GEOMETRIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

GEOMETRIA

Mario Rosati

(XVI, p. 623; App. III, I, p. 724; IV, II, p. 39)

Le ricerche nel campo delle discipline geometriche ricoprono, com'è ormai noto da tempo, un'area sempre più ampia e differenziata all'interno delle ricerche matematiche. Non è facile quindi delineare un panorama complessivo dei progressi compiuti dalle ricerche geometriche, riferendosi esse a conoscenze sensibilmente diversificate tra loro. Lo stesso termine g. viene oggi quasi sempre usato con attributi che ne delineano il campo di intervento, le finalità, i metodi. Ricordiamo, per es., la g. differenziale, la g. algebrica, la g. complessa, la g. combinatoria, locuzioni tutte da tempo nell'uso. Va inoltre registrato un uso più recente del termine g. per indicare un nuovo campo di indagine, la g. dei frattali, nato negli anni Settanta ad opera di B. Mandelbrot e avente lo scopo di studiare particolari configurazioni geometriche derivanti dall'uso della grafica al computer, ma rispondenti a precise costruzioni matematiche (il nome deriva dal fatto che a tali configurazioni viene associato come ''dimensione'' un numero frazionario anziché intero). Per queste ragioni è preferibile che il lettore faccia riferimento, per molti dei campi sopra nominati, alle voci di questa Appendice espressamente dedicate ai relativi argomenti, tra le quali: combinatoria, analisi; equazioni differenziali; frattali; funzionale, analisi; topologia. In questa voce ci limiteremo essenzialmente ai progressi relativi alla g. algebrica.

Geometria algebrica. - Le ricerche recenti in g. algebrica sono proseguite nella direzione della classificazione birazionale delle varietà algebriche. La questione è riferita a una varietà irriducibile V definita sul campo complesso C, della quale si considera il campo delle funzioni razionali C(V); il criterio di equivalenza tra due varietà essendo fornito dall'esistenza di una mappa birazionale tra esse, o − in forma equivalente − dall'isomorfismo su C dei loro campi di funzioni. Il problema centrale classico della g. algebrica resta sempre quello della classificazione delle varietà rispetto all'equivalenza birazionale o, in forma equivalente, quello della classificazione delle estensioni di C, finitamente generate, rispetto ai C-isomorfismi.

Strumento basilare per la classificazione è l'individuazione e lo studio di invarianti, cioè quantità o altri enti algebrici associati a una varietà, che siano invarianti rispetto all'equivalenza birazionale. Il primo esempio in questo senso è offerto dalla dimensione n=dim V della varietà (ricordiamo che nei casi n=1,2..... si ha a che fare con curve, superficie, .....).

Un celebre teorema di H. Hironaka del 1964 assicura che ogni varietà algebrica complessa V ammette una risoluzione delle singolarità (non necessariamente unica), cioè un morfismo birazionale f:Ā̀→V, dove Ā̀ è priva di singolarità; la Ā̀ è detta un modello non singolare di V (se la V è completa si può supporre che Ā̀ sia proiettiva). Il risultato di Hironaka permette di ricondurre il problema della classificazione alle varietà proiettive non singolari; tuttavia nella teoria non è possibile evitare di considerare anche varietà singolari, dotate però di singolarità di tipo ''semplice''.

Quanto diremo si riferisce al caso delle varietà algebriche complesse e vale essenzialmente in un campo di caratteristica zero; alcune parti della teoria sono tuttavia applicabili anche alla classificazione delle varietà algebriche su un campo di caratteristica p>0, o anche delle varietà complesse non algebriche.

In primo luogo si introducono alcuni invarianti aritmetici fondamentali di una varietà. Con riferimento a un modello non singolare V della varietà si definisce dapprima lo spazio delle 1-forme razionali su V come C(V)-spazio vettoriale dei differenziali gdf delle funzioni g, fεC(V), e il fascio Ω1V delle 1-forme regolari su V, le cui sezioni globali H0(V, Ω1V) costituiscono un C-spazio vettoriale di dimensione finita che si indica con q(V) e che prende il nome di irregolarità della varietà V; se V è una curva essa si riduce semplicemente al genere g(V).

In modo analogo si considera lo spazio delle r-forme razionali, e il fascio ΩrV delle r-forme regolari; per r=n prendono il nome di forme canoniche e ωv=ΩnV è il fascio canonico. I corrispondenti divisori KV sono i divisori canonici di V. Anche lo spazio delle sezioni globali ha una dimensione finita su C che prende il nome di genere geometrico pg. Se V è una curva, di nuovo il genere geometrico coincide con il genere della curva. Inoltre, per ogni m ≥ 1, si può considerare lo spazio delle forme razionali m-canoniche e il fascio delle forme mcanoniche regolari, che permette in modo analogo di definire l′m-simo plurigenere di V: simbolo corrispondente Pm(V) per m=1,2,3,..... Il fatto importante è che tutti i numeri definiti sopra attraverso i differenziali globali sono invarianti birazionali per la varietà; avendo essi lo stesso valore per qualunque modello non singolare è possibile attribuirli anche a varietà singolari.

Ma l'invariante birazionale che acquista un'importanza fondamentale in questa impostazione è la cosidetta dimensione di Kodaira della varietà V, che si indica con ϰ(V). Con riferimento ai plurigeneri Pm(V), la dimensione di Kodaira è quell'intero ϰ(V) tale che mϰ si comporta come Pm(V) per m grande; in formule:

essa può assumere i valori 0,1,2,.....,n (se n è la dimensione ordinaria di V); solo nel caso che tutti i plurigeneri Pm della varietà siano nulli si pone ϰ(V)=−∞. Complessivamente per una varietà di dimensione n la dimensione di Kodaira ha +2 possibilità: −∞,0,1,2,.....,n. Il fondamentale teorema della fibrazione canonica di S. Iitaka, attraverso un'opportuna fibrazione di un modello non singolare della varietà V di dimensione n, permette di ricondurre lo studio della sua struttura a soli tre casi: quelli in cui la dimensione di Kodaira è ϰ(V)=−∞,0,n. Quando ϰ(V)=n la V è di tipo generale. Grande importanza ha, in quest'ordine di idee, un particolare ente algebrico birazionalmente legato alla varietà: l'anello canonico di V, che è una C− algebra graduata R(V,KV); un fondamentale problema aperto per una generica varietà V è quello di sapere se l'anello canonico è finitamente generato come C− algebra.

Seguendo la strada indicata per la classificazione delle varietà ad n dimensioni con gli invarianti sopra considerati, si ritrova la classificazione standard delle curve (n=1) e delle superfici (n=2). Per una curva C esiste essenzialmente un solo invariante discreto, il genere g(C) e si ottiene:

E per una superficie S la classificazione di Enriques-Kodaira:

Mentre la classificazione delle superficie è giunta oggi a un notevole livello di perfezione, non altrettanto si può dire per le varietà di dimensione superiore; al punto che fino a circa quindici anni addietro le conoscenze sulle varietà a 3 dimensioni non consentivano di prevedere a breve termine lo sviluppo di una teoria analoga a quella delle superficie. Se infatti c'è un salto di difficoltà molto elevato nel passaggio dalle curve alle superficie (M. Noether soleva dire che le curve sono state create da Dio, le superficie invece dal diavolo), un salto paragonabile si riscontra nel passaggio dalle superficie (varietà a 2 dimensioni) alle varietà a 3 dimensioni. Nell'ultimo decennio gli sforzi congiunti delle ricerche matematiche hanno aperto un varco in questa direzione, gettando un ponte tra le superficie e le varietà a 3 dimensioni. Determinante è stato, in questa direzione, il contributo della scuola giapponese di H. Hironaka, che vede oggi in S. Mori uno dei suoi maggiori esponenti; Mori ha infatti sviluppato un programma di ricerca che ha consentito di superare le difficoltà fondamentali, giungendo alla classificazione delle varietà a 3 dimensioni nel 1989.

Per cercare di delineare sommariamente le difficoltà che sono state superate, si ricordi che, nel caso delle superficie, se si eccettuano alcuni casi particolari (superficie razionali e superficie rigate) ogni classe di equivalenza contiene un modello minimale M con la proprietà che ogni altra superficie S nella classe ammette una mappa che induce un isomorfismo tra i relativi campi di funzioni; inoltre ogni equivalenza birazionale tra due superficie (non singolari) si può ottenere componendo due tipi di operazioni: l'operazione di dilatazione o scoppiamento di un punto (blowing up) e l'operazione in certo senso inversa, cioè la contrazione di divisori eccezionali. Passando al caso di dimensione superiore la situazione è complicata se non altro dal fatto che modelli minimali del tipo di quello a cui abbiamo sopra accennato possono non esistere, pur escludendo alcuni casi speciali. Come si è giunti a superare queste difficoltà? Diciamo innanzitutto che alla luce dei recenti studi è stata data una nuova interpretazione della teoria classica dei modelli minimali delle superficie, caratterizzando questi ultimi come superficie M per cui il divisore canonico KM è numericamente effettivo, il che accade quando il numero di intersezione KM·C è non negativo per qualunque curva C su M. Inoltre una classe di equivalenza birazionale di superficie che non contenga un modello minimale, contiene però sempre un modello, che chiameremo ancora M, per il quale esiste una mappa π:M→W su una varietà W di dimensione inferiore a quella di M (dim(W)〈dim(M)), e tale inoltre che KM·C sia negativo per tutte le curve contenute nelle fibre di π. Dopo aver così caratterizzato i modelli minimali delle superficie, si assume tale caratterizzazione come definizione di ''modello minimale'' per le varietà di dimensione superiore; si può allora congetturare che in ogni classe birazionale o esiste un modello minimale oppure esiste un modello con una mappa verso una varietà di dimensione inferiore, le cui fibre hanno un numero di intersezione negativo con il divisore canonico.

Questo nuovo punto di vista per le varietà di dimensione superiore è stato introdotto da S. Mori attorno al 1982, e si è subito rivelato fecondo di risultati; subito però ci si è anche accorti del sorgere di nuovi problemi. In particolare il procedimento per ottenere un modello minimale secondo la nuova prospettiva rende inevitabile la considerazione di varietà algebriche singolari. La classe delle singolarità che sono presenti nei modelli minimali (le cosiddette singolarità terminali Q-fattoriali) è ben individuata, ma il suo studio richiede delle conoscenze tecniche molto specifiche e approfondite.

Il procedimento per giungere alla costruzione dei nuovi modelli minimali può essere sommariamente così delineato. Con riferimento a una varietà X di dimensione 3, se il divisore canonico KX non è numericamente effettivo si cerca di determinare un'opportuna curva C per la quale sia negativo il numero di intersezione KX·C, e di contrarre a un punto tutte le curve numericamente equivalenti a un multiplo di C. È noto che l'immagine di tale contrazione è una varietà algebrica Y, la cui dimensione è minore o uguale a quella della X. Se dim Y〈dim X non c'è da attendersi l'esistenza di modelli minimali. Se dim Y=dim X e Y ha solo singolarità terminali Q-fattoriali, si ripete sulla Y il procedimento prima applicato alla X. Ma se Y ha singolarità più ''cattive'' occorre individuare un altro modello X′ più ''semplice'' di X, ottenuto cercando di risolvere parte delle singolarità di Y. L'operazione di passaggio dalla X alla X′ ha il nome di flip, "sollevamento".

La conclusione delle lunghe ricerche di Mori, che hanno portato alla classificazione delle varietà di dimensione 3, è stata raggiunta proprio attraverso la dimostrazione dell'esistenza di flips in dimensione 3. Con tale dimostrazione vengono anche chiarite numerose altre questioni di fondo strettamente legate alla classificazione delle varietà a 3 dimensioni, quali: la generazione finita dell'anello pluricanonico delle varietà proiettive non singolari di dimensione 3; la caratterizzazione delle varietà proiettive non singolari unirazionali con l'annullarsi di tutti i plurigeneri; la possibilità di esprimere un morfismo birazionale tra varietà proiettive non singolari mediante composizioni di flips e contrazioni. La teoria di Mori ha evidenziato il ruolo essenziale della presenza o meno di curve razionali sulla varietà, la cui ricerca si è sviluppata attraverso tecniche nuove per la g. algebrica complessa, basate sull'uso del principio della riduzione alla caratteristica p: "se un sistema omogeneo di equazioni algebriche a coefficienti razionali ammette soluzioni non banali in caratteristica p, per infiniti valori del numero primo p allora esso ammette soluzioni non banali anche nel campo complesso C (più in generale in un campo algebricamente chiuso)". Per i risultati conseguiti sulle varietà a tre dimensioni nella direzione accennata, che aprono anche la strada a possibili estensioni al caso di quattro e più dimensioni, S. Mori è stato insignito, a Kyoto nel 1990, della medaglia Fields, il più alto riconoscimento mondiale in campo matematico, che viene assegnato ogni quattro anni in occasione del Congresso internazionale dei matematici.

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