BELLINI, Gentile

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BELLINI, Gentile

Ursula Schmitt

Figlio di Iacopo e di Anna Rinversi, nacque a Venezia probabilmente nei primi mesi del 1429: infatti il 6 febbraio dello stesso anno la madre, nell'imminenza di un parto, faceva testamento, e viene comunemente accettato che quel parto abbia portato alla nascita di Gentile. La tradizione è chiara nell'indicare come primo figlio di Iacopo, Gentile, così chiamato dal venerato maestro Gentile da Fabriano. Francesco Negro, suo contemporaneo, lo indica come "maior natu" (cfr. Crowe e Cavalcaselle, 1912, p. m8). Gentile è socio del padre nella bottega in contrada S. Gemignano e la madre nel testamento del 1471 lo designa come unico erede della bottega stessa e degli oggetti d'arte in essa contenuti. La pala d'altare, ora dispersa, che Iacopo aveva dipinto con i figli Gentile e Giovanni per la cappella del Gattamelata nella chiesa del Santo a Padova era firmata "Iacobi Bellini Veneti patris ac Gentilis et Ioannis natorum opus MCCCCLX"; il fatto che il nome di Gentile venga prima di quello di Giovanni è un'altra conferma della sua primogenitura (tuttavia non tutti gli studiosi sono d'accordo: cfr. Gibbons, 1963).

In una medaglia di Vittorio Gambello (Venezia, Museo Correr), in un disegno attribuito a Giovanni Bellini (Berlino Dahlem, Kupfersticlikabinett, n. 5170) e in un autoritratto nella Predica di S. Marco ad Alessandria (Milano, Brera), per dare solo alcuni esempi, il B. ha l'aspetto di un fiero e cosciente servitore della Repubblica veneta. Anche se non ne abbiamo prove documentarie, è certo che egli apprese la pittura anzitutto nella bottega del padre. Ma l'influsso. della ricca fántasia pittorica di Iacopo appare solo nelle opere tarde del B., dotato di un ingegno più acutamente osservatore che immaginoso; infatti nelle opere giovanili egli appare per lo più suggestionato dal cognato Andrea Mantegna e dall'ambiente artistico padovano: basti ricordare il ritratto del Petrarca (attribuito; conservato a Sarasota nel Ringling Museum) che, databile al sesto decennio del secolo, ricorda nella sua costruzione stilizzata - con la mela sul davanzale spazialmente allusiva - lo Squarcione e lo Schiavone. Sempre a questo primo periodo viene assegnato il Ritratto di giovane nella collezione Borromeo a Milano. La prima opera del B. di sicura datazione è il ritratto a figura intera del Beato Lorenzo Giustiniani (Venezia, Accademia, firmato; ne esistono varie repliche a mezzo busto), che fu dipinto nel 1465 per S. Maria dell'Orto dove era situato sopra al portale principale. La sua leggibilità è gravemente compromessa da tracce di umidità; esso rivela tuttavia la principale attitudine del B.: quella di ritrattista. All'incirca dello stesso periodo è il Ritratto di un prelato nella Pinacoteca di Feltre. La maniera aspra delle ante d'organo di S. Marco (Venezia, Museo di S. Marco, firmate) con i santi Marco e Teodoro da un lato, Gerolamo e Francesco dall'altro, le fa riconoscere come del primo periodo; secondo la tradizione furono commissionate nel 1464. Il S. Marco deriva dal S. Giacomo condotto al martirio del distrutto áffresco del Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova mentre il S. Teodoro si rifà al S. Giorgio sempre del Mantegna (Venezia, Accademia). La collocazione attuale di queste ante, troppo bassa e angusta, distrugge l'effetto monumentale dell'opera e tanto più crudamente scopre l'asprezza della prima maniera del Bellini.

Alle ante d'organo sono da avvicinare i SS. Gerolamo e Giovanni Battista nella cattedrale di Traù e la Madonna con Bambino e i due donatori di Berlino (Dahlem, Staatliche Museen, n. 1180; l'iscrizione col nome del B. sulla cornice è verosimilmente copia di una segnatura originale), che nella sua secchezza legnosa è appunto da riportare al primo periodo.

Agli stessi anni risale la Pietà tra i SS. Marco e Nicola (Venezia, Palazzo ducale) che si dice dipinta per la cappella di S. Niccolò nel palazzo; a causa della firma "Iohannes Bellinus" e dello stile, il Pallucchini ritiene che il B. abbia eseguito questa tela su un bozzetto di Giovanni per il gruppo centrale.

Il 15 dic. 1466 la, Scuola grande di S. Marco commissionò al B., per la sala del Consiglio, due teleri rappresentanti episodi della fuga degli ebrei dall'Egitto (distrutti già nel 1485 nell'incendio della Scuola).

Nel febbraio 1469, in occasione di una visita di Federico III a Venezia, il B. ricevette il titolo di conte palatino: fiero di questa onorificenza, l'artista ne fa uso firmando la Madonna già nella collez. Mond (Londra, National Gall., poco dopo il 1469): "opus Gentilis Bellini Veneti equitis".

Nel 1471 Elisabetta Morosini scrive al B. e a Giovanni per affidare loro un allievo, il che significa che in questo periodo i due fratelli avevano bottega insieme; a meno che non sia da accettare il parere di G. Robertson (The earlier work of Giovanni Bellini, in Journ. of the Warburg and Courtauld Inst., XXIII, 1-2 [1960], pp. 45 ss.) secondo cui Giovanni viveva nella contrada di S. Lio, come appare da un documento del 1459, ma. apparteneva ancora alla bottega del padre e del fratello nella contrada di S. Gemignano.

Questo potrebbe chiarire in maniera più convincente la collaborazione tra Giovanni e il B., già rivelata dalla Pietà nel Palazzo ducale, come anche il complesso problema degli altari della Carità sin ora non risolto. In questa serie di tavole belliniane eseguite nel settimo decennio del secolo debbono riconoscersi le mani di Giovanni e di Gentile come anche quella di Lauro Padovano, ma gli studiosi non sono d'accordo sulla parte spettante a ogni singolo artista.

Nel 1472 in occasione della fastosa consegna del reliquiario con una scheggia della croce che il cardinale Bessarione aveva donato alla confraternita della Scuola della Carità già nel 1463, il B. dipinse la porta del tabernacolo (Vienna, Kunsthistorisches Museum) con il Cardinale e due confratelli che venerano la reliquia.

Nel 1474 troviamo il B. al servizio della Signoria; il 21 settembre il Consiglio decideva di affidargli il restauro delle pitture nella sala del Gran Consiglio, eseguite appena un cinquantennio prima da Gentile da Fabriano e da Pisanello. Per questo lavoro egli non ricevette alcun compenso in danaro, ma gli venne concessa la prima senseria vacante del Fondaco dei Tedeschi, una vera sinecura che impegnava il titolare a dipingere il ritratto di ogni nuovo doge eletto.

Così il B. diventava per così dire il pittore ufficiale della Repubblica, carica che veniva in genere affidata al pittore tenuto in maggiore considerazione. Tutti i ritratti dei dogi da lui dipinti per la Signoria andarono distrutti nell'incendio del Palazzo ducale del 1577. Restano oggi solo le copie, eseguite per lo più per desiderio delle famiglie, che sono in parte autentiche, ma in parte anche di bottega. Il primo ritratto eseguito per conirriissione ufficiale (conservatoci anch'esso solo in una replica, oggi a Londra, National Gallery) è quello del doge Nicolò Marcello (1473-74), seguono quello di Andrea Vendramin (1476-78; New York, Coll. Frick) e quello di Giovanni Mocenigo (circa 1478; Venezia, Museo Correr). I tre ritratti sono schematizzati nello stesso modo attraverso la rigida costruzione di profilo. Soltanto nel ritratto più tardo di Agostino Barbarigo (Nuneham Park, Oxford, coll. Viscount Harcourt; dipinto nel 1486 circa, firmato) il B. individualizza il personaggio che viene rappresentato di tre quarti e con una maniera più morbida.

Documenti del 1476 parlano dell'incarico di disegnare un pulpito per la Scuola grande di S. Marco che doveva essere eseguito da Antonio Rizzo. Alla fine di questo decennio così ricco di successi per il B. lo attendeva ancora l'incarico che segnava il culmine della sua carriera di pittore ufficiale: fu mandato dalla Signoria alla corte di Maometto II a Costantinopoli. Il sultano aveva chiesto attraverso un suo inviato, il 1º ag. 1479., un "bon depentor, chi sapia retrazer" (cfr. Jacobs, 1927). Dalla scarsa documentazione rimasta non è possibile appurare se la Signoria designasse il B. senz'altro o solo perché si erano voluti risparmiare a Giovanni i disagi del viaggio, come racconta Vasari, per altro non attendibile per le cose veneziane. In ogni modo il B. s'imbarcò per Costantinopoli su una galera veneziana il 3 sett. 1479; tra i doni che egli portò al sultano c'era un volume in pergamena con disegni di Iacopo, volume che dopo varie peripezie si trova dalla fine del secolo XIX al Louvre.

Dalla Historia turchesca di Giovanni Maria Angiolello (cfr. Diz. Biogr. degli Italiani, III, pp. 275-278) sappiamo che il B. dipinse per il sultano una Veduta di Venezia e che tutti gli uomini della corte che avevano fama di grande bellezza dovettero farsi ritrarre da lui. Vasari racconta che il sultano ammirò tanto l'autoritratto del B. che "non poteva se non imaginarsi che egli avesse qualche divino spirito addosso". Le pitture lascive che, secondo l'Historia di Angiolello, il B. aveva eseguito per il serraglio furono vendute nel bazar, dopo la morte di Maometto II, da suo figlio Bāyazīd insieme con tutti gli oggetti d'arte raccolti dal sultano e furono in gran parte acquistate da mercanti italiani. Dato che le opere del B. a. Costantinopoli furono disperse così presto, se ne sono conservate ben poche.

Testimonianza importante di questo viaggio resta il ritratto di Maometto II datato 25 nov. 1480 (Londra, National Gall.).

La forma raffinata, stilizzata della rappresentazione è adeguata alla dignità del soggetto: un arco s'incurva con grazia al di sopra di un davanzale coperto da un prezioso tappeto e incornicia l'effigie del monarca rappresentato di tre quarti. Dato il cattivo stato di conservazione, l'opera è più un documento storico che artistico, ma gli si può fortunatamente accostare un ritratto ricomparso recentemente: si tratta di una tavola in collez. privata svizzera dove Maometto appare con un giovane che sul retro è indicato come suo figlio (cfr. Babinger, 1961). Meglio che nel ritratto londinese si può valutare la sottile caratterizzazione di cui il B. si dimostra capace come non mai prima sublimando gli sgradevoli lineamenti di Maometto in un regale distacco. Paolo Giovio nel sec. XVI possedeva uno dei vari ritratti di Maometto del B. e lo riprodusse in xilografia nei suoi Elogia virorum illustrium.Il B. eseguì anche una medaglia con l'effigie del sultano. Un grazioso documento del soggiorno a Costantinopoli, nel quale egli si cimenta nel delicato linguaggio della rruniatura, è il foglio con Giovane accoccolato in un prato che studia (Boston, Isabella Gardner Museum), al quale più tardi un artista orientale aggiunse il ricco panneggio in broccato del fondo. Gli studi di profilo di due orientali conservati a Chicago (Art Institute), che per l'acutezza della caratterizzazione rasentano la caricatura, appartengono alla scuola di Gentile. Sono infine da menzionare come opere eseguite a Costantinopoli un gruppo di disegni: autografi sono un Turco e una Turca entrambi seduti, eseguiti minuziosamente a penna e tinteggiati (Londra, British Museum). Altri 5 fogli, appartenenti certamente alla stessa serie, sono conservati solo in copie (due a Francoforte, Staedel Institut; tre al Louvre): negli affreschi del Pinturicchio nell'appartamento Borgia (149295) si ritrovano due di queste figure in posizione inversa.

Probabilmente verso la fine del 1480 il. B. ritornò a Venezia. Il sultano gli regalò una ricca catena d'oro con la quale egli orgogliosamente si rappresentò nella Predica di s. Marco ad Alessandria (Milano, Brera); infatti nel gruppo di personaggi a destra in primo piano un'antica tradizione vuol riconoscere l'artista e la sua famiglia.

Il Babinger (1962) ha recentemente posto in dubbio l'autenticità della lettera di raccomandazione del sultano alla Signoria (pubbl. in Jahrbuch der Kunsthistor. Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, XXI[1900], p. XI n. 18502) e addirittura non ha escluso, che il B. stesso, ambizioso com'era, ne sia stato l'autore.

Dopo il suo ritorno il B. fu essenzialmente occupato nelle migliorie della sala del Gran Consiglio. Ma più che di un restauro si trattò úi una completa ridipintura alla quale furono occupati anche Giovanni e una schiera di artisti veneziani. Le cattive esperienze fatte con le pitture a fresco di Gentile da Fabriano e Pisanello richiesero una nuova tecnica: si dipinse su tele poi applicate alle pareti.

Vasari e Ridolfi danno una descrizione di questo ciclo, distrutto nel grande incendio del 1577, che raccontava con abbellimenti leggendari la lotta tra Alessandro III e Federico Barbarossa in almeno 22 quadri, sette dei quali devono essere stati dipinti da Gentile. L'unica testimonianza visiva del ciclo è in un disegno al British Museum che riproduce la Consegna di una spada al doge da parte del papa. Bisogna immaginarsi queste pitture come uno splendido spettacolo che il B. inscena sullo sfondo di Venezia con schiere di statisti, senatori, nobili, religiosi; nello stesso modo, circa dieci anni più tardi, ricostruirà le scene del Miracolo della Croce ponendo l'accento sul fasto conferito dalla bellezza di Venezia a tale avvenimento.

Nel 1493 il B. si scusava con l'ambasciatore di Francesco Gonzaga per essere costretto a ritardare il completamento del ritratto di Agostino Barbarigo e delle Vedute di Venezia e del Cairo perché sempre occupato nella sala del Gran Consiglio. Ma nel 1497 Francesco Gonzaga chiese con insistenza una Veduta di Genova e naturalmente anche quella di Venezia. Allora il B. propose di mandare la Veduta di Venezia a penna di mano di suo padre Iacopo, che venne rifiutata; essa fu comunque inviata a Mantova dove artisti locali la copiarono. Il 15 luglio 1492 (cfr. Paoletti, 1894, p. 17), anche a nome del fratello Giovanni, il B. si offrì di rifare la decorazione distrutta dall'incendio del 1485 per la Scuola Grande di S. Marco nella quale aveva più volte rivestito cariche. Ma prima fu compiuto il ciclo con la Leggenda della Croce per la Scuola di S. Giovanni Evangelista, nel quale furono occupati il B. e il Carpaccio, i due sommi narratori veneziani, insieme con Lazzaro. Bastiani, il Mansueti e il Diana: dovevano rappresentare nell'antisala della Scuola i miracoli della reliquia della santa Croce posseduta dalla Scuola dal 1369.

Il ciclo è oggi nella galleria dell'Accademia di Venezia e tre degli otto teleri sono di mano del B., di cui portano la firma: rappresentano la Processione in piazza S. Marco, datato 1496; il Salvataggio della reliquia caduta in canale a ponte S. Lorenzo, compiuto nel 1500; la Guarigione miracolosa di Pietro de'Ludovici.Secondo l'opuscolo Miracoli della Croce Santissima della Scuola di S. Giovanni Evangelista, Venezia 1590, questa ultima tela venne eseguita nel 1501; la cappella nella quale avviene il miracolo - e per la quale esiste uno schizzo tra i disegni architettonici del B. nella Collez. grafica di Monaco - è probabilmente una riproduzione fedele di quella della Scuola di S. Giovanni Evangelista. Caterina Cornaro regina di Cipro, che con la sua corte di dame e cavalieri è rappresentata in primo piano a sinistra nel drammatico Salvataggio della reliquia a ponte S. Lorenzo, fu ritratta una seconda vofta dal B. (Budapest, Museo). Ancor più chiaramente che nella raffigurazione in gruppo appare qui la sua stilizzazione stereometrica della forma e il suo gusto per la preziosità delle superfici e insieme la tendenza a perdersi nei dettagli (come qui nel gioco arabescato dei fili di perle e delle collane). Questa attenzione al particolare caratterizza e limita la personalità artistica di Gentile, differenziandola da quella di Giovanni. Egli raffigura fedelmente il mondo esterno con il fascino multiforme del momentaneo e dell'aneddotico, ma senza avvertire, al di là del visibile - che certo a Venezia è irresistibilmente seducente -, i motivi reconditi che muovono uomini e situazioni e che invece Giovanni penetrò con geniale sensibilità.

Il merito del B., stimolato in questo dal padre, consiste nell'aver per primo sentito la pittoricità della bellezza incomparabile di Venezia, precorrendo così la pittura vedutistica veneziana.

Negli ultimi anni della sua vita le malattie resero difficile al B. il compimento dei lavori per i quali si era impegnato. Il 1ºmaggio 1504 la Scuola Grande di S. Marco accolse finalmente la sua offerta, fatta fin dal 15 luglio 1492, di rinnovame la decorazione. Egli comincio con un telero per il lato corto dell'Albergo rappresentante la Predica di s. Marco ad Alessandria (Brera); l'anno seguente il lavoro era già tanto avanti che il 9 marzo il B. si impegnò a rappresentare sulla parete di fronte il Martirio di s. Marco per il quale presentò uno schizzo. Ma la malattia gli impedì di portare a termine la Predica ed egli, nel suo testamento del 19 febbr. 1507, incaricava Giovanni di terminare la pittura da lui iniziata, assegnandogli a ricompensa, oltre al pagamento da parte della Scuola, il libro di disegni del padre; se Giovanni non avesse adempiuto questo desiderio, il libro sarebbe dovuto andare alla seconda moglie di Gentile. Il B. morì il 23 febbr. 1507; M. Sanuto scrive nel suo diario: "Noto ozi fo sepolto a San Zani Polo Zentil Belin".

Il 7 marzo successivo Giovanni si dichiarava pronto a intraprendere il lavoro per completare la Predica (cfr. Molmenti, pp. 135 s.). Nel British Museum è conservato un disegno con un primo abbozzo di questo quadro erroneamente attribuito da vari studiosi al Carpaccio - che mostra inequivocabilmente la mano del B. specialmente per la composizione dove i gruppi sono staticamente allineati con le architetture.

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