POLVERELLI, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

POLVERELLI, Gaetano

Enzo Fimiani

POLVERELLI, Gaetano. – Nacque a Visso (Macerata) il 17 novembre 1886 unico figlio di Giovanni Battista, muratore, e di Clotilde Arcangeli.

Compì gli studi a Camerino, senza mai giungere alla laurea in giurisprudenza.

Sposatosi a Piacenza il 6 ottobre 1910 con Aminta Fracchioni, visse a Milano, dove si avviò al giornalismo. Nel 1914 seguì Benito Mussolini nella sua svolta interventista, scrivendo su Il Popolo d’Italia, anche con lo pseudonimo di NAR.

Nel primo dopoguerra si ritagliò spazi importanti. Si trasferì a Roma nel 1919 e fu tra i fondatori del Fascio romano, divenendone consigliere il 26 maggio 1919: da allora avrebbe sperimentato le tensioni del fascismo della capitale. Continuò comunque per alcuni anni a mantenere influenze nelle Marche, provocando però «una situazione insostenibile» all’interno del turbolento Fascio di Camerino (Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 90, ad nomen, 1: nota Ps marzo 1929).

Poteva vantare una certa fiducia da parte di Mussolini, testimoniata in quello stesso 1919: fu capo della redazione di Roma de Il Popolo d’Italia; fu a fianco del futuro ‘duce’ nel suo primo incontro con Gabriele D’Annunzio il 23 giugno; fu incaricato di raccogliere informazioni a Roma sui reali effettivi delle forze dell’ordine dislocate a Milano nel timore di un colpo rivoluzionario socialista; il 9-10 ottobre fu delegato al I Congresso nazionale dei fasci a Firenze e, in novembre, fu autore di una memoria per Mussolini sulla geopolitica internazionale (argomento che fu per lui una passione costante, come attestato dalle carte nei fascicoli personali a lui relativi, conservati dall’Archivio centrale dello Stato), in cui proponeva soluzioni sulla questione fiumana.

Era nel direttorio del Fascio capitolino quando, agli inizi del 1921, Il Popolo d’Italia lanciò un dibattito nazionale sul futuro del fascismo, con articoli utili alle discussioni nelle adunate regionali. Intervenne sulla delicata questione agraria: tra le varie tesi, la sua – esposta il 5 aprile a Bologna nel convegno dei fascisti emiliani – suscitò le maggiori critiche poiché invisa agli agrari. Il 10 aprile scrisse il primo, aggressivo editoriale di un nuovo foglio del Fascio romano, I Vespri; poi entrò nella direzione di Italia Fascista, organo dei fasci laziali; fece pubblico atto di rinuncia (che, ritenuto insincero, gli attirò gli strali caustici di Giuseppe Bottai) alla candidatura nelle elezioni politiche del 15 maggio in rappresentanza dei fascisti romani. Dopo il voto si schierò con Mussolini nelle tensioni dentro il fascismo causate dai rapporti con i nazionalisti, dalla pregiudiziale repubblicana, dalle violenze dei ras locali avversi alla guida nazionale mussoliniana. Inviato del Lazio, il 12-13 luglio prese parte a Milano al consiglio nazionale dei fasci: contrario all’intesa conciliatoria con i socialisti, mutò repentinamente idea e il 3 agosto fu tra i firmatari del ‘patto di pacificazione’. Divenuto segretario dei fasci laziali, il 22 agosto si dimise per solidarietà con Mussolini, che il 19 aveva abbandonato la guida del movimento per le polemiche con i fascismi provinciali seguite al patto. Rientrata la crisi e ricomposta l’influenza del capo, prese la parola il 9 novembre nel III Congresso nazionale fascista che, nel teatro Augusteo a Roma, trasformò il fascismo in partito. Nel 1922, intensificò quantità e violenza verbale dei suoi articoli sul giornale del Partito nazionale fascista (PNF), fino a partecipare alla marcia su Roma (28 ottobre 1922), da lui definita «spirituale» (Il Popolo d’Italia, 16 agosto 1922). Anche nei giorni convulsi e ambigui che condussero al governo Mussolini, Polverelli ebbe un ruolo: al mattino del 29 ottobre, fu lui che telefonò a Milano a Mussolini per comunicargli la decisione del re di conferirgli l’incarico e ai primi di novembre, in cerca di appoggi al fascismo, fece da tramite con la S. Sede.

Nel 1923 continuò l’incalzante attività giornalistica su Il Popolo d’Italia. Riavute le cariche nel fascismo laziale – fu segretario del Fascio di Roma, fiduciario dei fasci del medio Lazio –, in autunno lavorò all’ennesimo compromesso Mussolini-Farinacci, affrontando poi nuove diatribe nel fascismo capitolino.

Con il 1924 iniziò una doppia carriera, sindacale e parlamentare. Organizzatore in gennaio del I Congresso del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, il 6 aprile fu eletto alla Camera nel ‘listone’ fascista. Dal maggio nel comitato di maggioranza del PNF, fu il tramite tra gruppo parlamentare e governo, e fu poi segretario dell’Ufficio II della Camera. Investito dalle polemiche tra gerarchi seguite al rapimento e all’assassinio di Giacomo Matteotti (giugno-agosto 1924), rimase vicino a Mussolini.

Ormai uomo del regime, nel dicembre 1927 Polverelli entrò nel comitato superiore di vigilanza dell’Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR); il 24 marzo 1929, inserito nella lista unica nazionale per il primo plebiscito fascista, fu rieletto deputato (segretario della Commissione per l’esame dei bilanci fino al 1934); fu inoltre presidente della commissione propaganda del Fascio romano nel marzo 1931 e dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti dal 1932.

Dal dicembre 1931 al 1° agosto 1933 toccò uno dei vertici di potere con la nomina alla guida dell’Ufficio stampa del capo del governo.

Polverelli avviò un martellante controllo sui mezzi d’informazione, dando tali e tante direttive per iscritto (e riservate a voce) a direttori e giornalisti, che rapporti di polizia già il 29 gennaio 1932 potevano segnalare: «Le amministrazioni dei giornali sono tutte furibonde contro il nuovo capo dell’Ufficio Stampa» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, b. 165, f. 3). Le sue ‘veline’ divennero proverbiali, specialmente dopo le direttive per la stampa emanate a fine 1932.

Creò una sezione propaganda per dif­fondere all’estero l’opera del fascismo. Giocò una parte in delicate vicende editoriali legate al regime, di censura (è del 1932 l’edizione ‘purgata’ dell’intervista del giornalista tedesco Emil Ludwig al duce) e propaganda (del 1933 è la traduzione del Mein Kampf di Adolf Hitler). Dal febbraio 1932 fu nella commissione superiore per la stampa, organo giurisdizionale dei giornalisti, e dal successivo 20 luglio assunse anche il ruolo di capo Ufficio stampa del ministero degli Esteri, dicastero assunto da Mussolini.

Polverelli fu inoltre nel Consiglio nazionale delle corporazioni (1933); deputato nella Camera del secondo plebiscito (1934); rappresentante dei giornalisti nella corporazione professioni e arti; segretario del Sindacato interprovinciale fascista dei giornalisti di Roma (1938); consigliere nazionale nella nuova e non più elettiva Camera dei fasci e delle corporazioni (dal 23 marzo 1939); collaboratore di varie testate (al Corriere della Sera, come ‘G. Polv.’).

Nonostante gli incarichi accumulati, fin dagli anni Venti si mostrò spesso scontento, convinto di essere sottostimato, avanzando richieste a Mussolini, dando segni di disagio (clamoroso uno scontro con Lando Ferretti nel 1934). Non riuscì, nel 1935, a farsi dare l’ambito brevetto di ‘sansepolcrista’, messo in imbarazzo dal figlio Volfango (nato nel 1911), coinvolto nel 1935-36 in uno scandalo per paternità non riconosciuta e sposatosi poi nel 1937 con altra donna, Luisa Mazzetti, dalla quale avrebbe avuto due figli: Gaetano nel 1938 e Giovanni nel 1940.

In guerra, da tenente dei bersaglieri, guadagnò una medaglia di bronzo sul fronte occidentale. Tornò in breve alla vita civile, con l’agognata nomina (12 gennaio 1941) a sottosegretario alla Cultura popolare, sostituendo fino ad aprile il ministro Alessandro Pavolini partito per il conflitto.

Era una fase bellica difficile: mentre Mussolini esprimeva disappunto per l’opera di propaganda ministeriale, egli scriveva a Pavolini: «l’orchestra è quella che è e noi la suoniamo con gli strumenti che abbiamo» (Archivio centrale dello Stato, Ministero della cultura popolare, b. 75, f. 1: nota 2 marzo 1941).

Il 6 febbraio 1943 toccò l’apice della sua carriera fascista: ministro della Cultura popolare nei mesi terribili fino al 25 luglio, firmò proposte di legge, ebbe udienze quotidiane con Mussolini, sedette nel Direttorio nazionale del PNF e nel Gran consiglio del fascismo, ricominciò la prassi di tenere ‘a rapporto’ i giornalisti, aprì un’inchiesta (19 marzo) su disfattismo e stato d’animo delle masse. Nella cruciale riunione del Gran consiglio tra il 24 e il 25 luglio (convocata peraltro dal duce anche in vista di un ennesimo rimpasto governativo che lo avrebbe silurato), intervenne manifestando fedeltà a Mussolini e votò contro l’ordine del giorno Grandi. Nei giorni successivi tenne però un comportamento ambiguo. Dopo l’8 settembre fu in predicato di rientrare in gioco da ministro delle Comunicazioni nel governo della Repubblica sociale italiana ma, il 23, fu escluso per l’ostilità di Pavolini.

A Roma attraversò nell’anonimato l’autunno tragico del fascismo. Dopo la liberazione della città (4-5 giugno 1944), fu arrestato il 21 giugno; sottoposto alle procedure di epurazione postbellica, il 19 luglio 1946 fu assolto dalla Corte d’Appello di Roma.

Polverelli si mantenne in disparte fino alla morte, avvenuta ad Anzio, il 17 settembre 1960.

Aveva ricevuto tre onorificenze: gran cordone dell’Ordine di San Gregorio Magno (giugno 1932); grande ufficiale dell’Ordine del Nilo (luglio 1933); gran cordone dell’Ordine della corona d’Italia (novembre 1933).

Tra i protagonisti del fascismo fu tra i più bersagliati da ironia e disistima. I fascisti durante e dopo il regime lo appellarono «uomo dalla mentalità ristretta a pochi, rigidi concetti» (Signoretti, 1968, p. 41), «somaro […], fesso pedante […], goffo e lamentevole» (Bottai, 1989, pp. 367, 415), «modestissimo giornalista [di] sottomissione quasi canina […], vero esempio del gregario» (Valori, 2003, pp. 328 s.), di «stupidità disciplinare [...] cronica» (Cesarini, Fogli di diario…, a cura di P. Peli, 2011, p. 6), attribuendo a Mussolini un «giudizio su di lui molto severo» (Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 90, ad nomen, 1: nota di Arnaldo Mussolini 14 febbraio 1928). Da informative al duce emergeva il profilo di un gerarca «tratto dal nulla, o quasi, dal Partito Nazionale Fascista» (nota marzo 1929), «un istrice […] non geniale» (18 dicembre 1931), dotato di «singolare perizia nel distruggere [il] giornalismo italiano» (f. 2: 8 aprile 1942). La storiografia l’ha definito «serioso ed ottuso» (Cannistraro, 1975, p. 127), «sbiadito personaggio» legato «ai tradizionali schemi burocratico-retorici [e] inetto» (De Felice, Corriere della Sera, 6 settembre 1993; Id., 1990, pp. 740, 1361), burocrate di «assai scarsa preparazione culturale» (Monteleone, 2003, p. 82), «di grande rigidezza e pignoleria» (Forno, 2005, p. 115), «grigio» (Bonsaver, 2013, p. 76).

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Categorie annuali, 1920, b. 65, f. Milano; ibid., Divisione polizia politica, b. 165, f. 3; Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 90, ad nomen, f. 1; Partito nazionale fascista, Direttorio nazionale, Segreteria politica, Fascicoli personali di senatori e consiglieri nazionali, b. 24, f. 224 bis; Ministero della Cultura popolare, bb. 4, 49-51, 75, 155; Mostra della rivoluzione fascista, b. 19, f. 112; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, ad vocem; G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1989, ad ind.; P. Cesarini, Fogli di diario 1945-1946, a cura di P. Peli, Colle Val d’Elsa 2011, ad indicem.

R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino 1965; Id. Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, Torino 1966; A. Signoretti, La stampa in camicia nera, Roma 1968, ad ind.; Ph.V. Cannistraro, La fabbrica del consenso: fascismo e mass media, Roma 1975, ad ind.; M. Missori, Gerarchie e statuti del P.N.F.…, Roma 1986, ad vocem; P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma 1986, ad ind.; R. De Felice, Mussolini l’alleato. 1940-1945, I, L’Italia in guerra. 1940-1943, Torino 1990, II, La guerra civile. 1943-1945, Torino 1997, ad indices; F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Venezia 2003, ad ind.; A. Valori, Il fascista che non amava il regime, Roma 2003, pp. 325-330; M. Forno, La stampa del ventennio, Soveria Mannelli 2005, ad ind.; Ministri e giornalisti. La guerra e il Minculpop (1939-43), a cura di N. Tranfaglia, Torino 2005, ad ind.; G. Bonsaver, Mussolini censore, Roma-Bari 2013, ad ind.; A. Staderini, Fascisti a Roma, Roma 2014, ad indicem.

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