GENETICA MEDICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

GENETICA MEDICA

Bruno Dallapiccola

Mentre la g. umana studia le variazioni e l'ereditarietà nell'uomo, la g. m. ha per oggetto l'applicazione di questi principi alla pratica medica. La g. m. ha conquistato negli ultimi anni una funzione centrale nella medicina e poche specializzazioni mediche possono oggi prescindere dall'impostazione fondamentale della ricerca su base genetica. Due fattori principali hanno contribuito a questa evoluzione culturale. Da un lato, l'analisi familiare di numerose patologie comuni ha chiarito la loro ripetitività all'interno di specifici alberi genealogici e ne ha suggerito la natura ereditaria; inoltre i rilievi epidemiologici hanno precisato la drammatica frequenza della patologia ereditaria o a larga componente ereditaria. Dall'altro lato, lo sviluppo di tecniche di studio appropriate all'analisi della patologia a determinazione genetica e soprattutto delle tecniche di biologia molecolare hanno rivoluzionato le modalità di diagnosi e prevenzione di queste affezioni fornendo una metodologia di lavoro che permette di comprendere i difetti primitivi e, in prospettiva, di sviluppare protocolli di trattamento più efficaci.

Epidemiologia. − Sono state messe a punto tecniche che consentono di analizzare il genoma delle cellule germinali mature (corredo cromosomico aploide:n=23 cromosomi). Dopo la penetrazione di uova di criceto da parte di spermatozoi umani, si ottiene una decondensazione della cromatina, che costituisce la porzione principale della loro testa e, con opportuni trattamenti, è possibile analizzare i cromosomi dei singoli gameti maschili. Con qualche maggiore difficoltà si possono prelevare ovuli dall'ovaio di donne sottoposte a stimoli gonadotropinici e analizzarne i cromosomi meiotici. Inoltre, la messa a punto di tecniche di fecondazione in vitro ha reso possibile l'analisi del corredo cromosomico presente nello zigote. In questo modo sono state chiarite le fasi iniziali dello sviluppo umano, e in particolare è stato precisato che la percentuale di gameti maschili ipoaploidi (n−1), iperaploidi (n+1) o aploidi, ma con anomalie di struttura, pur con grosse differenze interindividuali, è di circa il 10%. Questa percentuale raggiunge addirittura il 35% per gli ovociti.

I risultati della fecondazione in vitro sembrano, con buona approssimazione, correlabili a quelli della fecondazione naturale e fissano a circa il 50% la percentuale degli zigoti con corredo cromosomico sbilanciato. Non è chiaro in questo momento perché un processo complicato come la meiosi si concluda con una frequenza tanto elevata di prodotti patologici. È comunque chiaro che la selezione naturale interviene nelle fasi più precoci dell'embriogenesi, quando ancora la madre non avverte lo stato di gravidanza, eliminando con l'aborto spontaneo precoce la maggior parte di questi prodotti alterati.

Circa 1/5 delle gravidanze clinicamente riconosciute, cioè con test di gravidanza positivo, esitano in aborto spontaneo. Circa la metà di questi aborti è riconducibile a uno sbilanciamento cromosomico. La probabilità che un aborto sia dovuto a un'anomalia del cariotipo è tanto più alta quanto più precocemente si verifica l'interruzione della gravidanza. D'altronde, la probabilità di aborto è correlata con il tipo di anomalia (tab. 1). L'aborto spontaneo di natura cromosomica è più raro nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza. Tuttavia, circa il 5% delle morti perinatali è dovuto a un'anomalia cromosomica.

La prevalenza delle aberrazioni cromosomiche non è inferiore a 1:150 neonati. Circa i 2/3 di queste anomalie hanno importanti riflessi clinici. In effetti, la frequenza dell'handicap di natura genetica è ben più elevata alla nascita ed è quantificabile in circa il 3%. A questo valore contribuisce per circa l'1% la patologia dovuta a mutazione di singoli geni (monofattoriale) e per circa il 2% quella multifattoriale, intesa come interazione tra geni e ambiente. Non è attualmente noto in quale misura questa patologia incida sulla frequenza degli aborti spontanei.

Numerose malattie a determinazione genetica, non riconoscibili alla nascita, si manifestano in epoche diverse durante la vita postnatale. Non meno del 25% dei ricoveri pediatrici è direttamente o indirettamente motivato da una patologia ereditaria. Infine, non meno del 15% delle malattie comuni dell'adulto ha un'eziologia genetica, e una larga fascia dei rischi ai quali è sottoposta la popolazione in generale può essere attribuita a meccanismi genetici (tab. 2).

Citogenetica. − I progressi della citogenetica umana negli ultimi dieci anni sono stati contraddistinti soprattutto dalla messa a punto di tecniche ad ''alta risoluzione cromosomica'' e dall'applicazione delle analisi citogenetiche allo studio dei tumori. Sincronizzando il ciclo cellulare, per es. con il blocco delle cellule all'inizio della fase di sintesi del DNA, e rimuovendo successivamente tale blocco, è possibile analizzare i cromosomi, anziché nella tradizionale fase intermedia della divisione cellulare (metafase), all'inizio della mitosi, cioè in profase. Le tecniche di bandeggio consentono di visualizzare su questi cromosomi allungati un numero di bande in media 2 o 3 volte superiore rispetto al numero osservato sulle normali metafasi. Il risultato pratico è quello di una maggiore informatività dell'analisi. L'applicazione sistematica di queste tecniche nello studio dei cromosomi umani ha consentito d'identificare piccoli riarrangiamenti, che in precedenza sfuggivano all'analisi effettuata sui preparati tradizionali, e di ricondurre a un'aberrazione cromosomica la patogenesi di alcune affezioni, che precedentemente venivano attribuite a mutazioni monogeniche.

Su questa base si è sviluppato il capitolo della cosiddetta ''microcitogenetica'' o delle ''sindromi da geni contigui'', cioè di quei fenotipi dovuti a un riarrangiamento (per lo più una delezione coinvolgente una piccola regione cromosomica e perciò alcuni geni che sono localizzati in quella regione), visibile sui preparati ad alta risoluzione.

Sono esempi illustrativi: la sindrome di Langer-Giedion o trico-rinofalangeale ii, che si associa a delezione 8q24; il complesso WAGR (tumore di Wilms, aniridia, genitali ambigui, ritardo mentale e staturale) da delezione 11p13; la sindrome di Beckwith-Wiedemann con macrosomia, macroglossia, exonfalo, occasionalmente associata a duplicazione 11p15; il retinoblastoma da delezione 13q14; la sindrome di Prader Willi caratterizzata da ipotonia, obesità, ipogenitalismo e acromicria, associata a riarrangiamenti della regione 15q11; la sindrome di Miller-Dieker, una rara forma di lissencefalia con delezione 17p13; il complesso malformativo di Di George, patogeneticamente correlato con un difetto di sviluppo dei derivati del iii e del iv arco branchiale, che occasionalmente si associa a delezione della banda 22q11. L'esempio più significativo di microdelezione del cromosoma X è quello occasionalmente riscontrato in casi di distrofia muscolare di Duchenne [del (X) (p12.2)].

Nonostante i progressi tecnici realizzati, la citogenetica resta un'indagine con un livello di risoluzione ancora molto lontano dalle dimensioni medie del gene. Sui migliori preparati possono essere ottenute bande di grandezza assimilabile a quella di circa 50 geni di medie dimensioni. Il divario esistente tra il gene e il cromosoma viene in parte saldato dalla citogenetica molecolare che si basa sulla capacità di legarsi di sequenze complementari di DNA. In pratica, disponendo di una sequenza specifica marcata con isotopi radioattivi, è possibile ibridarla su una determinata regione cromosomica sulla quale sono presenti basi complementari a tale sequenza (ibridazione in situ). La successiva autoradiografia rivela il sito sul quale è avvenuta l'ibridazione. Questa tecnica ha tuttora notevole interesse nella mappatura di geni o di sequenze anonime di DNA.

La teoria formulata all'inizio del secolo, che indicava l'origine delle neoplasie in un'aberrazione cromosomica, ha trovato negli ultimi anni vari ordini di evidenze, soprattutto nella non-casualità dell'evoluzione clonale del cariotipo in vari tipi di tumore, e nel ripresentarsi di caratteristici riarrangiamenti di struttura in specifiche neoplasie. Resta comunque da chiarire se queste aberrazioni costituiscano fattori eziologici significativi o riflettano fenomeni secondari. Due elementi tendono ad attribuire alla trasformazione del cariotipo un ruolo importante nel processo neoplastico: in primo luogo, l'osservazione che alcuni agenti oncogeni (per es., radiazioni, cancerogeni chimici) sono anche clastogeni, cioè determinano rotture cromosomiche; in secondo luogo, il riscontro di un'elevata frequenza di neoplasie nei pazienti che presentano una predisposizione costituzionale alle rotture cromosomiche. Anche le evidenze, fornite dalla biologia molecolare, delle modificazioni quantitative e qualitative nell'espressione di oncogèni cellulari, che sono localizzate nelle regioni sedi di aberrazioni di struttura nel caso di neoplasie, costituiscono una conferma per un ruolo significativo della trasformazione del cariotipo nella patogenesi di alcuni tumori (v. anche citogenetica, in questa Appendice).

Biologia molecolare. − Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare ha reso possibile un rapido progresso nella conoscenza e nella caratterizzazione dei geni a funzione nota e, in maniera ancora più significativa, sta contribuendo allo studio dei geni-malattia a funzione ignota, che costituiscono oltre il 90% delle cause di patologia ereditaria a trasmissione monogenica.

La strategia principale che è alla base di questi progressi è la cosiddetta reverse genetics, che, anziché seguire il tradizionale cammino della g. m. tendente a identificare le funzioni mutate di geni responsabili di malattie, isola in opportuni vettori, che si moltiplicano in batteri (clonazione), sequenze di DNA o geni, responsabili di malattie delle quali non è ancora nota la funzione. Premessa indispensabile alla realizzazione di questa strategia è la localizzazione del gene-malattia, cioè la sua mappatura ottenuta attraverso la dimostrazione di rapporti di associazione (linkage) con marcatori genetici polimorfi. Vengono definiti polimorfi quei loci presenti in due o più forme alternative (alleli) con una frequenza individuale non inferiore all'1%. Essendo la nostra specie diploide, ogni individuo non può possedere più di 2 alleli per uno specifico locus, ma il grado di polimorfismo nei singoli loci può essere molto più elevato.

Molte mutazioni non hanno un apparente significato evolutivo (mutazioni neutre) e si distribuiscono a caso nella popolazione. Per questa ragione, la variabilità casuale è elevata. Se si stima in circa 3 miliardi il numero di coppie di basi del genoma umano e in 1:300 il numero di basi polimorfiche nelle sequenze di DNA non codificanti, il numero di polimorfismi totale può essere calcolato in 106−107. Questi polimorfismi vengono evidenziati con enzimi di restrizione, che digeriscono e perciò tagliano il DNA in corrispondenza di specifiche sequenze di 4-7 basi riconosciute da quell'enzima. L'irregolarità della distribuzione lungo il genoma delle sequenze riconosciute dalle endonucleasi di restrizione determina variazioni individuali nelle dimensioni dei frammenti prodotti.

La mappatura di un gene-malattia a funzione non nota si basa sulla identificazione di un rapporto di linkage con un polimorfismo del DNA. Infatti due caratteri strettamente associati tendono a essere trasmessi insieme mentre i caratteri portati da cromosomi diversi o da uno stesso cromosoma, ma che si trovano a un'elevata distanza fisica, sono ereditati in maniera indipendente. La distanza genetica tra due loci viene espressa come frazione di ricombinazione, cioè come percentuale di meiosi nelle quali i due loci vengono ereditati separatamente (per i caratteri associati tale valore oscilla tra 0 e 50). Tale distanza viene misurata in centiMorgan (cM). Un cM corrisponde all'incirca all'1% di ricombinazione. La distanza fisica viene misurata in migliaia di basi (1000 basi =1 chilobase o kb; 1 milione di basi = una megabase o Mb).

L'associazione tra un gene-malattia e un marcatore polimorfo riflette in genere la frequenza con la quale gli alleli del locus polimorfo si distribuiscono nella popolazione generale. Tuttavia, quando un genemalattia tende a trovarsi associato preferenzialmente a un dato polimorfismo, si parla di linkage disequilibrium. Il risultato finale dell'analisi della segregazione gene-malattia/marcatore polimorfo viene analizzato con metodi statistici, che permettono il calcolo delle distanze genetiche. Il metodo più usato è quello dei lod scores o logaritmi dei rapporti di probabilità di associazione. Valori uguali o superiori a +3 sono probanti per un'associazione, mentre valori uguali o inferiori a −2 escludono un rapporto di linkage.

La tecnica principale di analisi del genoma umano è basata sull'ibridazione DNA-DNA e sfrutta il procedimento di blotting ("assorbimento") sviluppato da E. M. Southern. In pratica, il DNA estratto dal soggetto in esame viene digerito con enzimi di restrizione. I frammenti di DNA vengono separati su gel di agarosio e successivamente trasferiti su una membrana in grado di legare il DNA. La membrana viene trattata per denaturare il DNA ed è posta in una soluzione contenente una sonda radioattiva di un acido nucleico a singola elica. La sonda formerà un complesso radioattivo a doppia elica nei punti della membrana dove è presente omologia con il DNA genomico. Le regioni d'ibridazione sono messe in evidenza con una lastra radiografica (figg. 1 e 2). Un'analoga tecnica viene utilizzata per analizzare l'mRNA (Northern blotting) o per analizzare antigeni proteici (Western blotting).

La clonazione del DNA e la preparazione delle sonde che vengono utilizzate per l'analisi del genoma umano è stata originariamente effettuata a partire da mRNA presente nei prodotti genici di alcuni tessuti (per es. la globina negli eritrociti). L'enzima trascrittasi inversa copia l'mRNA in un'elica complementare di DNA (cDNA). Una DNA-polimerasi produce una seconda elica di DNA a partire dalla prima. Il DNA a doppia elica viene inserito in un vettore plasmidico (plasmide ricombinante) e quindi in un batterio nel quale replica producendo quantità illimitate della sequenza in questione. Sono attualmente disponibili genoteche di cDNA ottenute dalla maggior parte dei tessuti umani. Le genoteche genomiche consistono di moltissimi cloni, nei quali sono comprese tutte le sequenze presenti nel genoma di un individuo, indipendentemente dalla loro espressione. Sono ottenute per digestione del DNA totale e successiva inserzione in vettori ricombinati. Utilizzando la citometria a flusso, che sfrutta la fluorescenza indotta sui cromosomi da un raggio laser e permette d'identificarli e separarli automaticamente, è possibile isolare i picchi, formati dal DNA, dei diversi cromosomi e si possono preparare genoteche genomiche di singoli cromosomi.

Le malattie a determinazione genetica possono derivare da un'eterogenea gamma di mutazioni. Un intero gene può essere deleto oppure riarrangiato per delezione parziale, inserzione o inversione di una sequenza. Mutazioni di una singola base possono produrre la sostituzione di un residuo aminoacido con un altro, in una regione codificante, oppure la terminazione prematura della catena polipeptidica. Analoghi effetti patologici possono avere mutazioni nel codone d'inizio o di terminazione. Altre mutazioni possono alterare l'elaborazione dell'mRNA, modificando le sequenze tra introni ed esoni, e possono impedire all'mRNA di venire tradotto in una molecola funzionalmente attiva.

Sono disponibili due strategie principali per analizzare i genimalattia: le dirette, basate sull'analisi del gene, e le indirette, basate sull'analisi della segregazione di polimorfismi del DNA strettamente associati al gene-malattia. Le prime sono ovviamente più accurate, rapide e meno costose, ma richiedono la preliminare conoscenza del genemalattia e del tipo di mutazione segregante in una data famiglia.

Analisi molecolari dirette. − Analisi di grosse delezioni: questa strategia è stata originariamente utilizzata per studiare alcune delezioni dei geni globinici, come per es. l'alfa-talassemia omozigote (delezione di 4 geni alfa). L'identificazione degli eterozigoti richiede una valutazione quantitativa, relativamente difficile, oppure la dimostrazione di un frammento anomalo originato per delezione parziale del frammento normale. Quando è deleta un'intera sequenza genomica riconosciuta da una data sonda, la delezione può venire riconosciuta per ibridazione del DNA genomico del caso in esame, senza preventiva elettroforesi (dot-blot). Oltre che alle alfa-talassemie questa tecnica è stata applicata con successo allo studio di delezioni grossolane del cromosoma X, come comunemente avviene nella distrofia muscolare di Duchenne.

Analisi di mutazioni di singole basi che alterano un sito di restrizione: nell'anemia a cellule falciformi, o HbS, il cambiamento del 6° codone della catena beta (da GAG, che codifica per l'acido glutammico, a GTG, che codifica per una valina) può essere identificato dall'eliminazione di un sito di restrizione per gli enzimi Dde i o Mst ii, che riconoscono palindromi nella regione mutata. Pertanto la digestione del DNA genomico con questi enzimi genera, nel caso di mutazione HbS, frammenti più lunghi rispetto a quelli presenti nei soggetti normali e permette l'identificazione dei tre genotipi AA, AS, SS. Un analogo approccio può essere utilizzato per lo studio della mutazione beta°-39 della talassemia, dopo digestione con l'enzima Mae i.

Un significativo progresso per lo studio delle mutazioni di singole basi è stato ottenuto utilizzando oligonucleotidi sintetici. In pratica, conoscendo la sequenza che fiancheggia una mutazione e la mutazione di quella regione, responsabile di un determinato fenotipo patologico, è possibile sintetizzare in laboratorio la sequenza normale e quella mutata e ibridarle con il DNA ottenuto da un soggetto in esame. Questa tecnica sfrutta la differenza nella stabilità termica dell'ibridazione molecolare tra l'oligonucleotide perfettamente complementare a una certa sequenza di DNA genomica e l'oligonucleotide che si differenzia per una singola base.

Oltre alle emoglobinopatie e alle talassemie, altre malattie, come fibrosi cistica (1:2500 neonati), distrofia muscolare di Duchenne (1:3500 maschi), emofilia A (1:5000 maschi), fenilchetonuria (1:10.000 neonati), emofilia B (1:30.000 maschi), possono essere analizzate con tecniche molecolari dirette.

Analisi molecolari indirette. − Le strategie di tali analisi sono basate sullo studio di sequenze di DNA localizzate in prossimità del gene-malattia. Questo approccio non richiede la conoscenza preventiva della mutazione ma unicamente della mappatura del gene-malattia, attraverso l'individuazione di un rapporto di linkage con uno o più polimorfismi del DNA.

Linkage preferenziale con un allele: sebbene di solito un gene-malattia venga trasmesso con gli alleli di un polimorfismo, concatenato in modo da rispecchiare le frequenze di quel polimorfismo nella popolazione generale, il linkage disequilibrium può talora determinare eccezioni alla regola mantenendo preferenzialmente associato al gene-malattia un particolare allele di quel polimorfismo. Per es. il gene per HbS nelle popolazioni dell'Africa occidentale è in forte disequilibrio con un frammento del peso di 13 kb generato dall'enzima Hpa1, situato all'estremit'a 3' del gene beta-globinico. L'allele normale della beta-globina si trova solitamente contenuto in un frammento di 7,6 kb.

Linkage con un locus: strategia basata sull'analisi della segregazione di uno o più polimorfismi, strettamente associati a un gene-malattia, in una famiglia. L'analisi permette di stabilire l'informatività, per quel polimorfismo, dei singoli componenti la famiglia (cioè se sono eterozigoti) e d'individuare la fase, cioè l'assetto su ciascuno dei due cromosomi omologhi dell'allele-malattia e dell'allele polimorfico (aplotipo a rischio). Questo studio presuppone l'esistenza nella famiglia di eterozigosi per la malattia e per il polimorfismo del DNA. Il limite dell'analisi è la possibilità di ricombinazione tra il gene-malattia e il marker polimorfo, evento tanto più raro quanto più stretti sono i rapporti di linkage. Tale approccio è quello più largamente utilizzato per lo studio di malattie comuni, quali la psicosi maniaco-depressiva o bipolare (1% della popolazione; area di mappatura 11p15, Xq28), il rene policistico dell'adulto (1:1000; 16p13), il ritardo mentale legato all'X con sito fragile e macroorchidismo (1:2000 maschi; Xq27.3), la fibrosi cistica (1:2500 neonati; 7q23.3-23.1), la neurofibromatosi di von Recklinghausen (1:5000; 17q12-22), la corea di Huntington (1:20.000; 4p16.3), la distrofia miotonica (1:20.000; 19cen-q12).

Le tecniche di biologia molecolare hanno ovvi riflessi a livello della diagnosi delle malattie genetiche. Tra essi, anche quello d'identificare nelle famiglie a rischio gli eterozigoti asintomatici o gli individui affetti in fase presintomatica o addirittura nella vita fetale. Queste straordinarie potenzialità, che hanno implicazioni dirette sul consultorio genetico, in quanto trasformano valutazioni probabilistiche di rischi in certezze di possedere un determinato genotipo, hanno anche enormi implicazioni etiche e hanno acceso dibattiti sulle modalità di ottimizzare l'uso delle informazioni che questa metodologia fornisce.

Sul piano più strettamente biologico le tecniche del DNA ricombinante hanno fornito dati interessanti sui vari aspetti della biologia delle malattie genetiche. L'analisi molecolare ha contribuito per es. a chiarire la eterogeneità genetica di alcune malattie, cioè a stabilire che affezioni clinicamente simili sono dovute a mutazioni diverse. Così il rene policistico dell'adulto è stato separato in due malattie, di cui una sola concatenata con le sonde polimorfe che si localizzano nel braccio corto del cromosoma 16. Per altro verso, la biologia molecolare ha riunificato condizioni già considerate nosologicamente distinte.

Per es., è stato possibile chiarire che la distrofia muscolare di Duchenne e quella di Becker sono mutazioni alleliche. Non meno importanti appaiono i risultati che stanno emergendo dallo studio delle correlazioni tra aplotipi e fenotipo clinico di alcune malattie comuni. Così, per es., la sonda D9 ha identificato la preferenziale associazione dell'insufficienza pancreatica nei pazienti con fibrosi cistica a genotipo 2,2 e ha contribuito in questo modo a chiarire l'eterogeneità clinica che in precedenza non aveva trovato alcun supporto biologico. È stato ipotizzato che i diversi aplotipi identificati da queste sonde polimorfe fossero i markers di diverse mutazioni del gene FC dopo la clonazione del gene stesso. Questo assunto è stato in parte confermato.

La biologia molecolare offre uno strumento per chiarire l'origine delle aneuploidie cromosomiche, attraverso la correlazione dei polimorfismi presenti sui cromosomi parentali e nel paziente originato da non-disgiunzione. Inoltre ha permesso d'identificare le sequenze ''critiche'' nel determinismo di alcuni fenotipi cromosomici comuni.

Così, per es., la sindrome di Down è stata ricondotta alla duplicazione di una piccola regione di circa 2000 kb che mappa sulla banda 21q22, sulla quale sono localizzati alcuni geni già identificati. Il completo sequenziamento di questa regione potrà migliorare le conoscenze sulla sindrome di Down e forse avviare lo sviluppo di protocolli di trattamento più specifici.

Inoltre le tecniche del DNA ricombinante hanno consentito di chiarire i meccanismi alla base di numerosi tumori e d'identificare i geni responsabili di alcune neoplasie. Un significativo progresso è stato ottenuto nella comprensione della patogenesi dei tumori embrionali.

La citogenetica ha fissato da anni nella banda cromosomica 13q14 la regione critica per lo sviluppo del retinoblastoma (RB). La mappatura del locus dell'enzima polimorfo esterasi D (ESD) in questa stessa regione aveva suggerito, attraverso l'analisi della correlazione tra fenotipo ESD costituzionale e presente nel tumore, che l'RB si comporta come carattere dominante a livello germinale, cioè nella segregazione familiare, e come recessivo a livello somatico. La disponibilità di una genoteca genomica del cromosoma 13 ha consentito di verificare e confermare questa ipotesi e di dimostrare che l'RB si sviluppa quando il gene-malattia è presente in duplice dose nelle cellule del tumore, a seguito di non-disgiunzione, delezione o ricombinazione. Pertanto l'RB è dovuto a due mutazioni recessive, una germinale, e perciò ereditabile, e una somatica che avviene nella cellula in cui origina il tumore. Il gene RB è stato clonato e la sequenza di questa regione di DNA codifica una fosfoproteina che si ritiene abbia funzioni di regolazione su altri geni all'interno della cellula. La biologia molecolare ha anche chiarito che un analogo meccanismo è alla base del tumore di Wilms (che è localizzato in 11p13) e di altri tumori embrionali quali l'epatoblastoma e il rabdomiosarcoma. Altri geni coinvolti nella oncogenesi umana, mappati con la reverse genetics, sono quelli della poliposi familiare del colon (5q21-22), del cancro del polmone (3p21), delle neoplasie multiple endocrine (10p), della neurofibromatosi di von Recklinghausen (17q12-q22), della neurofibromatosi acustica bilaterale (22q11).

Le tecniche del DNA ricombinante hanno anche permesso di sintetizzare proteine e peptidi, a partire da sequenze di DNA clonate. In questo modo vengono prodotte quantità illimitate di prodotti purificati, che spesso hanno enorme interesse farmacologico (per es., insulina e ormone della crescita). Con questo stesso approccio la biologia molecolare può venire impiegata nella preparazione di vaccini e reagenti diagnostici. Il clonaggio dei geni umani normali e l'identificazione di quelli mutati sta aprendo le prospettive per sviluppare strategie di terapia genica sostitutiva, che hanno in teoria il vantaggio di risolvere con un unico trattamento una data malattia genetica.

Diagnosi prenatale. - La diagnosi prenatale è finalizzata allo studio del fenotipo fetale, avvalendosi di indagini strumentali e di laboratorio. Sebbene sia orientata prioritariamente al monitoraggio di gravidanze a rischio per malattie a determinazione genetica o difetti congeniti, in pratica la maggior parte degli interventi sono effettuati su gravidanze che non rientrano nella categoria a rischio. Questo apparente paradosso è spiegato dal fatto che il più importante strumento di diagnosi prenatale, l'ecografia, viene normalmente utilizzato per studiare l'evoluzione del 60% circa delle gravidanze normali (v. anche ostetricia, App. IV, ii, p. 695). Gran parte delle metodiche di studio che la medicina applica ai pazienti già nati viene impiegata, con appropriati adattamenti, allo studio del feto. Sono pertanto entrati nei protocolli di diagnosi prenatale indagini cliniche, citogenetiche, biochimiche e molecolari. Questi interventi non solo costituiscono preziosi strumenti di diagnosi precoce, ma possono rassicurare coppie a rischio o fornire elementi di giudizio sull'opportunità della prosecuzione della gravidanza; le indagini prenatali, quando sono applicate su grandi campioni di popolazione e alla diagnosi segue l'aborto selettivo dei feti affetti, riducono la prevalenza alla nascita di certe malattie; in alcuni casi alla diagnosi può seguire il trattamento del feto affetto e comunque la diagnosi consente di organizzare il momento, la sede e le modalità del parto, per ottimizzare l'assistenza neonatale.

Esame ''clinico'' del feto. − Si può effettuare con ecografia fin dal primo trimestre di gravidanza. Qualora sia possibile una sola indagine di questo tipo è meglio eseguirla nel secondo trimestre, quando la valutazione dei parametri di accrescimento, lo studio dettagliato dei vari organi e apparati, della funzionalità cardiaca e del volume del liquido amniotico consentono di ottenere informazioni adeguate sull'evoluzione della gravidanza. Gli apparecchi dell'ultima generazione hanno un'elevata capacità e accuratezza di previsione nella maggior parte dei difetti congeniti. Perciò l'ecografia ha assunto un ruolo di preminenza tra le indagini strumentali della gravidanza.

Lo studio del fenotipo clinico del feto può essere integrato dalla fetoscopia, che è basata sull'introduzione nella camera gestazionale, alla 18ª settimana, di uno strumento a fibre ottiche che permette di visualizzare direttamente parti anatomiche o di eseguire prelievi di sangue e di tessuti (per es. cute). Tuttavia il rischio di aborto connesso con questo prelievo, che è valutabile a circa il 4%, ne ha limitato la diffusione.

Altre indagini strumentali complementari sono la radiografia fetale, l'amniografia, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, che in generale hanno applicazione limitata e tardiva, per lo più giustificata dall'esigenza di confermare una patologia sospettata con l'ecografia. Infine, un importante contributo allo studio ''clinico'' del feto è offerto dall'ecocardiografia fetale, che permette lo studio mirato anatomico e funzionale del cuore, quando precedenti familiari, malattie materne (diabete), esposizione a mutageni chimici (litio), fisici (radiazioni) o infezioni virali, aumentano il rischio di cardiopatia.

Esami di laboratorio. − Vengono effettuati su cellule o tessuti fetali, sul liquido amniotico e, più limitatamente, sul siero materno. Le cellule o i tessuti che originano per divisione mitotica dal feto ne posseggono per definizione le caratteristiche citogenetiche, biochimiche e molecolari, e perciò sono adatti allo studio del suo fenotipo.

I materiali biologici maggiormente utilizzati per le analisi sono:

a) il trofoblasto (villi coriali), che si forma a partire dalla 6ª settimana. Il periodo ideale per acquisirlo è compreso tra la 9ª e l'11ª settimana. La villocentesi viene effettuata mediante aspirazione transcervicale con una cannula di polietilene collegata con una siringa, oppure per biopsia utilizzando una pinza, o per aspirazione transaddominale con un ago. Tutte queste operazioni vengono effettuate sotto controllo ecografico. Il rischio di aborto è di circa il 2÷3%, percentuale che è sostanzialmente sovrapponibile alla probabilità di aborto spontaneo nello stesso periodo della gravidanza;

b) il liquido amniotico, che è formato da una parte non corpuscolata, contribuita in larga misura dalle urine del feto, e da un'altra corpuscolata, formata da cellule provenienti dalla mucosa orale, intestinale, dalle vie aeree superiori, dall'apparato genitourinario e dalla cute del feto; viene prelevato per amniocentesi transaddominale, attorno alla 16ª settimana, ma tale data può essere anticipata o posticipata. Il rischio di aborto è dello 0,5÷1%, sovrapponibile alla probabilità di aborto spontaneo alla 16ª settimana;

c) il sangue fetale, che viene acquisito per cordocentesi, cioè per puntura del cordone ombelicale, sotto controllo ecografico, alla 18ª settimana. Il rischio del prelievo è di circa il 2%. Ha soppiantato le più rischiose fetoscopia e placentacentesi, utilizzate in passato per lo stesso scopo;

d) i villi placentari, che vengono prelevati per puntura della placenta nel 2°÷3° trimestre.

La messa a punto di tecniche di prelievo dei villi coriali ha consentito di anticipare al primo trimestre molte indagini prenatali. Sebbene l'elemento trainante delle tecnologie del trofoblasto sia stato la citogenetica, tutte le altre analisi ne hanno beneficiato; inoltre la disponibilità di questo tessuto ha privilegiato gli studi sul DNA nel feto.

Analisi biochimiche. − Per importanza, costituiscono la seconda indicazione alla diagnosi prenatale di laboratorio. Queste analisi vengono effettuate sui tessuti fetali, direttamente o su cellule coltivate, sulla parte non corpuscolata del liquido amniotico, sul siero materno, e, eccezionalmente, sul sangue fetale.

Alcune indagini, che possiamo definire di tipo diretto, misurano il prodotto di geni che, quando mutati, causano definite malattie. In questo caso lo studio del prodotto genico consente di risalire al genotipo fetale. In questo ambito rientrano circa un centinaio di affezioni, di cui è noto il difetto biochimico e che entrano nel novero dei cosiddetti errori congeniti del metabolismo. Oltre il 90% di queste condizioni sono ereditate come mutazioni autosomiche recessive; per quasi tutte sono disponibili tecniche in grado di monitorizzare la gravidanza sul trofoblasto o sul liquido amniotico, con un'affidabilità pressoché assoluta; alcune sono geneticamente eterogenee; la loro frequenza, con poche eccezioni, è rara, in genere inferiore a 1:100.000. Ciò giustifica il fatto che non vengano di solito attuati programmi di screening per identificare gli eterozigoti asintomatici, che le coppie a rischio siano individuate retrospettivamente e che siano disponibili competenze diagnostiche solo presso un limitato numero di laboratori. Perciò la diagnosi prenatale biochimica di questi difetti non può essere prospettata solo sulla base di un vago sospetto clinico, ma richiede la caratterizzazione preventiva del paziente e dei genitori a rischio.

Le indagini indirette non analizzano il prodotto di un gene mutato ma l'espressione di marcatori, che non hanno un rapporto primario con la mutazione e si comportano perciò come indicatori della fisiologia del feto. L'esempio più illustrativo è quello dell'alfa fetoproteina, il cui dosaggio sul liquido amniotico o sul siero materno copre un'ampia gamma di patologia (aumento dei valori nei difetti del tubo neurale, abbassamento nella trisomia 21).

Analisi citogenetiche. − Lo studio del cariotipo fetale ha il suo fondamento razionale in una serie di cognizioni: l'elevata frequenza di sbilanciamenti cromosomici negli zigoti; l'incompleta efficacia della selezione naturale nell'eliminare questi prodotti con l'aborto precoce; il riconoscimento di fattori parentali (età materna, precedenti figli con patologia cromosomica, presenza di un'anomalia strutturale bilanciata in un genitore), che aumentano il rischio di patologia cromosomica nel feto; l'elevata frequenza di anomalie del cariotipo in feti con malformazioni rilevate con ecografia; il rischio di aneuploidie, trisomia 21 in particolare, nelle madri che presentano bassi livelli sierici di alfa fetoproteina nel 2° trimestre; le caratteristiche alterazioni del fenotipo cromosomico in feti affetti da alcune malattie mendeliane rare (anemia di Fanconi, atassia-teleangiectasia, sindrome di Bloom, sindrome di Roberts, sindrome di Martin Bell).

Lo studio del cariotipo fetale viene effettuato sulle mitosi spontanee (preparazioni dirette) o su colture di trofoblasto, su colture a lungo termine di amniociti, su colture a breve termine di linfociti o su preparati diretti o colture di villi placentari. La maggior parte delle diagnosi utilizza il trofoblasto o gli amniociti.

L'anticipazione della diagnosi dal 2° al 1° trimestre comporta, a parità d'indicazione, un aumento dei casi patologici, dato che una parte degli sbilanciamenti cromosomici viene abortita dopo la 9ª÷10ª settimana, epoca ottimale per il prelievo del trofoblasto. Pertanto la percentuale di feti affetti in gravidanza a rischio per età è circa 2 volte più elevata negli studi sul trofoblasto, rispetto a quella che si registra negli studi sugli amniociti; analogamente, il rischio di ricorrenza di trisomia 21 in genitori a cariotipo normale è di circa 1,5% in studi sugli amniociti e 2,5% in quelli sui villi coriali.

L'affidabilità diagnostica, che è quasi assoluta nelle colture di liquido amniotico, è invece solo del 99% nei preparati diretti di trofoblasto. Le discrepanze sono per lo più dovute ad aneuploidie in mosaico, da mutazioni confinate nel chorion. La linea normale è in genere rappresentativa del cariotipo fetale. A questo problema si può ovviare allestendo simultaneamente ai preparati diretti anche colture a medio termine di trofoblasto. Infatti, nei primi vanno in mitosi le cellule del citotrofoblasto, che originano dal trofoectoderma; nelle seconde le mitosi originano dal mesoderma embrionario ed extraembrionario. Questo protocollo rende la diagnosi sui villi coriali accurata quanto quella sugli amniociti.

Analisi del DNA. - I principi delle analisi molecolari utilizzate nella diagnosi prenatale sono quelli in precedenza illustrati nell'ambito dello studio dei geni-malattia. In pratica, lo studio viene eseguito sul DNA estratto dai villi coriali o dagli amniociti (coltivati). È indispensabile la caratterizzazione della famiglia prima dell'inizio della gravidanza, per mettere a punto il protocollo di analisi.

Attualmente (1992) circa 300 malattie diverse possono essere rilevate con questa tecnica. Solo un piccolo numero di esse (per es. talassemie, emoglobinopatie, distrofia muscolare di Duchenne) può essere studiato con analisi molecolare diretta, cioè con l'analisi del gene clonato. Nella maggior parte dei casi (per es. corea di Huntington, distrofia miotonica, ritardo mentale legato all'X) l'analisi molecolare è indiretta, cioè si basa sullo studio di polimorfismi del DNA strettamente associati al gene-malattia.

Nei laboratori di diagnosi prenatale, alcune analisi molecolari vengono effettuate impiegando oligonucleotidi sintetici. Il principio della tecnica è quello di costruire la sequenza di parte di un gene selvatico e quella della mutazione in esame. Queste sequenze vengono ibridate con il DNA prelevato dal feto a rischio. La differenza della stabilità termica nell'ibridazione tra oligonucleotidi perfettamente complementari al DNA in esame e quelli che divergono anche per una sola base permette di diagnosticare il genotipo fetale. Un'altra importante strategia diagnostica della quale ha largamente beneficiato la diagnosi prenatale è la reazione a catena della polimerasi (PCR). Consiste nell'amplificazione di una regione di DNA, utilizzando due primer, costituiti da sequenze complementari ai due filamenti del DNA e situati ai suoi bordi. I due primer si ibridano con il DNA e, in presenza di una polimerasi, producono due filamenti complementari. Attraverso cicli successivi di denaturazione, ibridazione e sintesi si ottiene un aumento esponenziale del segmento bersaglio, con il vantaggio della rapidità dell'analisi, di bassi costi e senza bisogno d'impiegare materiale radioattivo.

Nell'ambito delle tecniche di diagnosi prenatale, le indagini molecolari sono quelle che hanno avuto la più rapida evoluzione e che, in prospettiva, sembrano in grado di sviluppare protocolli adeguati allo studio della maggior parte delle malattie genetiche nella vita fetale.

Per quanto riguarda gli interventi sul feto conseguenti alla diagnosi prenatale v. feto: Chirurgia del feto, in questa Appendice.

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Reazione a catena della polimerasi

Distrofia muscolare di duchenne

Mendelian inheritance in man

Tomografia computerizzata

Apparato genitourinario