GENESI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1995)

GENESI

M.V. Marini Clarelli

Il primo libro del Pentateuco, che la traduzione greca detta dei Settanta e la patristica designano con il nome di G., narra la creazione del mondo, la storia dell'Eden, la storia primitiva e la storia dei patriarchi fino alla morte di Giuseppe in Egitto.La G. ebbe nel Medioevo un'importanza notevole, come prova la vastissima letteratura, che spazia dai commentari alle omelie, dagli inni liturgici alle parafrasi bibliche, dai trattati enciclopedici alle storie universali. È infatti il libro delle origini, a partire dal quale s'impostano non solo i problemi teologici ma anche la filosofia, la cosmologia, le scienze naturali e la storia ed è inoltre un testo di grande fascino narrativo, aperto alle elaborazioni poetiche e alle divagazioni leggendarie. Non meraviglia dunque che l'arte medievale vi abbia attinto più che ad altri libri dell'Antico Testamento.Le prime raffigurazioni note della G. compaiono nell'arte giudaica. Nelle pitture della sinagoga di Dura Europos, ante 243 (Damasco, Mus. Nat.), sono rappresentati l'Arca di Noè - già apparsa nel sec. 2° sulle monete di Apamea in Frigia -, il Sacrificio d'Isacco, la Scala di Giacobbe, la Benedizione di Efraim e Manasse, quella dei figli d'Israele e il Leone di Giuda. È difficile dedurre da queste scene sparse, e in alcuni casi ancora molto elementari, che il primo libro del Pentateuco fosse già stato dettagliatamente illustrato dall'ebraismo della diaspora intorno al sec. 3°-2° avanti Cristo. Questa tesi in realtà si basa soprattutto sulla presenza, nelle successive immagini cristiane, di motivi che rinviano alle leggende giudaiche (Weitzmann, 1964). Per la maggior parte di queste interpolazioni apocrife tuttavia è stata individuata anche una fonte cristiana (Stichel, 1974; de' Maffei, 1980). Non è dunque necessario ricorrere a ipotetici modelli figurativi, quando è certo che le tradizioni extracanoniche giudaiche circolavano nella Chiesa primitiva attraverso i testi.Sempre a Dura Europos è presente la scena del Sacrificio d'Isacco nel contesto cristiano della domus ecclesiae, del 232-250 ca. (New Haven, Yale Univ., Art Gall.), dove è rappresentata anche per la prima volta la Caduta dei progenitori. Questa scena, che presuppone la dottrina del peccato originale, segna già una differenza rispetto al repertorio giudaico noto, come poi - e in modo più evidente - quella della Creazione della donna, che introduce l'immagine antropomorfa del Creatore (per es. sarcofago di Ciriaco, ca. 300, Napoli, Mus. Archeologico Naz.; sarcofago nr. 104, Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano).Come nella sinagoga di Dura Europos, anche nella prima arte cristiana gli episodi della G. rientrano in serie bibliche più ampie, senza collegarsi fra loro e rinviando al contesto generale attraverso nessi di tipo catechetico-soteriologico. Ancora in bilico fra la connessione simbolica e la sequenza narrativa è il gruppo di undici scene dipinte nel cubicolo B della catacomba di via Latina a Roma (Cacciata dall'Eden, Pentimento dei progenitori, Storia di Caino e Abele, Diluvio, Visione di Abramo a Mamre, Fuga di Lot da Sodoma, Benedizione di Giacobbe, Scala di Giacobbe, Sogno di Giuseppe, Partenza di Giacobbe e della sua famiglia per l'Egitto, Benedizione di Efraim e Manasse). Anche se mancano episodi importanti, raffigurati invece in altri ambienti dell'ipogeo, come il Peccato originale (cubicoli A, C, M) o il Sacrificio d'Isacco (cubicolo C), la selezione copre già l'intero sviluppo del libro.Fra i secc. 5° e 6° sono attestate tutte le diverse forme di approccio al testo biblico che caratterizzarono in seguito l'arte medievale: l'estrapolazione di episodi o temi da collegare in chiave simbolica o tipologica; il ciclo narrativo della G. propriamente detta, che si estende in modo più o meno dettagliato per tutto l'arco del libro; infine il sottociclo che isola una storia particolarmente significativa, generalmente quelle della Creazione, di Adamo ed Eva, di Giuseppe.Nella prima tipologia rientrano anzitutto i motivi tratti dal racconto dell'Eden. Il monte paradisiaco solcato dai quattro fiumi è posto ai piedi del Cristo, dell'Agnus Dei o della croce. Fra gli esempi medievali, notevole è quello offerto dal mosaico romano dell'abside di S. Giovanni in Laterano, terminato nel 1291 da Jacopo Torriti e Jacopo da Camerino, nel quale l'Eden sormontato dalla croce gemmata racchiude la Gerusalemme celeste.Anche intorno all'albero della vita si sviluppa una complessa serie di nessi simbolici e tipologici (Iacobini, 1994): l'identificazione con il Cristo è ben esemplificata da una miniatura dell'Evangeliario di Bamberga (Reichenau, sec. 11°; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4451, c. 20r); la connessione con la croce del mosaico absidale della basilica superiore di S. Clemente a Roma (ca. 1130); il collegamento fra i tre sacrifici di Abele, Abramo e Melchisedec, ispirato al c.d. canone romano della Messa, si trova nei mosaici di S. Vitale (ca. 532-540) e S. Apollinare in Classe (sec. 7°) a Ravenna, ma anche in un sacramentario da Fulda, del sec. 10° (Bamberga, Staatsbibl., Lit. 1, c. 13r), e nella coperta dell'altare portatile di Stavelot, del 1165 ca. (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire). Le offerte di Caino e Abele sono contrapposte nella decorazione dell'arco absidale di numerose chiese altoatesine, per es. in S. Jacopo a Grissiano (ca. 1210). Abramo, Isacco e Giacobbe seduti a mensa nel Regno dei cieli (Mt. 8, 11) e spesso con in grembo le anime dei giusti (Lc. 16, 22) entrano nell'iconografia del Giudizio universale, come attestano, nella seconda metà del sec. 13°, i frammentari affreschi di Grixopolus pictor nel palazzo della Ragione a Mantova e i mosaici nella cupola del battistero di Firenze.Due manoscritti paleocristiani provano che la G. fu illustrata, con dovizia di miniature, indipendentemente dagli altri libri della Bibbia. Il primo è il G. di Cotton, pervenuto frammentario, ma riflesso nei mosaici duecenteschi dell'atrio di S. Marco a Venezia (Egitto, seconda metà sec. 5°; Londra, BL, Cott. Otho B. VI; Tikkanen, 1888). Il secondo è il G. di Vienna (Siria o Palestina, sec. 6°, Vienna, Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 31). Da un manoscritto paleocristiano della G. sembrano derivare anche le corrispondenti miniature dei tre ottateuchi bizantini che rinviano a un modello comune (Roma, BAV, Vat. gr. 747, fine sec. 11°; Vat. gr. 746, sec. 12°; Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8, sec. 12°; Lowden, 1992b, p. 94). Queste tre versioni figurative attingono tutte al repertorio tardoellenistico; le differenze riguardano soprattutto l'illustrazione dei primi due capitoli della G., che sono quelli nei quali è più evidente la varietà delle impostazioni esegetiche.Il G. di Cotton (v.) segue l'interpretazione alessandrina di Clemente e Origene. Il Creatore ha le sembianze del Cristo Lógos, una soluzione che divenne in seguito canonica nell'Occidente medievale. Per sottolineare il carattere simbolico del tempo della creazione, i sette giorni sono personificati da immagini alate che una parte della critica identifica con gli angeli (D'Alverny, 1957; Marini Clarelli, 1984). Anche la presenza delle creature celesti nel contesto dell'Hexaemeron, l'opera dei sei giorni, ebbe comunque sviluppi notevoli. Nel G. di Vienna l'intervento divino è simboleggiato mediante la convenzione giudaica della mano che sporge dal cielo, usata nel G. di Cotton per sottolineare il diverso rapporto dell'uomo con Dio una volta abbandonato l'Eden. Nel manoscritto viennese è l'angelo con la spada di fuoco a cacciare i progenitori dal paradiso, una variante rispetto al testo biblico spesso riflessa nelle immagini posteriori.Anche nei tre ottateuchi Dio non è mai raffigurato antropomorficamente, ma molti elementi rimandano all'esegesi cristiana della G. (Bernabò, 1992). Il più importante, data la sua straordinaria fortuna iconografica, è la creazione di Eva non dalla costola di Adamo ma direttamente dal suo fianco, come la Chiesa dal costato di Cristo.Non si conoscono manoscritti medievali illustrati della G.: tutti i codici così convenzionalmente definiti non contengono infatti il testo biblico, bensì quello di una o più parafrasi (Lowden, 1992a). È per es. il caso del G. di Caedmon (Canterbury o Malmesbury, ca. 1000; Oxford, Bodl. Lib., Junius 11), del G. di Egerton (Durham, terzo quarto sec. 14°; Londra, BL, Egert. 1894), del G. di Millstatt (Carinzia, ca. 1180-1200; Klagenfurt, Kärntner Landesarch., 6/19) e di un'altra parafrasi di analoga provenienza e datazione (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2721).Naturalmente le immagini della G. compaiono anche nelle edizioni complete della Bibbia o nelle collezioni parziali, come è il caso del Pentateuco di Ashburnham (Africa settentrionale o Spagna, sec. 7°; Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2334) o della parafrasi di Alfrico sull'Esateuco (Inghilterra, sec. 11°; Londra, BL, Cott. Claud. B.IV). Più interessante è il loro impiego nell'illustrazione di alcuni celebri trattati mistici o eruditi, quali il Liber Scivias di Ildegarda di Bingen (ca. 1165), l'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg (ca. 1168-1178), l'Historia scholastica di Pietro Comestore (ca. 1169-1175), adottata come manuale nelle università.La versione monumentale del ciclo della G. nasce a Roma con i perduti affreschi di S. Pietro in Vaticano e S. Paolo f.l.m., documentati da copie (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, A.64 ter, c. 13r; Barb. lat. 4406). Si discute se i due cicli risalgano al tempo di Leone Magno (440-461) o se possano essere anticipati, quello vaticano all'età costantiniana e quello ostiense al 400 ca. (Kessler, 1989), e fino a che punto siano stati modificati dai restauri medievali. Il racconto della G. comunque si estendeva con qualche variante - come la presenza nei soli affreschi di S. Pietro in Vaticano della raffigurazione di Agar nel deserto - dalla Creazione del mondo, sintetizzata in un'unica scena, alle Storie di Giuseppe, proseguendo con alcuni episodi dell'Esodo e contrapponendosi a una serie neotestamentaria, che nella basilica ostiense riguardava gli atti del santo titolare e in quella vaticana la vita di Cristo. Il programma tipologico di S. Pietro in Vaticano - anche se ancora di recente è stato sollevato il dubbio che la serie evangelica non risalga alla fase paleocristiana (Tronzo, 1985, p. 105) - ebbe un'eco vastissima (Gunhouse, 1991, pp. 218-220). In molti casi le scene della G. prevalsero su quelle dell'Esodo fino a sostituirle interamente. Una serie di raffigurazioni che iniziava con la Creazione dell'uomo e terminava con l'episodio dell'Incredulità di Sara è descritta nel Carm. 115 di Alcuino di York (735-804), ma non è chiaro se si trattasse di affreschi o di miniature (Al Hamdani, 1974, pp. 193-194). Da un modello carolingio sembrano comunque derivare le pitture del sec. 11° già nella parrocchiale di Bagüés, in Spagna (Jaca, Mus. Diocesano), nelle quali una versione abbreviata della G. sormonta due registri di scene evangeliche.Gli esempi più importanti di identificazione del ciclo veterotestamentario con quello della G. sono però localizzati in Italia. Un'antologia completa del libro è offerta dalla decorazione pittorica della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi (ultimo quarto sec. 13°). Le storie di Giuseppe mancano invece negli affreschi di Sant'Angelo in Formis (ca. 1087), nei mosaici della Cappella Palatina di Palermo (ca. 1143) e in quelli della cattedrale di Monreale (ca. 1174-1189), che tuttavia sviluppano in più scene la Creazione del mondo. I citati mosaici dell'atrio di S. Marco a Venezia raffigurano ben centotredici episodi, anche se tralasciano tutta la storia di Abramo e alcune fasi salienti della storia di Giuseppe. Qui comunque il ciclo della G. non è più la controparte tipologica di una serie evangelica e lo stesso accade negli affreschi di Giusto de' Menabuoi nella cupola del battistero di Padova (ca. 1375-1377). Le celebri pitture sulla volta della chiesa di Saint-Savin-sur-Gartempe (ca. 1100) rientrano invece in un più ampio contesto veterotestamentario. Meno frequente è l'impiego della serie estesa della G. nel campo della scultura: una versione sintetica e parziale, fino alle Storie di Noè, è offerta dai rilievi di Wiligelmo sulla facciata della cattedrale di Modena (ca. 1099), mentre una versione analitica è presente sui rilievi che decorano il capitolo della cattedrale di Salisbury (fine sec. 13°).Fra i sottocicli della G., i più antichi pervenuti sono costituiti dalle Storie di Abramo e Giacobbe affiancate a quelle di Mosè e Giosuè nei mosaici della navata di S. Maria Maggiore a Roma (432-440); non sembra però che questo esempio abbia avuto seguito. Intorno alla metà del sec. 6° gli avori della cattedra episcopale di Massimiano (Ravenna, Mus. Arcivescovile) mostrano già sviluppato in forma autonoma il ciclo di Giuseppe; probabilmente il patriarca venne qui concepito come esempio di buon governo e tipo ideale del vescovo. Con il medesimo significato la storia di Giuseppe ritorna nella miniatura a più registri che illustra un'omelia autobiografica di Gregorio Nazianzieno, dell'880-883 ca. (Parigi, BN, gr. 510, c. 69v). L'ambientazione egiziana di una parte della vicenda spiega la sua frequente raffigurazione sui tessuti copti del sec. 7° (Vikan, 1979). In Occidente sono da segnalare soprattutto le vetrate del sec. 13° nelle cattedrali francesi di Bourges, Chartres, Rouen, Saint-Gatien-des-Bois (Normandia), Tours, Auxerre, Poitiers e nella Sainte-Chapelle di Parigi. La fortuna del ciclo di Giuseppe in età gotica è giustificata non solo dalla corrispondenza tipologica fra gli episodi della sua vita e quelli della vita di Cristo, che è una costante dell'esegesi e della liturgia medievale, ma anche dalla traduzione antico-inglese del romanzo ellenistico-giudaico di Giuseppe e Asenat (Libro della preghiera di Asenat) e dalle sue numerose rielaborazioni (Gauthier-Walter, 1991).Il ciclo di Adamo ed Eva appare isolato per la prima volta nei frontespizi delle bibbie miniate a Tours nel secondo quarto del sec. 9° (Parigi, BN, lat. 1, c. 10v; Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 1, c. 7v; Londra, BL, Add. Ms 10546, c. 5v) e in quella di S. Paolo f.l.m., riferita a Reims o Saint-Denis, dell'869-870 ca. (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia, c. 8v). La storia, che in tutti questi casi s'interrompe con il lavoro dei progenitori, si conclude nel testo biblico con la morte di Adamo e può comprendere dunque anche le vicende di Caino e Abele, come nei rilievi trecenteschi della facciata del duomo di Orvieto. Fra le molte varianti di questo sottociclo (v. Adamo ed Eva), è da segnalare la lettura, basata sulle corrispondenze tipologiche Cristo-Adamo, albero della vita-albero della croce, Eva-Maria-Ecclesia, che si trova nella miniatura a più registri del Dialogus de laudibus Sanctae Crucis, del sec. 12° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14159, c. 1r).La raffigurazione dell'Hexaemeron, estrapolata dal contesto della G., non è documentata prima della fine del sec. 10°, ma potrebbe avere origini più antiche. Immagini della creazione del mondo decoravano già dal sec. 5° il perduto triclinio neoniano di Ravenna (Weis, 1966), ma non è chiaro se si trattasse di scene indipendenti oppure della parte iniziale di un ciclo affine a quello di S. Pietro in Vaticano. Nell'illustrazione del primo capitolo della G. sono state individuate due tipologie principali (Zahlten, 1979): la prima prevede la raffigurazione centrale del Creatore attorniata dalle opere dei sei giorni, secondo uno schema tratto dai calendari tardoantichi del quale è ancora evidentissima la traccia nel celebre tessuto ricamato, del sec. 11°, della cattedrale di Gerona (Mus. de la Catedral). Le opere di Dio possono essere rappresentate nelle forme più varie: come attributi dei giorni personificati, come nel frontespizio delle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (Francia, sec. 12°; Parigi, BN, lat. 5047, c. 2r), come generiche raffigurazioni cosmologiche, come nel frontespizio del vangelo di Giovanni, del secondo quarto del sec. 11° (Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 94, c. 154v), o ancora in modo completamente astratto entro partiti decorativi, come in un salterio inglese del primo quarto del sec. 13° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 835, c. 146r). L'altra tipologia, che risale alla tradizione del G. di Cotton, ripete l'immagine del Creatore giorno per giorno. Questa soluzione di carattere narrativo è più frequente, come provano fra gli altri un avorio del tardo sec. 11° proveniente dall'Italia meridionale (Berlino, Staatl. Mus.), un bestiario inglese del sec. 12° (Oxford, Bodl. Lib., Ashmole 1511, cc. 4v-6v), la finestra nord della cattedrale di Laon (ca. 1200), la volta dipinta della collegiata di San Candido (Innichen), in prov. di Bolzano (ca. 1280).Sebbene le raffigurazioni della G. siano state impiegate nel Medioevo in forme tanto varie, gran parte della critica tende a considerarle come un complesso unitario ai fini dell'evoluzione iconografica. Si è infatti supposto che queste immagini si siano sviluppate a partire da cicli miniati completi, i quali avrebbero subìto gli stessi processi di contrazione, alterazione e interpolazione che si riscontrano nella trasmissione dei testi scritti. Le famiglie iconografiche che prendono nome dal G. di Cotton, dal G. di Vienna e dagli ottateuchi, alle quali è stato talvolta aggiunto anche il Pentateuco di Ashburnham (v.), sono strutture ad albero finalizzate alla ricostruzione, se non del presunto archetipo giudaico, almeno dei prototipi miniati cristiani, che dovrebbero risalire alla fine del sec. 2° o agli inizi del successivo. Questi raggruppamenti genealogici, che considerano le immagini medievali prevalentemente come riflessi di modelli perduti, possono comportare il rischio di sopravvalutare i caratteri derivati rispetto a quelli innovativi, le affinità anche se lievi rispetto alle differenze seppure notevoli (Lowden, 1992b, pp. 95-102). Inoltre i confini fra le diverse famiglie sono al momento tutt'altro che definiti. La più estesa è la 'recensione Cotton', nella quale, secondo l'ultima ipotesi ricostruttiva (Weitzmann, Kessler, 1986), sono confluiti tutti i cicli occidentali fin qui elencati, anche se non mancano i casi controversi. Una contaminazione fra questo gruppo e quello che fa capo agli ottateuchi è stata ipotizzata per le pitture di via Latina a Roma (Kötzsche-Breitenbruch, 1976), per i cicli di S. Pietro in Vaticano e di S. Paolo f.l.m. (Al Hamdani, 1978) e per la Bibbia di S. Paolo f.l.m. (Gaehde, 1974). Discussa da Henderson (1962) e da Dodwell (1971) è anche l'appartenenza alla 'famiglia Cotton' delle citate parafrasi inglesi di Caedmon, di Alfrico e di Egerton e, conseguentemente, di tutta la serie che dovrebbe avere una matrice iconografica inglese, dalle Storie di Adamo ed Eva sul portale occidentale del duomo di Hildesheim (ca. 1015) agli affreschi di Saint-Savin-sur-Gartempe. Una fonte vicina al G. di Cotton è generalmente ammessa per il citato avorio di Berlino e per le scene della G. nel c.d. paliotto eburneo della cattedrale di Salerno, del 1080 ca. (Salerno, Mus. Diocesano). Si discute però se questa fonte sia giunta da Roma o da Costantinopoli per il tramite di Montecassino (Demus, 1949, pp. 251-258; Gunhouse, 1991, p. 230) e se abbia influito anche sui mosaici di Palermo, su quelli di Monreale e sulle perdute miniature dell'Hortus deliciarum (già Strasburgo, Bibl. Mun.), tre cicli per i quali è stato da altri supposto un modello inglese (Weitzmann, Kessler, 1986, pp. 25, 28).Il raggio di influenza della recensione degli ottateuchi è ancora più problematico (Lowden, 1992b), né sembra del tutto scontato che questa fosse la sola versione figurativa della G. vigente in Oriente durante l'età mediobizantina, come vorrebbe chi sostiene uno sviluppo esclusivamente occidentale della 'famiglia Cotton'. Meno significativo per il Medioevo è il G. di Vienna, del quale gli studi recenti si sono soprattutto preoccupati di rintracciare le ipotetiche fonti iconografiche giudaiche. Per le scene della G. del Pentateuco di Ashburnham, infine, è stato suggerito un accostamento agli affreschi da poco scoperti a Saint-Eutrope des Salles-Lavauguyon (dip. Haute-Vienne), nei quali Christe (1990) ha ravvisato un'analoga raffigurazione dei due creatori, il Padre e il Figlio.

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