ASFISSIANTI, GAS

Enciclopedia Italiana (1929)

ASFISSIANTI, GAS

G. Bar.
G. Boe.

. Con questo nome sono indicate numerose sostanze che furono usate a scopo bellico e che, se dal punto di vista chimico presentano le caratteristiche più disparate, hanno tutte in comune l'azione fisiologica nociva, in un modo o in un altro, agli organismi animali: alcune rendono irrespirabile l'aria in cui sono presenti, altre sono veri e proprî veleni, alcune attaccano le mucose degli occhi, del naso o della gola, altre hanno azione caustica e vescicatoria anche sulla pelle, ecc. Il nome di gas asfissianti, col quale comunemente si designano queste sostanze, non è però esatto: se questo nome può essere adatto per indicare il cloro e il fosgene, che sono sostanze gassose a temperatura ordinaria ed esercitano azione prevalentemente asfissiante, non è appropriato per indicare le altre sostanze le quali, per la maggior parte, sono liquide o solide a temperatura ordinaria, e alcune anzi posseggono soltanto un leggero odore non sgradevole, come, per es.. la lewisite, che ha odore di geranio. Secondo l'azione fisiologica specifica che queste sostanze esercitano, alcune sono indicate anche col nome di lacrimogeni, altre con i nomi di vescicatorî, starnutatorî, vomitivi, ecc. Parlando fra poco della loro classificazione, vedremo che valore si debba attribuire a queste denominazioni. Meglio sarebbe designarle, come generalmente si fa oggi, col nome di sostanze aggressive.

Queste sostanze furono usate per la prima volta a scopo bellico durante la grande guerra del 1914-1918. La guerra chimica (come si suole chiamare l'uso in guerra dei prodotti chimici aggressivi) ebbe il suo inizio il 22 aprile 1915, quando fra Langemark e Bixschoote, nella zona di Ypres (Belgio), una grande nuvola di cloro si alzò dalle trincee tedesche e trasportata dal vento favorevole andò a seminare la morte nelle linee degli alleati.

Nelle pubblicazioni del dopoguerra i Tedeschi hanno cercato di giustificare l'uso da essi fatto per primi dei gas asfissianti. Hanno riesumato tutti i tentativi che fin dalla più remota antichità sono stati fatti per usufruire di sostanze asfissianti a scopo guerresco: dai fumi fatti con pece e zolfo, che gli Spartani usarono durante la guerra del Peloponneso (429 a. C.), al fuoco greco del tempo dei Crociati; dalle ballotte di metallo, che nel 1482 mastro Alvise propose al senato di Venezia di fabbricare, sì che, aprendosi, spandessero fumo avenenato, fino alla proposta (non adottata) dell'ammiraglio Dundonald di usare vapori di anidride solforosa durante l'assedio di Sebastopoli (1855). Gli oppositori hanno risposto che quelli erano tempi meno civili e che soprattutto non era stata firmata allora, come fu firmata all'Aja, nel luglio 1899, una convenzione nella quale le potenze firmatarie (Germania compresa) s'impegnavano a non usare in guerra gas asfissianti e deleterî. Non è opportuno riferire qui tutte le polemiche che si sono svolte su questo argomento.

Nessuno si aspettava che si ricorresse in guerra ai gas asfissianti che erano proibiti da convenzioni internazionali, e perciò col lancio della nube del 22 aprile 1915 i Tedeschi ottennero un considerevole effetto di sorpresa, che però non sfruttarono completamente, forse perché lo Stato maggiore tedesco non ne aveva previsto tutta l'importanza. Anche prima del 22 aprile 1915, i Tedeschi avevano fatto qualche prova con sostanze aggressive, lanciando in qualche punto della fronte di guerra alcuni proiettili carichi di sostanze lacrimogene (bromuro di benzile e bromuro di xilile), ma gli scarsi risultati ottenuti con questi tentativi fatti su piccola scala non li avevano dapprima incoraggiati a proseguire su questa via. L'emissione di gas del 22 aprile 1915 fu una prova in grande che ebbe risultato anche superiore a quello preveduto. Ma poiché per l'emissione di una nube di gas asfissiante occorrono preparativi lunghi e faticosi, prima che i Tedeschi potessero organizzare altre emissioni di nubi, gli alleati si erano già messi in grado di difendersi e di contrattaccare con il lancio di nubi simili.

Intanto fin dal giugno 1915 i Tedeschi iniziarono il lancio sistematico di proiettili carichi di aggressivi chimici (specialmente lacrimogeni), e in ciò furono imitati quasi subito dagli alleati. Da allora fu una gara a chi trovasse nuove sostanze aggressive sempre più pericolose; da allora prese uno sviluppo sempre maggiore quella guerra chimica che esercitò tanta influenza morale sui soldati, i quali attendevano sempre, con timore, nuove insidie sconosciute.

Alla fine del 1915 apparve il fosgene sui campi di battaglia. Nel luglio 1916 i Francesi usarono per i primi l'acido cianidrico, da cui si aspettavano grandi effetti e che fu invece una delusione. Il 1917 fu un anno importante per la guerra chimica, perché in questo anno i Tedeschi cominciarono a lanciare l'iprite e le arsine (i cosiddetti gas vomitivi), i quali poi ebbero il più esteso uso nel 1918. Gli Americani studiavano la lewisite, quando fu concluso l'armistizio, e non furono in tempo a usarla. In totale furono impiegate circa 50 sostanze aggressive diverse: alcune furono lanciate per qualche tempo e poi non furono più usate (p. es., il bromo, il clorosolfato di dianisidina, ecc.), altre (come il fosgene) ebbero un impiego quasi continuato. Il bicloruro di fenil-carbilammina fu usato solo dai Tedeschi e non dagli alleati; i Tedeschi invece non lanciarono l'acroleina, perché difettavano della glicerina necessaria per prepararla, e non usarono composti iodurati, perché avevano poco iodio a loro disposizione. Spesso furono impiegate in pratica anche mescolanze di diverse sostanze aggressive, qualche volta miste anche con fumigeni o con altre sostanze adatte per aumentarne o diminuirne la volatilità (p. es., benzolo, clorobenzolo, nitrobenzolo, tetracloruro di carbonio, ecc.).

È da notarsi che qualche volta furono usate in tempo di guerra anche alcune sostanze non nocive, ma soltanto puzzolenti allo scopo d'ingannare e impressionare il nemico e stancare i soldati, obbligandoli a tenere la maschera per lungo tempo. Una delle sostanze puzzolenti usate a questo scopo è il mercaptano etilico C2 H5 − SH, il cui odore sgradevole è percettibile anche se quel corpo è nella quantità di 1/460 milionesimo di milligrammo.

Classificazione delle sostanze aggressive.

Le sostanze aggressive possono classificarsi in varî modi, a seconda del criterio adottato:

A) secondo la loro natura chimica;

B) secondo l'azione fisiologica che esse esercitano sull'uomo o sugli animali;

C) secondo le loro caratteristiche fisiche;

D) secondo il loro impiego militare.

Classificazione degli aggressivi secondo la loro natura chimica.

Tenendo presente la loro costituzione chimica, le sostanze che furono più usate come aggressivi si possono raggruppare nel modo indicato nella tabella della pagina seguente.

Tale classificazione però è molto imperfetta, perché non suddivide le sostanze aggressive in diverse categorie nettamente distinte. Alcune sostanze potrebbero essere poste indifferentemente in un gruppo o in un altro: p. es., la difenilcianarsina potrebbe essere compresa fra i composti arsenicali o nel gruppo dei composti cianici.

Anche altre sostanze, oltre a quelle elencate, furono prese in considerazione in tempo di guerra per essere usate come sostanze aggressive, ma alcune non furono mai usate in pratica (p. es., l'ossido di carbonio, l'ipoazotide, alcuni fluoruri volatili, la lewisite, ecc.), altre (come il tiofosgene, il perclorometilmercaptano, il cloruro di o-nitrobenzile, la etildibromoarsina, la difenilammincloro-arsina, l'N-eticarbazolo, i composti iodurati troppo costosi, ecc.) ebbero un impiego limitatissimo. L'acido clorosolfonico, il cloruro di solforile e i cloruri di arsenico, di stagno, di silicio e di titanio, più che come sostanze aggressive, ebbero valore come fumigeni.

È da notarsi che, durante la guerra, specialmente i Francesi e gli alleati usarono designare con nomi particolari alcune delle più comuni sostanze aggressive o le diverse miscele in cui erano contenute, generalmente per poter indicare con un nome breve composti chimici o miscugli complessi, qualche volta anche per soddisfare qualche vanità personale. Così fu dato il nome di iprite al solfuro di β-β-bicloro etile, perché fu impiegato per la prima volta dai Tedeschi nel settore di Ypres; così ebbe il nome di aquinite la cloropicrina perché veniva fabbricata in un antico convento di S. Tommaso d'Aquino; così fu chiamata papite l'acroleina dal nome di Lepape che trovò il modo di renderla stabile; così si conosce ordinariamente col nome di lewisite, perché fu studiata in America dal capitano Lewis, la miscela di vinilclorarsine che si forma per azione dell'acetilene sul cloruro di arsenico. Così divennero a poco a poco di uso comune anche altri nomi particolari per diversi aggressivi. Oltre a quelli indicati nella pagina seguente, si ebbero la rationite (solfato dimetilico mescolato con clorosolfonato di metile), la vincennite (miscela di acido cianidrico con cloroformio, cloruro di stagno e cloruro di arsenico), la martonite (miscela di bromacetone e cloracetone), la omomartonite (miscela di bromometiletilchetone col derivato clorurato corrispondente), la collongite (fosgene misto con cloruro di stagno), la campiellite (miscela di bromuro di cianogeno con bromacetone e benzolo). E possiamo anche aggiungere la fraisnite, la vitrite, ecc.

I Tedeschi invece preferirono, in generale, di abbreviare i nomi degli aggressivi o delle loro mescolanze, designandoli con semplici lettere, come è indicato nella tabella.

Se noi osserviamo le formule di costituzione delle sostanze che furono usate come aggressivi, difficilmente riusciamo ad afferrare qualche relazione fra la loro costituzione chimica e il potere aggressivo che esse posseggono. Soltanto per alcuni derivati alogenati è evidente che la loro azione lacrimogena è connessa con la presenza nella loro molecola del gruppo − CO − CH2 − X (in cui X rappresenta l'atomo di un alogeno), come si ritrova, p. es., nel cloracetone, bromacetone, iodacetone, nel bromometiletilchetone, negli eteri cloracetici, ecc. Ma altre relazioni di questo genere rimangono per ora completamente oscure. Perché, per es., il solfuro di β-β-bicloro etile (I) è tanto caustico, mentre il suo isomero α-α (II) non lo è affatto?

È da notarsi infine che nessuna scoperta vera e propria fu fatta nel campo delle sostanze aggressive. Eccetto la lewisite, che non era conosciuta prima della guerra, tutti gli altri aggressivi usati a scopo bellico erano noti anche prima, e alcuni erano anzi composti che venivano preparati per diversi usi industriali: per es., il cloruro di benzile, impiegato per la preparazione di molte sostanze coloranti artificiali del gruppo del trifenilmetano, il fosgene, che era usato per la fabbricazione di diverse sostanze coloranti e medicinali, e il cloro, che aveva ed ha mille applicazioni industriali. Una delle ragioni anzi per cui i Tedeschi iniziarono e dettero tanta estensione alla guerra con gli aggressivi, sta nel fatto che fin dal tempo di pace essi avevano molto sviluppata la loro industria chimica e possedevano impianti industriali già pronti per la fabbricazione di aggressivi chimici; si trovavano perciò in condizioni di grande vantaggio rispetto agli alleati, i quali dovettero invece improvvisare impianti capaci di produrre le enormi quantità di questi composti che la guerra chimica fece diventare necessarî.

Classificazione degli aggressivi secondo la loro azione fisiologica.

Secondo questo criterio si distinguono gli aggressivi in varie categorie:

a) Asfissianti o soffocanti, che provocano lesioni più o meno gravi nei polmoni fino a produrre la morte per asfissia (p. es. il cloro e il fosgene).

b) Tossici, che hanno vera azione velenosa. Essi agiscono attaccando qualche centro funzionale importante dell'organismo e arrestando la sua attività (p. es., l'acido cianidrico): alcuni agiscono particolarmente sul sistema nervoso, altri attaccano i globuli rossi del sangue, ecc.

c) Lacrimogeni, che hanno azione predominante sulle mucose dell'occhio, producendo lacrimazione e irritazione tali da impedire la vista per un certo tempo (p. es., la cloropicrina e i bromuri di xilile). Essi vennero chiamati anche affaticanti, perché costringono a tenere la maschera per lungo tempo, producendo disagio e minore resistenza nelle truppe.

d) Starnutatorî o vomitivi, che provocano irritazione specialmente sulle mucose del naso e della gola, producendo starnuti, dolori alla gola, tosse o vomito (p. es., le arsine).

e) Vescicatorî o caustici, che non solo hanno azione irritante sulle mucose degli occhi e della gola, ma attaccano anche la pelle, producendo infiammazioni e piaghe dolorose, difficili a guarire (p. es., la iprite).

Questa classificazione è la più comune, ma anche con essa non è possibile suddividere nettamente gli aggressivi in categorie ben distinte, perché, secondo la concentrazione in cui si trovano nell'atmosfera, possono esercitare azioni molto diverse. Una sostanza che, quando si trova in piccola quantità nell'aria, ha, p. es., soltanto azione lacrimogena, quando viene respirata in forte quantità, può attaccare anche le mucose della gola e dei polmoni, e agire come asfissiante. Le arsine, che in piccola concentrazione sono vomitivi, sono vere sostanze tossiche a dosi più forti. Tuttavia questa classificazione è importante nella pratica, perché permette di scegliere fra gli aggressivi secondo l'effetto che si vuol raggiungere.

In generale si può dire che le sostanze aggressive possono esercitare azione velenosa tale da uccidere gli uomini colpiti, oppure azione irritante (sugli occhi, sulla gola, sulla pelle, ecc.) tale da allontanare un uomo dalla linea di combattimento. A scopo di guerra è sufficiente e più umano cercare di raggiungere il secondo scopo. Fra gli aggressivi, alcuni hanno forte azione irritante e debole azione velenosa; per altri avviene il contrario; alcuni hanno invece elevato tanto il potere irritante, quanto il potere velenoso (p. es., la cloropicrina e la superpalite). Generalmente l'azione irritante si rende sensibile anche a dosi non velenose: a concentrazioni più forti si può avere anche l'azione venefica. Si comprende perciò quanto fosse importante comparare sperimentalmente il potere nocivo dei diversi aggressivi prima di decidersi a usare l'uno o l'altro.

Furono fatti a questo scopo accurati studî tendenti particolarmente a stabilire la dose minima alla quale ogni aggressivo può esercitare la sua azione nociva. Le esperienze furono eseguite, generalmente, in camere di nota cubatura nelle quali veniva vaporizzata una quantità nota di sostanza aggressiva, che con un ventilatore veniva uniformemente mescolata con l'aria contenuta nella camera stessa. Introducendo nella camera diversi animali (cane, gatto, coniglio, cavia, scimmia, ecc.), si osservava l'azione che producevano le diverse sostanze a diverse concentrazioni. Oltre alle esperienze nelle camere di prova, si facevano poi anche esperienze in campo aperto su mandre di pecore o di altri animali.

In seguito alle esperienze fatte, il Mayer in Francia calcolò per ogni aggressivo la dose tossica, in base alla concentrazione della sostanza vaporizzata in un mc. di ambiente, necessaria a far morire in 24 ore un animale rimasto per mezz'ora nell'atmosfera intossicata.

I Tedeschi compararono invece il valore tossico degli aggressivi, determinando il numero di minuti T occorrenti per provocare la morte degli animali da esperimento, a cominciare dal momento della loro introduzione in un'atmosfera contenente una quantità C (in milligrammi) di sostanza aggressiva vaporizzata per ogni metro cubo. Con la formula I = C•T espressero il prodotto di attività o di mortalità, chiamato comunemente Indice di tossicità Haber. È evidente che quanto più piccolo è il valore di I, tanto maggiore è la tossicità dell'aggressivo.

Si deve però tener conto del fatto che, quando la sostanza aggressiva viene respirata con l'aria, non tutta viene istantaneamente assorbita, ma una parte E può venire espirata senz'aver agito sull'organismo. Siccome l'effetto venefico viene prodotto soltanto dalla quantità di veleno fissata dall'organismo, la sostanza che realmente agisce non sarà C, ma C E. Perciò la formula di Haber dovrebbe esser modificata così: I=T(CE).

Ecco alcuni valori d'indici di tossicità calcolati con la formula di Haber:

Si deve osservare che vi sono alcuni composti, notissimi come sostanze velenose, per i quali l'indice di tossicità non è costante, ma varia in limiti molto larghi secondo la concentrazione dell'aggressivo contenuto nell'aria respirata. Tale è, p. es., l'acido cianidrico, il cui indice di tossicità varia da 1000 a 4000 secondo la concentrazione in cui si trova nell'aria. Soltanto a forti concentrazioni esso esercita la sua azione velenosa: a deboli concentrazioni non produce danni. Quando fu impiegato in pratica dai Francesi produsse effetti infinitamente inferiori a quelli che si aspettavano. Siccome l'acido cianidrico è un gas molto leggiero e si diffonde molto facilmente, disperdendosi nell'aria, avveniva nella pratica che difficilmente raggiungeva nell'atmosfera la concentrazione necessaria per produrre la morte di un uomo che lo respirasse per breve tempo.

Per gli aggressivi di azione irritante (lacrimogeni, ecc.) si cercò di determinare per ognuno la concentrazione minima di sostanza (in un mc. di aria) alla quale comincia a rendersi sensibile la sua azione, oppure meglio si cercò di stabilire per ognuno il limite di insopportabilità, determinando la quantità in peso di sostanza contenuta (gassificata, nebulizzata o polverizzata) in un mc. di aria, che sia capace di rendere insopportabile a un uomo normale la permanenza per più di un minuto nella camera di prova.

Alcuni limiti d'insopportabilità sono:

Classificazione degli aggressivi secondo le loro proprietà fisiche.

Eccetto il cloro e il fosgene, che sono gassosi a temperatura ordinaria, la maggior parte degli aggressivi sono liquidi (alcuni con punto di ebollizione elevato), alcuni sono solidi a temperatura ordinaria (come la difenil-cian-arsina).

Questa distinzione degli aggressivi in gassosi, liquidi e solidi ha importanza per comprendere il loro modo di agire e per scegliere il modo migliore di lanciarli. Gli aggressivi gassosi a temperatura ordinaria potevano essere lanciati sotto forma di nubi, quelli liquidi e quelli solidi dovevano essere lanciati in proiettili, che esplodevano quando colpivano il bersaglio e lasciavano uscire la sostanza aggressiva che contenevano: alcune sostanze agivano allora allo stato di vapore, altre allo stato liquido e altre allo stato solido. Allo stato gassoso agivano la maggior parte delle sostanze liquide, che, per il calore che si svolgeva nell'esplosione della carica di scoppio contenuta nel proiettile stesso, venivano trasformate in vapore. Per altre sostanze invece (come per l'iprite) bastava che l'aggressivo liquido si spargesse nel terreno, dove restava a lungo, esercitando la sua pericolosa azione caustica sugli uomini che lo toccavano. Le arsine aromatiche infine agivano allo stato solido. Per l'esplosione della carica di scoppio contenuta nel proiettile esse venivano polverizzate, disperse nell'aria in particelle minutissime (si calcola che ognuna avesse un diametro inferiore a 1/10.000 di mm.), che erano capaci di attraversare perfino le maschere senza essere assorbite dalle sostanze neutralizzanti contenute nelle maschere stesse, come sarebbe avvenuto invece se si fossero trovate allo stato gassoso. Perciò, dopo che fu iniziato in guerra l'uso delle arsine aromatiche, dovettero essere introdotte nelle maschere speciali modificazioni, atte a trattenere queste particelle solide e ad impedire che venissero respirate. V. anche antigas; maschera antigas.

Secondo le sostanze aggressive che si volevano impiegare e secondo lo speciale modo di agire di ognuna di esse, doveva dunque essere diverso il modo di lanciarle: sotto forma di nube o racchiuse in proiettili.

Il lancio di nubi di gas asfissianti fu il modo preferito al principio della guerra. Nella prima linea delle trincee venivano portati i cilindri di ferro pieni di cloro liquefatto sotto pressione. Per un fronte di 3 km. furono una volta impiegati dagli alleati 2000 cilindri di cloro. Ognuno era innestato a un tubo di piombo che era spinto il più lontano possibile fuori del parapetto della trincea. Al momento opportuno venivano aperti contemporaneamente tutti i cilindri, dai quali usciva il gas formando una nube.

È facile vedere gl'inconvenienti di questo sistema. Una nube si poteva lanciare soltanto in circostanze atmosferiche favorevoli: p. es. quando la direzione del vento era tale da potere spingere la nube stessa verso le trincee nemiche. Però, se pioveva, l'acqua distruggeva presto la nube. Se il vento era troppo debole, la nube poteva non arrivare fino alle trincee nemiche; se era troppo forte, poteva essere dispersa prima di arrivarci: occorreva un vento di velocità non superiore a 4-5 m. al secondo. Se ad un tratto il vento cambiava direzione, v'era pericolo che la nube tornasse indietro a soffocare chi l'aveva lanciata. Si aggiunga che i preparativi per lanciare una nube aggressiva erano sempre lunghi e faticosi. È facile pensare al grande lavoro occorrente per trasportare in prima linea 2000 cilindri di ferro, pesanti ognuno circa 50 chilogrammi. Era necessario un grande movimento di uomini per i camminamenti, movimento che poteva esser notato dal nemico che non tardava a farne il bersaglio dei suoi tiri. I cilindri di cloro preparati nelle trincee potevano anche essere colpiti da proiettili nemici e spargere il loro contenuto, soffocando così chi voleva lanciarlo. Tutti questi inconvenienti fecero sì che il sistema delle nubi non fosse in realtà molto diffuso. Dopo il loro primo attacco del 22 aprile 1915 i Tedeschi continuarono a fare altri attacchi fino al 1917, anno in cui il sistema delle nubi fu abbandonato. In questo tempo anche gli alleati lanciarono più volte nubi. La natura troppo accidentata del nostro fronte non consentì un largo impiego delle nubi: solo il 29 giugno 1916 gli Austriaci poterono lanciare contro le nostre linee a S. Martino nel Carso una nube di cloro e fosgene, che produsse danni gravissimi ai nostri soldati.

I Francesi adottarono qualche volta anche il sistema delle nubette, piccole nubi emesse da pochi cilindri piccoli e facilmente trasportabili da pochi soldati, quando volevano operare qualche colpo di mano contro un tratto limitato delle trincee nemiche.

Gli aggressivi usati per le nubi dovevano essere gassosi a temperatura ordinaria; quindi si potevano adoperare soltanto il cloro e il fosgene. Per quest'ultimo anzi (che bolle a + 8°) si trovarono difficoltà, perché d'inverno si trasformava difficilmente in gas, e perciò non usciva a formare la nube, quando si apriva il cilindro di ferro in cui era contenuto. Si cercò di rimediare a questo inconveniente usando cilindri pieni di una miscela di cloro e fosgene: così il cloro, gassificandosi, trascinava con sé il fosgene.

Più diffuso fu l'impiego degli aggressivi racchiusi in proiettili, piccoli o grandi, che venivano lanciati a mano (bombe a mano) o con cannoni, con lanciabombe, con proiettori Livens, ecc., oppure lasciati cadere da aeroplani.

Mentre col sistema delle nubi si potevano impiegare soltanto sostanze aggressive gassose, col sistema dei proiettili si potevano lanciare anche sostanze liquide o solide, perché i proiettili contenevano anche una carica di esplosivo che al momento opportuno esplodeva, rompendo il proiettile stesso, mentre il calore dell'esplosione faceva volatilizzare l'aggressivo.

Del resto anche col sistema dei proiettili si potevano produrre nubi: bastava lanciare in breve spazio di tempo numerosi proiettili che esplodessero tutti nel luogo dove si voleva produrre la nube.

In varî modi si faceva la carica dei proiettili. La cavità del proiettile di ferro (eventualmente foderata di piombo o smaltata, quando si usavano sostanze che attaccavano il ferro) veniva generalmente riempita di gas liquefatto o di liquido aggressivo. Questi aggressivi venivano poi chiusi con un diaframma avvitato nell'interno del proiettile, assicurando infine la chiusura perfetta con un mastice a base di ossicloruro di magnesio, mentre la carica di esplosivo (tritolo, acido picrico o esanitro-difenilammina) veniva posta nell'ogiva o in capsule allungate, che penetravano in mezzo al liquido aggressivo. In qualche caso (p. es. quando si volevano lanciare certi lacrimogeni oppure le arsine), si riempiva invece la cavità del proiettile con l'esplosivo, in mezzo al quale si poneva l'aggressivo liquido o solido, chiuso in scatole di piombo saldate, oppure in recipienti di vetro ben chiusi, in modo che l'aggressivo non venisse a contatto diretto con l'esplosivo. La quantità di esplosivo doveva essere diversa per i diversi aggressivi. Nei proiettili contenenti arsine aromatiche, la carica esplosiva doveva essere forte per farle polverizzare bene nell'aria: invece nei proiettili a iprite la carica esplosiva doveva essere appena sufficiente a rompere il proiettile e a spruzzare l'iprite liquida nel terreno circostante.

Classificazione degli aggressivi secondo il loro impiego militare.

Da questo punto di vista gli aggressivi si possono suddividere in due grandi gruppi:

a) Aggressivi fugaci o labili sono quelli (come il cloro, il fosgene, l'acido cianidrico, ecc.) che a causa della forte tensione di vapore che posseggono, si diffondono in breve tempo nell'atmosfera, perdendo presto il grado di concentrazione necessario all'utilità della loro azione.

b) Aggressivi permanenti o persistenti sono quelli (come la iprite) che si volatilizzano difficilmente e restano quindi lungo tempo nell'aria o nel terreno, rendendo inabitabile anche per molti giorni o settimane la zona colpita. Gli aggressivi persistenti devono essere sostanze stabili quanto più è possibile all'azione dell'acqua: altrimenti basterebbe una pioggia o l'umidità dell'aria o del terreno per distruggerli.

Oltre a questi due gruppi, che ci rappresentano i due punti estremi della volatilità degli aggressivi, si fa comunemente anche un terzo gruppo intermedio comprendente gli

c) Aggressivi semi-permanenti o semi-persistenti (come il bromoacetone, la cloropicrina, ecc.), i vapori dei quali rimangono nell'atmosfera per un tempo non breve né troppo lungo.

Alcuni distinguono anche un quarto gruppo, cioè quello degli

d) Aggressivi penetranti, che comprende quelle sostanze solide (come le arsine aromatiche) che, ridotte in polvere sottilissima dallo scoppio della carica esplosiva del proiettile, possono attraversare le maschere esercitando, così ridotte, la loro caratteristica attività.

Gli aggressivi fugaci servivano specialmente per preparare un attacco contro posizioni che si volevano occupare. Poco dopo il lancio dei proiettili, l'aggressivo si era già disperso nell'aria, e si poteva andare all'assalto senza trovar più nell'aria il gas lanciato.

Gli aggressivi persistenti servivano invece per rendere insostenibili certe posizioni verso le quali non si aveva intenzione di andare subito (posti di comando nemici, osservatorî, posti telefonici, camminamenti, ecc.), per impedire che una località fosse occupata dal nemico, o per proteggere le retrovie durante una ritirata.

Questa classificazione, come le precedenti, non ci permette di suddividere gli aggressivi in categorie nettamente distinte, anche perché, secondo le condizioni in cui si opera, si può affrettare o ritardare l'evaporazione e la dispersione dell'aggressivo. Così, p. es., si può aumentare la volatilità del fosgene, come abbiamo detto prima, mescolandolo con cloro, oppure si può ritardare la sua trasformazione in gas, lanciando proiettili pieni di pomice imbevuta di fosgene: questo si può allora liberare dalla pomice a poco a poco (anche in tempo di due ore), funzionando come aggressivo semipersistente. Così si cercò d'impedire la facile diffusibilità dell'acido cianidrico nell'aria, mescolandolo con sostanze che si trasformano in vapori pesanti. La vincennite, usata dai Francesi, era una miscela di acido cianidrico con cloruro di stagno, cloruro di arsenico e cloroformio, i cui vapori pesanti dovevano ritardare la dispersione dell'acido cianidrico nell'atmosfera. Il cloruro d'arsenico e il cloruro stannico in questa miscela avevano anche la funzione di stabilizzanti per l'acido cianidrico (che ha tendenza ad alterarsi) e la funzione di fumigeni, che, per i fumi bianchi che svolgevano a contatto dell'aria, permettevano di vedere da lontano il punto in cui scoppiavano i proiettili stessi, e quindi di regolare i tiri.

Durante la guerra ogni esercito teneva pronti non solo proiettili carichi di esplosivi, ma anche proiettili carichi di aggressivi di diverse specie, secondo gli obiettivi da raggiungere. Per riconoscerli, i diversi proiettili venivano contrassegnati all'esterno con segni verniciati. I Tedeschi nei primi tempi contrassegnarono con la lettera T (T-granaten) i loro proiettili contenenti bromuri aromatici lacrimogeni semi-persistenti e con la lettera K (K-granaten) quelli carichi di aggressivi fugaci. In seguito adottarono croci di diverso cólore. I proiettili a croce verde erano carichi di aggressivi tossici o di asfissianti fugaci (p. es. fosgene); i proiettili a croce gialla erano carichi di aggressivi persistenti (p. es. iprite) e quelli a croce azzurra erano carichi di aggressivi penetranti vomitivi (p. es. arsine). Verso la fine della guerra adottarono anche la doppia croce ╬ verde o gialla. Gli altri eserciti usarono segni analoghi; p. es. nell'esercito italiano si distinguevano i proiettili con fasce verniciate o con lettere in colori differenti (bianco, giallo, blu, nero, ecc.).

In questo modo anche i soldati meno istruiti potevano scegliere senza sbagliare i proiettili che dovevano essere lanciati. In generale nelle posizioni colpite con proiettili a croce azzurra si poteva andare senza maschera poco tempo dopo sparita la nuvola. Nelle posizioni colpite con proiettili a croce verde si poteva andare senza maschera dopo circa 2 ore. Dove erano esplosi proiettili a croce gialla rimaneva il pericolo anche dopo molti giorni.

Da quanto abbiamo detto sopra, prendendo in considerazione le sostanze aggressive da diversi punti di vista, risulta che, per essere impiegata a scopo guerresco, una sostanza deve corrispondere ai seguenti requisiti:

1. deve avere un forte potere aggressivo;

2. deve avere allo stato di vapore un peso specifico superiore a quello dell'aria;

3. deve diffondersi lentamente nell'atmosfera;

4. deve reagire difficilmente con l'umidità dell'aria o del terreno;

5. deve essere di natura chimica tale da essere difficilmente neutralizzata o trattenuta negli apparecchi di difesa antigas;

6. deve essere facile a prepararsi e non troppo costosa;

7. deve essere maneggiabile (riempimento dei proiettili, trasporto, ecc.) senza troppo pericolo.

Delle sostanze aggressive che furono usate in guerra, poche in verità possedevano tutti questi requisiti: l'acido cianidrico, p. es., si diffonde e si disperde troppo rapidamente nell'atmosfera; il fosgene viene troppo facilmente decomposto dall'umidità e neutralizzato dalle sostanze contenute negli apparecchi di difesa; l'iprite produsse più volte ustioni agli operai che la preparavano. Ma, nonostante gl'inconvenienti che l'una o l'altra di queste sostanze presentavano, furono largamente usate e prodotte in quantità enormi. Per dare un'idea della quantità di sostanze aggressive impiegate nella grande guerra, si riferiscono soltanto alcune cifre riguardanti il fosgene: le fabbriche tedesche ne produssero circa 12.000 tonnellate, quelle francesi più di 15.000. L'impianto americano di Edgewood aveva una potenzialità di 40 tonnellate al giorno. ln Italia lo stabilimento di Rumianca ne produceva circa sei tonnellate al giorno.

Se nei primi tempi della guerra le sostanze aggressive esercitarono effetti morali e materiali notevoli sulle truppe impreparate a difendersi, verso la fine della guerra, quando i mezzi di difesa furono perfezionati, non produssero gravi danni. Dalle statistiche americane risulta che dei 270 mila uomini dell'esercito americano posti fuori di combattimento durante la campagna, più di 75.000 subirono l'azione dei gas; ma fra di essi si ebbe soltanto una mortalità del 4%. Se perciò la guerra chimica sollevò al suo inizio tante grida di protesta e fu definita più atroce delle altre forme di combattimento, si deve oggi riconoscere che essa è forse la meno inumana, perché con gli aggressivi è più facile raggiungere lo scopo di allontanare un soldato dalla linea di combattimento senza ucciderlo o mutilarlo (v. trattati internazionali).

Bibl.: C. Moureu, La chimie et la guerre, Parigi 1920; M. Schwarte, Die Technik im Weltkriege, Berlino 1920; A. A. Fries e C. I. West, Chemical Warfare, New York 1921; Lefebure, L'enigme du Rhin, Parigi 1922; N. Pentimalli, La Nazione organizzata, Roma 1922; A. Cossu, L'arma chimica, in Studî sassaresi, II, Sassari 1923; G. Bruni, La chimica nella preparazione e nella difesa nazionale, in Atti del Congresso Nazionale di Chimica Industriale, Milano 1924; M. Levi-Malvano, I gas asfissianti, Roma 1924; V. Flick, La guerra chimica e la sua preparazione, Roma 1924; P. Pascal, Explosifs, Poudres, Gaz de Combat, Parigi 1925; J. Meyer, Der Gaskampf und die chemischen Kampfstoffe, Lipsia 1925; Y. Henderson e H. W. Haggard, Noxious gases, New York 1927; R. Hanslian, Der Chemische Krieg, Berlino 1927; A. Pagniello, L'arma chimica, Torino 1927; id., I grandi pilastri della guerra, Torino 1928.

La sintomatologia dell'avvelenamento da gas asfissianti è varia, non solo in rapporto alla loro concentrazione e alla loro natura, ma anche al tempo durante il quale l'individuo rimane esposto ad essi. In linea generale si può distinguere: a) una sindrome acutissima, fulminante, quando l'individuo colpito in pieno dai vapori asfissianti non riesce a sottrarsi ad essi e muore con i segni dell'asfissia (cianosi, ipotermia, schiuma alla bocca, vomito sanguigno, ecc.); b) una forma acuta, con tosse lacerante, stizzosa, estenuante, espettorazione schiumosa sanguigna, spasmo respiratorio, cianosi, tachipnea, polso celere, piccolo, sudori abbondanti, temperatura elevata; talora obnubilamento del sensorio, cefalea, parola penosa e scandita. Se la crisi viene superata, gl'individui restano per molto tempo abbattuti, anemici, dispeptici, con segni d'irritazione delle vie respiratorie; c) una forma lenta, benigna, con semplice bronchite. Anche le forme a prognosi meno infausta, quali l'acuta e la lenta, possono determinare la morte per il sopravvenire di complicazioni (broncopneumoniti, ascesso polmonare, ecc.) e possono esser causa di alterazioni dell'apparato respiratorio riconoscibili perfino dopo molti anni. Gl'individui che sono stati esposti ai gas asfissianti presentano, cioè, dei disturbi funzionali permanenti (accessi notturni di asma, tosse pertussoide con espettorazione mucosa o muco-purulenta, ecc.) o diventano enfisematosi, o vanno soggetti a bronchiti a ripetizione, a congestioni polmonari recidivanti, ecc. In taluni casi, questi individui dimagriscono, hanno un'abbondante espettorazione mattutina e febbre serotina, presentano rantoli sottocrepitanti agli apici o alle basi polmonari, dispnea, ecc.: un quadro morboso, insomma, che li fa scambiare per tubercolotici. L'esame dell'espettorato, però, è negativo per i bacilli di Koch e col tempo i detti fenomeni si attenuano e scompaiono, residuando solo una sclerosi polmonare. Si è anche discusso se l'intossicazione da gas asfissianti possa predisporre alla tubercolosi. Ricerche cliniche e sperimentali parlano a sfavore di tale ipotesi, e si ritiene piuttosto che i gas asfissianti abbiano, in parecchi casi, riattivato antichi focolai tubercolari.

La terapia contro l'intossicazione prodotta da gas asfissianti è sintomatica: contro gli accidenti immediati, si ricorre ad eccitanti cardiaci, a emetici per favorire l'espettorazione, all'ossigeno per inalazione o per iniezioni sottocutanee (Rathery e Michel), a rivulsioni toraciche, al salasso, ecc. Contro le alterazioni tardive dell'apparato respiratorio, si usano i rimedî delle comuni bronchiti croniche, sclerosi polmonari, ecc.

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