Hegel, Georg Wilhelm Friedrich

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich

Stefano De Luca

Il più grande esponente dell'idealismo

Georg Wilhelm Friedrich Hegel ebbe un'acuta e drammatica coscienza degli straordinari mutamenti che si realizzarono negli anni della sua maturità, dalla Rivoluzione francese del 1789 alla Rivoluzione di luglio del 1830. In alcune delle principali 'conquiste' della modernità ‒ la limitazione del sapere umano all'ambito del finito e la distinzione tra società e Stato, tra individuo e cittadino ‒ egli vide dolorose e laceranti scissioni, che la filosofia aveva il compito di superare e ricomporre in un quadro unitario. La sua filosofia, dominata dalla profonda fede nella razionalità del reale, rappresenta l'ultimo grandioso tentativo di realizzare un sistema filosofico onnicomprensivo, nel quale ogni aspetto della realtà e del pensiero trova il suo posto e il suo significato

Il giudizio sulla Rivoluzione francese

Nato a Stoccarda nel 1770 e morto a Berlino nel 1831, Hegel visse in un periodo storico segnato da mutamenti drammatici e formidabili, ai quali partecipò con grande passione e vivissimo interesse intellettuale. Quando esplose la Rivoluzione francese, Hegel studiava filosofia e teologia all'università di Tubinga, dove aveva stretto intensi rapporti di amicizia con Friedrich Hölderlin (che sarebbe diventato uno dei più grandi poeti romantici) e Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (un altro dei protagonisti dell'idealismo tedesco). Con i suoi amici Hegel condivise l'entusiasmo per la Rivoluzione: essa ‒ avrebbe scritto molti anni più tardi ‒ fu "una splendida aurora", un momento nel quale "il mondo fu percorso e agitato da un entusiasmo dello spirito", come se "fosse finalmente avvenuta la vera conciliazione del divino col mondo". Tale conciliazione, però, non avvenne, perché la Rivoluzione, dopo aver distrutto il vecchio mondo, non seppe edificarne uno nuovo e lasciò ai posteri, secondo Hegel, un mondo pieno di lacerazioni e separazioni: tra società e Stato, tra individuo e cittadino, tra pubblico e privato.

La critica all'Illuminismo

Tali scissioni erano 'figlie' della filosofia illuministica, che a Hegel e ai suoi amici romantici appariva priva di contenuto e di vita, astratta e dualistica. Servendosi dell'intelletto "chiaro e distinto", questa filosofia aveva separato la ragione dal sentimento, la vita pubblica da quella privata, l'individuo dallo Stato, il mondo da Dio; quanto all'uomo, ne aveva dato una definizione astratta, in cui si era persa tutta la sua particolarità, che deriva dall'appartenenza nazionale, dalla cultura, in una parola dalla storia. In tal modo, separando ciò che nella vivente totalità della realtà è unito, la filosofia illuministica ci ha lasciato un mondo pieno di ferite e un uomo diviso al suo interno e infelice.

Emblematica di tale esito è la filosofia di Kant, nella quale l'assoluto ‒ sia sul piano della conoscenza, sia su quello dell'etica ‒ rimane un eterno dover-essere, una sorta di 'al di là' al quale l'uomo non può fare a meno di tendere, ma che non può in alcun modo raggiungere.

La filosofia dell'Assoluto

Se la critica hegeliana alla cultura illuministica coincide con quella romantica, la sua risposta al problema sarà ben diversa. Per recuperare il rapporto con l'Assoluto, infatti, Hegel non si affida al sentimento, all'intuizione o alla fede, ma alla ragione. Non si tratta, però, della ragione illuministica (che Hegel chiama intelletto e che si basa sul metodo matematico-geometrico), bensì di una ragione speculativa o dialettica, capace cioè di accogliere dentro di sé tutta la ricchezza e la conflittualità della realtà, mostrando come le contraddizioni facciano parte di un ordine razionale e necessario.

Il mondo appare a Hegel come la manifestazione di uno Spirito infinito (detto anche Idea o Ragione), che si realizza attraverso un incessante divenire; tale manifestazione è tuttavia oscura e spetta alla filosofia penetrarla e chiarirla, ripercorrendo il cammino dello Spirito nelle sue varie 'figure' e cogliendo in tal modo il senso dell'intero processo.

Alla filosofia, dunque, non spetta il compito di trasformare il mondo ‒ come avrebbe poi sostenuto Marx, anch'egli allievo di Hegel ‒ ma quello di comprenderlo: come la civetta di Minerva (simbolo della sapienza) spicca il suo volo al tramonto, quando la giornata è ormai finita, così la filosofia giunge 'a cose fatte', quando la storia si è ormai svolta e il suo scopo è quello di comprenderne il significato e riconciliarsi con essa.

La dialettica

La dialettica gioca un ruolo cruciale nella filosofia di Hegel: essa è il ritmo stesso della realtà e del pensiero. Realtà e ragione non costituiscono entità immobili: esse non 'sono', ma 'divengono'. E il 'motore' di questo incessante movimento sono le contraddizioni dialettiche. L'intelletto scorge le opposizioni, ma ne irrigidisce gli elementi: natura e spirito, realtà e razionalità, soggettivo e oggettivo, finito e infinito, maschile e femminile rappresentano per esso dualismi insuperabili. La ragione, invece, coglie la profonda unità che lega gli opposti: maschile e femminile sono l'uno il contrario dell'altro, eppure non possiamo pensare l'uno senza pensare anche l'altro; né l'uno può vivere senza l'altro e soltanto dalla loro unione scaturisce la vita. La dialettica non è altro che questo movimento in virtù del quale gli opposti si richiamano l'un l'altro e dal loro urto dinamico, dalla loro relazione contraddittoria, scaturisce una sintesi superiore. Quando si comprende questa profonda verità, i dualismi cessano di apparire tali e riusciamo a pensare la totalità (o assoluto), che coincide con la verità.

Hegel e la storia

La storia, dice Hegel, ci appare a tutta prima come un immenso mattatoio, in cui vengono incessantemente condotti al sacrificio individui, popoli, Stati e civiltà. Nulla sembra sottrarsi a questo destino di morte. Ma la storia appare un processo distruttivo e privo di senso soltanto all'intelletto, che non sa elevarsi al punto di vista dell'assoluto: in realtà, la storia è il processo, tragico e grandioso al tempo stesso, attraverso il quale lo Spirito realizza e conosce sé stesso, giungendo a un grado sempre più alto di libertà.

Lo spirito del mondo si incarna, successivamente, nello spirito di singoli popoli, che per un certo periodo storico esprimono il principio etico-politico più elevato. All'interno dei popoli una funzione decisiva è riservata agli individui cosmico-storici o eroi. A differenza degli individui conservatori, che si identificano con il presente e con i suoi valori, gli eroi sentono urgere dentro di sé il futuro: seguendo le loro passioni particolari, essi permettono il progresso della Ragione e realizzano, senza esserne consapevoli, i suoi fini universali (in questo consiste la famosa "astuzia della ragione"). Emblematico il caso di Napoleone: egli perseguiva la propria gloria e la potenza della Francia, ma in realtà risvegliò il sentimento di indipendenza nazionale dei popoli europei. Per Hegel la storia è inevitabilmente conflittuale. Nel suo pensiero non c'è spazio per l'ipotesi kantiana della pace perpetua. Tutti gli Stati hanno il diritto di affermare la propria individualità e l'urto che ne scaturisce può essere giudicato soltanto dal tribunale della storia, perché nell'arena internazionale non c'è alcuna autorità superiore alle parti in lotta.

La politica

La manifestazione più alta di un popolo è la sua costituzione politica, che non è il frutto di un'elaborazione intellettuale (come pensavano gli illuministi), ma nasce dallo spirito del popolo, ossia da quel "genio collettivo" da cui sgorgano la religione, la cultura, i costumi e infine l'organizzazione politica di ogni popolo. Non è quindi lo Stato a esistere in funzione degli individui, come pensano i liberali, ma sono gli individui a esistere in funzione dello Stato, che rappresenta quella totalità all'interno della quale essi trovano il loro senso e il loro significato.

Hegel è critico anche verso l'individualismo economico tipico della società borghese, per rimediare al quale teorizza la rinascita delle corporazioni (associazioni di mestiere che sostengono i propri aderenti nei momenti di difficoltà) e l'intervento dello Stato nell'economia. Egli ritiene inoltre che la concezione democratica secondo cui il popolo è il miglior giudice dei propri interessi sia del tutto falsa: il popolo è infatti quella parte dello Stato che non sa quel che vuole. Molto meglio affidarsi ai funzionari dello Stato.

Lo Stato delineato da Hegel è una monarchia, con una camera alta ereditaria e una camera bassa che accoglie i rappresentanti delle corporazioni, una ramificata burocrazia e un monarca dotato di grandi poteri. Le camere, infatti, possono solo proporre le leggi. Sebbene non si tratti di uno Stato dispotico, certamente non si tratta di uno Stato liberale.

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