novità per la scultura lignea genovese fra Sei e Settecento, in Arte Viva. Fimantiquari, VIII (2000), 20-21, p. 79; F. Franchini Guelfi, Sculture genovesi del Settecento a Lisbona, in Studi di Storia delle Arti. Numero speciale in onore di Ezia Gavazza, 2003, pp. 157-159; Ead., Artisti genovesi in Portogallo. Committenze di prestigio per una nazione nuovamente protagonista sullo scenario europeo, in Genova e l’Europa atlantica, a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio, Cinisello Balsamo 2006, p. 227; A. Avena, A Caminata di Ne un’inedita Madonna dello scultore G. P., in La Casana, XLIX (2007), 4, pp. 28-35; D. Sanguineti, scheda n. 11, in G. Algeri, La Basilica della Madonna dell’Orto: da santuario a cattedrale, Chiavari 2010, pp. 127 s.

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