FIAMMA, Galvano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIAMMA (Flamma, de Flama), Galvano

Paolo Tomea

Nacque verosimilmente in Milano, sul cadere dell'anno 1283 come egli stesso riferisce nella Chronica parva (ed. Reichert, p. 102). Si ignorano i nomi e l'attività dei consanguinei più stretti, ma la menzione di alcune sue committenze e le notizie reperibili sui Fiamma fanno credere, in ogni caso, che egli uscisse da un facoltoso gruppo familiare assurto a discreto rango entro le mura della città lombarda.

Quasi tutti gli esponenti della famiglia "de Flama" ricordati in differenti occasioni nella documentazione milanese del XIII secolo e degli inizi del XIV, figurano inoltre impegnati nella pratica notarile.

Una conferma dell'origine non modesta del F., che proveniva con forte probabilità da una famiglia di notai (e non di mercanti come fino a ora si era ritenuto), sembra costituita dal fatto che egli fosse accolto nell'Ordine dei predicatori. È ormai accertato, infatti, che il reclutamento dei domenicani destinati a divenire chierici avveniva di prevalenza tra famiglie benestanti della borghesia e della media nobiltà.

Il giovane F. entrò come novizio nel convento milanese di S. Eustorgio il 27 apr. 1298 (Chronica parva, p. 105). Poiché non vi è motivo di dubitare dell'esattezza di questa data (tanto più che il giorno indicato cadeva di domenica) né di quella da lui fornita per la nascita, è facile che egli, secondo le prescrizioni del capitolo generale del 1265, relative ai postulanti che non avessero ancora compiuto il quindicesimo anno di età, fruisse per l'occasione di una speciale dispensa rilasciata dal padre provinciale, che all'epoca era Bonifacio di Riva d'Asti.

S. Eustorgio era allora sede dell'Inquisizione e di un vivace e affollato studium, dove il F. portò a compimento la maggior parte del curriculum previsto per conseguire il titolo di "lector sacrae theologiae", di cui egli si fregia abitualmente nei suoi scritti. Invece l'ultimo biennio di studi potrebbe essere avvenuto a Genova, dove dal 1304 era stato istituito lo studio generale della nuova provincia domenicana della Lombardia superiore.

Di questo periodo di formazione si sa per altro ben poco. I ricordi del F. sui primi tempi della sua permanenza nel convento toccano avvenimenti esterni dei quali fu testimone oculare. Tuttavia, grazie ai frammenti della Chronica maior, siamo informati dei nomi dei priori sotto i quali il F. trascorse i primi anni della sua esperienza conventuale; essi sono Giuliano Regino, Guido da Cocconato, Benigno da Concorezzo, Tommaso Piacentino, Paolo Marro e Ottone di Porta Cumana, elevato alla carica nel 1305. Di questi, almeno Paolo Marro fu quasi certamente anche suo maestro, giacché, in un documento del 1301, figura come lettore di S. Eustorgio.Abilitato a insegnare nell'Ordine - il che, in ragione delle norme che regolavano la durata del noviziato e del cursus studiorum, non poté avvenire prima del 1308 o del 1309 - il F. fu inviato per qualche tempo a Pavia, presso il convento di S. Tommaso, in cui professò teologia, tenendo tuttavia anche lezioni extraordinariae sulla Fisica di Aristotele agli studenti secolari di medicina. Proprio il soggiorno pavese, se dobbiamo credere al F., sarebbe stato all'origine della sua vocazione storiografica, determinando una svolta decisiva nei suoi interessi. Egli racconta, infatti, che, insofferente delle continue denigrazioni di cui Milano veniva fatta oggetto dai suoi discepoli, che la posponevano per antichità e nobiltà a Pavia, da quel momento, per amore della sua città, si dedicò tutto alla lettura e allo studio delle cronache.

Il 12 febbr. 1313 il F. era di nuovo a Milano e sembra del tutto naturale che, fin dal suo rientro nella città natale, continuasse a esercitare l'insegnamento in S. Eustorgio. Quando nel 1315 il capitolo generale dell'Ordine ebbe sancito che in ogni convento gli studenti seguissero una volta alla settimana lezioni di filosofia morale, il primo a tenere tale insegnamento nella fondazione milanese fu appunto il F., che spiegò l'etica, la politica, l'economia, la retorica di Aristotele e il trattato della sfera di Giovanni di Sacro Bosco. A questo momento dell'affività del F. risale verosimilmente la stesura dell'unica opera filosofica che di lui ci è rimasta: il Tractatus yconomicus.

Ma intanto il contrasto che, nel travagliato quadro politico di quei decenni, oppqneva Giovanni XXII ai Visconti sfociava in guerra aperta facendo sentire le sue conseguenze anche sulla comunità di S. Eustorgio, che, poco dopo, il 15 febbr. 1323, in ottemperanza agli ordini del legato pontificio Bertrand du. Poujet era costretta ad abbandonare Milano, posta sotto interdetto, lasciando solo alcuni conversi a custodia del convento. Si apre a questo punto una lacuna ancor più vistosa del consueto nelle esili maglie documentarie su cui poggia la biografia del F., perché di lui si perde ogni traccia fino al 1330.

È stato ipotizzato che, dopo l'interdetto, il F. fosse trasferito a Genova, a proseguire l'insegnamento nel convento di S. Domenico, ma di un soggiorno genovese non esiste alcun indizio concreto.Non è neanche sicuro che durante questo periodo il F. lasciasse stabilmente Milano o la abbandonasse già dal 1323. Ma, quali che fossero state veramente le vicende del F. in questo lasso di tempo, lo vediamo ricomparire a Bologna il 30 genn. 1330, come indica uno dei documenti del processo tenuto dall'Inquisizione contro i fautori di Ludovico il Bavaro, in cui è menzionato insieme con un altro domenicano, Tommaso da Modena. Non è dato sapere quali ragioni avessero spinto il F. nella città emiliana, né a quando rimontasse e per quanto vi si protraesse la sua presenza; sembra tuttavia potersi escludere che egli abbia professato nel convento di S. Domenico, visto che il suo nome non si ritrova tra quelli dei lettori dello studio domenicano bolognese. È invece certo che almeno dal 1333 il F. era tornato a risiedere a S. Eustorgio.

Da questo momento la biografia del domenicano milanese è scandita quasi unicamente dalle tappe di un'intensa attività storiografica, principiata circa nel 1333 con la Chronica parva, e dai riferimenti al ruolo decisivo che egli avrebbe avuto nel riavvicinare la famiglia dei Visconti all'Ordine dei predicatori e nell'assicurarne il benevolo sostegno a S. Eustorgio.

A tale proposito nella Chronica maior il F. narra che, anche ripristinata la pace con Roma, il rancore dei Visconti contro i domenicani per la parte sostenuta nei reiterati processi per eresia intentati ai signori di Milano negli anni precedenti perdurava così ostinato che nessuno dei frati si azzardava a passare in prossimità delle loro abitazioni. In questa situazione egli si assunse il compito di sanare le antiche ferite, riuscendo così bene nell'intento da essere accolto nella cerchia degli intimi di Azzone e da diventare, in progresso di tempo, confessore tanto di Luchino che del figlio di lui, Buzio. Giovanni Visconti, nominato arcivescovo di Milano nel 1339, scelse il F. come proprio cappellano e "scriba".

Sebbene sia probabile che il F. abbia amplificato l'importanza del suo contributo nella riconciliazione dei Visconti con i domenicani - non tanto deformandone i limiti, quanto piuttosto assolutizzandolo -, la sostanza delle sue affermazioni sembra meritare pieno credito, non foss'altro perché esse si rivolgevano ad ambienti che potevano facilmente misurarne il fondamento. Del resto i rapporti familiari intrattenuti dai Visconti con i familiari del F. e il suo accesso alla biblioteca di Matteo, di cui si trova attestazione nell'elenco degli scritti utilizzati nella redazione della Galvagnana e del Chronicon maius, avvalorano l'ipotesi che la sua persona dovesse essere in qualche misura gradita ad Azzone già alla vigilia del tentativo di riavvicinamento.

Con il 1344, anno fino a cui si spinge la Chronica maior Ordinispraedicatorum, e nel quale sarebbe stato effettivamente portato a termine lo scritto, si perde ogni traccia del F.; sulle circostanze e sul momento preciso della sua morte, forse non molto discosto da tale data, è inutile azzardare ipotesi.

A rinsanguare di qualche ulteriore elemento la scarna documentazione relativa alle vicende del F. si aggiungerà che egli ebbe legami di amicizia o quanto meno di buona conoscenza anche con lo storiografo ghibellino, ammiratore di Livio e di Matteo Visconti, Giovanni da Cermenate, presso il quale afferma appunto di aver consultato l'opera dello storico romano; con Catelolo dei Medici, nipote del cardinale Guglielmo Longhi e membro del clero ordinario milanese, che nel 1325 e nel 1326 si mosse due volte dalla Curia avignonese, dove all'epoca risiedeva, incaricato di una delicata missione diplomatica alla corte di Galeazzo Visconti e con la famiglia Panicarola, custode per consuetudine (e di lì a poco, nel 1351, per sanzione ufficiale) degli statuti di Milano.

Inoltre, per quanto concerne i contatti che il F. ebbe con altri esponenti dell'ambiente scolastico e culturale del suo Ordine, va ricordato quello con Pietro Falacha († 1326), che fu anche priore del convento milanese e definitore della Lombardia superiore, al quale si deve una trascrizione del primo libro del commento di Pietro de Palude alle Sentenze, compiuta a Genova nel 1315, C, soprattutto, l'opera Compendium donorum, della quale si conosce attualmente un esemplare, tradito dal ms. E III 21 della Biblioteca nazionale di Torino. Arduo, invece, determinare con certezza l'identità dei frati domenicani Filippo e Venturino cui il F. indirizzò la Chronica parva Ordinis predicatorum; per il primo si potrebbe forse pensare a Filippo da Ferrara, l'autore del Liber de introductione loquendi o a Filippo da Giussano, che diverrà nel 1334 priore di S. Eustorgio, mentre per il secondo la candidatura più probabile sembra restare, a conti fatti, quella del beato Venturino da Bergamo.

Se il tentativo di fissare entro contorni più definiti e articolati la biografia del F. è frustrato dalla scarsità di notizie, un'analisi puntuale delle sue opere è attualmente pregiudicata da una situazione ecdotica del tutto insoddisfacente, che, parzialmente addebitabile a cause contingenti, ha tuttavia la sua motivazione storica nella cattiva stampa della quale l'autore domenicano ha per lungo tempo sofferto. Degli scritti superstiti del F., uno solo, come si è anticipato, è di carattere filosofico: si tratta del Tractatus yconomicus, un breve compendio, modestamente commentato, degli Oeconomicorum libri. Le evidenti finalità didattiche del testo rendono verosimile che esso possa collocarsi nel periodo in cui, dal 1316, il F. si trovò a spiegare, nel suo insegnamento, l'opera pseudo-aristotelica. Dell'opuscolo, inedito, si conosce oggi soltanto l'esemplare conservato nel ms. γH743 della Biblioteca Estense di Modena (Kaeppeli, 1975, p. 7 n. 1178).

Ben più nutrito il corpus delle opere storiche, nelle quali si possono distinguere due filoni incentrati rispettivamente sulle vicende dell'Ordine domenicano e sulla storia della città di Milano. Al primo gruppo appartengono le cosiddette Chronica parva Ordinis predicatorum e la Chronica maior Ordinis predicatorum. La Chronica parva, edita nel 1897 da B.M. Reichert come Chronica Ordinis praedicatorum ab anno 1170 usque ad 1333 (in Monumenta Ordinis fratrum praedicatorum historica, II, 1, Romae-Stuttgardiae), ha assunto convenzionalmente la qualifica di "parva" dopo che è stata provata l'esistenza dell'altra più ampia e particolareggiata cronaca di argomento analogo. Dello scritto. che sembra composto entro il 1333, dal momento che esso si arresta alla notizia del capitolo provinciale tenuto in quell'anno a Genova, sono conosciuti al momento quattro manoscritti (Kaeppeli, 1975, p. 9 n. 1185).

A dispetto del titolo assegnatole dall'editore, la Chronica parva ha una vera e propria morfologia cronachistica solo nell'ultimo spezzone, dove dal 1222 al 1333 viene schematicamente scandita la storia dell'Ordine con attenzione quasi esclusiva all'avvicendarsi dei suoi superiori e alla celebrazione dei capitoli generali e provinciali. La parte precedente consiste infatti di una Vita di s. Domenico cui la particolareggiata menzione delle disposizioni relative alla disciplina dei frati, fatte approvare nel capitolo generale del 1220, offre il pretesto, poco dopo, per il passaggio a un autentico speculum novitiorum, nel quale il F., con abbondanza di exempla, ricorda dapprima il rigore con cui ci si atteneva in antico alle costituzioni dell'Ordine, per poi illustrare e commentare le norme della Regula s. Augustini circa la vita comune.

La Chronica detta "maior" fu a lungo ritenuta una cosa sola con la Chronica parva, complice il fatto che di essa, ormai da secoli, non sono segnalati esemplari. La nostra conoscenza dell'opera è affidata a cospicui frammenti tramandati tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, dai domenicani G. Borselli, nella Cronica magistrorum generalium Ordinis fratrum predicatorum (il cui autografo, tuttora inedito, si legge nel ms. 1999 della Biblioteca universitaria di Bologna) e Ambrogio Taeggio, sia nella Chronica amplior (Roma, Archivio generale dell'Ordine dei predicatori, mss. XIV 51 e XIV 52) sia nella Chronica brevis (ibid., ms. XIV 53). Grazie alla testimonianza del Taeggio, che descrive il codice della Chronica maior da lui sfruttato - posseduto all'epoca dal convento domenicano di S. Luca a Mantova -, sappiamo anche quali erano gli estremi cronologici dello scritto, che, come la Chronica parva, principiava dal 1170 con la nascita di Domenico, estendendosi tuttavia fino al 1344. L'Odetto, cui va il merito di aver definitivamente provato l'esistenza di due distinte cronache dell'Ordine composte dal F., ha pubblicato la maggior parte degli estratti della Chronica maior contenuti nelle due compilazioni del Taeggio (La Cronaca, 1940, pp. 319-370).

Quanto al contenuto, la precipua differenza della Chronica maior rispetto alla Chronica parva risiede in un'esposizione assai più diffusa degli avvenimenti riguardanti l'Ordine domenicano e nella dovizia di informazioni che essa offre sulla storia, anche materiale, del convento di S. Eustorgio. Mentre però i dati concernenti la comunità milanese appaiono storicamente attendibili nel loro complesso e forniscono in qualche caso notizie preziose, lo stesso non si può sempre dire di quelli relativi agli altri fatti narrati, che devono dunque essere vagliati criticamente di volta in volta.

Il gruppo delle cronache "milanesi" si compone invece di sei scritti:

Chronica Galvagnana, va dalla creazione del mondo al 1337 (?). Pervenuta in sei mss. (Kaeppeli, 1975, p. 8 n. 1180); ne sono stati editi: la parte dal 1230, in una redazione abbreviata, da L.A. Muratori, in Rer. Ital. Script., XVI, Mediolani 1730, coll. 641-714 (negli Annales Mediolanenses); i titoli dei capitoli da L. A. Ferrai, Gli "Annales Mediolanenses", 1890, pp. 297-313; la tavola delle opere di cui è dichiarato l'uso dal Ferrai, Le cronache di G. Fiamma, 1890, pp. 110 s., e dal Grazioli, Di alcune fonti storiche, 1907, pp. 118 s.; i capp. 55-62, 66-68, 102-110, 184-190, 195-203, 235 da Hunecke, Die kirchenpolitischen Exkurse, 1969, pp. 166-197.

Chronica extravagans, suddivisa in ottantadue questiones, delle quali ci sono giunte solo le prime trenta. Pervenuta in un unico ms. (Kaeppeli, 1975, pp. 8 s. n. I 182); è stata edita in modo incompleto e talora scorretto da A. Ceruti, Chronicon extravagans et Chronicon maius auctore Galvaneo Flamma Ord. praedicatorum scriptore Mediolanensi, Torino 1896, nella raccolta di fonti Miscellanea di storia italiana, n. 7, pp. 445-505, e, limitatamente al prologo e alle rubriche, da Novati, Bonvicini de Rippa, De magnalibus urbis, 1898, pp. 177-192.

Chronicon maius (secondo il titolo ormai consolidato), o Chronica maior (se è davvero questa l'opera designata dal F. con tale sintagma), va dalla creazione del mondo al 1342; manca tuttavia la parte compresa tra il 1216 e il 1328, corrispondente ai libri XIV-XVI. Pervenuto in due mss. (Kaeppeli, 1975, p. 8 n. 1181); i primi tredici libri sono stati editi in modo parziale e spesso scorretto da Ceruti, Chronicon, pp. 506-773; i libri XVII e XVIII da L. A. Muratori, in Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, coll. 997-1050, e da C. Castiglioni, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 4, rispettivamente con il titolo di Opusculum de rebus gestis Azonis Vicecomitis e di Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Iohanne Vicecomitibus ... ; la tavola delle opere che il F. afferma di aver utilizzato da Grazioli, Di alcune fonti storiche, 1907, pp. 119 s.; per quanto riguarda gli inserti ecclesiologici, in piccola parte pubblicati nelle edizioni del Ceruti e del Castiglioni, sono stati successivamente dati alle stampe i seguenti capp. (la numerazione è quella del ms. Ambr. 275 inf.): 345-368 da Creytens, Une question, 1945, pp. 119-133; 505 da R. Elze, Die Ordines für die Weihe und Kronung des Kaisers und der Kaiserin, in Monum. Germ. Hist., Fontes iuris Germanici antiqui, XI, Hannoverae 1960; 570-576, 578, 724-730 da Hunecke, Die kirchenpolitischen Exkurse, pp. 198-208.

Politia novella, va dalla fondazione di Milano all'inizio dell'era cristiana. Pervenuta in due mss. (Kaeppeli, 1975, p. 9 n. 1183); inedita tranne che per alcuni frammenti pubblicati da Ceruti, Chronicon, nelle note.

Chronica pontificum Mediolanensium, va da s. Barnaba a s. Ambrogio. Pervenuta in quattro mss. (cfr. Tomea, Tradizione apostolica, 1993, pp. 114-115 n. 127, dal cui elenco si eliminerà, tuttavia, il ms. Braidense AH XI 38); inedita se si eccettuano brevi citazioni e la lettera dedicatoria, pubblicata da E. Cattaneo, Arcivescovi di Milano santi, in Ambrosius, XXXI (1955), pp. 11 s., n. 36, e Id., Cataloghi e biografie dei vescovi di Milano dalle origini al secolo XVI, Milano 1982, p. 24.

Manipulus florum, va dalla fondazione di Milano al 1335 (?). Pervenuto in ventiquattro mss. (a quelli censiti da Kaeppeli, 1975, pp. 7 s. n. 1179, si aggiunga il ms. senza segnatura conservato in Archivio di Stato di Udine, Archivio Torriani, busta 18, fasc. 1, sec. XVI); edito da L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, coll. 537-740 (i capitoli 173-221 dell'edizione muratoriana, con qualche variante tratta dal ms. A 64 Inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, sono stati ripubblicati in G. F. Manipulus florum Cronaca milanese del Trecento, capitoli CLXXIII-CCXXI. Federico Barbarossa e Milano, con traduz. di R. Frigerio, Milano 1993); un'altra traduzione, curata da P. Cicada, Milano 1986; e, limitatamente alla tavola delle opere di cui il F. dichiara l'impiego, da Grazioli, Di alcune fonti storiche, 1907, pp. 120 s. Dell'opera si conoscono anche tre volgarizzamenti, non posteriori al XV secolo (Tomea, Tradizione apostolica, pp. 130 sn. 156).

Si ritiene comunemente - seppure con ogni probabilità a torto, come vedremo - che la prima di tali compilazioni sia la Chronica Galvagnana redatta entro il 1337 o, al più tardi, non oltre gli inizi del 1338.

A ridosso della Chronica Galvagnana va quasi certamente collocata la Chronica extravagans, che, nel prologo medesimo dello scritto, il F. dichiara concepita per disputare alcuni punti della "magna chronica ... de actibus civitatis Mediolani", da lui composta: tutto induce a credere che questa fatica del F. sia da circoscrivere pressappoco al periodo che si estende dalla composizione della Galvagnana alla prima metà del 1339.

Prima del 16 ag. 1339, come dimostra la dedica ad Azzone Visconti, morto appunto in tale data, il F. aveva portato a termine una porzione, probabilmente già consistente, del Chronicon maius, la sua opera più estesa, nella quale la Chronica extravagans è citata in numerose occasioni, a cominciare dall'elenco dei testi utilizzati premesso allo scritto. Tuttavia, mentre il luglio 1339 rimane un termine ante quem sufficientemente sicuro per la composizione della Chronica extravagans, i confini tra questa e il Chronicon maius non sono del tutto nitidi; infatti nella Chronica extravagans, verso la fine della parte superstite, si rinvia per due volte al racconto più diffuso fatto dall'autore in una "Cronica maior"; sarebbe dunque necessario concludere che il F. avesse già redatto un'abbondante sezione del Chronicon maius mentre ancora attendeva alla stesura della Chronica extravagans e che la scrittura delle due opere si sia parzialmente sovrapposta.

Sicuramente successivo all'inizio del Chronicon maius è l'allestimento della Chronica pontificum Mediolanensium, indirizzata, nell'ottobre del 1339, a Giovanni Visconti in occasione della sua elezione episcopale, e della Politia novella, cominciata sotto il governo di Luchino e Giovanni Visconti. Al tempo stesso, la relativa brevità dei due scritti rende tuttavia plausibile che entrambi siano stati anche ultimati anteriormente alla fine del Chronicon maius.

L'opera che pone le difficoltà più severe in ordine alla datazione è però senza dubbio il Manipulus florum. Esso infatti si discosta nettamente dalle altre cronache "milanesi" del F., non solo in particolari innocenti, ma anche su aspetti più sostanziali, come l'elenco delle famiglie milanesi che si schierarono con Federico Barbarossa o il racconto della fondazione della Chiesa di Milano, che sembra qui sottendere concezioni ecclesiologiche assai distanti da quelle manifestate dal F. negli altri scritti. La spiegazione di queste discordanze è che il lavoro sia stato steso in età distinta da quella delle restanti compilazioni di questo gruppo.

Sebbene generalmente si sia voluto scorgere nel Manipulus la più tarda delle cronache consacrate dal F. alla storia della sua città, non mancano, al contrario, indizi che porterebbero a reputarlo quasi una prova giovanile, nella quale, l'autore - secondo il titolo imposto allo scritto - avrebbe raccolto materiali di varia provenienza senza curarsi troppo di intervenire su di essi. Alcune particolarità strutturali infatti potrebbero indurre a credere che la redazione originale dell'opera si arresti al 1335. L'anticipazione del Manipulus a questi anni scioglierebbe l'interrogativo legato a un passo del Chronicon maius (a cura di Ceruti, p. 506), da cui sembra che questo sia il quarto degli scritti dedicati dal F. a Milano.

Un ostacolo a questa collaborazione temporale parrebbe rappresentato da un brano del Manipulus (a cura di Muratori, col. 710) relativo ai figli di Matteo Visconti, nell'elencare i quali il F. dice di Giovanni: "qui fuit archiepiscopus Mediolani", annotazione che evidentemente poteva essere scritta soltanto dopo l'autunno del 1339, quando Giovanni fu eletto a succedere ad Aicardo sulla cattedra ambrosiana. Ma una più attenta analisi consente di rimuovere l'impedimento; infatti il luogo riguardante la discendenza di Matteo, presente nel codice usato dal Muratori e in altri, è del tutto assente da almeno due manoscritti, entrambi del XV. Risulta dunque verosimile che il passo in questione sia un'interpolazione o, più probabilmente, un'aggiunta apportata in un secondo tempo dal F. stesso e che il Manipulus, quanto meno nella sua prima stesura, si possa collocare intorno al 1335 o appena dopo.

Il contenuto di questo scomparto dell'attività storiografica del F., malgrado il numero delle opere che lo compongono, è sostanzialmente monocorde. Esso, infatti, con aperture ora più ora meno accentuate ai grandi avvenimenti della storia universale, trova il suo fulcro reale nelle vicende di Milano, esposte - con l'unica eccezione del Manipulus florum - senza rilevanti differenze tra una cronaca e l'altra, sebbene l'attenzione dell'autore si circoscriva a volte a specifici segmenti cronologici.

Le caratteristiche di ripetitività, unitamente alla propensione ad accogliere elementi fantasiosi e, in qualche occasione, anche a disinvolte manipolazioni dei testi impiegati, provocarono nella seconda metà dell'Ottocento il totale discredito per le opere "milanesi" del Fiamma. Esse subirono, anzi, un'esplicita scomunica dal Novati (Bonvicini de Rippa De magnalibus, 1898, pp. 35, 36 n. 1), che tuttavia, poco tempo dopo, si ravvederà almeno parzialmente, favorendo una nuova edizione del Manipulus florum, per altro mai giunta a termine. Ma la severità di questo verdetto, giustificabile nell'ottica di una storia "di superficie", non appare oggi ulteriormente condivisibile. Le cronache del F., infatti, non soltanto costituiscono le uniche fonti narrative per la conoscenza di determinati momenti della vita di Milano, ma, molto di più, svolgono un'importante ftmzione di cerniera all'interno della storiografia milanese, facendosi da un lato autentico bacino collettore di frammenti di scritti precedenti, spesso dispersi, dall'altro prestando doviziosa materia agli storici successivi.

Mette conto rilevare, infine, che proprio questi scritti del F. - irreperibile per adesso il trattato De clavibus Ecclesie - sono rimasti gli unici depositari delle sue concezioni politicoecclesiologiche, che, consegnate ad appositi excursus (come nella Galvagnana e nel Chronicon maius) o enunciate rapsodicamente, frammiste alla narrazione degli eventi, si inseriscono quasi a commento dell'ordito fattuale connotandolo, pur nei modi asettici della disquisizione dottrinale, di una venatura "pubblicistica".

Il tema, all'epoca scottante, delle origini e della natura del potere pontificio forma il nodo centrale delle riflessioni del F., che, si schiera su posizioni rigidamente teocratiche. Il papa detiene da Dio il dominio sia della sfera spirituale, sia di quella temporale; non diversamente, egli esercita sulla Chiesa un episcopato universale che riduce l'autorità di ogni altro vescovo a semplice potestà vicaria.

Il rigore di questa struttura viene tuttavia mitigato, almeno in piccola parte, dall'evoluzione (se non si tratta di mera disarmonia) che parrebbe verificarsi nel F. circa il modo di conciliare, in sede teorica, la potestas directa in temporalibus, trasmessa da Dio a Pietro e ai suoi successori, con le donazioni che essi ricevettero da numerosi imperatori, a cominciare da Costantino. Non risulta, per altro, che il pensiero ecclesiologico del F. abbia mai trovato qualche diffusione presso i contemporanei.

Oltre che degli scritti passati in rassegna, il F. fu autore di due opere che non sono giunte fino a noi: la Chronica imperatorum e il De clavibus Ecclesie.

Appare incerto, invece, se egli abbia compiuto anche una Summa casuum conscientie, che, in caso affermativo, potrebbe ben collegarsi, in qualità di premessa o di conseguenza, all'incarico affidatogli di confessore di Luchino e Buzio Visconti.

Al contrario non appartengono certamente al F. le Collationes super Lucam, che vanno ascritte a Francesco Galvani, cui egualmente spettano i Sermones de sanctis.

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