GERMANIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

GERMANIA (XVI, p. 667; App. I, p. 650)

Elio MIGLIORINI
Luciano MIURIN
Hubert JEDIN
Amedeo TOSTI
Italo FALDI
Georg LILL
Bonaventura TECCHI

Gli ingrandimenti territoriali della Germania nazional-socialista. - Le tappe attraverso le quali è passata la Germania nei suoi successivi ingrandimenti sono indicate nella seguente tabella.

Ottenuto il Saarland mediante il plebiscito del 13 gennaio 1935, l'11 marzo 1938 i tedeschi occuparono l'Austria e due giorni dopo fu proclamata la legge per l'Anschluss, in seguito alla quale l'Ostmark (Austria) divenne uno dei Länder della Germania, il secondo per superficie e il terzo per popolazione. Con l'aggregazione dello stato austriaco, prevalentemente montuoso, la Germania divenne il principale stato alpino; essa inoltre spostò notevolmente verso S (Caravanche) il suo estremo punto meridionale e inoltre acquistò una città come Vienna, che assolve funzioni di primo ordine negli scambî dell'Europa danubiana. Dal punto di vista economico la Germania accrebbe notevolmente il suo patrimonio di boschi, pascoli, minerali utili, come pure di energia elettrica.

Sei mesi dopo, come risultato del convegno di Monaco (29-30 settembre 1938), la Germania occupò la regione dei Sudeti. Il territorio fu suddiviso in 3 parti, di cui una aggregata all'Austria, un'altra alla Baviera e la terza (con capoluogo Reichenberg) costituì il Sudetengau.

Vennero quindi a far parte (decreto del 16 marzo 1939) della grande Germania, come protettorato, la Boemia e la Moravia, in modo da rafforzare sensibilmente la posizione della Germania come stato industriale.

Il 22 marzo 1939 fu la volta del Memelland, staccato dalla Germania a Versailles; il 10 settembre 1939 venne annessa Danzica.

In seguito alla sconfitta della Polonia, un'ordinanza del 26 ottobre 1939 istituì il governatorato generale dei territorî occupati di Polonia, comprendente la parte delle regioni ex-polacche rientranti nella sfera d'interessi tedesca, in esito agli accordi tedesco-sovietici del 28 settembre di quell'anno. Il governatorato venne suddiviso in 4 distretti, con capoluogo a Varsavia, Radom, Cracovia, Lublino. Capitale del governatorato venne prescelta Cracovia. In pari data vennero inoltre incorporati al Reich i territorî ex-polacchi già appartenenti alla Germania prima della guerra 1914-18, nonché altre zone vicine. I territorî annessi vennero sistemati in due Reichsgaue: quello di Danzica-Prussia occidentale (comprendente lo stato di Danzica, la Pomerelia e parti della Posnania e della Prussia orientale) e della Warta (costituito da gran parte della Posnania e della regione di Łódź). I distretti ex-polacchi di Suwałki e di Zichenau furono annessi alla Prussia orientale, e quello di Kattowitz (Katowice) alla Slesia.

Pił tardi, in seguito alla campagna contro l'URSS, si ebbe un quinto distretto: il 1° agosto 1941 i territorî della Galizia a E. del fiume San, capoluogo Leopoli, furono incorporati nel governatorato generale di Polonia.

Intanto il 18 maggio 1940 un'ordinanza aveva disposto che i territorî che erano stati separati dalla Germania ed incorporati nel Belgio in seguito al trattato di Versailles (articoli 32-37), tornassero a far parte integrante del Reich; essi vennero incorporati nel distretto di Aquisgrana della provincia renana. Oltre ai due circondarî di Eupen e Malmédy ed il Moresnet prussiano, venne compreso il cosiddetto Moresnet neutro, cioè quel territorio che costituiva un condominio tedesco-belga.

Poi, il 2 e l'8 agosto 1940, furono annessi il Lussemburgo, l'Alsazia e la Lorena; quest'ultima, fusa colla Saar, prese il nome di Marca occidentale. Il 13 maggio 1941 fu annessa al Reich una parte della Slovenia.

Nel novembre 1941 i territorî sovietici occupati in seguito alla prima campagna estiva vennero posti alle dipendenze del ministero per i territorî orientali occupati. La giurisdizione di tale ministero incluse il già costituito Reichskommissariat per l'Ostland e un secondo Reichskommissariat per l'Ucraina, estendendosi pertanto dal mar Baltico al mar d'Azov. Da esso fu iniziato il complesso lavoro per lo sfruttamento delle risorse economiche di quei territorî e la loro riorganizzazione politica e sociale. Ben presto s'iniziò tuttavia la curva discendente dell'espansione tedesca.

Modificazioni della circoscrizione amministrativa tedesca (XVI, p. 681; App. I, p. 650). - A partire dal 1937 sono state introdotte nella circoscrizione amministrativa tedesca alcune modificazioni aventi lo scopo di far scomparire delle anomalie nella figura dei Länder. Così, a partire dal 1° novembre 1937, Amburgo ha ceduto alla Prussia Cuxhaven in cambio di Altona ed ha assunto il nome ufficiale di "città anseatica" (Hansestadt Hamburg). In pari data Lubecca cessava di essere un Land autonomo e veniva aggregata allo Schleswig. Wilhelmshaven è ritornata a far parte dell'Oldemburgo ed è stata riunita a Rüstringen, mentre il territorio di Birkenfeld dall'Oldemburgo è passato alla Provincia renana. Nel Meclemburgo i territorî prussiani inclusi sono stati aggregati allo stato, mentre quelli fuori dello stato sono passati alla Prussia. Dal 1° aprile 1938 l'Alta e la Bassa Slesia furono riunite in un solo Land (per poi esser di nuovo separate nel gennaio 1941) e dal 1° ottobre 1938 la Marca di confine (Grenzmark Posen-Westpreussen) è stata riunita al Brandeburgo, salvo una piccola parte, passata alla Slesia. Dal 1° novembre 1939 vennero creati due nuovi Länder: la Prussia occidentale (Dantzig-Westpreussen) e la Posnania (Wartheland), con i capoluoghi rispettivamente a Danzica ed a Posen. Dal 1° agosto 1941 il Brunswick ha acquistato il distretto di Goslar, con una dozzina di altri comuni, e in cambio è stato trasferito alla Prussia il distretto di Holzminden, con altri 7 comuni.

Rimpatrio dei Tedeschi. - Una certa modificazione aveva subìto la ripartizione dei Tedeschi insediati fuori del Reich (Auslanddeutschtum), in seguito alle leggi sul loro rimpatrio. Tra il novembre 1939 e il dicembre 1941 si trasferì così in Germania circa mezzo milione di Tedeschi.

Di pari passo con il ritorno dei Tedeschi nel Reich si è avuto l'esodo della popolazione ebraica. Un censimento (eseguito il 15 maggio 1939) ha contato 330.892 Ebrei, più 72.738 Ebrei misti di primo grado e 42.811 misti di secondo grado: dal 1933 il numero era diminuito della metà.

Ordinamento amministrativo (XVI, p. 704). - Attualmente la Germania, ridotta per quanto riguarda il territorio d'occupazione nei limiti del 31 dicembre 1937 (dichiarazione delle 4 potenze occupanti, 5 giugno 1945), è ripartita in 4 zone, occupate rispettivamente dagli Stati Uniti, dall'Unione Sovietica, dalla Gran Bretagna e dalla Francia:

Il territorio della Germania orientale fino all'Oder e alla Neisse, con Danzica e gran parte della Prussia orientale (112 mila kmq.) è stato annesso dalla Polonia. Il settore settentrionale della Prussia orientale è un circondario autonomo della Unione Sovietica, con capoluogo Königsberg (ora Kaliningrad).

Nel luglio 1946 le autorità della zona britannica hanno riunito la Renania settentrionale e la Vestfalia in una sola provincia con capitale Düsseldorf, in modo da comprendere sotto un'unica amministrazione il bacino minerario della Ruhr. Nella zona francese è stato formato un Land con frammenti della Rheinprovinz e dell'Assia-Nassau (appartenenti alla Prussia), del Palatinato (Baviera) e dell'Assia, con capitale Magonza. Anche gli Americani hanno raggruppato i loro territorî, riunendo al Württemberg il Baden settentrionale.

La Germania occidentale si è andata evolvendo dal punto di vista economico-amministrativo attraverso la formazione prima d'una bizona (anglo-americana) e poi d'una trizona (con la parte francese). I Länder sono andati acquistando una maggiore autonomia e con l'istituzione a Francoforte d'un consiglio amministrativo con 6 ministeri (affari economici, finanze, rifornimenti, trasporti, comunicazioni, personale), la Germania occidentale tende ad acquistare una fisionomia autonoma. Mentre tra queste zone i rapporti sono agevoli, una posizione a parte è andata assumendo la Germania orientale, dipendente dall'URSS.

Popolazione (XVI, p. 681 e p. 686; App. I, p. 650). - Il numero degli abitanti delle regioni e delle città della Germania ha subìto considerevoli variazioni, oltre che per gli avvertimenti bellici, per il fatto che tutti i Tedeschi della Polonia sono stati costretti a trasferirsi al di là del nuovo confine; analogo trasferimento si è effettuato inoltre dalla Cecoslovacchia (v. Storia). Nel complesso si calcola (agosto 1947) che siano affluiti entro i limiti attuali della Germania oltre 10 milioni di individui di lingua e origine tedesca, compresi quelli venuti dall'Ungheria, dalla Romania, dall'Austria. D'altra parte bisogna tener conto. delle perdite causate dalla guerra, valutate a 6 milioni di uomini circa. Le cifre sono poi ancora incerte, perché molti Tedeschi sono ancora trattenuti in prigionia. Per le città principali (con oltre 200 mila abitanti) si riferiscono i seguenti dati:

Situazione economica (XVI, p. 693; App. I, p. 651). - Alla fine della seconda Guerra mondiale la Germania si è trovata in situazione economica molto precaria. I principali problemi da risolvere erano: la smilitarizzazione, il pagamento delle riparazioni, lo scioglimento dei cartelli industriali, la sistemazione dei profughi e prigionieri.

È prevedibile che la Germania, dal punto di vista alimentare in genere e cerealicolo in specie, continuerà ad essere ancora a lungo deficitaria. Nel 1939 si contrapponevano una Germania occidentale fortemente industrializzata e con alta densità di popolazione e una Germania orientale, scarsa di materie prime e prevalentemente agricola. Ora si ha maggiore squilibrio, perché i territorî ceduti erano prevalentemente agricoli (salvo la Slesia) ed anche meno densamente popolati, con possibilità di rifornire di generi alimentari i distretti industriali dell'ovest. I Russi hanno mutato tutto il sistema economico-sociale della Germania da essi occupata. A seguito della riforma agraria le terre dei grandi proprietarî (oltre 3.000.000 di ha.) furono espropriate e distribuite ai contadini, formando circa 500.000 appezzamenti di 6 ha. l'uno. Per quanto sia prevista una riforma agraria anche nella zona occidentale, le potenze occupanti sembrano più propense a un risanamento dell'economia tedesca sulle basi tradizionali.

Negli ultimi anni precedenti la seconda guerra mondiale la Germania aveva una considerevole attività peschereccia e possedeva una flottiglia a vapore, che pescava ogni anno 600-750.000 t. di pesce.

Nel campo dei combustibili solidi essa ha perduto il bacino slesiano, diventato interamente polacco, mentre per il petrolio sono stati messi in efficienza alcuni pozzi a Witze, Nienhagen e Obert, con raffinerie a Misburg nell'Hannover. Ma di gran lunga maggiore era la produzione della benzina coi sistemi di idrogenazione del carbone e della lignite. Notevole pure, negli anni di guerra, la produzione di gomma artificiale.

Dapprima era stata deliberata la distruzione dell'industria pesante tedesca e la trasformazione della Germania in un paese prevalentemente agricolo, ma poi gli Alleati occidentali hanno permesso un ripristino parziale delle fabbriche.

Il piano del 1946, redatto dal consiglio alleato di controllo a Berlino, divideva le industrie tedesche in 3 categorie:

1) industrie vietate, i cui impianti devono essere distrutti o asportati a titolo di riparazione. Questa categoria riguarda armamenti, industrie navali e aeree, benzina sintetica e lavorazione del petrolio, gomma sintetica, alcuni tipi di macchine, utensili pesanti, trattori pesanti, alluminio primario, prodotti chimici per uso militare e gas, apparecchi radiofonici e apparati per le telecomunicazioni;

2) industrie limitate, comprendenti, da un lato, il settore produttivo di beni strumentali (acciaio, metalli leggeri, concimi, macchine e utensili elettrotecnici, autocarri, trattori, strumenti ottici, coloranti), dall'altro, il settore producente beni di consumo (automobili, prodotti chimici, tessili, carta, calzature). La produzione di acciaio da un massimo prebellico di 15-20 milioni di t. doveva essere limitata a 5-6, limite che nell'agosto 1947 si ritenne di potere elevare progressivamente fino a 10,5 milioni.

3) industrie libere, comprendenti mobilio, legname, vetrerie, ceramiche, biciclette (comprese quelle a motore), materiali da costruzione edilizia e merci non comprese nelle due categorie precedenti. Per la produzione di carbone e di potassa non fu stabilita limitazione e un accordo del 21 aprile 1947 fissò le aliquote di esportazione e di consumo interno di carbone. Un passo ulteriore verso un maggior sfruttamento delle risorse carbonifere e metallurgiche della Germania occidentale si è avuto poi in seguito alla conferenza di Londra (1948), che ha previsto anche la partecipazione tedesca al piano Marshall (ERP).

Produzione e commercio (XVI, p. 697; App. I, p. 651). - La economia tedesca nel dopoguerra è stata caratterizzata, soprattutto nel campo industriale, da una difficile e faticosa ripresa, ostacolata, oltre che dalle distruzioni belliche, dalle limitazioni imposte dagli Alleati, dalla difficoltà di rifornimento di materie prime e dai prelievi a titolo di riparazioni. Il programma elaborato dal consiglio di controllo alleato nel marzo 1946 prevedeva una riduzione del livello medio produttivo delle quattro zone a circa il 55% di quello del 1938, pari a circa il 70-75% di quello del 1936. Successivamente a Londra (agosto 1947) i rappresentanti degli S. U. e dell'Inghilterra, presenti quelli della Francia, elevarono detto limite per la zona anglo-americana, al 90-95% di quello del 1936.

La produzione industriale attuale della Germania è però ancora molto inferiore a tali limiti. Così per la zona anglo-americana risulta che la produzione aveva raggiunto nel maggio del 1948 un livello medio del 50% rispetto a quello del 1936. Per la zona russa, di cui mancano i dati sul livello produttivo, bisogna ricordare la riorganizzazione della produzione industriale sulla base di "Società per azioni sovietiche", le quali hanno assorbito, secondo stime tedesche, impianti per circa 2,7 miliardi di RM., su un valore di circa 10 miliardi dell'intero complesso industriale della zona. Si tratta di circa 200 grandi fabbriche tedesche, raggruppate in 11 trusts.

Nel settore agricolo la produzione è diminuita di circa il 40-45% rispetto al periodo 1935-37. Tale diminuzione è dovuta per circa la metà alla perdita delle provincie a oriente della linea Oder-Neisse e per l'altra metà alla deficienza dei raccolti nelle quattro zone, causa soprattutto la scarsità di sementi e di macchine agricole.

Per quanto riguarda il commercio estero, il programma elaborato dal consiglio alleato nel marzo 1946 prevedeva che, nel 1949, le esportazioni e le importazioni tedesche avrebbero raggiunto singolarmente l'ammontare di 3 miliardi di RM. (4,2 miliardi importazioni; 4,7 miliardi esportazioni nel 1936) e stabiliva che una parte del ricavo delle esportazioni, non superiore a 1,5 miliardi di RM., fosse utilizzata per pagare le importazioni di generi alimentari, di foraggi e di mangimi. Da successive valutazioni tali cifre si dimostrarono del tutto insufficienti. Secondo esperti americani il fabbisogno totale tedesco di importazioni di generi alimentari ammonterebbe a 7-8 miliardi di RM. ai prezzi prebellici; le esportazioni dovrebbero raggiungere quindi i 10 o 11 miliardi di RM.

Il commercio estero tedesco è attualmente quasi per intero in mano delle autorità alleate. Nella zona anglo-americana vi provvede la Joint Export and Import Agency, in quella francese l'Officomex, e in quella russa direttamente l'amministrazione sovietica. Secondo dati americani, le importazioni della zona anglo-americana ammontarono nel 1947 a 660 milioni di dollari e le esportazioni a 225 milioni. Per la zona francese risulta invece che nel primo semestre del 1947 le importazioni furono di 54,85 milioni e le esportazioni di 46,83 milioni di dollari. Per la zona russa mancano dati sul commercio estero; anche questa zona però, al pari delle altre, ha stipulato importanti accordi con i maggiori paesi europei, tendenti allo sviluppo delle relazioni commerciali.

Finanze (XVI, p. 708 e App., I, p. 653). - Il principio della stretta subordinazione della vita economica e finanziaria al potere supremo, già instaurato dal regime nazista attraverso una lunga serie di provvedimenti, fu vieppiù riaffermato con l'entrata in guerra.

La Kriegswirtschaftsverordnung del 4 settembre 1939, premessa l'equiparazione dei soggetti giuridici di fronte ai sacrifici di guerra e dichiarati delitti punibili anche con la pena di morte la speculazione e il sabotaggio economico, impose nuovi oneri fiscali e obbligò i Länder, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico a restituire allo stato parte delle loro entrate. Fissò inoltre alcuni principî per la formazione dei prezzi, tendenti a evitare ogni dispersione di forze e ogni sperequazione tra i salarî, il rendimento del lavoro e i prezzi stessi.

Nel settore del credito, la posizione di subordinazione agli interessi dello stato della Banca centrale inserita nell'orbita d'influenza governativa con la legge del 10 febbraio 1937 era già stata accentuata nel gennaio 1939, con l'attribuzione della sua presidenza al ministro dell'Economia. Con una legge del 15 giugno 1939, le funzioni e le prerogative della Reichsbank furono rivedute e le furono affidati compiti direttivi di controllo di tutto il sistema bancario. Abolita l'obbligatorietà della copertura aurea, le riserve metalliche non conservarono che la funzione di strumento per la liquidazione dei saldi negli scambî internazionali, mentre veniva legalizzato il principio, già da tempo in atto, che l'equilibrio monetario del mercato interno era in funzione diretta della produttività del paese.

Alfine di sollevare la Reichsbank dalle preoccupazioni derivanti dalle crescenti necessità di circolante di piccolo taglio, con un'ordinanza del 4 settembre 1939, la Deutsche Rentenbank (v. XVI, p. 709), fu nuovamente autorizzata a emettere biglietti con potere liberatorio pari a quelli della Reichsbank. Il compito di far fronte alle necessità monetarie delle truppe operanti fu demandato invece alle Reichskreditkassen, autorizzate a fornire i comandi militari di speciali buoni di pagamento (Reichskreditkassenscheinen) aventi potere liberatorio nei paesi occupati. La circolazione monetaria interna era così nettamente staccata da quella dei paesi occupati, evitando che quest'ultima influisse sul volume della prima. Nonostante l'inasprimento iniziale dei tributi, le entrate fiscali andarono perdendo importanza nel periodo 1939-45, mentre sempre più rilevante si fece il ricorso dello stato al mercato dei capitali a lungo e, soprattutto, a breve termine.

Dal 1° aprile 1939 al 31 marzo 1945 il totale delle spese del Reich per scopi militari e civili è ammontato - escluso il servizio pubblico - a circa 670 miliardi di RM., che furono coperti per circa 330 miliardi con le imposte e le altre entrate ordinarie di bilancio - comprese le contribuzioni dei paesi occupati per 70 miliardi di RM. - e per i restanti 340 miliardi con prestiti. Il debito pubblico era stimato infatti alla fine della guerra a circa 380 miliardi, contro 37,4 all'inizio. Pressoché immutato è rimasto invece l'indebitamento degli enti pubblici locali (sceso da 28 a 26 miliardi) e quello della economia privata (fermo a 68 miliardi).

La politica di indebitamento dello stato è stata facilitata dalla notevole liquidità determinatasi sul mercato per l'impossibilità dei privati di utilizzare per intero il loro reddito monetario. Il cosiddetto "finanziamento silenzioso" è stato infatti caratterizzato dalla sottoscrizione in massa dei titoli di stato da parte delle aziende di credito e altri enti presso i quali affluiva, soprattutto sotto forma di risparmio, il reddito inutilizzato. Alla fine della guerra i titoli pubblici nelle casse di tali enti, compresa la Reichsbank, ammontavano a 361,8 miliardi di RM. (92% del debito pubblico complessivo). Questo sistema permise fra l'altro di evitare forti emissioni di moneta e, solo dopo la metà del 1944, per la maggior urgenza di capitali da parte dello stato, la Banca centrale intervenne sul mercato acquistando titoli pubblici con nuove emissioni. La circolazione monetaria, che nell'agosto 1944 si aggirava intorno ai 38,6 miliardi, salì così a circa 73 miliardi di RM. alla fine delle ostilità. I depositi bancarî e quelli a risparmio erano valutati, alla stessa epoca, rispettivamente a 100 e a 125 miliardi, per cui il volume dei mezzi di pagamento esistenti in Germania alla cessazione delle ostilità ammontavano a circa 298 miliardi, contro 56,4 miliardi alla fine del 1938 e 33,6 alla fine del 1932.

Nonostante la divisione del suo territorio in quattro zone, la Germania, in conformità agli accordi di Potsdam dell'agosto 1945, avrebbe dovuto essere trattata dal punto di vista economico come un'unica entità. In pratica, l'azione dei comandi alleati è stata invece prevalentemente individuale e ha portato a una divisione economica e finanziaria, oltre che amministrativa, del paese in quattro zone, ridotte a tre dopo l'unificazione delle zone inglese e americana. Il Reichsmark (RM.) continuò tuttavia a circolare in tutte le zone a fianco della moneta di occupazione, per quanto avesse perduto molto della sua originaria importanza per la deficienza dei beni di consumo sul mercato. Nei confronti delle valute estere, il cambio venne fissato, subito dopo l'occupazione, nella misura di 10 RM. per 1 dollaro, di 40 RM. per una sterlina e di 1 RM. per 12 franchi francesi. Successivamente il cambio con il dollaro fu portato a 3,30 RM. Fu solo dopo oltre tre anni dalla cessazione delle ostilità, durante i quali fu invano tentato l'accordo per una riforma monetaria e fiscale che potesse estendersi a tutta la Germania, che, in data 20 giugno 1948, le potenze occidentali dichiararono fuori corso, nelle rispettive zone, il Reichsmark, il Rentenmark e il marco alleato di occupazione, sostituendo queste monete con una nuova, denominata Deutsche Mark. Sono rimasti temporaneamente in circolazione i biglietti da 1 RM. e le monete metalliche, il cui valore è stato però ridotto a un decimo di quello facciale. A ciascun abitante delle tre zone occidentali sono stati cambiati alla pari 60 RM. (40 subito e 20 dopo due mesi). Il resto, depositato obbligatoriamente presso istituti di credito, è stato successivamente convertito, insieme con i saldi di tutti i vecchi conti bancarî, nel rapporto di 1 DM. per 10 RM., e per metà accreditato in conti liberi e per metà in conti bloccati. La parte bloccata è stata poi per il 70% annullata, per il 10% convertita in titoli a medio e lungo termine e per il 20% passata a nuovi conti liberi. Salvo casi eccezionali, i depositi bancarî intestati ad alcune categorie di enti pubblici tedeschi sono stati cancellati e così quelli intestati alle autorità alleate di occupazione. In linea generale, anche i rapporti di debito e di credito, pubblici e privati, sono stati ridotti a un decimo del loro valore; i prezzi, gli stipendî e i salarî, sono invece rimasti invariati e così pure il tasso di cambio con le valute estere.

A breve distanza di tempo dalla riforma monetaria delle zone occidentali, anche le autorità sovietiche hanno annunciato una riforma del genere per la loro zona, che differisce sostanzialmente dalla prima perché si propone di realizzare, mediante tassi preferenziali di conversione a favore di alcune categorie di detentori, anche una redistribuzione della ricchezza. Nella zona russa si è dato vita a un nuovo sistema bancario decentralizzato, basato su banche regionali, provinciali e su organi corporativi e il 1° settembre è stata costituita una nuova banca d'emissione.

In quelle occidentali furono create anche banche regionali, in sostituzione delle filiali della Reichsbank, sottoposte a partire dal 1° marzo 1948 al controllo di un nuovo istituto, la Bank Deutscher Länder, cui nel giugno 1948 è stato concesso il privilegio di emettere biglietti (fino a 10 miliardi di DM.) per le tre zone occidentali.

Le disponibilità monetarie liquide delle quattro zone (circolante, depositi bancarî e depositi a risparmio) dopo un iniziale aumento, subito dopo l'arrivo delle forze occupanti, a seguito dell'emissione della moneta di occupazione (il cui volume massimo fu di circa 12 miliardi di RM.), si ridusse sensibilmente scendendo al giugno 1947, secondo valutazioni tedesche, a circa 173 miliardi di RM. e, dopo la riforma - limitatamente alle tre zone occidentali - a 5,7 miliardi di DM. (luglio 1948).

Le finanze pubbliche dopo un periodo di grave squilibrio, in conseguenza della paralisi nell'attività economica e del grave onere per le spese di occupazione, hanno segnato sensibili miglioramenti grazie alle energiche misure deflazionistiche adottate dagli Alleati. Fra queste, di particolare importanza l'inasprimento fiscale, del 12 febbraio 1946, che permise di ridurre i deficit di bilancio previsti e in certi casi di tramutarli in effettive eccedenze attive.

La riorganizzazione del mercato finanziario è stata completata con la riforma fiscale, sempre del giugno 1948. Nelle zone occidentali è stato disposto, fra l'altro, un aggiustamento dell'imposta sul reddito e sui salarî e di quella sul tabacco, che permetterà una sensibile riduzione del carico fiscale medio, ed è stato introdotto un nuovo tributo del 100% sugli incrementi di capitali dal 1939 in poi; il servizio del debito pubblico è stato inoltre sospeso e i titoli del vecchio debito sono stati cancellati dai bilanci delle banche. Nella zona sovietica le autorità di occupazione hanno demandato a quelle tedesche l'incarico di modificare l'attuale sistema tributario alfine di ottenere una migliore distribuzione degli oneri di guerra, cercando di salvaguardare il reddito dei lavoratori.

Le spese di occupazione a carico della Germania sono state valutate per l'esercizio 1946-47 a 7,9 miliardi di RM., dei quali 6,6 sono stati coperti mediante entrate di bilancio, mentre 1,3 si riferiscono in genere a servizî resi senza compensazione.

Le entrate complessive delle amministrazioni regionali e di zona nello stesso esercizio sono state inferiori di poco ai 30 miliardi di RM., mentre il reddito nazionale, sceondo l'Istituto tedesco per la congiuntura economica, sarebbe ammontato a 50 miliardi di RM. contro 82,1 miliardi nel 1938.

Storia (XVI, p. 715; App. I, p. 655).

Il regime hitleriano fino allo scoppio della seconda Guerra mondiale. - Attraverso la cosiddetta conquista del potere (30 gennaio 1933) e la legge per i pieni poteri del 23 marzo 1933, la dittatura di Hitler era bensì fondata, ma aveva bisogno ancora di un certo tempo per eliminare i resti della democrazia e per liquidare gli alleati di un tempo, i tedesco-nazionali e gli "elmi di acciaio" e per occupare tutte le posizioni-chiave dello stato. Con la repressione cruenta della cosiddetta rivolta di Röhm del 30 giugno 1934 e con la morte del presidente del Reich, Hindenburg (2 agosto 1934) questa fase era in sostanza chiusa. Non ci fu più, da allora, una barriera costituzionale, ed anche l'ultimo fattore del potere, la Reichswehr, era ormai nelle mani di Hitler. Gli anni 1935-38 furono dedicati allo sviluppo, all'interno, delle posizioni politiche raggiunte, e al riarmo. In quel tempo la rete del totalitarismo fu stesa definitivamente sul popolo tedesco e su tutti i campi della sua vita.

Le ramificazioni del partito nazionalsocialista afferrarono e scortarono ogni tedesco dalla culla alla tomba: la "Hitlerjugend", il "Bund deutscher Mädchen", l'"Arbeitsfront", la "Frauenschaft", la "S. A." (Sturmabteilung); il partito stesso con i suoi Gau, le sue circoscrizioni e i suoi gruppi locali, era uno stato nello stato e controllava con le sue propaggini estreme, la "Blockwarte", ogni singola famiglia: "Volkswohlfahrt" e "Kraft durch Freude", promuovevano l'assistenza sociale e si occupavano dei divertimenti delle masse. Alle quali rimase ignoto che il regresso nella disoccupazione e l'apparente prosperità economica erano una conseguenza del riarmo, dunque una cambiale che un giorno si sarebbe dovuta pagare.

La base ideologica del regime era la teoria della razza, la quale si esplicò non solo all'interno (antisemitismo; principio del "Führer"), ma anche nei riguardi dell'estero (superiorità della razza germanica). Il principio: "il partito comanda allo stato" giustificò il dominio incontrollato di un gruppo di fanatici, di avventurieri e di delinquenti.

Con la scorta di questa teoria falsa e primitiva, la dottrina del partito giustificava la dittatura di Hitler, "Führer e Reichskanzler". Quando uomini come R. Vansittart dicono di lui che egli "precisely represented German caracter", essi fanno esattamente propria la dottrina nazionalsocialista. Ma non meno fatale di questa equiparazione di hitlerismo e germanesimo fu l'errore, diffuso all'estero, che Hitler fosse soltanto uno strumento di altri, o dell'industria pesante, o dell'esercito o dei monarchici, che lo avevano aiutato a conseguire il potere; lui, e lui soltanto, comandava illimitatamente. Sebbene autodidatta e uomo istruito soltanto a mezzo, sapeva ingannare anche uomini del mestiere col suo modo accorto di comportarsi. L'affettata semplicità delle maniere nascondeva reali, gravosi dispendî; il fondo a sua disposizione era di 150 milioni di marchi all'anno. Il mito di Hitler, ribadito nelle teste del suo popolo, attraverso la stampa, la radio e il cinematografo, è una delle due chiavi per comprendere la catastrofe tedesca.

L'altra chiave è il terrore. Nei primi anni (1933-34), allorché il regime non ancora consolidato lottava per il riconoscimento nel campo internazionale, un atteggiamento risoluto e concorde delle classi dirigenti contro il soffocamento dello stato di diritto, la persecuzione degli Ebrei, i campi di concentramento e la persecuzione della chiesa, avrebbe forse potuto aprire gli occhi alle masse sul vero carattere del sistema; che un tale atteggiamento non ci sia stato, rimane una grave accusa contro le classi spiritualmente più elevate della nazione tedesca. Più tardi, assumere un atteggiamento di opposizione equivaleva ad autoannientarsi. Non soltanto era morta la libertà di stampa, ma anche la libertà d'espressione dell'opinione scientifica. Un Benedetto Croce, in Germania, non avrebbe più potuto pubblicare una riga; uomini di scienza come lo storico F. Meinecke, il romanista K. Vossler, il fisico M. Planck erano condannati alla passività. La Gestapo (polizia segreta di stato), dalla fine del 1934 sottoposta al Reichsführer delle SS (Schutzstaffeln) Himmler perseguitava senza riguardo ogni accenno d'opposizione. I campi di concentramento offrivano il modo, trascurando le vie legali, di far scomparire per il tempo che si volesse o per sempre le persone poco gradite. Sotto la pressione di tanto terrore, la giovane generazione tedesca cooperò col nazismo. La generazione anziana, quella cioè rimasta negli uffici e nelle professioni, mentre faceva un'opposizione blanda e silenziosa, attese sul principio il crollo economico del sistema, poi l'intervento dell'estero. Tutte e due le aspettative rimasero illusorie.

Il superamento della crisi economica mondiale favorì la durata del regime di Hitler: le misure di boicottaggio economico, con le quali una parte dell'estero rispose alla persecuzione contro gli Ebrei, ottennero risultati soltanto limitati. Nella politica estera Hitler colse un successo dopo l'altro: il 26 gennaio 1934 la Polonia strinse con lui un patto decennale di non aggressione con il quale essa ottenne la garanzia del suo confine occidentale; l'abolizione unilaterale delle clausole del trattato di pace di Versailles limitanti la sovranità del Reich, per la cui revisione i governi democratici tedeschi avevano lottato invano fino al 1932, fu accettata, protestando, dalle potenze occidentali, ma senza che alla protesta seguisse una seria reazione. Inghilterra, Francia e Italia elevarono, nelle dichiarazioni di Stresa (aprile 1935), una protesta contro la denuncia unilaterale dei trattati, ma non si raggiunse né a Stresa né nella Società delle nazioni alcuna unità sui mezzi efficaci per garantire la sicurezza collettiva. Subito dopo il discorso di Hitler al Reichstag del 21 maggio 1935, nel quale egli proclamò le sue intenzioni pacifiche e offerse la conclusione di patti bilaterali, l'Inghilterra concluse l'accordo navale del 18 giugno 1935, che accordò alla Germania una forza navale pari al 35% delle forze della marina da guerra britannica. La rioccupazione della Renania smilitarizzata, il 7 marzo 1936, fu bollata dal Consiglio della Società delle nazioni come lesiva del patto di Locarno, ma non provocò nessuna sanzione. Il Belgio tenne a distanziarsi, con la dichiarazione di neutralità del 14 ottobre 1936, dalle conversazioni degli stati maggiori francese e britannico. L'alleanza franco-russa conclusa da L. Barthou e l'entrata della Russia nella Società delle nazioni, che Hitler aveva lasciato, rimasero senza efficacia. Al contrario, il Patto anticomintern sottoscritto il 26 novembre 1936 col Giappone, suscitò l'impressione che la Germania ora fosse divenuta un'alleata ricercata. I successi dell'Italia in Etiopia e di Franco in Spagna furono attribuiti alla superiorità dei sistemi autoritarî e alzarono il prestigio di questi anche in Germania.

Alla massa del popolo rimase nascosto che questi apparenti successi in politica estera seppellivano la fiducia del mondo nei sentimenti pacifici della Germania e nella sua capacità di tener fede ai patti, creando un'atmosfera di paura, veramente, sulle prime, non giustificata dal grado reale di potenza della Germania, paura che a suo tempo doveva suscitare la reazione dei popoli di tutto il mondo, unendoli nella resistenza contro la minaccia di un'aggressione. Nello spirito di Hitler si formò la folle idea che nessuna potenza osasse opporsi seriamente ai suoi piani. I "successi" in politica estera lo incoraggiarono a soffocare senza riguardi l'opposizione all'interno e a procedere anche contro quella forza spirituale che finora si era opposta all'"inserzione" nel nazismo e che aveva ancora grande seguito nel popolo: il cristianesimo.

I rapporti con la chiesa cattolica erano stati regolati da Hitler con il concordato del 20 luglio 1933. Ma tanto le trattative condotte in Roma dal plenipotenziario R. Buttmann, nell'ottobre 1933 e aprile 1934, quanto quelle condotte dai vescovi di Friburgo, Berlino e Osnabrück dal giugno fino al novembre 1934 a Berlino, avevano portato a un accordo sui punti controversi circa l'esecuzione del concordato: cioè, l'ulteriore esistenza delle società cattoliche, la conservazione delle scuole confessionali, la libertà d'insegnamento della Chiesa e della stampa cattolica. Il partito nazista continuò imperturbato a propagare la sua ideologia anticristiana. I processi contro sacerdoti per supposti reati contro le leggi sulle divise 1935) e contro la morale (1936-37), che furono ampiamente diffusi nella stampa e con la radio, avevano lo scopo di seppellire l'autorità morale della Chiesa. Il campo d'azione di essa venne sempre più ristretto: fu abolito, per esempio, l'insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole elementari. Contro questo soffocamento della vita ecclesiastica, condotto con grande accortezza, si eresse il papa con l'enciclica "Mit brennender Sorge" del 14 marzo 1937, preceduta e seguita da numerose lettere pastorali e da memoriali dell'episcopato tedesco, di analogo contenuto. Molti sacerdoti pagarono col campo di concentramento la loro azione coraggiosa in difesa dei principî del cristianesimo. Contro l'ostilità alla Chiesa del nazionalsocialismo, protestò il vescovo di Münster, C. A. Galen, nelle sue famose prediche del 13 e 20 luglio 1941.

Mentre la chiesa cattolica si opponeva, tutto sommato con successo, all'infiltrazione del nazionalsocialismo, la chiesa protestante non poté impedire del tutto la penetrazione in essa delle idee non cristiane. La "Reichskirche" proclamata al principio del regime, aveva ricevuto l'11 luglio 1933 una nuova costituzione, la quale prevedeva un vescovo del Reich e un ministero ecclesiastico di 4 membri. Dopo che fu negato il riconoscimento statale alla elezione del pastore strettamente ortodosso Friedrich von Bodelschwingh, fu insediato come vescovo del Reich il parroco militare nazionalsocialista Ludwig Müller. Ma parecchie chiese provinciali, per esempio quelle del Hannover, del Württemberg e della Baviera, dichiararono di non voler avere a che fare con lui, e l'"inserzione" nel nazismo della chiesa protestante fece fallimento. Nel suo seno si formarono due gruppi principali: i "Deutsche Christen", i quali parteggiarono per un compromesso con il nazionalsocialismo, e la "Bekennende Kirche", la quale nel sinodo di Barmen del 31 maggio 1934. mise in netto rilievo i contrasti con esso. I "Bekenntnischristen", energicamente combattenti per le loro convinzioni, con alla testa il parroco di Berlin-Dahlem, Martin Niemöller, ebbero a subire le stesse persecuzioni dei cattolici.

A dispetto di tutte le persecuzioni, il cristianesimo in questa aspra lotta si affermò come l'unica forza veramente popolare accanto al nazionalsocialismo. In tutti gli altri campi il potere di Hitler all'interno, alla fine del 1937, era così saldamente affermato e così ben preparato, mediante il riarmo, a conflitti con l'estero, che egli si credette forte abbastanza per fare della politica estera in grande stile e per intraprendere, come primo passo, la revisione dei confini imposti alla Germania dal trattato di Versailles, al sud e al sud-est. Già il 5 novembre 1937 Hitler, in una conversazione col ministro degli Esteri K. v. Neurath e con i capi delle tre armi della Wehrmacht, sviluppò i suoi piani per l'annessione dell'Austria, dei Sudeti e dei territorî orientali appartenenti alla Germania fino al 1918. Con le dimissioni del ministro degli Esteri Neurath e del comandante supremo dell'esercito W. von Fritsch, il 4 febbraio 1938, si liberò degli avversarî più importanti di una politica estera aggressiva. Il nuovo ministro degli Esteri, J. v. Ribbentrop, lo rafforzò nell'illusione che l'Inghilterra e la Francia, governata dal Fronte popolare, non avrebbero combattuto per l'indipendenza dell'Austria, per l'integrità della Cecoslovacchia e della Polonia.

Gli eventi prima e dopo l'occupazione dell'Austria, avvenuta il 12 marzo 1938, sembrarono dargli ragione. Anche molti avversarî del regime, che pure ripudiavano i metodi usati nell'attuazione dell'"Anschluss", considerarono, ciò non ostante, quell'evento come una realtà acquisita e la grande Germania, cosi creata, come la conclusione dell'unificazione nazionale tedesca.

Frattanto la "Sudetendeutsche Partei" di Konrad Henlein, istigata da Hitler, aveva preteso col programma di Karlsbad del 24 aprile 1938,l'autonomia per i Tedeschi della Cecoslovacchia. Falliti i varî tentativi di compromesso (v. cecoslovacchia, App. I, p. 391), Hitler, nel discorso conclusivo del congresso del partito a Norimberga il 12 settembre 1938, pretese la cessione dei Sudeti e rimase intransigente di fronte ai nuovi tentativi di mediazione di N. Chamberlain che il 15 settembre gli fece visita a Berchtesgaden e il 22 a Godesberg. L'incontro di Godesberg finì con la richiesta dell'evacuazione dei territorî dei Sudeti entro il 1° di ottobre. Si giunse all'accordo di Monaco (29 settembre 1938) in forza del quale Chamberlain, Daladier, Hitler e Mussolini s'intesero sulla base di un programma abbozzato dal segretario di stato E. v. Weizsäcker, e fatto arrivare nelle mani di Mussolini per mezzo dell'ambasciatore italiano a Berlino B. Attolico, circa la cessione dei Sudeti fra il 1° e il 10 ottobre, senza che la Cecoslovacchia fosse neppure interpellata. La grande maggioranza del popolo tedesco, insieme col resto del mondo, diede un gran sospiro di sollievo nella fiducia che la pace fosse stata ancora una volta salvata; Hitler, invece, considerò Monaco come una conferma della sua opinione che le potenze occidentali facevano soltanto un bluff; i suoi avversarî nell'esercito e nella burocrazia, i quali avevano preparato un colpo di stato per eliminare il regime nel momento in cui fosse emanato l'ordine di attacco, furono paralizzati dall'esito del convegno di Monaco. Già il 9 ottobre Hitler, nel suo discorso a Saarbrücken, dava sfogo al suo scontento per la soluzione di Monaco. La dichiarazione anglotedesca concordata a Monaco ed esprimente la volontà di non scendere mai in guerra l'un contro l'altro, e che Chamberlain agitò nelle mani al suo ritorno a Londra, era presa da Hitler altrettanto poco sul serio, quanto il trattato franco-tedesco di non aggressione sottoscritto a Parigi il 6 dicembre. Sebbene il governo di Praga dopo il ritiro del presidente Beneš mostrasse grande remissività, Hitler tuttavia era già deciso a distruggere quanto restava dello stato cecoslovacco. Allorché dissapori fra il governo di Praga e la Slovacchia portarono, il 10 marzo 1939, all'occupazione militare di Bratislgva e all'insediamento di K. Sidor come presidente dei ministri, Hitler convocò il 14 marzo a Berlino il presidente dello stato cèco E. Hacha e lo pose davanti all'alternativa o di sottoporre il suo paese alla protezione del Reich, oppure di esporlo a un attacco che l'avrebbe distrutto. Hacha scelse la prima alternativa. Il colpo di forza contro Praga era in flagrante contrasto con le precedenti dichiarazioni hitleriane di non voler annettersi nemmeno un cèco, e con l'accordo di Monaco. Per la prima volta si faceva violenza a un popolo di nazionalità non tedesca. L'opinione pubblica mondiale, ancora commossa per gli atti di violenza organizzati dal partito nazista contro Ebrei e proprietà ebraiche il 9 novembre 1938, dopo l'assassinio del diplomatico tedesco E. von Rath, avvenuto a Parigi per mano d'un ebreo, si confermò nell'idea che Hitler perseguiva non soltanto la revisione del trattato di Versailles, ma uno spudorato imperialismo. Praga significò la cesura fra la pace e la guerra.

È vero che nelle settimane successive Hitler colse altri successi. La Lituania gli cedette il 23 marzo il territorio di Memel, da essa occupato nel 1923; lo stesso giorno la Romania strinse con la Germania un trattato economico che, se fosse stato eseguito, avrebbe notevolmente allargata per la Germania la base di risorse di materie prime. Ma il 31 marzo la Polonia accettò la garanzia dell'integrità territoriale offertale dall'Inghilterra e si rifiutò di prendere in considerazione le richieste inoltrate da Hitler, cioè la cessione di Danzica e la costruzione di una autostrada extra-territoriale verso la Prussia Orientale attraverso il corridoio. L'Inghilterra introdusse il servizio militare obbligatorio per tutti, il presidente degli Stati Uniti rivolse il 16 aprile a Hitler e a Mussolini un appello di pace, che il primo respinse nel suo discorso del 28 aprile in forma offensiva, come intromissione ingiustificata negli affari tedeschi. I patti di non aggressione che egli strinse con l'Estonia, con la Lettonia e con la Danimarca, alla fine di maggio e al principio di giugno, dovevano testimoniare delle sue intenzioni pacifiche, ma in realtà nessuno ci prestò fede.

A dispetto di tutti gli apparenti successi, la Germania era completamente isolata nella politica internazionale. Trattative per una alleanza col Giappone non fecero alcun passo avanti. Il Patto di acciaio sottoscritto a Berlino il 22 maggio 1939 con l'Italia perdeva valore rispetto ai piani di Hitler, poiché Mussolini, in una lettera del 30 maggio consegnata dal gen. U. Cavallero, domandava per le potenze dell'Asse un periodo di pace di tre anni. Inoltre l'alleanza con l'Italia non liberava il Reich dal pericolo di una guerra su due fronti, quella guerra che per non essere stata evitata, Hitler nel suo libro Mein Kampf rimproverava come massimo errore alla Germania guglielmina. Soltanto un'intesa con la Russia poteva eliminare questo pericolo. E a questa intesa (per le trattative, v. guerra mondiale, in questa App.) egli giunse con gli accordi firmati a Mosca nella notte del 23-24 agosto da Ribbentrop: patto di non aggressione russo-tedesco, insieme con un protocollo segreto per il quale la Germania dichiarava di non essere interessata all'Estonia, alla Lettonia, alla Finlandia, alla Bessarabia e ai territori polacchi ad oriente dei fiumi Pisa, Narew, Vistola e San. Agli occhi di Hitler la conclusione di questo patto si presentava come il "colpo più grosso della sua vita". Egli credette di aver intimidite le potenze occidentali e di avere mano libera per la marcia contro la Polonia.

Ma già nello stesso giorno 23 agosto Chamberlain, in una lettera personale consegnata da Henderson a Hitler a Berchtesgaden comunicava che l'Inghilterra teneva fermo ai suoi impegni rispetto alla Polonia, pur restando pronta a fare da intermediaria per trattative dirette fra la Polonia e la Germania. Altrove (v. guerra mondiale, in questa App.) è dettagliatamente esposta la storia delle trattative fra l'Inghilterra, la Polonia e la Germania. Invano Hitler cercò di separare l'Inghilterra dalla Polonia, proponendo (ciò che ben difficilmente era fatto sul serio) un'intesa generale che comprendesse anche una garanzia di tutto l'Impero britannico da parte della Germania. Il 29 agosto egli comunicò verbalmente all'ambasciatore britannico Henderson le sue nuove pretese verso la Polonia: cessione di Danzica e del corridoio; venuta di un plenipotenziario polacco a Berlino entro la mezzanotte del 30 agosto. Ma il modo di procedere tedesco mostrava chiaramente che Hitler e Ribbentrop volevano sabotare la mediazione inglese, innanzi tutto perché essa chiedeva la garanzia internazionale per gli accordi da concertare fra Germania e Polonia, e umiliare la Polonia se non con le armi, almeno con un "Diktat". D'altra parte, all'ambasciatore polacco Lipski, che il 31 agosto, cioè dopo il termine posto, conferì con Ribbentrop per annunciargli che la Polonia era pronta a trattare, non furono fatte controproposte tedesche. Così l'esile filo della pace era rotto. La mattina del 1° settembre, alle cinque e 45, cominciava l'aggressione tedesca contro la Polonia.

Un appello di pace del papa, del 24 agosto, rimase inascoltato, così come i moniti di pace di altri sovrani. Il 1° settembre Hitler diede davanti al Reichstag una versione del tutto svisata dei fatti, ma non respinse direttamente una proposta di Mussolini, fattagli il 2 settembre, di concludere un armistizio e di partecipare ad una conferenza internazionale; egli sperava di occupare nel frattempo gli obiettivi che lo interessavano: Danzica e il corridoio. Poiché Inghilterra e Francia insistevano a porre come condizione preliminare a ogni trattativa il ritiro delle truppe tedesche, fallì anche quest'ultimo tentativo di pace. Quando il 3 settembre Hitler ricevette la dichiarazione di guerra delle due potenze, esclamò alquanto scosso: "Ma dunque ci hanno tuttavia dichiarato la guerra!".

Durante la guerra 1939-45. - Eppure, Hitler continuava a non credere alla volontà di guerra degli Alleati. Egli fu rafforzato in questa credenza, quando durante le settimane successive le potenze occidentali non fecero nemmeno il tentativo di alleggerire la Polonia, gravemente oppressa dai nemici, attaccando sul fronte occidentale difeso da non più di 20 divisioni. Soltanto così si può spiegare come egli, dopo la vittoria sorprendentemente rapida in oriente, si ripromettesse un successo dall'offerta di pace fatta alle potenze occidentali nel discorso al Reichstag dell'8 ottobre. Chamberlain respinse il 12 ottobre il richiesto riconoscimento delle conquiste in Polonia, anche più nettamente di quanto aveva fatto Daladier il giorno 10. Infatti, un riconoscimento del fatto compiuto era impossibile. Hitler aveva incorporato al Reich non soltanto le provincie di Posen e della Prussia occidentale appartenute al Reich fino al 1918, ma anche il territorio attorno a Łódź col nome di "Warthegau" e aveva privato il resto della Polonia di ogni indipendenza statale, facendone un Governatorato generale. Nel trattato per le frontiere e di amicizia con l'URSS del 28 settembre 1939, i territorî della Polonia orientale fortemente permeati di Ucraini e di Russi bianchi e la cui estensione viene approssimativamente indicata con la cosiddetta Linea Curzon del 1920, erano stati promessi alla URSS e ad essa, oltre agli stati baltici, consegnata anche la Lituania.

Quando nell'inverno 1939 i Russi attaccarono la Finlandia, Hitler proibì ogni manifestazione di simpatia per quest'ultima e sabotò le misure italiane per aiutarla. Tutto il suo interesse andava allora alla preparazione dell'offensiva in occidente, la quale - come mise in piena evidenza il piano d'invasione trovato il 19 gennaio 1940 sulla persona di un corriere che era stato costretto ad atterrare in Belgio - prevedeva la non osservanza della neutralità olandese e belga. Innanzi tutto egli si assicurò il fianco con l'impresa contro la Norvegia (9 aprile); l'inaspettato successo di questa azione rafforzò il suo prestigio militare. Quando poi, al principio dell'offensiva in occidente (10 maggio), riuscì anche la rottura da lui comandata delle linee francesi presso Sedan, quando capitolò l'armata olandese il 15 maggio e la belga il 28 e quando infine il 17 (24) giugno anche la Francia capitolò, la leggenda del "più grande capitano di tutti i tempi" trovò credito presso molti. Soltanto gl'iniziati sapevano che il ritardo di 48 ore, voluto da Hitler, all'intervento dell'armata corazzata di E. v. Kleist contro Dunkerque, aveva reso possibile al corpo di spedizione inglese la ritirata per mare. L'entrata dell'Italia in guerra, per la quale egli invano si era adoperato durante l'inverno 1939-40, gli riuscì indesiderata, perché ora era costretto a tenere in considerazione l'alleato, le cui pretese territoriali nei riguardi della Francia rendevano impossibile una pace col governo di Pétain.

Scarso entusiasmo suscitò d'altronde nel popolo tedesco la sopraffazione della Polonia e la vittoria in occidente. Mentre i capi nazisti dissertavano su piani fantastici per una futura espansione del Reich in occidente (Olanda, Fiandra, Borgogna), il popolo sperava in una prossima pace. Essa non venne. Anche dopo che l'offensiva aerea contro l'Inghilterra non riuscì a spezzarne la resistenza, Hitler continuò a credere che la causa della Gran Bretagna fosse perduta e che il soccorso americano promosso dal presidente Roosevelt sarebbe giunto troppo tardi. Nell'autunno 1940 egli accentuò l'attività diplomatica, per mettere sotto gli occhi dell'Inghilterra l'isolamento in cui essa si trovava. La Romania, che era stata indebolita dalla cessione coatta della Bessarabia alla Russia e di una gran parte della Transilvania all'Ungheria (secondo arbitrato di Vienna del 30 agosto), fu legata con una promessa di garanzia al carro tedesco, senza previo accordo con la Russia; Hitler volle assicurarsi i rifornimenti della Wehrmacht per mezzo delle ricche sorgenti petrolifere romene, mandandovi delle sedicenti "truppe d'istruzione".

Il Patto tripartito del 27 settembre 1940 legò finalmente all'Asse anche il Giappone. Ma il tentativo, nel convegno di Hendaye (23 ottobre), di indurre ad aderirvi il generale Franco fallì allo stesso modo come fallirono i tentativi per farvi partecipare la Francia e in particolare la flotta francese, compiuti nel convegno col maresciallo Pétain a Montoire (24 ottobre) e più tardi nelle trattative con l'ammiraglio Darlan (25 dicembre). E nemmeno in nessun altro dei territorî occupati, per mezzo di un programma costruttivo, Hitler riuscì a guadagnare al "nuovo ordine" una parte notevole delle popolazioni; il favore concesso dal partito nazista a transfughi come P. Laval, V. Quisling, Mussert, L. Degrelle non fece altro che compromettere la potenza occupante e rese difficile la loro azione anche a quei capi militari che erano umanamente ben disposti (per esempio A. v. Falkenhausen nel Belgio).

Gravido di conseguenze fu il raffreddarsi delle relazioni con la Russia. I sorprendenti successi tedeschi avevano suscitato colà delle preoccupazioni, la promessa di garanzia alla Romania aveva palesemente urtato. Quando Molotov, nella sua visita a Berlino il 13 e 14 novembre 1940, pretese il diritto di porre dei presidî in Bulgaria e di stabilire capisaldi militari sugli stretti, Hitler gli si mostrò negativo e lasciò senza risposta le condizioni già formulate da Mosca per un'eventuale adesione della Russia al Patto tripartito. Il monito russo alla Bulgaria a non permettere l'accesso di truppe tedesche, e ancor più il trattato di amicizia concluso con la Iugoslavia a Mosca il 6 aprile 1941, misero in evidenza le divergenze dei piani delle due potenze relativi ai Balcani.

La campagna balcanica iniziata lo stesso 6 aprile doveva originariamente servire soltanto ad alleggerire l'Italia. Hitler avrebbe preferito che la Iugoslavia avesse aderito come un tutto all'Asse. E infatti il governo di D. Cvetkovic, il 25 marzo 1941, aveva sottoscritto a Vienna l'adesione. Ma quando questo governo fu abbattuto da un pronunziamento militare il 27 marzo, la sete di vendetta di Hitler divampò contro i Serbi ancor più che nel 1939 contro i Polacchi. Il bombardamento di Belgrado valse a placare questi sentimenti di vendetta. La fine sorprendentemente rapida della campagna balcanica con la capitolazione dell'armata iugoslava il 17 aprile e dell'armata greca il 23 aprile 1941, esasperò la sua ὕβρις. Ma la delimitazione dei confini del neocostituito regno di Croazia e la guerra partigiana che subito dopo divampò, divennero una fonte di continui attriti tra Germania e Italia.

Non c'è nessuna prova che convalidi l'affermazione fatta da Hitler nel suo proclama alla Wehrmacht e al popolo, il 22 giugno 1941, che l'URSS fosse sul punto di aggredire la Germania. La Russia aveva eseguito gli obblighi dei trattati e fornito alla Germania notevoli quantità di materie prime. Ancora durante le trattative economiche nell'inverno del 1940 Stalin si era così espresso: "Cinque o sei anni di ulteriori scambî metteranno la Russia in grado di produrre materie prime sufficienti per due Germanie". Certo è che Stalin non aveva nemmeno tralasciato di rafforzare la preparazione militare dell'URSS e di coprirsi le spalle da una minaccia da parte della Germania coi trattati di neutralità col Giappone del 13 aprile 1941. Sulla decisione di Hitler di aggredire la Russia fu determinante, da un lato, il desiderio di assicurarsi il possesso di materie prime, dall'altro l'idea che lo stato sovietico fosse militarmente debole, idea combattuta da tutti gli esperti tedeschi e specialmente dall'ambasciatore Schulenburg e dall'addetto militare a Mosca Kostring. Hitler sperava di finire la guerra in 3, al più in 4 mesi, ma in realtà egli creò da sé quel secondo fronte contro il quale si dissanguò la Wehrmacht finora intatta, e scatenò la valanga che lo seppellì. L'intuizione del pericolo aveva indotto Rudolf Hess al suo volo verso l'Inghilterra l'11 maggio 1941; ma egli, invece di guadagnare l'Inghilterra ad una crociata contro il bolscevismo, cadde in una trappola del servizio segreto inglese. L'apparente fuga della prima personalità del partito, che Hitler aveva designato a suo successore dopo Goering, fu un duro colpo per il regime.

La guerra contro la Russia, intrapresa il 22 giugno, diede, sì, grazie alla riuscita sorpresa, grandi successi iniziali, ma non portò a compimento né il piano della distruzione del grosso delle armate nemiche nella Russia occidentale, né la presa di Mosca e di Leningrado. Preso dalle sue fantastiche idee razzistiche, Hitler non fece nemmeno il tentativo di guadagnare alla collaborazione le popolazioni e gli strati sociali scontenti del sistema bolscevico. Il Ministero per gli affari orientali, formato il 7 luglio 1941 sotto la direzione di Alfred Rosenberg, e il Gauleiter della Prussia orientale E. Koch, nominato commissario del Reich per l'Ucraina, considerarono i territorî conquistati semplicemente come oggetti di sfruttamento. La guerra condotta senza alcun riguardo, il trattamento crudele fatto ai prigionieri, il massacro di numerosi Ebrei e altri crimini dei reparti SS adoperati per combattere i partigiani, spinsero il popolo russo agli estremi della resistenza. La dichiarazione fatta al principio di ottobre 1941 dal capo della stampa del Reich Dietrich, secondo la quale la guerra in Russia era virtualmente finita, fu bollata di menzogna dal fallimento dell'offensiva contro Mosca e dalla controffensiva subito dopo iniziata dai Russi, alla quale poterono opporre resistenza solo a fatica le truppe non equipaggiate per l'inverno insolitamente duro di quell'anno.

Sebbene il presidente Roosevelt dopo la sua rielezione, il 5 novembre 1940, non avesse lasciato alcun dubbio che egli non avrebbe permesso mai la sconfitta delle democrazie occidentali (Lend and lease-Act dell'11 marzo 1941), Hitler tuttavia aveva evitato di fornire agli Stati Uniti un motivo di guerra che disarmasse anche l'opposizione. L'entrata del Giappone nel conflitto glí parve tuttavia così vantaggiosa che già nel giorno di Pearl Harbour dichiarò anche da parte sua la guerra agli Stati Uniti. Ma il Giappone tenne fede al suo trattato di neutralità con l'URSS, sicché quest'ultima poté impiegare ulteriormente in Europa le sue armate togliendole dall'Estremo oriente. Significativo per la sua cecità è che ancora nel marzo e giugno 1942 egli respinse offerte dello stato maggiore rispettivamente della marina e dell'esercito giapponese, di fare da mediatori fra la Germania e l'URSS. La cooperazione militare prevista nel patto militare col Giappone dell'11 dicembre 1941, non venne mai attuata. A ragione il gen. H. Marshall, nella sua relazione finale The winning of the war, indica in questa mancanza di coordinazione una causa decisiva della sconfitta militare delle potenze dell'Asse. L'altra causa fu la strategia personale di Hitler; sordo ai consigli dei generali più esperti, egli perseguì i suoi piani fantastici e sacrificò senza riguardi uomini e materiali con operazioni sbagliate e con il continuare inutilmente la resistenza.

Dopo lo scacco dell'inverno 1941, egli, al principio del 1942 fece lo sforzo supremo per provocare una decisione nella guerra - come egli diceva - "totale". Per colmare le lacune prodotte dalle gravi perdite in oriente, fu costretto a togliere forze lavorative sempre più numerose all'economia nazionale e a sostituirle con lavoratori reclutati coattivamente nei territorî occupati, provvedimento per cui fu nominato commissario, il 21 marzo 1942, il Reichsstatthalter della Turingia Fritz Sauckel. Il "Zentrales Planungsamt" fondato il 22 aprile 1942 e la cui personalità direttiva fu il ministro degli Armamenti Albert Speer, coordinò tutta l'economia di guerra. Nella seduta del Reichstag del 26 aprile 1942, Hitler si fece dare i pieni poteri per trarre allo sforzo bellico ogni tedesco, sen2a riguardo a forme giuridiche e a diritti acquisiti. Malgrado ciò, l'offensiva estiva scatenata contro il parere del comando supremo della Wehrmacht, in due direzioni, verso il Caucaso e contro Stalingrado, non raggiunse i suoi obiettivi strategici per mancanza di forze. Non riuscì né a rompere l'arteria del Volga, né a conquistare i campi petroliferi di Baku. L'attacco contro l'Egitto, secondo braccio di un gigantesco movimento a tenaglia contro il vicino Oriente, si insabbiò ad el-‛Alamein.

Con la sconfitta di Rommel presso el-‛Alamein e lo sbarco angloamericano in Africa settentrionale il 7 novembre 1942, si era raggiunta l'acme militare della guerra e contemporaneamente anche quella politica. Infatti Roosevelt e Churchill nel convegno di Casablanca del 23 gennaio 1943 avanzarono la pretesa di resa incondizionata (unconditional surrender) che più tardi anche Stalin fece propria, nel convegno di Mosca del 19-30 ottobre 1943. Fino a questo punto gli Alleati, nelle loro dichiarazioni ufficiali ed anche più nella loro propaganda, avevano messo in rilievo che essi facevano la guerra contro il regime hitleriano, non contro il popolo tedesco e che erano pronti ad accordare a questo, se si liberava da Hitler, una pace sopportabile. La formula dell'unconditional surrender lasciò cadere definitivamente questa distinzione. Chi avesse fatto cadere Hitler, n0n aveva, d'ora in poi, nessuna probabilità di assicurare alla Germania condizioni di pace migliori, correva anzi il pericolo di passare alla storia tedesca come promotore di un nuovo "colpo di pugnale nella schiena". Perciò la formula di Casablanca ha contribuito essenzialmente a rafforzare la posizione di Hitler, pur scossa da insuccessi che non si potevano più nascondere, e a prolungare la guerra. Il 3 febbraio 1943, contro l'ordine di Hitler di combattere fino all'ultimo uomo, si arrendeva il feldmaresciallo F. von Paulus con i resti della 6a armata chiusa in Stalingrado da oltre due mesi.

Poco dopo von Paulus aderi al comitato "Freies Deutschland" fondato dal gen. Seidlitz e che si poneva come scopo di abbattere Hitler; e fece proseliti, a questo fine, fra i prigionieri e - secondo notizie non assolutamente sicure - formò con essi reparti militari i quali però, durante la guerra, non furono più impiegati come corpi organici.

L'effetto di questa prima grande sconfitta militare, immenso nel popolo tedesco, fu aumentato dalle contemporanee misure per la continuazione della "guerra totale". Per disposizione (4 febbraio) del ministro per l'economia del Reich, Funk, furono chiuse tutte le imprese industriali e commerciali le quali non fossero adibite direttamente all'approvvigionamento della nazione; così erano rese libere forze lavorative e materie prime per la guerra. Le lacune resultate in seguito al richiamo alle armi di numerosi lavoratori vennero colmate, in base alla legge sul servizio obbligatorio, in misura sempre maggiore da donne; il numero dei lavoratori coatti stranieri, che nella primavera del 1941 era soltanto di circa 1 milione, salì fino a raggiungere nel gennaio 1945 le 6.691.000 unità (compresi i prigionieri di guerra occupati in fabbriche). Essi compirono numerosi atti di sabotaggio e al momento del crollo vendicarono sulla popolazione le sofferenze subìte.

Un altro colpo per il regime di Hitler fu la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, e il crollo del fascismo in Italia. I bombardamenti aerei, che nello stesso tempo cominciavano a farsi più duri (per esempio il bombardamento di Berlino del 24 agosto, di Norimberga l'11 agosto, di Hannover il 29 settembre) pesavano gravemente sul morale della nazione. Già qualche tempo prima si era iniziata l'invasione dell'Europa. Dopo la capitolazione di Tunisi, il 12 maggio, gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e in Calabria e l'8 settembre seguì la proclamazione dell'armistizio italiano. D'altro canto Hitler, nominando Himmler ministro per gl'Interni del Reich, il 24 agosto 1943, volle mettere in rilievo di essere deciso a resistere ad ogni costo, e di identificare col proprio il destino della Germania. In un discorso del 20 novembre egli pose l'alternativa "o vincere o perire". La macchina della propaganda di Göbbels dipingeva le spaventose conseguenze di una sconfitta. Perfino avversarî del regime ne furono impressionati e si adattarono rassegnati a ciò che sembrava l'inevitabile. La disperazione che s'impadroniva sempre di più della nazione non ha abbreviato la guerra, ma l'ha prolungata di almeno un anno. Più che la metà di tutte le distruzioni si sarebbe potuta evitare se all'opposizione contro Hitler si fosse offerta anche solo una piccola probabilità di successo.

Dalla primavera del 1944 la situazione militare tedesca andò peggiorando in misura catastrofica. La distruzione sistematica dei quartieri abitati delle città diede il crollo al morale, alla capacità di lavoro e alla resistenza nervosa della popolazione. È tuttavia stupefacente che malgrado ciò, in certi campi, per esempio nella produzione delle munizioni e nella costruzione di sommergibili, si raggiungessero ancora nell'anno 1944 cifre altissime, le quali tuttavia rappresentavano soltanto una frazione della produzione alleata in sempre maggiore aumento. In ogni caso, ciò permise la prosecuzione della resistenza militare. Ma allorquando ebbe successo lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944 e quando poco dopo il fronte settentrionale in Russia crollò, nessuno che avesse un po' di discernimento poté più dubitare dell'inevitabilità della sconfitta. In questo momento "l'altra Germania", cioè l'opposizione contro Hitler, fece ancora un tentativo disperato per stornare il destino minaccioso.

A torto si è negata l'esistenza di una opposizione interna tedesca e ancor più se ne è misconosciuta l'essenza. Essa si trovava di fronte ad un compito incomparabilmente più difficile che non i movimenti di resistenza nei territorî occupati dalla Germania. L'organizzazione di un movimento di massa era reso impossibile dal terrore. Soltanto un colpo di stato, vale a dire l'eliminazione di Hitler, aveva prospettive di successo. Dal 1938 esistevano gruppi di resistenza accuratamente mimetizzati, il cui capo riconosciuto era l'ex-capo dello stato maggiore gen. Ludwig Beck e il cui cuore era l'ex-borgomastro di Lipsia, uomo esperto ed attivo, Karl Gördeler. Per essi formulava i piani in politica estera Ulrich von Hassell, che fino al 1938 era stato ambasciatore di Germania in Italia. Fra i generali era loro deciso aderente il feldmaresciallo E. W. Witzleben, simpatizzante ma esitante il capo di stato maggiore generale Franz Halder. I collegamenti tra i singoli gruppi di resistenza entro la diplomazia, la burocrazia, l'industria e l'esercito, erano tenuti dal vicecapo del controspionaggio gen. H. Oster, che agiva con la tolleranza del suo capo, amm. Canaris. Al movimento erano stati guadagnati capi di organizzazioni operaie come Leuschner e Leber. Il "circolo di Kreisau" elaborava piani per un nuovo ordinamento interno, specie nel campo sociale. Non è esatto definire il movimento tedesco di resistenza come rivolta di generali scontenti e di Junker.

Parecchi piani al principio di novembre 1939, dunque ancor prima dell'inizio della campagna in occidente, intesi a far prigioniero Hitler a Berlino oppure al fronte occidentale con l'aiuto di truppe fidate, non poterono essere eseguiti, perché egli modificò le sue disposizioni all'ultimo momento. L'attentato di Monaco dell'8 novembre 1939, fu, probabilmente, un maneggio preparato dalla Gestapo, in ogni caso non opera del movimento di resistenza. Altri progetti emersi più tardi, e intesi ad abbattere Hitler per mezzo dell'esercito occidentale sotto il comando di Witzleben o anche per mezzo delle truppe combattenti sul fronte orientale sotto il comando di Manstein, G. von Kluge ed altri, non andarono oltre lo stadio di progetto perché una parte dei generali che dovevano dare il tracollo differirono sempre di volta in volta il momento dell'azione per considerazioni militari. Il colpo più grave per il movimento di resistenza fu la pretesa alleata della resa incondizionata; emissarî che il movimento aveva a Stoccolma, nella Svizzera e a Lisbona per tastare il terreno presso le potenze occidentali e per ottenere condizioni di pace meglio sopportabili nel caso che Hitler fosse stato eliminato, furono respinti: il movimento tedesco di resistenza rimase così il solo che non avesse sostegno dal di fuori. Il tentativo intrapreso dal gen. Treschkow, il 13 marzo 1943, per eliminare Hitler per mezzo di una bomba ad orologeria deposta furtivamente nel suo aeroplano, fallì perché la bomba non esplose. Infine, il 20 luglio 1944 il col. conte Klaus Stauffenberg, il quale, come capo di stato maggiore dell'esercito di riserva in patria, aveva preso nelle sue mani la preparazione del colpo di stato, riuscì, durante un convegno di capi militari tenuto in una baracca del quartier generale del Führer presso Rastenburg nella Prussia orientale, a fare esplodere una bomba la quale ferì a morte parecchi dei presenti, ma ferì Hitler soltanto leggermente. Poiché inoltre si era tralasciato di fare occupare subito a Berlino la centrale della Gestapo e il Ministero della propaganda, il colpo di stato fallì. I partecipanti alla cospirazione furono o subito fucilati o condannati a morte dopo aver subìto torture davanti a cosiddetti tribunali popolari il cui procedere fu irrisione di ogni diritto, o semplicemente assassinati. Si calcola a 7000 il numero delle vittime.

L'attentato a Hitler del luglio 1944 rovesciò sul paese una nuova ondata di terrore. Pieno di sospetto contro il corpo degli ufficiali, Hitler assegnò a ogni reparto di truppa un "ufficiale guida nazionalsocialista" che doveva vigilarne l'atteggiamento. Tutto l'esercito fu permeato di reparti di SS la cui forza, alla fine della guerra, era salita a 37 divisioni con circa 700.000 uomini. Goebbels fu nominato plenipotenziario generale per la partecipazione alla guerra totale. Da allora in poi dominò il terrore totale.

Il duplice sbarco anglo-americano in Francia portò ben presto (11 settembre 1944) la prima armata americana a varcare il confine tedesco presso Aquisgrana. Fu possibile bensì di erigere sul fronte occidentale una nuova linea di difesa, ma soltanto a spese del fronte orientale, dove i Russi avanzavano senza posa e costringevano gli stati satelliti orientali a deporre le armi: la Romania il 12 settembre, la Finlandia il 19 settembre, la Bulgaria il 28 ottobre, l'Ungheria il 20 gennaio 1945.

La Germania stava ora assolutamente sola, ma a prescindere da piccole striscie di terra in Renania e nella Prussia orientale manteneva ancora il suo vecchio territorio. I Russi erano alle porte della Mittel-Europa, non ancora nel suo centro. La questione decisiva per il futuro della Germania e dell'Europa, si poneva in questi termini: saranno le potenze occidentali o sarà l'URSS che per prime abbatteranno la difesa tedesca, ne occuperanno la capitale Berlino e dopo la catastrofe domineranno politicamente l'Europa Centrale.

La decisione venne provocata da due avvenimenti sullo scorcio dell'anno: il fallimento della controffensiva tedesca nelle Ardenne (dicembre 1944) e la decisione presa a Yalta l'11 febbraio 1945 da Roosevelt, Churchill e Stalin, di spartire la Germania in zone di occupazione, che abbandonavano in mano ai Russi la Germania centrale e orientale e assicuravano alla Polonia il confine Oder-Neisse come risarcimento per le provincie orientali da cedere alla Russia. Così era suggellata la divisione d'Europa già prima che si fosse chiuso l'ultimo atto del dramma.

Dopo il trasferimento delle basi sul continente i bombardamenti aerei avevano preso proporzioni e forme tali che la vita per la popolazione civile era divenuta insopportabile; soldati combattenti al fronte dichiaravano senza ambagi che il combattimento nelle prime linee era più tollerabile degli incessanti allarmi aerei e dei tappeti di bombe sui quartieri abitati delle grandi città, dell'incenerimento di intere città prodotto da bombe incendiarie e da bombe al fosforo, della morte per combustione di migliaia di persone nei ricoveri aerei (come per esempio a Würzburg il 16 marzo 1945). Se tuttavia, malgrado tutto, le comunicazioni, la distribuzione dei viveri e l'ordine pubblico poterono ancora funzionare, tutto ciò si deve alla disciplina innata nel popolo tedesco e alla sua capacità di organizzazione, che dalle autorità fu sfruttata per i proprî scopi e infine anche al rigore con cui furono punite anche piccole contravvenzioni.

Anche sul suolo tedesco la guerra fu condotta con la stessa mancanza di riguardi come in terra nemica. Un ordine di Hitler del 14 settembre 1944 impose la distruzione di tutti gli edifici, ponti ed altre costruzioni che in qualunque modo potessero tornare utili al nemico. Il 14 ottobre fu ordinata la leva in massa che obbligò tutti gli uomini a presentarsi sotto le armi; il 19 marzo 1945 i comandanti di armata e i Gauleiter furono avvertiti che dovevano fare la guerra senza alcun riguardo alla popolazione. La propaganda del partito nazista si sforzò di galvanizzare, coll'accennare all'invenzione di nuove armi, la speranza in un esito favorevole della guerra, speranza già da tempo spenta fra la stragrande maggioranza della popolazione. Ma era un delitto voler fondare su queste armi la speranza di evitare la catastrofe, poiché queste armi non si potevano più costruire in massa. Non soltanto il capo dello stato maggiore generale W. Guderian, ma anche Himmler, erano persuasi dell'inevitabilità della sconfitta e quest'ultimo, per mezzo del conte svedese F. Bernadotte, offerse alle potenze occidentali di deporre le armi sul fronte occidentale e meridionale, naturalmente senza successo. Hitler invece continuava follemente ad aver fiducia nella sua stella e a fare resistenza anche quando le armate alleate, dopo il 23 marzo, infransero il fronte tedesco occidentale e avanzarono nella Germania settentrionale e meridionale, anzi anche dopo che i Russi incominciarono, il 12 aprile, il grande attacco su Berlino e avvolsero la città da nord a da sud. Chiuso nel ricovero della Cancelleria del Reich, egli, preso da mania furiosa, continuava ad emanare comandi ad armate che non esistevano più, a sacrificare senza riguardo vite umane. Soltanto il 21 aprile, quando le granate russe già cadevano nelle strade del centro di Berlino, egli di fronte ai suoi collaboratori ammise la sconfitta. Completamente finito spiritualmente e fisicamente, egli attendeva con terrore la catastrofe. Ancora una volta s'accese in lui una vana speranza, quando venne la falsa notizia che nel luogo di incontro degli Americani e dei Russi presso Torgau il 25 di aprile, fosse scoppiato tra loro un conflitto; egli aveva sempre sperato in una tale evenienza. Ma quando la notizia si dimostrò falsa, egli crollò definitivamente. Per quanto fino ad oggi non siano state portate prove assolutamente inoppugnabili, non esiste ragionevolmente alcun dubbio che egli si sia suicidato il 30 aprile; la stessa fine fece Goebbels il giorno seguente. Goering e Himmler avevano lasciato Berlino e si erano dichiarati sciolti da lui. A suo successore Hitler aveva nominato il grande ammiraglio Dönitz. Per incarico di costui, il 7 maggio, il colonnello generale Jodl firmò a Reims la resa incondizionata; questa fu ripetuta a Berlino l'8 maggio dal feldmaresciallo Keitel. Il fronte meridionale aveva capitolato già prima.

Dopo la catastrofe. - Il regime hitleriano che aveva promesso al popolo tedesco un Reich millenario, ha precipitato quel popolo nella catastrofe più spaventosa della sua storia; catastrofe che, nelle sue proporzioni, non è paragonabile con il crollo del secondo impero nel 1918, e nemmeno con le conseguenze della guerra dei trent'anni e tanto meno con la sorte della Francia dopo la caduta di Napoleone. Bisogna richiamarsi alla debellatio di antichi popoli, per trovare paralleli alla sconfitta totale della Germania.

Secondo caute valutazioni (statistiche esatte non esistono) la Germania ha avuto 6 milioni di morti, dei quali circa 4 milioni caduti sul campo e il resto vittime civili degli attacchi aerei e scomparsi durante l'invasione russa. L'intera Wehrmacht fu fatta prigioniera ed è stata impiegata per lungo tempo per la ricostruzione dei territorî distrutti nei paesi già occupati, nel lavoro delle miniere, nell'agricoltura, ecc. Alla fine del 1947 si trovavano in Francia, in cifra tonda, ancora 400 mila prigionieri tedeschi, dei quali oltre 100.000 in qualità di cosiddetti liberi lavoratori, circa 100.000 in Inghilterra, mentre il numero di quelli che si trovavano nella zona di influenza sovietica viene valutato a circa due milioni, una gran parte dei quali però deve essere considerata come non più in vita.

Della misura delle distruzioni nell'interno della Germania, dà una idea la seguente statistica. Sono distrutte: per il 45%: Monaco, Mannheim-Ludwigshafen; per il 50%: Berlino, Amburgo, Düsseldorf, Duisburg, Monaco-Gladbach; per il 55%: Stoccarda, Norimberga, Essen, Hamm, Kiel, Friburgo in Brisgovia; per il 60%: Francoforte sul Meno, Dresda, Hannover, Dortmund, Münster, Darmstadt; per il 65%: Colonia, Aquisgrana; per il 75%: Kassel, Magonza, Bochum, Emden, Soest; per l'ottanta per cento: Paderborn, Würzburg, Hanau.

Ad Amburgo sono rimaste non danneggiate solo il 19% delle case, ad Essen il 13%, a Berlino il 12%, a Monaco il 10%, a Norimberga, a Francoforte e Stoccarda, appena il 2-4%. Ad ogni abitante corrispondono, a testa, a Berlino, Essen e Stoccarda 10 mc. di macerie, ad Amburgo e Francoforte 20 mc., a Norimberga 30 (per i danni alle opere d'arte vedi appresso). Sono andati distrutti il 30% dei libri delle pubbliche biblioteche. A parte i maggiori responsabili, processati a Norimberga (v., in questa App.), i crimini commessi nei campi di distruzione di Auschwitz, Mauthausen, Buchenwald, Dachau, ecc. sono stati perseguiti da tribunali militari ordinari e i colpevoli condannati. Il procedimento contro gli altri membri del partito, delle SS e di altre organizzazioni naziste è lasciato a tribunali tedeschi i quali, secondo le norme stabilite dal governo militare alleato, possono comminare pene restrittive della libertà e pene pecuniarie nonché il lavoro coatto; certe categorie di accusati sono state tradotte in campi di punizione. Nella zona russa, i processi di denazificazione ancora in sospeso sono stati interrotti nel febbraio 1948.

Circa il modo col quale doveva essere trattata la Germania dopo la guerra, il segretario del tesoro americano H. Morgenthau aveva stabilito un piano che dal presidente Roosevelt fu proposto alla conferenza di Quebec nel settembre 1944 e che per quanto rientrava nelle misure da prendere dalle truppe americane, fu messo in atto con l'ordine n. 1067. Il piano Morgenthau, illustrato in un volume da Morgenthau junior, considerava responsabile per l'avvenuto, in senso morale e giuridico, l'intero popolo tedesco, lo reputava incorreggibile in futuro e proponeva, per evitare future aggressioni, una divisione della Germania in uno stato nord e in uno stato sud, lo smantellamento dei grandi impianti industriali del bacino della Ruhr e la chiusura delle miniere ivi esistenti, un controllo della durata di 20 anni dell'economia tedesca, lavoro coatto degli uomini tedeschi nelle terre dei vincitori. La disindustrializzazione patrocinata da Morgenthau avrebbe portato ad una diminuzione della popolazione tedesca di almeno 20 milioni. Sebbene anche da parte americana si sollevassero fin da principio gravi dubbî circa la giustizia e l'opportunità del piano, esso tuttavia ebbe influenza sulle decisioui dei capi di stato riuniti nella conferenza di Potsdam dal 17 luglio al 2 agosto 1945 e la sua influenza si ripercuote fino ad oggi nella politica di occupazione delle potenze occidentali.

Il 5 giugno 1945 il consiglio di controllo alleato, con sede a Berlino, assunse la suprema autorità di governo in Germania. Tutte le autorità del Reich e tutte le rappresentanze all'estero furono abolite. Il territorio del Reich fu diviso in 4 zone (v. sopra: Ordinamento amministrativo).

Quale obiettivo della politica economica delle potenze occupanti, la conferenza di Potsdam pose la distruzione dell'industria degli armamenti e la diminuzione dell'industria pesante, lo sviluppo della agricoltura e della piccola industria, tenendo fermo però all'unità economica della Germania.

Nel corso degli anni 1945-47 furono perciò distrutti o smontati numerosi impianti per l'armamento, altri impianti industriali e singole macchine furono portati via in conto riparazioni. Il 16 ottobre 1947 le autorità di occupazione americana e britannica pubblicarono una nuova lista di 682 fabbriche da demolire, alle quali l'autorità di occupazione francese ne aggiunse poi 236. Di queste 918 fabbriche ancora da demolire, 308 sono indicate come impianti per l'armamento, il resto come "superfluo" (surplus). Fra quest'ultime si trova, per esempio, la più grande fabbrica di Europa per la produzione di concimi azotati a Oppau. Circa gli impianti industriali e singole macchine asportati dalla zona russa, non si hanno cifre a disposizione. Poiché la Russia e la Francia hanno percorso nella politica economica vie proprie, il trattamento della Germania come territorio economicamente unitario, si è dimostrato inattuabile. L'America e l'Inghilterra si accordarono al principio del 1947 sulla fusione economica delle loro zone di occupazione (Bizona) e convocarono un consiglio per l'economia tedesca con funzioni soltanto consultive.

Quanto alle riparazioni, presso l'Agenzia interalleata per le riparazioni a Bruxelles sono state finora annunziate pretese da parte di 18 stati, per un totale di 300 miliardi di dollari. Secondo una perizia fatta dal senatore di Brema, Harmssen, d'incarico dei governi dei Länder della Bizona, sono stati finora versati in totale, a titolo di riparazione, 71,1 miliardi di dollari per mezzo della confisca delle proprietà tedesche all'estero e nei territorî ceduti ad oriente, per mezzo di demolizioni industriali, di confische sulla produzione corrente (per esempio carbone), di introiti tributarî, ecc. Soltanto il valore delle patenti tedesche sequestrate dagli Stati Uniti, è stato calcolato da esperti americani a 5 miliardi di dollari. Le perdite gigantesche di beni, il regresso continuo della produzione e infine l'incertezza prodottasi quando fu annunciata la riforma valutaria, spiegano il fatto che la ricostruzione ha fatto soltanto piccoli progressi.

La riforma valutaria del 20 giugno 1948 (v. § Finanze) ha peraltro dato un impulso confortante alle tre zone occidentali; ma fino ad oggi (ottobre 1948) non è possibile dire che si sia raggiunta una stabilizzazione. Il Lastenausgleich (equiparazione degli oneri) progettato, cioè il risarcimento dei sinistrati dai bombardamenti e degli espulsi dalle regioni orientali della Germania mediante imposizioni sui beni ancora esistenti, è ancora di là da venire.

Fra gli accordi di Potsdam, quello più grave di conseguenze concerne la separazione dei territorî ad oriente della linea Oder-Neisse. L'URSS ha avuto Königsberg e la parte contigua della Prussia orientale; tutto il resto è stato dato in amministrazione alla Polonia, con riserva del regolamento definitivo da farsi in sede di trattati di pace e ad essa (come anche alla Cecoslovacchia e all'Ungheria) fu attribuito il diritto di trasferire in Germania la popolazione tedesca "in an orderly and human manner". Mentre l'espulsione della popolazione tedesca - secondo le attestazioni di osservatori alleati e neutrali, non in "maniera umana" - è già avvenuta, non si è raggiunto l'accordo circa il carattere definitivo della delimitazione dei confini. Il Segretario di stato americano, Byrnes, nel suo, discorso di Stoccarda del 6 settembre 1946 ha dichiarato, secondo l'inequivocabile testo dell'accordo di Potsdam, che "l'ampiezza del territorio da cedere alla Polonia potrà essere decisa soltanto quando su ciò sarà raggiunto il definitivo accordo"; Stalin invece, il 29 ottobre 1946, alla domanda se l'Unione Sovietica considerasse i confini occidentali della Polonia come definitivi, ha risposto di sì. Già nella sua allocuzione natalizia del 1945, papa Pio XII aveva condannato dal punto di vista morale-religioso la cacciata di intere frazioni di popoli dalle loro sedi avite.

I territorî a oriente della linea Oder-Neisse (la Slesia, la Neumark e la Grenzmark, la Pomerania anteriore e la Prussia orientale) comprendono in cifra tonda 110.000 kmq. con una popolazione d'anteguerra di 9.500.000 abitanti, dei quali nel censimento del 1925 meno di 1 milione si professò parlante una lingua straniera o bilingue. L'importanza economica di questi territorî è illustrata dal fatto che essi producevano nella Germania il 30% delle patate, il 27% del grano. E non soltanto sono andati perduti territorî in prevalenza agricoli, ma quello che resta della Germania deve nutrire anche la massima parte degli ex abitanti di essi che ne sono stati espulsi. Secondo l'Institut fur Weltwirtschaft di Kiel (2 agosto 1947), sono stati espulsi dalla Polonia, Ungheria, Romania e Cecoslovacchia, 13.910.000 Tedeschi, dei quali, fino alla data indicata, 10.059.088 sono stati rilevati statisticamente da autorità tedesche. La zona russa ne ha accolti 4 milioni; quella britannica poco più di 3 milioni; e quella americana, secondo un rapporto del consiglio dei Länder al generale Clay, 2.852.136 alla fine del 1947. Nello Schleswig-Holstein, dove nell'ultimo censimento erano stati contati 101 abitanti per kmq. ora se ne contano 176. Nella zona russa il numero dei cattolici è aumentato da poco più di un milione a 3 milioni e mezzo. Gli espulsi non sono stati indennizzati per le proprietà che hanno lasciato; di regola essi non hanno potuto portare con sé più di 20 kg. di bagaglio, al massimo 500 marchi in danaro liquido e nessun oggetto di valore. La possibilità di alloggiarli è estremamente precaria; solo in Baviera, il 2 gennaio 1948 esistevano ancora 501 campi di profughi. Anche più difficile è la loro inserzione nella vita economica, poiché nella stragrande maggioranza si tratta di donne, bambini e vecchi.

Circa la conclusione di un trattato di pace con la Germania, si è discusso nelle conferenze di Mosca (marzo 1947) e di Londra (dicembre 1947), ma non si è raggiunto nessun accordo. Nella conferenza di Londra del 27 maggio 1948 le sei potenze si sono accordate sulla creazione d'un governo centrale per le tre zone occidentali e sul controllo internazionale del bacino della Ruhr. Il blocco delle tre zone occidentali di Berlino, instaurato dai sovietici dalla fine di giugno, in relazione alla riforma valutaria, non ê stato tolto, nonostante le trattative condotte a Mosca e le conversazioni dei governatori militari a Berlino e le discussioni al consiglio di sicurezza delle NU. Il Consiglio di controllo alleato continua, sì, ad esistere, ma tutte le decisioni importanti vengono prese dalle potenze occupanti indipendentemente l'una dall'altra. Il confine della zona d'occupazione russa divide già oggi due diverse Germanie.

È ancora impossibile vedere completamente quali siano le conseguenze spirituali e culturali del crollo e dell'occupazione. Il programma di "rieducazione" imposto dagli Americani, è stato sentito come una costrizione e come propaganda. La chiusura, sulle prime ermetica, anche delle tre zone occidentali dall'estero, impedì l'entrata di libri, periodici e giornali indipendenti. Soltanto adagio si è potuto riprendere il funzionamento didattico delle università; stracolme di studenti; molti professori se ne sono andati per effetto dell'epurazione; la distruzione di molti edifici universitarî e di biblioteche rende ancora oggi difficili gli studî. Caratteristici per la vita spirituale tedesca, sono i tentativi di trarre dagli eventi attuali deduzioni per l'interpretazione del passato e di sottoporre a revisione il modo di concepire la storia tedesca (W. Roepke, F. Meinecke. A. Weber, G. Ritter), anche discutendo questioni di principio come quella della colpa collettiva; questioni che sono dibattute su riviste, sia quelle antiche rinate, sia le numerose nuove (Wandlung a Heidelberg, Frankfurter Hefte, Nordwestdeutsche Hefte ad Amburgo, Neues Abendland ad Augusta). Nel campo religioso il crollo del mondo borghese finora in atto aveva dapprima creato un terreno molto favorevole all'allignare delle idee cristiane e l'autorità della chiesa era straordinariamente cresciuta. Ma accanto all'indubbio rigoglio religioso esiste tuttavia, specialmente nella giovane generazione, una diffusa ideologia nichilistica.

Alla volontà politica sono posti angusti confini dall'occupazione militare. È tuttavia certo che la maggioranza delle persone politicamente pensanti desidera sì un'articolazione del Reich in senso federale, ma tiene fermo alla sua unità statale e condana le tendenze separatistiche. La forza dei partiti di nuova formazione si rileva dalla seguente tabella, stabilita sulla base delle elezioni ultime per i consigli, rispettivamente dei Lander: e dei comuni:

È degno di nota che nella zona russa il partito di unione socialista (SED), favorito dalle autorità di occupazione, non ha ancora ottenuto la maggioranza assoluta. Nella zona americana l'Unione cristiano-democratica (in Baviera: l'Unione cristiano-sociale) è il partito più forte e nella zona britannica, il partito socialdemocratico, il cui capo Schumacher è l'uomo politico tedesco di cui più si parla nel dopoguerra, ha la maggioranza relativa.

Gli accenni, finora manifestatisi, a nuove formazioni culturali e politiche, minacciano di rimaner soffocati dalle due più grandi miserie del dopoguerra, cioè la mancanza di abitazioni e la fame, che dilaga sempre in forme catastrofiche. Soltanto nel Land Grande Assia, che nel 1939 contava 3.500.000 ab. circa, sono andati distrutti, secondo una statistica ufficiale del 29 ottobre 1946, 483.000 locali di abitazione, mentre 72.131 sono stati sequestrati dalle autorità occupanti; nel Land Württemberg-Baden, i cui abitanti nel 1939 erano circa 3.250.000, sono stati distrutti 658.410 locali di abitazione e sequestrati 44.174. Nell'autunno del 1947 nelle tre zone occidentali le razioni dei viveri previste ufficialmente, ma di fatto spesso non osservate, furono inferiori a quelle distribuite nei campi di concentramento; al che bisogna aggiungere che, diversamente che in Italia, non esiste praticamente un mercato libero per la frutta, verdura ed altri viveri. Nel Land Württemberg-Baden dalla fine del 1946 le razioni non hanno raggiunto le 1000 calorie. Naturalmente quelle che più ne soffrono sono le grandi città. Negli ospedali di Amburgo, nei 4 mesi fra giugno e settembre 1947, si sono avuti mese per mese da 697 a 763 edemi per fame. Per mitigare questa situazione sono state organizzate azioni di soccorso da papa Pio XII, con oblazioni del mondo cristiano e dall'Evangelisches Hilfswerk; memore della responsabilità che cade su di essa, anche l'America ha attenuato la miseria, fornendo viveri.

È opinione largamente diffusa tra i conoscitori delle presenti condizioni che il popolo tedesco può guarire politicamente e moralmente soltanto se anche a lui saranno garantiti i diritti accordati agli altri popoli nella Carta Atlantica e se otterrà la possibilità di ricostruire il proprio paese nella pace del lavoro, di riparare i danni prodotti dal regime hitleriano e di inserirsi, come membro a pari diritti, nella futura comunità dei popoli europei.

Bibl.: Sui precedenti dell'avvento del nazismo al potere: H. Schlange-Schöningen, Am Tage darnach, Amburgo 1946; inoltre l'importante lettera dell'ex-cancelliere del Reich, Heinrich Brüning, a Rudolf Pecehl, in Deutsche Rundschau, LXX (1947), fasc. 7, pp. 1-22. Sulle condizioni interne e sulla politica estera fino al 1939 (lasciando da parte opere giornalistiche di dubbio valore, come quella di L. Shirer, Berlin Diary, New York 1941), le memorie dei diplomatici in Berlino: Ambassador Dodds Diary 1933-38, New York 1941; A. François Poncet, Souvenirs d'une ambassade de Berlin 1931-38, Parigi 1946; N. Henderson, Failure of a mission, Londra 1940; sulla politica di Attolico: L. Simoni, Berlino, ambasciata d'Italia 1939-43, Roma 1946. Per la situazione degli stati minori, importante G. Gafencu, Derniers jours de l'Europe, Parigi 1945. Sullo scoppio della guerra, oltre i documenti ufficiali tedeschi Dokumente zur Vorgeschichte des Krieges ed oltre al Libro blu britannico e al Libro giallo francese (trad. ital. nelle Relazioni Internazionali, 1940, fasc. i), la raccolta di documenti sulle relazioni tedesco-russe: Nazi-Soviet relations 1939-41. Documents from the archives of the German Foreign office, editi da R. J. Sontag e da J. Stuart Beddie, Washington 1948; M. Toscano, Fonti documentarie e memorialistiche per la stora diplomatica della seconda geurra mondiale, in Rivista stor. it., 60, 1948, pp. 83-126; i documenti ufficiali e i discorsi del tempo di guerra in F. Watts, Voices of History, New York 1942 e seguenti; B. G. Ivanyi-A. Bell, Route to Potsdam. The Story of the Peace aimes 1939-45, Londra 1945. Letteratura tedesca posteriore alla guerra: B. Schwertfeger, Rätsel um Deutschland, Heidelberg 1947; per la politica estera, fondamentale, E. Kordt, Wahn und Wirklichkeit, Stoccarda 1947; sui campi di concentramento: E. Kogon, Der SS-Staat, Monaco 1946; M. Pribilla, Das Schweigen des Deutschen Volkes, in Stimmen der Zeit, CXXXIX (1946), pp. 15-33; sulla persecuzione delle chiese: J. Neuhäusler, Kreuz und Hakenkreuz. Der Kampf des Nationalsozialismus gegen die Katholische Kirche und der kirchliche Widerstand, due parti, Monaco 1946; M. Maccarrone, Il Nazionalsocialismo e la S. Sede, Roma 1947. La letteratura tedesca sul movimento di resistenza (B. Gisevius, U. von Hassel, F. von Schlabrendorff, R. Pechel, Kiesel) è valutata criticamente da E. A. Messerschmidt, in Quaderni di Roma, i (1947), pp. 388 segg.; inoltre A. W. Dulles, Germany's underground, New York 1947. Il crollo è descritto dal gen. G. Marshall, The winning of the War in Europe and the Pacific, Washington 1945; G. Boldt, Die letzten Tage der Reichskanzlei, AMburgo 1947; H. R. Trevor Roper, The last days of Hitler, New York 1947 (trad. ital., Verona 1947). Gli atti del primo processo di Norimberga: Nazi conspiracy and aggression, voll. 4, United States Government Printing Office, Washington 1946; A. Degli Occhi, Il processo di Norimberga, 2 voll., Milano 1947-48. Sul piano Morgenthau: H. Morgenthau junior, Germany is our problem, new York 1945; contro, H. Rauschnig, Die Zeit des Deliriums, Zurigo 1948, apparso in inglese già nel 1945; R. Ingrin, Von Talleyrand zu Molotoff, Zurigo 1947. Sulla politica economica: A Year of Potsdam. The German economy since the surrender, prepared by the Economics division (Office of military governemnt for Germany), s. a.; Ch. Emmet-F. Baade, Destruction at our expense, New York 1947. Sulla questione della repsonsabilità e sull'interpretazione storica: N. Pribilla, Wie war es möglich?, in Stimmen der Zeit, CXXXIX (1946), pp. 81-101; W. Roepke, Die deutsche Frage, Zurigo 1945 (trad. it., Milano 1947); F. Meinecke, Die deutsche katastrophe, Wiesbaden 1946 (trad. it., Firenze 1948); G. Ritter, Geschichte als Bildungsmacht, Stoccarda 1946; A. Weber, Abschied von der bisherigen Geschichte, Amburgo 1946; E. Budde, Gibt es noch eine deutsche Aussenpolitik?, Stoccarda 1947; Handbuch deutsche Presse, Bielefeld 1947, con un elenco di tutti i periodici e giornali. Gli altri dati sono tolti in parte da relazioni a stampa ed inedite, in parte dall'archivio-stampa del dott. E. A. Messerschmidt. Sulla politica finanziaria in Germania prima, durante e dopo la guerra: J. Horst, Probleme der Kriegsfinanzierung, Jena 1940; H. Laufenburger, L'économie allemande à l'épreuve de la guerre, Parigi 1940; Banca dei Regolamenti internazionali, Relazione, Basilea 1944, pp. 165-189; e 225-241; inoltre: Monthly Reports della Control Commission for Germany, Berlino 1947, 1948 e gli Statistische Monatshefte für die britische Zone, 1947 e 1948; P. Jacobson, Le financement de la guerre en Allemagne, in Kyklos, fasc. 4, 1947; W. Roepke, Offene und zurückgestaute Inflation, ibidem, fasc. I, 1947; G. C., L'attuale situazione monetaria della Germania, in Critica economica, n. 9-10, 1947; N. Schwarz, Politische Herbstfahrt in Deutschland, in Neue Zürcher Zeitung, nn. 238-242, 1947; C. Mötteli, Die Westdeutsche Wirtschaft in Herbst 1947, in Neue Zürcher Zeitung, nn. 246, 247, 248, 249, 252, 253 (1947); L'economia tedesca due anni dopo il crollo, Istituto tedesco per la congiuntura economica, in Press Review della Banca dei Regolamenti internazionali di Basilea, n. 206 del 22 ottobre 1947.

La battaglia per la Germania durante la seconda Guerra mondiale.

Si dà conto in questo articolo delle operazioni militari condotte in Germania dagli Alleati angloamericani sul fronte occidentale tedesco; mentre per le operazioni sul fronte orientale, condotte dai Sovietici, v. russia, in questa Appendice. Per i piani generali sul fronte orientale e sull'occidentale v. guerra mondiale.

Il 13 settembre 1944, per la prima volta dopo Napoleone, veniva varcata dall'occidente la frontiera tedesca, e in due tratti: dal Lussemburgo, nella zona di Treviri, e dal Belgio, in quella di Eupen-Malmédy. In effetto, però, non si trattava che di piccole infiltrazioni, rimaste localizzate per più mesi, durante i quali gli Alleati dovettero sostenere ancora una dura lotta per ricacciare i Tedeschi dagli ultimi lembi di territorio che questi occupavano in Francia, in Belgio e in Olanda.

Fu soltanto ai primi di marzo del 1945 che gli Alleati, dopo lunga ed accurata preparazione, poterono effettuare la vasta e complessa operazione del passaggio del Reno, per risolvere quindi la grande partita sul territorio germanico, invaso anche all'Est dai Russi.

L'operazione fu preceduta da un attacco alleato con scopi essenzialmente diversivi, nella zona fra la Mosa ed il Reno, ch'ebbe inizio il mattino dell'8 febbraio. La 1a armata canadese (gen. H. D. G. Crerar), attaccò, nella zona di Nimega-Clèves e riuscì ad aprire delle brecce nella linea Sigfrido e a compiere un notevole balzo innanzi, impadronendosi di Clèves il 10, e di Gennep l'11. Le accresciute difficoltà atmosferiche e la rinvigorita resistenza tedesca imposero una stasi operativa di alcuni giorni, così che soltanto il mattino del 23 febbraio il gen. Eisenhower poté iniziare con la 9a e la 1a armata americane, comandate rispettivamente dai generali Simpson e C. H. Hodges, la grande operazione del passaggio della Roer, il corso d'acqua che rappresentava l'ultima linea di difesa dei Tedeschi prima del Reno, una cinquantina di chilometri circa ad ovest di questo. Dopo una vigorosa preparazione d'artiglieria, le fanterie americane poterono compiere, nella giornata stessa del 23, il passaggio sull'opposta sponda del fiume, costituendovi tre teste di ponte, che nei giorni successivi furono riunite ed ampliate.

Nei primissimi giorni di marzo, già le due armate americane avevano raggiunto i sobborghi di Düsseldorf e di Colonia: il giorno 6 truppe della 1a armata entravano fra le mura di Colonia, mentre altre forze alleate si attestavano al Reno, nel tratto da Colonia alla foce. Altre città tedesche, quindi, venivano occupate nei giorni seguenti: Rheinbach, il 7, Bonn l'8, e finalmente, nella giornata del 10, taluni reparti della 1a armata americana, avendo trovato intatto, nella zona di Remagen, il ponte Ludendorff, ne approfittavano per stabilire la prima testa di ponte sulla destra del Reno.

Frattanto, la 3a armata americana (gen. Patton) e la 7a (gen. A. M. Pattch) erano passate anch'esse all'attacco, più a sud, nella regione dell'Eifel, allo scopo di prendere come in un'ampia morsa le truppe tedesche che occupavano il triangolo Mosella-linea Sigfrido-Reno. Il 15 marzo, di buon mattino, l'ala sinistra dell'armata Patton passava la Mosella a sud di Coblenza, praticamente isolando questa città, mentre l'armata Patch attaccava, su largo fronte, le linee tedesche sulla Sarre. Nella giornata del 18, quindi, veniva occupata Coblenza, fino all'ultimo tenacemente difesa dalle SS, e lo stesso giorno la 7a armata s'impadroniva di altri importanti centri, quali Philippsburg, Worth e Rüntzenheim. Da questo momento in poi, la difesa tedesca apparve sempre meno organizzata ed efficiente, così che le due armate statunitensi poterono, anche in questo settore, sospingersi fino al Reno, impadronirsi di Magonza, Worms, Kaiserslautern, Ludwigshafen, e catturare molte migliaia di prigionieri e di veicoli. Il 22 marzo, salvo qualche superstite isola di resistenza tedesca nella zona della Sarre, tutto il territorio ad ovest del Reno poteva dirsi in mano agli Alleati, ed il numero dei prigionieri da essi catturati in questa breve campagna saliva già ad oltre 110.000.

Frattanto, fin dal giorno 21, era incominciata, da parte dell'aviazione e dell'artiglieria alleata sotto la direzione del maresciallo B. L. Montgomery, la vasta preparazione per il passaggio del Reno. Tutto andava in fiamme: 14 dei 16 ponti sul fiume erano stati distrutti; la Ruhr era praticamente isolata dal resto della Germania ed oltre il Reno ogni traffico era interrotto.

Isolato in tal modo il nemico completamente dalle sue retrovie e ricoperta l'intera zona di uno spesso strato di nebbie artificiali, nella notte sul 24 l'enorme flottiglia, preparata sulla sponda sinistra del Reno, si mosse per la traversata del fiume, davanti a Rees, Wesel, Xanten e Dinslaken, a sei chilometri a nord di Duisburg. In precedenza, forti nuclei di paracadutisti, lanciati dai nuovi Curtiss C-46 Commandos, e di truppe aerotrasportate erano stati lanciati al di là del Reno, col compito di distruggere quante più batterie tedesche fosse possibile e di inferire ogni danno alle cose ed alle persone nemiche. L'operazione, per effetto anche della debolissima resistenza tedesca, riuscì in modo perfetto; in capo a ventiquattr'ore, solide teste di ponte erano stabilite al di là del Reno, ed il giorno seguente già esse erano riunite in una sola, vasta zona di occupazione sulla sponda destra del fiume, ove fin dal 25 potevano recarsi Churchill e Montgomery.

Nello stesso tempo, nel settore tra la 9ª armata americana e la 3a, anche la 1a armata, la quale, come si è detto, aveva potuto porre piede sulla sponda destra del Reno, nella zona di Remagen, era riuscita ad ampliare sempre più la testa di ponte, sospingendosi fino alla Sieg e alla Wied. Ricevuti poi considerevoli rinforzi, specie di carri armati, riusciva a compiere altri, rilevanti progressi, ricongiungendosi alfine, il 10 aprile, con la 9ª armata, dopo essersi impadronita di importanti località, quali Marburg, Frizlar, Paderborn, ed aver convertito il territorio della Ruhr contornato dalle due armate statunitensi, in un altro, ampio campo di prigionia per le truppe tedesche che vi si erano attardate.

Il destino del grande bacino minerario tedesco era segnato. Per far sì che l'azione delle armate americane (1ª e 9ª), impegnate nella penetrazione della Germania d'oltre Reno, non subisse un accentuato rallentamento, il 30 marzo la 15ª armata americana, al comando del gen. L. T. Gerow, veniva impiegata nell'opera di eliminazione della sacca della Ruhr. Dopo il 3 aprile la cintura di ferro e di fuoco veniva ulteriormente rinforzata per impedire ogni evasione, mentre poderosi cunei alleati cominciavano a inserirsi minacciosi nella difesa tedesca. Tra il 5 e il 15 aprile la grande sacca della Ruhr era tagliata in due; il giorno 17 il numero dei prigionieri saliva a 263.000. Düsseldorf cadeva il 18; il giorno seguente il gen. O. Bradley annunciava ufficialmente la fine di ogni resistenza organizzata. I prigionieri raggiungevano la cifra impressionante di 300.000 circa, di cui 24 generali e 1 ammiraglio; fra l'altro 3 divisioni Panzer, una Panzer-grenadiere, 3 di paracadutisti erano eliminate. Cosa più grave e irreparabile, la Germania aveva perduto le sue più importanti miniere di carbone, e gran parte delle sue industrie pesanti. Sette armate alleate iniziarono allora la penetrazione nello stesso territorio germanico, così schierate da nord a sud: 1ª canadese, 2a inglese; 9a, 1a, 3ª e 7a americana, e 1ª francese. Ogni giorno appariva sempre più chiaro che nulla ormai avrebbe potuto arrestare le forze alleate e che, se nel 1918 le truppe tedesche avevano potuto desistere dalla lotta fuori del territorio nazionale, dove le loro città erano rimaste pressoché intatte, questa volta, invece, l'avanzata degli Alleati non sarebbe finita che fra le rovine della stessa Berlino.

Invano Hitler seguitava a lanciare per radio disperati appelli di resistere e combattere fino all'ultimo uomo. Tra le file della Wehrmacht una grave crisi andava sempre più manifestandosi, così che la resistenza diveniva sempre meno valida ed efficiente. Un provvedimento, poi, che affidava al feldmaresciallo A. Kesserling, già comandante delle truppe tedesche in Italia, il comando supremo al posto del maresciallo von Rundstedt, sopravveniva, negli ultimi giorni di marzo, a denunziare la crisi anche nel comando dell'esercito tedesco.

Un immenso arco umano - di oltre un milione di uomini - proteso a oriente del Reno, su un fronte di più di trecento miglia, moveva inesorabile verso l'Elba e il Brandeburgo. Nei punti più ravvicinati le armate anglosassoni e russe distavano meno di 200 miglia.

Mentre fra il 3 e il 13 aprile le armate dei gen. Simpson e Hodges erano in parte occupate ad aver ragione della Ruhr, tutto il fronte alleato proseguiva il suo irresistibile movimento in avanti dal Mar del Nord alla Svizzera.

Fu la 3ª armata americana del gen. Patton ad addentrarsi per prima nel cuore della Germania. Dopo aver traversato il Reno, di sorpresa, nella zona di Oppenheim, questa grande unità si era impadronita, negli ultimi giorni di marzo, di importanti centri tedeschi, quali Darmstadt, Gross-Gerau, Aschaffenburg; l'ala sinistra e il centro dell'armata, quindi, rimontavano verso nord, per attaccare Francoforte sul Meno, mentre l'ala destra, marciando attraverso la Baviera, sembrava dirigersi verso il territorio austriaco, al quale tendeva, intanto, dall'est l'armata russa del generale Tolbukin. Con il suo centro e l'ala sinistra, Patton perveniva il 3 aprile a Kassel, il 4 a Fulda; da questo momento l'autostrada Eisenach-Erfurt-Chemnitz diveniva l'asse di penetrazione della 3a armata americana. Ma ben presto l'ala destra veniva a trovarsi in ritardo a causa del terreno montuoso che favoriva la resistenza; tuttavia il 4 aprile si portava già dinanzi a Meiningen e si spingeva verso il Suhl, in vista degli spalti settentrionali dei monti di Franconia. Per non creare un semivuoto operativo fra la sua sinistra e la 1a armata di Hodges, il gen. Patton rallentava la sua marcia.

Eliminata intanto la sacca della Ruhr, le armate vittoriose di Hodges e di Simpson accelerano l'avanzata verso l'est, mai sospesa nemmeno durante i combattimenti più accaniti della seconda decade di aprile. Hodges, infatti, sempre in movimento col suo fronte generale, il 6 aprile attraversa il Weser a Hameln muovendo contemporaneamente su Lipsia e sulla strada Halle-Torgau. Se Hodges è diretto su Lipsia, Simpson si dirige verso Magdeburgo: dal nord della Ruhr si lancia verso est puntando su Münster e quindi, marciando lungo il canale del Weser, giunge fino al Weser. Il 6 aprile attraversa il fiume a Minden, il 9 occupa Hildesheim, l'11 raggiunge per primo l'Elba 5 km. a nord di Magdeburgo, avendo percorso 240 km. in dodici giorni. La 1a e 9a armate americane divennero pertanto la punta offensiva del gruppo delle armate del centro, al comando del gen. O. Bradley, e di tutto lo schieramento alleato. Avendo incontrato accanita resistenza sul difficile terreno montuoso e boscoso della Turingia, Patton aveva perduto il suo vantaggio iniziale. A metà aprile le truppe americane erano schierate lungo l'Elba ed avevano stabilito anche delle teste di ponte sulla sinistra del fiume fra Wittenberg e Magdeburgo. Investite Lipsia e le giogaie del Harz, la 9a e 1a armata si portano intanto in forze lungo la linea Elba-Mulde, zona d'incontro già stabilita con i Russi.

Contemporaneamente, nei primi giorni di aprile il gruppo nord delle armate alleate, al comando del maresciallo B. L. Montgomery, e formato dalla 1a armata canadese e dalla 2a britannica, avanzava nella direzione di Emden e di Brema, cercando di tagliare le vie della ritirata alle divisioni tedesche attardantisi in territorio olandese e nel settore marittimo. Ma ben presto il gruppo d'armate incontrava sul territorio olandese aspra resistenza, favorita dai numerosi canali e corsi d'acqua, che consentivano, fra l'altro ai Tedeschi di inondare larghi tratti di terreno. Ciononostante, la 2ª armata, al comando del gen. M. C. Dempsey, avanzando lungo la direttrice Osnabrück-Brema, oltrepassava il 4 aprile il Weser, da Minden a Stolzenau. Il 9, le formazioni corazzate di Dempsey si portavano a nord di Hannover, mentre l'ala sinistra dell'armata risaliva il Weser fino a Brema, che, investita a metà del mese, cadeva il 25 aprile. L'immensa pianura di Luneburgo non presentava ormai alcun altro ostacolo di rilievo fino al corso inferiore dell'Elba. Dempsey passa l'Aller a Celle, e in sette giorni, dal 12 al 19 aprile, si porta di fronte ad Amburgo. Tra il 20 aprile e il 2 maggio la 2a armata britannica ha superato l'Elba inferiore, ha tagliato alla base la penisola danese separando la Danimarca e lo Schleswig-Holstein dalla Germania. Il 2 maggio cade Lubecca, mentre nello stesso giorno, Dempsey cattura circa 100.000 prigionieri nel triangolo Lubecca, Wismar, Schwerin. Il 3 maggio s'arrendeva la città di Amburgo. Solo le guarnigioni di alcuni porti tedeschi resistevano ancora coraggiosamente. La 1a armata canadese, operando in Olanda alla sinistra della 2a britannica, nella prima settimana di aprile ebbe ragione delle difese tedesche del medio-alto Ijssel, aprendosi la via per attaccare Deventer, che cadeva l'11 aprile. Contemporaneamente i Canadesi, nel nord del ridotto olandese, prendevano Meppen il 6 e, nella bassa Olanda, Arnhem il 14. Tra il 15 e il 16 lo Zuiderzee è raggiunto, e il giorno seguente è occupato il porto di Harlingen. La liberazione dell'Olanda è sostanzialmente un fatto compiuto: non rimangono che poche sacche, trincerate dietro le linee d'acqua e i canali, e protette dalle inondazioni divenute particolarmente gravi dopo la rottura delle dighe fra Hilversum e Amersfoort.

Intanto, il gruppo d'armate del sud (7a armata americana e 1a francese), alle dipendenze del gen. J. L. Devers, dopo aver superato il Reno, a stretto contatto con l'ala destra dell'armata di Patton, da Magonza alla frontiera svizzera, avanzava deciso verso il ridotto bavarese e la valle del Danubio. Più precisamente, l'ala destra della 3a armata americana, conquistate Mühlhausen, Gotha ed Erfurt il 12 aprile, attraversava nello stesso giorno il fiume Saale piegando a sud-est verso i monti di Boemia e di Moravia e la valle del Danubio. Il comando alleato si proponeva di effettuare un collegamento con le forze sovietiche in Austria, oltre che sull'Elba, e di impedire qualsiasi riorganizzazione dei grossi resti nemici nell'arduo acrocoro del sud. Nel contempo, la 7a armata del gen. A. M. Patch occupava il 30 marzo Mannheim e Heidelberg; indi, superata la lunga resistenza (4-12 aprile) davanti ad Heilbronn, proseguiva col centro e la destra verso il mezzogiorno, mentre la sinistra spazzava via ogni resistenza sul Meno per portarsi, intorno al 10 aprile, sotto Bamberga. La 1a armata francese, comandata dal gen. J. J. Lattre de Tassigny, traversato il Reno superiore il 31 marzo, a sud di Spira, prendeva il 4 aprile Karlsruhe, l'8 varcava l'Enz e marciava su Stoccarda, conquistata il 22. Il giorno seguente occupava Ulma, raggiungeva il lago di Costanza e il 29, dopo aver liberato la riva orientale del lago dalla presenza di ogni unità combattente nemica, toccava la frontiera austriaca a nord-est di Lindau. Nella stessa località, alla fine d'aprile giungevano colonne della 7a armata americana, dopo aver conquistato Bamberga il 10, e Norimberga il 20. Il giorno dopo la 12a divisione di questa armata raggiungeva il Danubio a Dillingen; l'ala sinistra, conquistata Monaco il 29, si dirigeva su Salisburgo e Berchtesgadenn, il "nido d'aquila" di Hitler, mentre altri reparti dilagavano oltre l'Inn per arrivare il 2 maggio a Innsbruck e congiungersi il 5 a Vipiteno (Alto Adige) con unità della 5a armata (gen. M. W. Clark). Dallo sbarco sulla riviera francese la 7a armata s'era portata in meno di nove mesi a sud del Brennero, avendo avanzato a una media di 4 km. e mezzo al giorno. La 3a armata, entrata anch'essa in Austria, avanzava il 1° maggio in Boemia su un fronte di 160 km., il 5 conquistava Linz e il 6 Pilsen. A mezzogiorno del 6 maggio il gruppo d'armate "G", comprendente tutte le forze germaniche in Austria, si arrese incondizionatamente al gen. Devers.

Nel frattempo il gruppo delle armate americane del centro, cioè il gruppo operativamente più importante dell'occidente, era prossimo a realizzare la meta: il congiungimento con le forze sovietiche. Infatti, dopo il suo arrivo all'Elba, la 9a armata (gen. Simpson) si affrettava a costituire delle teste di ponte a nord e a sud di Magdeburgo; a causa della violenta reazione tedesca si dovette ritirare quella a nord della città, ma quella a sud resistette a tutti i contrattacchi. Rimontando, quindi, verso nord, l'armata stessa si attestava al corso dell'Elba da Magdeburgo a Wittenberg.

La 1" armata (gen. Hodges), intanto, aveva dovuto non solo superare tenaci resistenze tedesche sulla linea della Saale che copriva Halle e Lipsia, e su quella della Mulde, che proteggeva Chemnitz e Dresda, ma provvedere anche ad eliminare, in concorso con unità della 9a armata, alcune sacche di resistenza che i Tedeschi avevano costituite nelle retrovie; particolarmente importante, quella nel territorio del Harz, che cedette solo il 22 aprile, lasciando oltre 20.000 prigionieri nelle mani degli Americani. Alla fine, anche la 1a armata poté superare ogni ulteriore ostacolo, e raggiungere, anch'essa, l'Elba, il giorno 25, nel tratto tra Wittenberg e Coswig.

Particolarmente tenace fu la resistenza dovuta superare sulla Saale e davanti ad Halle e a Lipsia; la prima di queste città resistette, infatti, per circa una settimana, e a Lipsia, avendo il borgomastro rifiutato di dichiararla città aperta, nonostante che fosse già sotto il fuoco dei cannoni americani, fu necessario dare, nella giornata del 19 aprile, l'assalto con reparti corazzati, i quali, penetrati in città, dovettero sostener ancora una dura lotta tra le vie stesse di essa e attorno ai principali edifici e monumenti.

Nel pomeriggio del 25 aprile, infine, avveniva, sull'Elba, il primo incontro, in territorio tedesco, dell'esercito russo con gli eserciti alleati. Prima ad avvistare le avanguardie motorizzate russe, provenienti da Kottbus, fu una pattuglia della 69a divisione americana che si era spinta in esplorazione. Alcune ore dopo, un ufficiale americano da Torgau si spingeva fino alla metà di un semidistrutto ponte sull'Elba, e ritornava poco dopo, per accompagnare al comando di divisione alcuni ufficiali russi della 58a divisione della Guardia, incaricati di effettuare il congiungimento ufficiale dei due eserciti. Del grande avvenimento, per il quale la Germania era tagliata in due, fu dato, pressoché contemporaneamente, l'annunzio al mondo, a Mosca, a Washington ed a Londra.

Della potentissima Wehrmacht erano rimaste ai primi di maggio in occidente non più di 20 divisioni, capaci ormai di impegnare solo dei combattimenti sporadici e slegati nelle sacche superstiti di Olanda, del Mare del Nord, nel triangolo Amburgo-Torgau-Stettino, di Boemia-Moravia e Austria. Nelle prime tre settimane del mese di aprile gli Anglosassoni avevano fatto circa 1 milione di prigionieri. Travolto dalla disfatta e dal caos, quello che era stato il più potente esercito del mondo, gli emissarî del governo tedesco, il 7 maggio 1945, offrirono agli Alleati la resa incondizionata di tutte le forze di terra, di mare e dell'aria del Reich.

Bibl.: Per le operazioni militari in generale v. guerra mondiale. Per la guerra aerea, v.: H. H. Arnold, Reports of the Commanding General of The Army Air Forces to the Secretary of War, Washington 1945; G. C. Marshall, E. J. King, H. H. Arnold, Relazione del Comando supremo americanor, ed. ital., New York 1945; A. Harris, Bomber offensive, Londra 1947; M. A. Smith, Pathfinder story, in Flight, 2 maggio 1946; Commissione del Min. della Guerra degli S. U., Inchiesta sul bombardamento strategico, in Riv. Marittima, aprile-giugno 1946; T. L. Mallory, Air power and victory, in The Aeroplane, 24 genn. 1947.

Arte (XVI, p. 767).

La storia dell'arte tedesca degli ultimi quindici anni è la storia del disfacimento di quell'alto livello di gusto e di cultura figurativa, in un piano di valori europei, che si era creato in Germania nei primi tre decennî del Novecento. L'espressionismo, l'astrattismo di W. Kandinskij, P. Klee, F. Marc e L. Feininger e il Bauhaus di W. Gropius (sorti in un ambiente tedesco nonostante le diverse nazionalità dei loro assertori), sono fra i movimenti più vivi dell'arte contemporanea. L'avvento del nazismo (1933) segna lo sfacelo dell'arte tedesca. L'ideologia nazista, volta a miti razziali e nazionalistici, condanna in blocco, sotto l'accusa di "arte degenerata" (entartete Kunst) o ebrea o bolscevizzante o internazionalistica, tutta la migliore produzione contemporanea: le opere vengono tolte dai luoghi pubblici, spesso distrutte; gli autori, perseguitati, sono costretti ad emigrare o si vieta loro di operare. La politica delle arti nazista culminò nel discorso che Hitler pronunciò il 18 luglio 1937 inaugurando a Monaco la Casa dell'arte tedesca e la Grande mostra d'arte tedesca, mentre contemporaneamente aveva luogo la Mostra dell'arte degenerata dove erano esposte opere di quasi tutti i maggiori artisti: E. Barlach, M. Beckmann, O. Dix, G. Grosz, C. Hofer, W. Kandinskij, E. L. Kirchner, P. Klee, O. Kokoschka, W. Lehmbruck, F. Marc, E. Nolde, ecc.

Affermato il concetto che l'arte è determinata dalla razza, Hitler condannava in blocco cubismo, futurismo ed espressionismo perché non esprimevano il senso della sanità, della bellezza fisica e della forza della razza tedesca e ne chiamava a giudice il popolo. Nel novembre dello stesso anno Goebbels ribadiva tali punti, dichiarando inoltre che, anche in materia d'arte, unico arbitro era lo stato. Gli artisti erano già quasi tutti emigrati all'estero. Tra gli espressionisti G. Grosz, il più avversato per la sua fede politica e la ferocia della sua satira, lasciò la Germania ancora prima dell'avvento del nazismo, nel 1932, e si trasferì negli S. U., dove, al di fuori del clima arroventato di interessi e contrasti sociali che giustificava la violenza della sua espressione, concedette molto al gusto corrente americano; M. Beckmann nel 1937 si rifugiò ad Amsterdam; O. Kokoschka, contro le cui opere si era particolarmente accanita la persecuzione dei nazisti, riparò in Cecoslovacchia, e, quando nel 1938 i Sudeti furono invasi, a Londra. W. Gropius emigrò nel 1933, prima a Londra e poi in America e con lui gli ex componenti del Bauhaus: J. Albers (1933), L. Moholy-Nagy (1935) e H. Bayer (1938), anch'essi negli S. U., dove sorse, a Chicago, il New Bauhaus. Del gruppo astrattista P. Klee riparò, nel 1933, a Berna, W. Kandinskij a Parigi nel 1935, L. Feininger ritornò a New York nel 1936. Gli artisti che restarono furono perseguitati.

Viene invece incoraggiata un'arte naturalistica e accademica, che esalti i miti della terra, del sangue e della lotta: essa trova le sue manifestazioni ufficiali nelle mostre di Darmstadt e i suoi rappresentanti più conseguenti negli scultori Arno Brecker - autore delle rettoriche statue bronzee della Reichskanzlei di Berlino - e Josef Torak (per la produzione dei suoi goffi colossi si costruisce, a spese dello stato, un enorme studio) e nel pittore Adolf Ziegler, presidente della Reichskunstkammer. Nell'architettura, al lucido razionalismo di W. Gropius e di L. Mies Van der Rohe (anch'egli emigrato negli S. U.), si sostituisce uno stilizzato neoclassicismo, di cui lo stesso Hitler, assieme al suo architetto Paul Ludwig Troost, dà i fondamenti nella Casa dell'arte tedesca e nella sistemazione urbanistica della piazza reale di Monaco, e le cui principali realizzazioni sono la Reichskanzlei di Berlino e i Reichsparteitaggelände di Norimberga di Albert Speer.

Col crollo dell'ideologia nazista, la Germania sembra riavvicinarsi con interesse alla sua "arte degenerata" per riannodare le fila di uno sviluppo interrotto. Mostre dei maggiori esponenti dell'espressionismo (M. Beckmann, C. Hofer, E. Nolde, ecc.) hanno avuto luogo nel 1946 e nel 1947 in molte città della Germania; nell'estate del 1947 - a dieci anni di distanza dalla "mostra dell'arte degenerata" - veniva allestita, presso la Kunsthalle di Berna, una grande mostra della "Resistenza" (Deutsche Kunst seit 1933), dov'era documentata l'opera di quegli artisti, particolarmente i più giovani, che, durante il nazismo in Germania, non avevano seguito l'indirizzo ufficiale. È, comunque, ancora presto per poter riconoscere precisi orientamenti di gusto o nuove personalità.

Bibl.: Entartete Kunst, Austellungsführer, Berlino 1937; Mitteilungsblatt d. Reichskammer d. bild. Kunst, II, i° agosto 1937; B. Kroll, Deutsche Maler d. Gegenwart, Berlino 1937; W. Rittich, Architektur u. Bauplastik d. Gegenwart, Berlino 1938; H. Bayer-W. Gropius, Bauhaus, New York 1938; B. E. Werner, Die deutsche Plastik d. Gegenwart, Berlino 1940; Die Kunst im deutschen Reich, 1942-43; G. Grosz, A Little Yes and a Big No, New York 1946; E. Hoffmann, Kokoschka, Londra 1947; Ph. C. Johnson, Mies van der Rohe, New York 1947; Moderne deutsche Kunst seit 1933, Berna 1947.

Danni di guerra ai monumenti e opere d'arte.

Gli enormi danni di guerra degli anni 1939-45 superano di gran lunga le perdite che la Germania aveva fino allora subìto durante la sua storia millenaria. In conformità allo sviluppo delle azioni belliche le distruzioni avvennero in periodi diversi. Gli attacchi aerei iniziarono lentamente nella primavera del 1940 aumentando in seguito con un crescendo di violenza e d'intensità. Gli obiettivi principali furono nei primi due anni le grandi città delle regioni renane occidentali e della costa del mare del Nord. Solo a partire dal 1943 anche le città della Germania meridionale ebbero a soffrire degli attacchi delle squadriglie di bombardieri angloamericani. Infine il terribile tappeto di bombe si estese quasi uniformemente su tutto il paese ad occidente dell'Oder, con conseguenze rese più gravi quando la guerra guerreggiata giunse sul territorio tedesco. Soltanto alle regioni orientali, site nella zona di guerra sovietica, furono risparmiati attacchi aerei di vaste dimensioni. Esse ebbero però poi a soffrire maggiormente nell'inverno 1944-45 quando la guerra di movimento oltrepassò anche la frontiera orientale tedesca.

Caratteristica per questa guerra è stata la distruzione di intere città, come ad esempio di Würzburg e di Dresda il cui antico centro è andato interamente distrutto in seguito ad un solo insensato attacco aereo. Altre città furono colpite ripetutamente come Norimberga, Monaco, Augusta, Berlino, Colonia, Aquisgrana. Al novero delle città più gravemente danneggiate delle regioni occidentali appartengono inoltre Treviri, Coblenza, Magonza, Darmstadt, Worms, Heilbronn, Stoccarda, Karlsruhe, Pforzheim, Friburgo i. Br., Freudenstadt; nella Vestfalia, Bielefeld, Paderborn, Siegen, Bochum, Dortmund, Münster, Hildesheim; sulla costa del mare del Nord, Amburgo, Brema, Emden; su quella del Baltico, Lubecca, Rostock, Wismar, Anklam, Stettino, Königsberg; nella Sassonia, Dresda, Lipsia, Schneeberg. Poco si sa della sorte delle città della Slesia; ma Breslavia è fortemente danneggiata, come pure Neisse. Nella celebre Rothenburg ob der Tauber in Franconia è stato distrutto un quartiere di case d'abitazione borghesi e il palazzo comunale; ma il vero e proprio centro della città si è salvato. A Soest (Vestfalia) invece, non inferiore a Rothenburg per ricchezza di monumenti, quasi tutti gli edifici romanici e gotici sono gravemente danneggiati. Anche Potsdam è stata in buona parte distrutta.

Se la perdita di questi complessi architettonici ammonta a parecchie centinaia, sono migliaia i singoli edifici annientati, tra i quali ricordiamo alcuni dei più importanti.

La perdita più grave, tra le grandi residenze, è forse quella di Monaco, il cui interno è stato demolito da esplosioni e incendî. Così pure è stato distrutto dal fuoco l'interno della residenza arcivescovile di Würzburg, il capolavoro di Balthasar Neumann; solo si sono salvati gli affreschi di G. B. Tiepolo. Sono crollati il castello dello Schlüter a Berlino e quelli di Dresda, Charlottenburg, Bonn, Brühl, Mannheim, Bruchsal, Aschaffenburg, Neustrelitz, Coblenza e Magonza. A Norimberga l'antico castello degli Hohenzollern è ridotto una rovina. Sebbene buona parte dell'arredamento di questi castelli sia stata messa in salvo prima della catastrofe, sono scomparse le decorazioni, strettamente legate all'architettura.

Non diversamente si presenta la situazione per quanto riguarda le chiese. Molte di esse saranno restaurate alla meglio anche per necessità di culto, ma la loro suppellettile è andata, nella maggior parte dei casi, irrimediabilmente perduta, come ad esempio, la ricchissima serie di pitture, sculture ed altari dei secoli XVI-XVIII nelle chiese di Würzburg, Magonza, Paderborn, Dresda ed altre città. Particolarmente grave è la perdita delle chiese romaniche del Reno, a Colonia, Coblenza, Bonn, Aquisgrana (dove si è salvato per un caso singolare soltanto la cappella palatina, solo lievemente danneggiata), Münster. Gravissimi danni hanno inoltre subìto le chiese gotiche di Lubecca, Berlino, Norimberga, Danzica ed altre città del Baltico e di Breslavia (duomo). Il duomo di Colonia ha perso le sue vòlte. La Frauenkirche di Dresda è stata completamente annientata dal fuoco, mentre della chiesa di corte rimangono almeno le parti principali. Il duomo di Würzburg, di cui era stato rifatto il tetto, è nuovamente crollato. Della Frauenkirche di Monaco si sono conservati i muri perimetrali. Del duomo di S. Edvige a Berlino si è salvata solo una parte.

Anche i palazzi comunali hanno subìto perdite dolorose. Sono ridotti più o meno ad un cumulo di rovine i palazzi comunali gotici d'Aquisgrana, Münster, Ulm, Schwäbisch-Hall, quello dell'epoca barocca di Norimberga, l'imponente palazzo comunale d'Elias Holl del tardo Rinascimento in Augusta, il palazzo comunale di Rothenburg.

Anche pregevoli ponti antichi sono stati fatti saltare dalle armate tedesche in fuga, come ad esempio il cosiddeto ponte di Druso, dell'epoca romanica, presso Bingen, i ponti gotici di Würzburg, Ratisbona, Rothenburg o. T., Kreuznach, Coblenza e via dicendo.

Particolarmente dolorosa è la perdita di numerosi musei, per quanto il loro contenuto sia stato quasi sempre messo in salvo. Ma gli edifici sono, nella maggior parte dei casi, distrutti o inservibili. Così ad esempio il grandioso complesso dei musei di Berlino, ideato dal Bode, è in buona parte sconvolto; a Monaco le due pinacoteche non potranno probabilmente più essere utilizzate; a Norimberga il Museo nazionale germanico è in rovina, come pure i musei di Colonia, Francoforte, Essen, Brema, Karlsruhe, Cassel, Würzburg, Stoccarda, Erfurt, Magonza, e di altre città. Ma la perdita più grave, perché da ritenersi probabilmente definitiva, è quella delle preziosissime collezioni artistiche di Berlino e di Dresda, che sono state portate via dai Russi. Dalla sola Dresda sono scomparse 1700 pitture, dalla zona orientale in tutto 2800. Solo le opere d'arte del settore anglo-americano si possono considerare salvate.

Gravissimi sono stati inoltre i danni causati da saccheggi nella Slesia, dove erano stati trasportati dalle regioni occidentali molti tesori artistici per salvarli dagli attacchi aerei. Essi sono andati tutti perduti; e radicalmente saccheggiati sono stati i castelli della nobiltà slesiana e molti anche demoliti dai Russi allo scopo di cancellare ogni ricordo dell'epoca feudale. Anche nelle regioni occidentali del resto molti castelli e palazzi ricchi di opere d'arte d'ogni genere sono stati devastati e incendiati.

Bibl.: Die Kunstpflege, ed. da G. Lill, Prima serie, Berlino 1948 (in questi fascicoli viene pubblicata una statistica il più possibile completa dei danni di guerra); G. Lill, Um Bayerns Kulturbauten, Monaco 1946, 2ª ed. 1947; id., Zerstörte Kunst in Bayern, Monaco 1948; W. Bornheim, Ruinen, Denkmäler und Gegenwart, Treviri 1948.

Letteratura (XVI, p. 372).

La letteratura tedesca durante il periodo nazista (1933-45) non ha avuto una vera e propria "poetica". Anche come tendenze e motivi, non è difficile riallacciarla alle correnti che la precedettero: il senso del superamento dell'"io" il bisogno del "coro", della "collettività" erano già nell'espressionismo, sebbene in questo soltanto con significati universalistici e vagamente, tumultuariamente umanitarî; nella letteratura nazista invece con un preciso senso della realtà e con esasperati caratteri nazionalistici; così nella neue sachlichkeit (neorealismo) c'erano già il bisogno di un contenuto etico, la rinnovata importanza dell'ambiente storico e sociale, il principio di una "individualità collettiva", cioè la prima idea di massa e di "popolo"; e non era mancato neppure chi, come J. Roth, aveva fatto appello al ritorno a un ordine nello stile e nel linguaggio poetico; motivi tutti ripresi (tranne forse l'ultimo) dalla letteratura del terzo Reich, anche se i rappresentanti principali delle due correnti accennate fossero in maggior parte appartenenti a partiti di sinistra ed ebrei. La novità, puramente contenutistica, della letteratura nazista, è questa: ma novità che la "individualità collettiva" fu intesa in senso radicalmente ed esclusivamente nazionale, la glorificazione della realtà fu solo la glorificazione della realtà tedesca, cioè del sangue e della terra tedeschi e intorno al concetto di "popolo" che si fa eterno in quanto si perpetua attraverso le generazioni, sorse un misticismo di pretta marca teutonica.

Tre figure si sogliono indicare come figure di passaggio e di preparazione alla nuova letteratura nazista: Rudolf G. Binding (1867-1938), Paul Ernst (1866-1943), Hans Grimm (1875); ma di fatto l'aristocratica ed egocentrica personalità di Binding, nonostante il suo forte senso della nazione e della stirpe tedesca, i suoi aforismi di nudo e quasi cinico realismo, e l'arte che vorrebbe esser classica di Paul Ernst, nonostante la glorificazione del Reich tedesco (Das Kaiserbuch) attraverso i secoli, han poco da dire alla letteratura nazista; e lo stesso concetto di "popolo" in Hans Grimm, l'autore di Volk ohne Raum (1926), è assai lontano dal concetto nazista, in quanto che il primo è soltanto un popolo che ha bisogno di spazio e cioè soprattutto di colonie, l'altro è il popolo nel senso del misticismo del sangue e della razza. Anche le tre formule: Blut und Boden, Rückkehr zur Scholle, Stamm und Landschaft, con le quali si suole caratterizzare la letteratura nazista, più che porre le basi a una vera e propria poetica, possono servire ad aggruppare, grosso modo, alcuni nomi e alcune tendenze. Del resto, della prima endiade, Blut und Boden, "sangue e terra", che è la più caratteristica, i rappresentanti principali sono due scrittori anziani, formatisi prima del nazismo: E. G. Kolbenheyer (1878) e H. F. Blunck (1888): il primo che, con i suoi romanzi su figure storiche della pre-riforma (Paracelso, Bruno, Spinoza, Böhme), ha creato una specie di metafisica biologica, in cui ha gran peso l'elemento Blut ("sangue"); il secondo che, nelle sue trilogie (Urväter Saga, Kampf der Gestirne) e persino nelle sue fiabe, risalendo ai tempi preistorici della Germania, dà tanta importanza al fattore Boden ("terra") da determinare attraverso di questo non solo i tratti fisici, ma anche le azioni e i pensieri dei suoi personaggi. Intorno al motto Rückkehr zur Scholle ("ritorno alla zolla"), a parte il fatto che per certi motivi idillici quest'arte si richiama alla Heimatdichtung della fine '800 (ma c'è più risolutezza e "crudeltà" di visioni), si possono citare i nomi di F. Griese (Winter), F. Schnack, Agnes Miegel (Geschichten aus Altpreussen), di K. B. von Mechow, che nel romanzo Vorsommer ha però anche accenti di delicata spiritualità, ecc.; e intorno all'altra endiade Stamm und Landschaft, "stirpe e paesaggio", si possono riunire un po' tutti: oltre i già citati, lo slesiano F. Bischoff e l'austriaco K.H. Waggerl, il bavarese G. Britting e il tirolese F. Tumler. Il maggiore scrittore, la figura più importante di questo periodo è Ernst Jünger (1895), che con la sua opera varia e complessa (di problemi sociali, Der Arbeiter, e persino di tecnica militare; di ricordi di guerra; e soprattutto di poesia: Das abenteuerliche Herz, Auf den Marmorklippen) superò tutte queste formule, attinse a tutte le tendenze, persino a scuole straniere del decadentismo, eppur diede un forte segno di originalità ai suoi scritti, balenanti di pensieri nuovi e vigilatissimi nella forma, in una mistura sottile e suggestiva d'intellettualismo e di fantasia, di scoperta crudeltà e di nascosta pietà, di frigida calma e di sotterraneo impeto romantico. Ma già nel 1942, in Gärten und Strassen, Jünger usciva dal recinto dei preconcetti anticristiani nazisti e si apriva a sentimenti più larghi e umani.

La mancanza di grandi personalità e di una vera poetica fece sì che nei primi anni del nazismo furono rimessi in onore scrittori e romanzieri anziani, già posti in oblio, ma che avevano tenuto fermo su alcuni punti essenziali: patria, nazione, stirpe, eroismo; come J. Ponten (nato nel I883), Emil Strauss (n. 1866), Hermann Stehr (n. 1864), W. Schäfer (n. 1868), il garbato scrittore degli Anekdoten, Rudolf Huch, il cugino di Ricarda, Otto Gmelin (1886-1940), autore di romanzi storici, ecc. Solo negli anni successivi i giovani misero in luce più cruda i concetti di razza e di sangue, intessendo intorno ad essi un alone di misticismo, del resto già accennato in Kolbenheyer e in Blunck. In tale schiera, per l'aderenza stretta ai principî se non per la felicità della realizzazione artistica, sono da ricordare i nomi di W. Beumelburg (n. 1889), J. M. Wehner, F. Schauwecker fra i romanzieri; H. Johst (n. 1890), E. W. Möller (n. 1906), G. Schumann (n. 1911) fra i poeti, il secondo dei quali ha, nei Briefe der Gefallenen, accenti di delicata dolorosa umanità. Ma forse il poeta più importante di questo periodo è l'austriaco Josef Weinheber (1892-1945), che già cantò in Adel und Untergang (1920), con purezza di stile, la nobiltà del tramonto della sua patria e che solo tardi si aggiunse alla schiera dei poeti celebranti Hitler; e G. Britting, già ricordato come novelliere, che nelle sue brevi poesie accoppia un nitore scandito di stile a delicatezza di immagini; e un solitario, H. Leifhelm, vissuto e morto in Italia, lontano dal mondo nazista e i cui canti s'ispirano a un minuto francescano amore della natura. È naturale poi che intorno all'argomento "guerra", che tutti i motivi nazisti riassume e sublima, si possano raccogliere gran numero di questi scrittori: non solo Edwin E. Dwinger che, con i suoi romanzi di guerra e di prigionia in Russia, è forse il più vicino agli ideali nazisti, ma anche P. Alverdes che nella Pfeiferstube ha raggiunto accenti di poesia, e quasi tutti i già citati. Anche Carossa e Wiechert, che sono certo due tra le figure più importanti del Novecento tedesco, hanno continuato a lavorare, ma con indirizzo indipendente, durante questo periodo: Carossa con i ricordi della sua vita (Führung und Geleit, Das Jahr der schönen Täuschungen), Wiechert con la sua ampia opera di romanziere (Die Magd des Jürgen Doskocil, Das einfache Leben). Fra le donne, se A. Miegel, che è da ricordare soprattutto come poetessa per le sue Balladen, può considerarsi simpatizzante dei principî nazisti, sempre rimase da loro lontana Ricarda Huch, morta nel 1947; ed estranea è rimasta fondamentalmeme la maggiore scrittrice cattolica che conti oggi la Germania, per vigore di concezioni e per forza di stile poetico: Gertrud von Le Fort (n. 1876). Anche l'Austria, a parte i già ricordati Weinheber, Waggerl e Tumler, quest'ultimo nato in Alto Adige, se si pensa ai suoi due maggiori esponenti: R. Kassner, che ha rinnovato in termini moderni i principî della fisiognomica, e Max Mell, autore non soltanto di drammi sacri ma anche di racconti e di poesie, si è mantenuta sostanzialmente estranea alla letteratura nazista. Più larga partecipazione hanno invece manifestato alcuni nuclei tedeschi all'estero: quello romeno intorno a Kronstadt con ben tre rappresentanti: A. Meschendörfer, E. Wittstock e H. Zillich; e la Boemia col sudetico W. Pleyer. Né è da dimenticare che continuarono a lavorare gli esuli: Thomas Mann con i bei romanzi Charlotte in Weimar (1943) Doktor Faustus (1947); Franz Werfel, con Das Lied von Bernadette ed altre opere; Stefan Zweig, con Die gestrige Welt; A. Zweig, Heinrich, Klaus Mann, H. Hesse, E. Ludwig, ecc.

La difficoltà dei contatti con la Germania del dopoguerra, la scarsità della produzione letteraria in seguito alle distruzioni materiali e spirituali, rendono difficili le notizie. Grazie soprattutto ad alcuni libri pubblicati da autori tedeschi in Svizzera, si può scorgere una rinascita dello spirito religioso per mezzo di alcuni scrittori cattolici, del resto già noti e da molto tempo operanti: Reinhold Schneider, che con i suoi sonetti (Die letzten Tage, 1945), ha cantato in un'aria d'apocalisse la distruzione di gran parte della Germania; Werner Bergengruen, che nei suoi ultimi racconti (Die Sultansrose, Pelageja, ecc.) fonde gli argomenti più varî per diversità d'ispirazione, di tempi e di luoghi, in un'atmosfera di cristiana comprensione; e le ultime opere della Le Fort (Consolata, ecc). Ma anche il protestante Wiechert ha accentuato nei suoi ultimi libri, accanto alla descrizione degli orrori della guerra e dei campi di concentramento (Der Totenwald), lo spirito cristiano, già così forte in alcune sue opere, scritte durante il periodo nazista. E fra i nuovissimi sono da ricordare: W. Bredel con la nuda, terrificante documentazione della vita in un campo di concentramento; Stefan Andres, l'autore di Wir sind Utopia; il romanziere Hans Habe (Wohin wir gehören); il poeta Ernst Kreuder; Alfred Berndt, ecc.; oltre ad Anna Seghers, ritornata dal Brasile, autrice di Die Rettung (1947), Theodor Plievier, tornato dalla Russia, col romanzo Stalingrad. In tutti è uno sforzo verso la nudità della parola, il prendere atto con franchezza della terribile nuova realtà; e accanto ad accenti di disperazione e di sconforto, è in molti la tremante, ma non ancor ferma speranza di cieli meno buî, di tempi meno crudeli.

Bibl.: H. Kindermann, Dichtung und Volkheit, Berlino 1937; F. Lennartz, Die Dichter unserer Zeit, Stoccarda 1938; H. Ch. Kaergel, Schlesische Dichtung der Gegenwart, Breslavia 1939; R. Petsch, Politische und volkhafte deutsche Dichtung der Gegenwart, ibid. 1939; F. Koch, Geschichte deutscher Dichtung, Amburgo 1941; W. Oehlke, Deutsche Literatur der Gegenwart, Berlino 1942; S. Boesch, Deutsche Literaturgeschichte, Berna 1946; H. lechner, Grundzüge der LIteraturgeschichte, Innsbruck 1947; A. Belli, Poesia tedesca dal 1919 al 1940, Venezia 1940; R. Bottacchiari, Poesia e poeti della Germania d'oggi, Roma 1941; B. Tecchi, Scrittori tedeschi del '900, 2ª ed., Milano 1943.

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