ARGENTO, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ARGENTO, Gaetano

Elvira Gencarelli

Nacque il 28 dic. 1661 a Cosenza, da una famiglia proveniente da Rose. In quella città l'A. intraprese gli studi di filosofia, lettere e diritto, in un ambiente intellettuale ancora vivo, che aveva il suo centro nell'Accademia Cosentina. Fra le opere di questo periodo si ricordano, oltre varie esercitazioni di carattere retorico-accademico, le Ragioni del Principe di Avellino e Collegio di Napoli contro il Collegio de' Medici di Salerno (s. n. t., ma sicuramente della fine del '600) e le Ragioni per l'illustre Principe di Santo Buono contro il Regio Fisco, colle quali s'esclude la pretesa devoluzione della Terra d'Agnano (anonime; Napoli 1697). Con la partenza per Napoli, di cui s'ignora la data esatta, ma che non dovette essere posteriore al 1679-80, ebbe inizio un periodo ben altrimenti importante della vita dell'Argento. A Napoli cominciò a fare pratica forense nello. studio del giureconsulto C. Susanna, per passare poi in quello assai più rinomato di S. Biscardi, dove gli fu collega, fino al 1688, G. V. Gravina. A un primo momento di grigiore professionale e di ristrettezze finanziarie successero giorni migliori quando divenne avvocato di Ferdinando Mendoza y Alarcón. E quando, poi, il Biscardi, divenuto fiscale della Regia Camera il 7 ag. 1695, abbandonò la libera professione, l'A., ottenuto il posto e la numerosa e ricca clientela di lui, poté definitivamente consolidare la propria posizione di primo avvocato della città.

Ad una assoluta mancanza di doti oratorie faceva riscontro, in lui, una vasta ed approfondita cultura giuridica, che dalla conoscenza delle dottrine di Cartesio, Spinoza e Gassendi aveva, entro certi limiti, ricevuto un'impronta nuova. Per la prima volta la storia delle istituzioni veniva dall'A. trattata nel quadro più ampio dei rapporti con quelle degli altri paesi italiani e d'oltralpe: la tendenza alla stori cizzazione del diritto, iniziata dal D'Andrea e perfezionata dal Gravina, trovò completamento nell'opera argentiana.

Il suo studio e la sua casa divennero il centro d'incontro e di ritrovo delle maggiori personalità del tempo: in quell'ambiente nacque nel giovane Vico l'idea della prima redazione della Scienza Nuova, cioè il Diritto Universale, e Pietro Giannone, che fece pratica nello studio deld'A. dal 1700 al 1707, preparò la dissertazione storico-giuridica che costituì il nucleo originario dell'Istoria civile.

Dopo la conquista austriaca del Mezzogiorno (1707), l'A. abbandonò la pratica forense per entrare a far parte del Sacro Regio Consiglio. Nomina, questa, che fu sicuramente provocata dal favorevole giudizio dato nei suoi riguardi da Tiberio Carafa, che lo aveva proposto quale membro della commissione di giuristi istituita per elaborare un codice di tutte le leggi del Regno. Il governo austriaco - e per esso l'anticurialista viceré cardinale Grimani - dovette ravvisare in quella robusta tempra di giureconsulto un valido sostegno per l'attacco che si andava sferrando contro la Chiesa romana. Così, egli fu scelto, nel luglio 1708, fra i componenti della nuova Giunta di giurisdizione; nel giugno dell'anno seguente, entrò come avvocato del fisco nella ricostituita Giunta di stato; nel settembre era nominato delegato regio dell'arrendamento dell'olio (uno dei più redditizi della città); nell'ottobre promosso reggente del Collaterale.

Protetto alla corte spagnola, oltre che dal Biscardi, anche da Rocco Stella; stimato dal viceré, l'A. poté sviluppare così un'azione efficace a sostegno della politica di re Carlo. Quando quest'ultimo, per ottenere da Clemente XI il riconoscimento a re di Spagna, emanò, nel febbraio 1708, gli editti di sequestro dei benefici e delle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli, fu l'A. a dirigere l'azione del Grimani nei riguardi della corte romana, che aveva ordinato ai vescovi di scomunicare gli economi regi ed i percettori laici: la "lettera oratoria", con cui il cardinale viceré diffidava tutti i vescovi del Regno dall'ostacolare l'esecuzione degli ordini di Carlo fu sicuramente opera dell'A.; e quando il Grimani, nel settembre 1708, venne colpito dalla scomunica, gli argomenti della sua lettera al pontefice e della protesta al Collegio dei cardinali furono quelli che l'A. svilupperà ed amplierà poi nel De re beneficiaria. Infine, nei lunghi e laboriosi negoziati successivi alla ratifica del concordato fra Carlo d'Asburgo e la S. Sede, l'A. riuscì ad ottenere l'esclusione dei forestieri dal godimento dei benefici ecclesiastici del Regno.

Nel giugno 1709 (con la falsa data del 1708) apparvero a Napoli quelle tre dissertazioni argentiane (De re beneficiaria dissertationes tres, ubi Caroli III Austrii, Hispaniarum regis, edictum, quo fructum capionem in sacerdotiis externorum et vagantium clericorum iubet, tum summo tum optimo iure recte atque ordine factum, demonstratur) che, unite alle cartesiane Considerazioni teologiche e politiche di C. Grimaldi e alle Ragioni del Regno di Napoli nella causa de' suoi benefici del capuista A. Riccardi, furono il contributo più significativo che il ceto intellettuale e forense dei Regno diede alla politica regia.

La pubblicazione delle scritture suscitò una vasta eco polemica: ad esse risposero gli avvocati curialisti Bortone e Majello; e mentre la condanna del S. Uffizio piombava sull'A., sul Grimaldi e sul Riccardi, la Deputazione dei Capitoli e Privilegi dichiarava i due avvocati nemici della patria e ne ordinava lo sfratto dal Regno. Ma l'importanza di quel contributo, e soprattutto delle di ssertazioni argentiane, consiste principabnente, di là da certo argomentare erudito e canonistico, nella nuova e più ampia prospettiva in cui vengono inquadrati i rapporti fra lo Stato e la Chiesa, trasferiti, nella meditazione dei teorici secenteschi, in particolare il Sarpi e i giansenisti francesi, dal piano giuridico al piano storico-politico.

Nel periodo successivo alla morte del cardinal Grimani è ancora l'A. a dare una impronta personale alla politica ecclesiastica napoletana, rappresentando un sostegno per il mite viceré Borromeo, come, di lì a poco, per l'anticurialista conte di Daun. Affrontò e risolse quasi tutte le contese giurisdizionali sorte in quegli anni, che andavano scoprendo nel loro interno motivi più precisamente economici.

Così avvenne per la contesa, sorta nel 1711, con l'arcivescovo di Lecce, F. Pignatelli, sul diritto d'esonero dalle tasse goduto dal clero locale e sugli abusi che derivavano dall'estensione di tale diritto, mediante false donazioni e finzioni giuridiche, anche ai feudatari laici. Gli interessi finanziari connessi al problema, oltre che la questione di principio, spiegano la energica risposta della Curia romana'che giunse, dopo un alternarsi di minacciosi provvedirnenti dall'una e dall'altra parte, a fulmi nare la scomunica contro l'Argento.

Altre innumerevoli contese e beghe minori con l'autorità ecclesiastica (quella riguardante la Confraternita dei ss . Francesco e Matteo; questioni di immunità con l'arcivescovo Pignatelli) costellarono l'attività dell'A. sino al famoso processo dell'acqua Tufania, di cui l'A. ebbe ad occuparsi non solo nella sua veste di delegato della Regia Giurisdizione (si trattò in quel caso ancora di un diritto d'immunità), ma anche in quella di presidente della Giunta dei veleni, istituita alla fine del settembre 1713.

Presidente del Sacro Regio Consiglio dall'aprile 1714, autorevole e ascoltato consigliere, se alla sua fama giovò l'aver egli, insieme con il Caravita, compilato quella consulta del giugno 1714 in cui venne per la prima volta delineato un vasto progetto di riforma (attuato soltanto nel 1730 ) dei metodi e della struttura dell'insegnamento universitario, non giovò certo un'altra iniziativa, presa per incarico di Rocco Stella. Il desiderio di Carlo d'Asburgo, tramutatosi poi in ordine, che fossero inviati a Vienna tutti i codici dei monasteri di Napoli, trovò nell'ossequioso servilismo dell'A. la più puntuale attuazione: dalle biblioteche di S. Domenico Maggiore, dei ss . Apostoli e di S. Giovanni a Carbonara venne sottratto un materiale prezioso - ben novantasette codici fra i quali quelli contenenti le carte del Seripando -restituito all'Italia solo dopo la guerra 1915-18. L'intervento di Roma tramite il nunzio a Napoli G. A. Vicentini rappresentò un notevole intralcio per la scrupolosa opera di saccheggio perseguita dall'Argento. A complicare le cose si aggiunse la questione del Tribunale della Fabbrica di S. Pietro, di cui il Vicentini era commissario generale, questione legata alla riscossione delle rendite dei benefici vacanti, prelevate dallo stesso nunzio nella sua veste di collettore apostolico. L'ordine di sfratto al Vicentini e la chiusura della nunziatura di Napoli lasciarono mano libera all'A. per adempiere l'incarico ricevuto da Vienna e, di più, sequestrate le rendite dei vescovadi e dei benefici vacanti (18 ott. 1718), lo impegnarono nella redazione di ampie e dettagliate relazioni sull'operato dei collettori apostolici e sugli abusi del Tribunale della Fabbrica nel Regno (marzo 1719 e marzo 1720).

Gran parte di tali controversie trovano espressione nelle numerose Consulte dell'Argento. Un catalogo quasi ufficiale di esse è nella Il edizione dell'Archivio della Regia Giurisdizione di B. Chioccarello (1 ediz. Venezia [ma Napoli] 1721, in compendio di A. Rocchi; 2 ediz. Lisbona 1743): divise per materia, riguardano la S. Sede e le materie ecclesiastiche del Regno; un terzo posto a parte occupano le consulte politiche ed economiche. In queste ultime è affrontato e sviluppato un programma di politica ecclesiastica, che ricalca in sostanza le tesi della pubblicistica giurisdizionalistica dell'epoca, fautrice del potenziamento dell'assolutismo nonarchico e dell'accentramento contro le immunità e i diritti ecclesiastici e contro l'anarchia baronale. Con la teoria di una più larga partecipazione popolare all'approvazione delle leggi, l'A. si pone però in una posizione più avanzata dello stesso Caravita, il quale limitava il consenso popolare alla scelta del principe e della dinastia.

Delle numerose raccolte delle Consulte risalenti quasi tutte al sec. XVIII e non tutte criticamente attendibili, le più importanti sono quelle della Biblioteca Nazionale di Napoli, della Società Napoletana di Storia Patria e della Biblioteca Casanatense di Roma. Le allegazioni rimasero manoscritte, tranne la Consulta, e Relazione dell'ill. sig. Duca D. G. A. Presidente del S. R. C. di Napoli ... nelle liti tral Priore, el Regio Tesoriere fu D. Michele Sardani della Real Basilica di S. Niccolò di Bari. Publicata da D. Giovanni Kyurlia Patrizio Barese..., apparsa postuma (Napoli 1784). Il Galati, che la riporta, cita fra le opere pubblicate anche le Ragioni del Regno di Napoli per mezzo delle quali chiaramente si dimostra che le commende, badie e priorati, che la sacra religione di Malta ha nel Regno stesso non si debbano conferire, se non se a, cavalieri religiosi nazionali..., Napoli 1726.

Il viceregno del curialista cardinale Michele Federico d'Althann (agosto 1722-luglio 1728) segnò per l'A. l'inizio di una fase discendente nella vita politica, mentre appaiono i limiti della sua personalità. È comprensibile come il nuovo viccré, nell'adottare una politica di ossequio verso la S. Sede, pur avendo lasciato all'A. la carica di delegato della Regia Giurisdizione, cercasse d'impedirgli di prendere iniziative nel settore politico-ecclesiastico. Ma più discusso dai contemporanei e dopo in sede storiografica è l'orientamento dell'A., che non esitò ad abbandonare l'opera, così attivamente iniziata, di polemica con la S. Sede e di difesa dei diritti dello Stato, per porsi in un atteggiamento di supino consenso di fronte alle disposizioni vicereali e di tacita complicità per le violazioni delle prammatiche del Regno.

Ragioni di opportunismo politico sembrano indubbie: l'A. era pur sempre un esponente di quel ceto forense napoletano, la cui azione fu determinata da fedele ossequio non verso i diritti della monarchia, ma verso la persona del viceré. Da queste non vanno disgiunti altri motivi, inerenti alla sua formazione culturale e alla sua personalità: come disse acutamente, anche se animosamente, Pietro Giannone nella Vita e nell'Epistolario, mancò all'A. una profonda e sentita passione politica, un sicuro orientamento storico. Il che, se da un lato gli impedì di dare impulso ed impronta definitiva alla laicizzazione della cultura e delle istituzioni giuridiche napoletane, dall'altro accentuò l'insanabile contrasto e la profonda incoerenza fra le sue idee e il suo carattere, permeato di una religiosità tanto scrupolosa da rasentare il bigottismo. Da qui il comportamento che egli tenne dopo la pubblicazione (nel marzo 1723) dell'Istoria civile del Giannone. L'opera era stata dall'autore concepita, nel suo nucleo originale, proprio attraverso la lettura delle Consulte dell'Argento. Ma l'A., quando il Giannone venne colpito dalla scomunica, non seppe far altro che consigliargli la fuga a Vienna; non intervenne alle riunioni dei Collaterale, ove avrebbe dovuto prendere apertamente le difese dell'accusato contro il cardinale d'Althann e lasciò così che questi ordinasse l'arresto dello stampatore Niccolò Naso e il sequestro dell'edizione. L'equivocità della posizione dell'A. fu ancora più evidente quando la corte di Vienna diede il suo appoggio al Giannone: per non alienarsi curialisti ed anticurialisti, l'A. indusse l'esule a scrivere una lettera di quasi-ritrattazione, che chiuse le polemiche e facilitò il ritiro della scomunica. Ed altrettanto cauto fu poi più tardi, nel 1728, dopo la pubblicazione delle antigiannoniane Riflessioni del Sanfelice: quasi costretto dal viceré Harrach a prendere una iniziativa contro il gesuita, egli spinse il Consiglio Collaterale ad assumere la posizione più blanda, attirandosi così la disapprovazione imperiale.

Nonostante i limiti di tale atteggiamento, affiorato spesso in altre controversie minori, in questo periodo si devono all'A. alcune efficaci iniziative: l'appoggio alla fondazione del Collegio dei Cinesi a Napoli e l'ancor più importante intervento nelle trattative per la conclusione di un concordato fra il Regno di Napoli e la S. Sede. Ed anche se le trattative non ebbero allora effetto positivo, valida rimase la proposta, avanzata dall'A., di formare un tribunale misto, cui spettasse la competenza nelle questioni giurisdizionali: essa più tardi divenne un capitolo del concordato, concluso fra la S. Sede e Carlo di Borbone. Va, infine, ricordato il peso non trascurabile esercitato dall'A. nella promulgazione della Prammatica Sanzione: nella consulta dell'i i nov. 1722, che l'A. scrisse in quella occasione, era negata ogni dipendenza feudale del Regno di Napoli dalla S. Sede, tesi, questa, tipicamente giannoniana, che verrà ripresa da un altro scrittore giurisdizionalista, C. A. Troyli (nella Istoria generale del Reame di Napoli, IV, Napoli 1751) e più tardi dal Capecelatro e dal Mineo.

L'A. morì a Napoli il 10 giugno 1730.

Bibl.: Numerose nei secc. XVIII e XIX le biografie dell'A., molte delle quali di carattere apologetico: la prima, anonima, fu pubblicata in G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium...., II, Florentiae 1747, pp. 296-300. Solo nel sec. XX appaiono studi criticamente più attendibili: tale quello di V. G. Galati, in Gli scrittori delle Calabrie, I, Firenze 1928, pp. 212-225. D'importanza fondamentale, per inquadrare storicamente la figura e l'opera dell'A., è la biografia curata da F. Nicolini, A. G., in Uomini di spada di chiesa di toga di studio ai tempi di Giambattista Vico, Milano 1942, pp. 200-386: oltre a risolvere in modo definitivo la polemica sul luogo di nascita dell'A. ed altre questioni minori biografico-filologiche, il Nicolini fornisce una ricchissima bibliografia critica che si giova anche dell'apporto prezioso di numerose fonti inedite, fiorentine napoletane e romane, e dell'Epistolario del Giannone.

Più limitati e qua e là scopertamente apologetici invece gli studi di D. Zangari, G. A. e Rose nella Calabria Cosentina, Napoli 1930, e G. A. Reggente e Presidente del Sacro Regio Consiglio (1661-1730), in Riv. critica di cultura calabrese, II(1922), fasc. 3, pp. 262-295; 4, pp. 321-512. Più importante l'analisi condotta da T. Persico, Le dottrine politiche di G. A., in Atti d. Accad. Pontaniana, LII (1922), pp. 68-86, il quale affronta un esame interno delle consulte e delle dissertazioni argentiane. Nulla di sostanzialmente nuovo in L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 13, 22, 25, 61-62, 69, 88, 94, 106, 161. Cfr. inoltre R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del viceregno napoletano (1656-1734), Roma 1961, passim, e B. Vigezzi, Pietro Giannone riformatore e storico, Milano 1961, p. 210.

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