TRAVERSI, Gaspare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TRAVERSI, Gaspare

Gianluca Forgione

Figlio di Domenico e di Margherita Mariniello, fu battezzato nella parrocchia napoletana di S. Maria dell’Incoronatella il 15 febbraio del 1722 (Terrone, 2009b). Domenico era di origine genovese, e praticava verosimilmente la professione di mercante nei pressi di rua Catalana, dove avevano sede le principali attività commerciali della città (Terrone, 2012, pp. 53-58). Negli anni seguenti le sorelle di Gaspare furono invece battezzate in S. Giorgio dei Genovesi, la chiesa di riferimento della nazione ligure a Napoli (Heimbürger Ravalli, 1982, pp. 28, 41).

Secondo Carlo Bianconi (in Malvasia, 1776, p. 491), Traversi fu allievo di Francesco Solimena. La notizia trova conferma nello stile degli esordi di Gaspare, improntati alla lezione dell’Abate Ciccio, come rivelano la Crocifissione in collezione Escalar a Roma, firmata e datata 1748, e le tre tele di soggetto mariano in S. Maria dell’Aiuto a Napoli, che risalgono all’anno successivo (Forgione, 2014, pp. 17-19, 163 n. A1, 164 nn. A3-A5). È possibile che le prime prove pubbliche del giovane, eseguite subito dopo la morte del maestro, non incontrassero il successo sperato. Gaspare dovette faticare a trovare spazio nella Napoli del tempo a causa della sua scarsa predisposizione per la decorazione a fresco, circostanza che dovette motivarne il precoce trasferimento a Roma, avvenuto presumibilmente nel gennaio 1754.

Coerentemente con la sua estrazione sociale, Traversi affiancò all’apprendistato di pittore il prestito di denaro a interesse (ibid., pp. 15-17, 341-345 nn. 2-3, 5-6, 10, 12-14). In tale attività ebbe per socio il fratello Francesco, che svolgeva con profitto il mestiere di «scarparo» ai Banchi Nuovi (Terrone, 2012, pp. 57 s.). Quando Gaspare si stabilì nell’Urbe, Francesco curò in prima persona le relazioni commerciali che il fratello continuava a intrattenere con la clientela napoletana. Nel settembre del 1757 Francesco fu infatti pagato da Giuseppe Broggia per alcuni quadri di «bambocciate» che il pittore aveva realizzato a Roma (Rizzo, 1981, pp. 19 s., 30 s., n. 2; Forgione, 2014, pp. 16, 346 nn. 16-18).

Traversi tenne in affitto la sua bottega napoletana, ubicata nei pressi della distrutta chiesa di S. Pietro a Fusariello nel seggio di Porto, fino al maggio del 1753 (Terrone, 2012, p. 143). È dunque molto probabile ch’egli concepisse ancora a Napoli le sei tele del ciclo, firmato e datato 1752, conservato nella basilica di S. Paolo fuori le Mura a Roma e raffigurante episodi vetero- e neotestamentari (il Convito in casa di Assalonne; la Benedizione di Giacobbe; Tobiolo risana la cecità del padre; la Resurrezione di Lazzaro; il Convito in casa del ricco epulone; e la Resurrezione del figlio della vedova di Naim; cfr. Forgione, 2014, pp. 22-29, 170-172 nn. A27-A32). I dipinti furono resi noti da Roberto Longhi (1927a) nel saggio che diede avvio alla riscoperta critica del pittore. In ragione del suo ampio e singolare ricorso alle fonti naturalistiche, Gaspare veniva riconosciuto come «eversore delle cartapeste dei solimenisti» e come «scopritore quasi, sulle tracce dell’antico Seicento locale, di una nuova terra settecentesca» (p. 153).

A prestar fede a quanto scriveva Francesco Cancellieri nel 1816 (in Filippi - Perazzone - Borsellino, 2002, p. 199, nota 202), nel maggio del 1782 l’abate Giovanni Giustino di Costanzo decise di «nobilitare» la sala del capitolo di S. Paolo fuori le Mura facendola «dipingere ed ornare di sei quadri di Gaspare Traversi napoletano, allievo di Francesco Solimene». Non è stato ancora possibile appurare la destinazione originaria del ciclo. Il referto di Cancellieri non chiarisce infatti se nel 1782 Di Costanzo avesse acquistato tali opere, o se in quell’anno esse fossero state soltanto trasferite nella sala del capitolo da altri locali dell’abbazia benedettina. In ogni caso, la disparità delle misure e la difficoltà d’individuare una corrispondenza significativa tra le iconografie delle tele suggeriscono quanto meno ch’esse fossero state realizzate per ambienti diversi di uno stesso complesso religioso, che Minna Heimbürger Ravalli (1982, in partic. pp. 15, 17, 21, 24, 31 s.) ha ipoteticamente identificato in S. Crisogono a Roma.

Sono del resto ben documentati i rapporti di Traversi con la basilica trasteverina. Due carmelitani di S. Crisogono, Alessandro Moiraghi e Alessandro Livi, fecero da testimoni al pittore in occasione delle sue nozze con Rosa Orlandi nel 1759. Nei capitoli matrimoniali, stipulati nel gennaio di quell’anno, entrambe le testimonianze riferiscono che Gaspare «venne in Roma nel mese di gennaro 1754, da dove mai è partito», per «servire nel convento di S. Crisogono» (Forgione, 2014, pp. 38, 350 s., n. 24). Il dato è confermato da Cancellieri, secondo cui il maestro, oltre alle pitture in S. Paolo fuori le Mura, realizzò un «S. Raimondo in S. Maria in Monterone», identificabile nel S. Raimondo Nonnato che consacra l’ostia sacra nella casa generalizia dei mercedari (ibid., pp. 197 s., n. A118), e un «Cristo in S. Crisogono», che resta da ritrovare (Filippi - Perazzone - Borsellino, 2002, p. 199, nota 202). Ma è ancor più rilevante il fatto che nel novembre del 1753 era divenuto titolare della basilica carmelitana il cardinale Gian Giacomo Millo, personalità di spicco nella Roma di Benedetto XIV, che Traversi raffigurò in due splendidi Ritratti conservati in collezione Koelliker a Milano e nella raccolta di Franco Maria Ricci a Fontanellato (Forgione, 2014, pp. 37 s., 198 nn. A119-A120). Il foglio che Millo regge in entrambe le opere potrebbe alludere alla lettera di presentazione consegnatagli dal medesimo Traversi, e dunque al ruolo che il porporato svolse nell’inserimento sociale e professionale del pittore a Roma.

Oltre a entusiasmare Millo, le straordinarie abilità ritrattistiche di Gaspare gli permisero di ritagliarsi un posto non secondario nel mercato capitolino. Traversi aveva dato prova della sua capacità di cogliere l’apparenza fenomenica e la verità psicologica dei propri modelli già durante la giovinezza napoletana. Intorno al 1750 è da collocare l’esecuzione del Ritratto di fra Gherardo degli Angeli di collezione privata, forse commissionato in occasione della riedizione in quell’anno della produzione poetica del religioso, alla quale rimanda il volume in primo piano (ibid., pp. 29 s., 169 n. A23).

Tra le prove più considerevoli eseguite dal pittore a Roma in tale genere vanno menzionati i due Ritratti ordinatigli, a distanza di vari anni, dal vescovo e storico capuano Francesco Granata, l’uno in collezione privata napoletana, l’altro, firmato e datato 1770, al Museo di Capodimonte (Forgione, 2015); il Ritratto del francescano Joannethio de Molina in Palazzo Barberini a Roma (Forgione, 2014, pp. 30 s., 182 s., n. A65); il Ritratto dell’agostiniano Gian Lorenzo Berti al Musée des Beaux-Arts di Strasburgo (pp. 36 s., 197 n. A117); il Ritratto di gentiluomo in bianco, transitato di recente sul mercato antiquario napoletano (pp. 54, 203 n. A140); il Ritratto di gentildonna in collezione privata napoletana (pp. 54, 203 n. A141); il Ritratto del commerciante di vini Giacomo Bettini a Capodimonte, firmato e datato 1760 (pp. 52-54, 203 s., n. A142; sull’identificazione del ritrattato si veda Terrone, 2009a); e, infine, il cosiddetto Ritratto di prelato in collezione privata, firmato e datato 1762 (Ventura, 1994; Forgione, 2014, pp. 52, 205 n. A147), nel quale Rosario Ruggiero Terrone (2012, pp. 129-131) ha provato a riconoscere il mercante di tessuti Giovanni Comazzi.

Traversi ritrasse in più occasioni anche il frate Raffaello Rossi da Lugagnano, che fu visitatore apostolico del monastero di S. Chiara a Napoli nel 1743 e generale dei francescani dal 1744 al 1750 (Forgione, 2014, pp. 31 s., 183 s., nn. A66-A68). Rossi affidò a Gaspare l’incarico più importante della sua carriera: la realizzazione dell’imponente ciclo pittorico destinato alla chiesa non più esistente di S. Maria di Monte Oliveto a Castell’Arquato, il borgo piacentino di cui il committente era originario (Barocelli, 1982; Forgione, 2014, pp. 39-45). Tra il 1753 e il 1755 il pittore portò a termine le pale per i sei altari della chiesa, in cui raffigurò alcuni protagonisti dell’iconografia francescana (il S. Francesco riceve le stimmate è ora nella basilica di S. Maria di Campagna a Piacenza, mentre le altre cinque ancone, raffiguranti Cristo in croce e santi francescani, le Ss. Agata, Lucia e Apollonia, S. Pasquale Baylón e santi francescani, S. Pietro d’Alcántara e i Ss. Antonio di Padova e Margherita da Cortona, sono conservate in ambienti diversi della cattedrale di Parma: cfr. ibid., pp. 187-189, nn. A78-A83). Negli stessi anni dipinse con ogni probabilità le quattordici piccole tele della Via Crucis ora nella chiesa di S. Rocco a Borgo Val di Taro, allogate in origine ai lati della porta d’ingresso e nei pilastri della navata del tempio arquatese (pp. 189 s., nn. A84-A97). Nel presbiterio erano invece collocati l’Incoronazione di spine, l’Ecce Homo e il Compianto sul Cristo morto, attualmente nel Museo della collegiata di Castell’Arquato (pp. 190 s., nn. A98-A100), mentre alla controfacciata era destinata la monumentale Pentecoste, oggi custodita nella chiesa di S. Pietro d’Alcántara a Parma, firmata e datata 1758 (p. 191, n. A101). Al medesimo anno dovrebbe risalire finanche la S. Margherita da Cortona al Metropolitan Museum of Art di New York, la cui presenza nel complesso olivetano è documentata nel 1805 (pp. 191 s., n. A102). La tela, fra i vertici della pittura italiana del Settecento, anticipa nella levigatezza delle superfici e nella preziosità della materia cromatica le soluzioni che il maestro avrebbe adottato nella fase finale della sua attività.

Il ciclo di Castell’Arquato e gli altri impegni professionali assunti da Gaspare in questo periodo dovettero incidere favorevolmente sulla sua condizione economica, se nel 1758 egli fu in grado di assicurare alla sorella Caterina la cospicua dote nuziale di quattrocento scudi (Terrone, 2012, p. 145; Forgione, 2014, pp. 348 s., n. 22).

Benché neglette da Bianconi (in Malvasia, 1776), le scene di genere assumono un ruolo decisivo nella ricostruzione del percorso di Traversi (Forgione, 2014, pp. 45-52). Esse sono state intese a lungo come prova dell’impegno del pittore nella «critica socio-morale» dei comportamenti della nuova borghesia rurale in ascesa (Bologna, 1980; Id., 1985). Francesco Porzio (2008) ha invece riletto le «bambocciate» traversiane alla luce della tradizione comica, rivelandone il contenuto licenzioso e riconoscendovi non già situazioni socialmente determinate, quanto piuttosto ammonimenti generici contro i vizi e l’opportunismo degli uomini. Il contributo di Gaspare non sarebbe dunque consistito nell’invenzione di nuovi soggetti, ma nel rinnovamento dei temi tradizionali attraverso l’adozione di costumi moderni, di interpretazioni psicologiche sottili e di schemi compositivi mutuati dall’iconografia religiosa.

Pertanto, nel dipinto conservato al De Young Memorial Museum di San Francisco non sarebbero da riconoscere La figlia diligente e il figlio scioperato, bensì una scena di adescamento con gli immancabili mezzani interessati alla relazione mercenaria (Forgione, 2014, p. 167, n. A17); nel cosiddetto Orgoglio materno di collezione privata non assistiamo all’«ingresso in società della fanciulla [...] in un momento in cui la sfera d’influenza della donna nell’ambito della vita familiare andava ad aumentare notevolmente» (Spinosa, 1980, p. 464), quanto piuttosto a un madre che offre la figlia al cliente di turno, identificabile nel cicisbeo appoggiato al bastone allusivo (Forgione, 2014, p. 187, n. A77); nel pendant del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City non sarebbero ritratti in senso satirico «li trattenimenti de’ virtuosi o degl’intendenti» (S. de Cavi, in Gaspare Traversi, 2003, p. 142), ma incontri a pagamento in cui la musica e il disegno divengono meri espedienti d’adescamento (Forgione, 2014, p. 196, nn. A113-A114); e, infine, la cosiddetta Elemosina al convento in collezione privata a Roma non andrebbe interpretata come un’«anticipazione del celebre episodio manzoniano di fra’ Galdino alla cerca delle noci in casa di Agnese e Lucia» (Bologna, 1985, p. 291), poiché il pittore vi avrebbe al contrario raffigurato una casa di piacere di cui anche il religioso sarebbe cliente (Forgione, 2014, pp. 185 s., n. A72). Al di là della lussuria, Traversi rielaborò altri temi di antica tradizione comica, quali la Visita medica e l’Operazione chirurgica, rispettivamente alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e alla Staatsgalerie di Stoccarda (pp. 193 s., nn. A106-A107), o la rissa che scaturisce dal gioco d’azzardo, testimoniata dal capolavoro del Wadsworth Atheneum di Hartford (p. 204, n. A143) e da un’invenzione di cui esistono vari esemplari autografi (pp. 186 s., nn. A73-A76).

Nel 1764 Gaspare richiese alle autorità romane di poter esportare «sei quadri di istorie sagre» alla città di Montalboddo, l’attuale Ostra in provincia di Ancona: la licenza venne firmata, a nome del «signor cardinal camerlengo di Santa Chiesa», dal «commissario delle Antichità» Johann Joachim Winckelmann (Terrone, 2012, p. 147; Forgione, 2014, p. 351, n. 25).

Traversi fece testamento il 31 ottobre del 1770, lasciando «i suoi pochi beni di fortuna» alla moglie e ai figli Giuseppe e Margherita (Terrone, 2012, pp. 148 s.; Forgione, 2014, pp. 351 s., n. 26). Morì il giorno seguente, e venne seppellito nella basilica di S. Maria in Trastevere (p. 352, n. 27).

Nel 1790 Rosa Orlandi consegnò alla Congregazione de Propaganda Fide quaranta dipinti del marito (Terrone, 2012, p. 149; Forgione, 2014, p. 352, n. 28), per lo più «bambocciate» e quadri di soggetto storico e religioso. La nota elenca nondimeno anche «marine», «vedute» e «paesi», che testimoniano di un’attività di Traversi nel genere, ancora da identificare.

Fonti e bibliografia

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