PREVIATI, Gaetano

Enciclopedia Italiana (1935)

PREVIATI, Gaetano

Palma Bucarelli

Pittore, nato il 31 agosto 1852 a Ferrara, morto il 21 giugno 1920 a Lavagna. Si iniziò alla pittura nella scuola ferrarese di belle arti, frequentò poi a Firenze senza troppa assiduità lo studio di Amos Cassioli, e da ultimo seguì per tre anni nell'Accademia di Brera a Milano i corsi di Giuseppe Bertini. Ma già la sua prima affermazione, Gli ostaggi di Crema, con i quali nel 1879 vinse il premio di fondazione Canonica, ce lo mostra del tutto estraneo ai modi del maestro e animato da uno spirito d'indipendenza che alla critica di allora sembrò la rivelazione di "un'indole artistica ardita fino all'esagerazione". Tanto meno dopo quel primo successo si accostò alla pittura del Bertini, manierista ad oltranza, che stendeva colori lisci e smaglianti su un disegno pedante e calligrafico, ma continuò con soggetti storici concepiti con una certa teatralità, composti a programma e resi con un obiettivismo tutto esteriore (Il Valentino a Capua, Abelardo ed Eloisa, Torquato Tasso, ecc.). Il decennio 1880-90 segna per il P., abbattuto da una lunga e grave malattia, stretto da difficoltà economiche, sfiduciato dall'indifferenza con la quale erano stati accolti due quadri da lui inviati nel 1883 all'Esposizione nazionale di Roma, un periodo di crisi e di raccoglimento spirituale. Ne uscirono, dopo esperienze e debolezze che facevano oscillare il suo temperamento impressionabilissimo dal Cremona al Morelli e al Michetti, e dopo un ritorno al medievalismo romantico (Paolo e Francesca, Il bacio), prima le Marie ai piedi della croce, in cui comincia a determinarsi quel lucido senso della tragedia cristiana che il P. portava nel proprio cuore, poi la Maternità (1881) che, esposta a Milano nel '94, scatenò una tempesta per la singolarità della tecnica divisionista.

A differenza di tanti altri pittori, specialmente lombardi, del tempo suo, il P. non si era accostato al divisionismo sotto l'impressione della sensazione suscitata in lui dalla visione del vero, ma per la necessità di disporre di una materia lirica capace di conciliare il contrasto immanente fra la natura metafisica dell'immagine e la natura fisica del colore. Per questo, pure valendosi di tinte divise e prevalentemente schiette, egli ne compose gamme dorate, argentee e glauche, disposte con lunghe pennellate filiformi, curve e sinuose, secondo un ritmo che voleva rendere l'aspetto fluttuante e continuo dell'immagine interiore.

Ma nello stesso tempo in quella sua nuova pittura, nella quale il disegno, nonostante ogni sforzo, non riusciva a diventare così intrinseco col colore da costituire con esso un'essenza unica, l'artista esaltava la sua passione per lo studio della luce. Ne aveva già data un'anticipazione col Valentino a Capua, in quel vivido raggio che ricerca e fa palpitare il corpo della donna denudata dagli sgherri, ma le relazioni fra gli oggetti erano in quel quadro materializzate ancora dai contrasti di luce e d'ombra. Presto il P. intese che la sua aspirazione a un'idea immateriale poteva diventare visibile solo a costo di concepire la materia come dinamismo spirituale, di convertirla in una sostanza eterea e vibrante. Nacquero da tale sovrapposizione della sensazione luminosa alla sensazione che potremmo dire materialista, e che fu solo raramente vittoriosa e non sempre esente da effetti monotoni, dipinti come il Notturno e la Leda, nei quali la raffigurazione della luminosità dorata e diffusa, che è il tema del quadro, muove da tracce indefinite che solo a poco a poco vengono accennando e delineando evanescenti fantasmi formali.

Fra le opere principali di questo pittore-poeta che fu sempre in lotta con sé stesso nel tentativo di conciliare l'inconciliabile e che teorizzò in due volumi i principî dell'arte sua (La tecnica della pittura, Torino 1905; I principi scientifici del divisionismo, Torino 1906), oltre le citate, ricordiamo, l'Assunzione, la Madonna dei gigli, il Funerale di una vergine, La danza delle ore, Il Carroccio, la Caduta degli Angeli, le diverse versioni del Re Sole, il Viaggio nell'azzurro, i Re Magi, e, soprattutto, i quattordici dipinti della Via Crucis, di un'invenzione nuova e potente, di un disegno sintetico ed esente dalle gonfiezze che appariscono in altri quadri, di una colorazione intensa e ardente che ne accentua l'impeto tragico.

Bibl.: G. Nicodemi, L'opera religiosa di G. P., Milano s. a.; N. Barbantini, G. P., Milano 1919; U. Ojetti, Ritratti di artisti italiani, II, Milano 1923, p. 25 e segg.; E. Somaré, Storia della pittura italiana dell'Ottocento, Milano 1928, I, pp. 217-27; Thieme-Becker, Künstl.-Lex., XXVII, Lipsia 1933.

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