Rossetti, Gabriele

Enciclopedia Dantesca (1970)

Rossetti, Gabriele

Pompeo Giannantonio

Letterato (Vasto, Abruzzo, 1783-Londra 1854). Il padre, Nicola, era fabbro ferraio; la madre, Maria Francesca Pietrocola, era figlia di un calzolaio. Ultimogenito di numerosa famiglia ebbe tre fratelli, fra i quali Domenico, avvocato, poliglotta e poeta, che morì in giovane età a Parma. Fece i primi studi nella città natia sotto la guida del fratello Andrea, canonico di quella chiesa collegiale, segnalandosi tanto per la vivacità dell'ingegno che il marchese di Vasto, Tommaso d'Avalos, l'inviò presso l'università di Napoli, dove egli si laureò.

Le sue prime poesie, raccolte in volume, gli dischiusero la carriera amministrativa di conservatore del museo napoletano sotto il governo murattiano, alle cui fortune legava sempre più il suo nome con opere teatrali e odi. Durante la restaurazione riuscì a mantenere il pubblico impiego, ma le sue idee liberali lo spinsero a far causa comune con i patrioti durante i moti del 1820-21, onde, dopo il loro fallimento, dovette prendere la via dell'esilio, mentre il governo borbonico gli comminava la pena di morte, che non venne mai revocata.

Le tappe del suo esilio furono prima Malta e poi Londra, dove giunse il 7 aprile 1824 e dove visse adattandosi a fare il ‛ maestro itinerante ' d'italiano. Sposò nel 1826 Maria Francesca Lavinia, figlia di Gaetano Polidori, segretario dell'Alfieri e letterato, ed ebbe quattro figli: Maria Francesca, Dante Gabriele, William Michael, Christina Georgina. Dal 1831 fu docente d'italiano presso il King's College. Pur malandato in salute, sperò di ritornare in Italia nel 1848, quando s'instaurarono governi costituzionali nella penisola, ma le sue speranze si spensero con il crollo di quelle illusioni di libertà. Vecchio, cieco e amareggiato morì nel 1854 a Londra e ivi fu seppellito nel cimitero di Highgate.

L'esilio fu l'occasione per gli studi danteschi del R., che, per analogia, amava ricondurre le proprie vicende biografiche a quelle del poeta. Infatti ai primi tempi dell'esilio maltese possono datarsi i suoi interessi per D., che si concretarono nel Comento analitico all'Inferno (Londra 1826-1827). Le sue interpretazioni esegetiche suscitarono polemiche vivaci tra i letterati, e l'ambizioso disegno di un Comento analitico all'intero poema naufragò fra diatribe e oltraggi. Invero il R. si sforzava di ricondurre, con lodevole coerenza storica, D. e la sua opera all'età medievale, ma il suo errore fu che si lasciò troppo invischiare in indagini e discussioni più vicine all'esoterismo e al settarismo che al mondo da cui era venuto fuori D. e la sua opera. Egli, proclamando l'esigenza di un'esegesi imperniata sull'allegoria, riconosceva a questa un valore tanto preminente che parole e figure, lingua e struttura, allusioni e versi, perfino sillabe e locuzioni verbali venivano ad assumere un significato criptografico con conseguente linguaggio gergale per pochi iniziati. La polivalenza verbale l'induceva a rinvenire anfibologie e reconditi significati non solo nella Commedia, ma in tutta la poesia del Due-Trecento, con chiare indicazioni politiche e settarie. E alla realtà politica della sua età egli mirava in tutta questa catena di ragionamenti giungendo, in un'esaltante e fantastica analogia, a ritrovare sé stesso in D. e a proiettare le lotte delle fazioni trecentesche nelle vicende risorgimentali.

Questi concetti, che il R. pose a base del suo Comento, vennero confutati dai suoi detrattori ed egli, in polemica con loro, scrisse, oltre a Sullo spirito antipapale, i volumi Il mistero dell'Amor platonico del Medioevo (Londra 1840, voll. 5); e la Beatrice di D. (ibid. 1842), volendo con tali opere chiarire meglio il suo pensiero e dare alle sue interpretazioni una trattazione sistematica. Ma la sua analisi si andò sempre più colorando di settarismo, di esoterismo, di misteriosofismo, di forzature messianiche e alla fine, come appare dal Comento analitico al ‛ Purgatorio ' (edito a c. di P. Giannantonio, Firenze 1966), di faziosità politica contingente.

Accanto a questi preminenti motivi allegorico-religiosi e politico-settari bisogna porre nell'interpretazione rossettiana anche quello filologico-erudito, in quanto sempre egli esamina e discute con intelligenza e acume le esegesi dei commentatori antichi e moderni, le lezioni dei vari codici, le diverse posizioni critiche, le forme lessicali.

Con il volume Sullo spirito antipapale che produsse la riforma e sulla sua segreta influenza ch'esercitò nella Letteratura d'Europa e specialmente d'Italia, come risulta da molti suoi classici, massime da D., Petrarca, Boccaccio (Londra 1832), il R. vuole dimostrare come uno spirito di opposizione al Papato, colpevole d'intrighi temporali e rigurgitante di vizi, fosse largamente diffuso nella cristianità in età medievale. Un linguaggio criptografico apertamente ostile alla curia romana si può facilmente rinvenire negli scrittori di quel tempo, che vedono nel papa il satana o l'anticristo, in Roma la falsa e rea Babilonia, nella curia la sentina di corruzione e di maneggi ignobili. Ma la violenta reazione della Chiesa indusse i suoi oppositori a essere più cauti e meno aperti, ecco perché essi crearono per i loro adepti un linguaggio segreto, allegorico quindi e anagogico. In questa chiave occorre leggere la Commedia e penetrare nel segreto della sua allegoria e del suo linguaggio anfibologico, che serve al poeta per nascondere quelle idee che apertamente non poteva manifestare, onde sottrarsi alle ire papali e ad altre persecuzioni politiche. D. tendeva con la sua opera a rinnovare la Chiesa e ad affermare l'Impero universale servendosi di quel linguaggio convenzionale che univa, in tutta l'Europa, fra loro, i partigiani della Chiesa rinnovata e dell'Impero, costituendo una specie di società segreta, la cosiddetta ‛ Setta d'Amore '. I suoi proseliti, in gergo amatorio, fingevano di sospirare per una donna che racchiudeva il simbolo dei propri ideali politico-religiosi; in tal modo ebbe origine l'amor platonico, da cui furono conquistati tutti i dotti. La setta ai suoi iniziati insegnava una " mistica favella " per mezzo di un lessico, detto " Grammatica del Gaio Sapere e della Gaia Scienza ", che si fondava su concetti e parole fra di loro in antitesi, e D. nella Vita Nuova prima, nella Commedia poi, si servì di questo arcano linguaggio gergale.

Il mistero dell'amor platonico doveva dare una sistematica trattazione alle sue teorie. Il R., risalendo alle origini, sostiene che i misteri si affermarono e cominciarono ad avere proseliti fra gli Egiziani e i Greci, che crearono riti arcani e cerimoniale religioso, officiato da una ristretta casta sacerdotale, che si differenziava da tutti gli altri sacerdoti e che parlava una lingua compresa solo dai sapienti e dagli adepti. Pontefici e re osteggiavano queste sette sacerdotali e intellettuali, perché esse combattevano le credenze popolari e le superstizioni su cui fondavano il proprio dominio altari e troni; ecco perché i seguaci di tali sette si servirono di un linguaggio segreto e allegorico, conosciuto solo dagl'iniziati ai misteri settari. Le sette medievali, come i manichei, i trovatori, i patarini, derivate da quelle antiche, continuarono a servirsi di riti, linguaggio e simboli misterici. I trovatori, in particolare, cantando d'amore, nascondevano, nell'amore e nella donna, i loro pensieri settari, così come fecero poi in Italia i primi poeti e Federico II. Quest'ultimo, in modo particolare, alterando il gergo erotico promosse un certo più raffinato misticismo, che prese il carattere di un amore più puro, detto " Amor platonico ", che dominò tutta la letteratura medievale e che ebbe seguaci in Italia e all'estero. Anche D. appartenne a questa consorteria misterica e le sue opere sono costruite appunto con gergo settario. A questo mondo bisogna ricondurre le tante sette medievali, che, secondo il R., presero nomi diversi, come flagellanti, catari, bulgari, begardi, barbanzoni, baschi, costerali, enriciani, leonisti, lollardi, albigesi, lombardi, patarini, templari, e altri. Noi però ignoriamo i programmi e il linguaggio di tali consorterie, che svolgevano la loro attività, sempre in modo misterioso e segreto, in Europa e in Asia. Il movimento massonico viene quindi ricollegato a quello settario dal R., che si dilunga poi a spiegare il cambiamento del gergo erotico della Vita Nuova e del Canzoniere in quello drammatico della Commedia da parte di D., che intendeva così sfuggire ai rigori e alle persecuzioni dell'Inquisizione.

Con La Beatrice di D., di cui fu pubblicato nel 1842 solo il primo dei tre ragionamenti già pronti, e il resto, ampliato a nove ragionamenti, postumo, il R. si propose di concludere le sue ventennali ricerche dantesche, cercando d'identificare, in modo definitivo e certo, Beatrice, che, di volta in volta, nella Vita Nuova, nel Convivio e nelle Rime, è stata rispettivamente vista, durante i secoli, dalla critica come donna reale e figurata, come Filosofia, come donna vera o allegorica. La Vita Nuova e il Convivio, a suo dire, sono due parti di una stessa opera; ciò premesso ne consegue che la donna di ambedue i volumi, dei quali il primo è l'enigma e il secondo la soluzione dell'allegorismo dantesco, è unica ed è identificabile con la Filosofia. La Vita Nuova, nell'economia del pensiero dantesco, rappresenta l'iniziazione ai reconditi significati delle sue opere, di cui la Commedia è l'ultima suprema tappa nel lungo arcano itinerario. La donna della Vita Nuova, nonostante le illusorie apparenze e le abili dichiarazioni dell'autore, è la stessa del Convivio e deve, senza equivoci, identificarsi con la filosofia.

Il linguaggio misterioso di D. ha, secondo il R., i suoi precedenti nella scuola platonica, la quale, a sua volta, discende direttamente dai pitagorici. Su questa linea di tradizione bisogna intendere l'allegoria, nella quale confluiscono, come ben disse il Vico, il " falso poetico " e il " vero filosofico ": ecco perché D. è, nello stesso tempo, poeta e filosofo. La filosofia di D. è la platonica, la quale adopera l'amore come mezzo del proprio linguaggio e quindi come fine della propria arte; D. diviene, in tal modo, un seguace della setta dei ‛ Fedeli d'Amore ', ma per non incorrere nei rigori dell'Inquisizione scrisse, come altri della sua età e di quella setta, in una forma sempre più arcana, accessibile solo a pochissimi iniziati. Con largo apparato di citazioni e con ampie sequenze di testimonianze il R., dopo aver dimostrato che la Beatrice della Vita Nuova si deve identificare, così come si fa per il Convivio, con la filosofia, passa a esaminare la Beatrice della Commedia, che va ugualmente intesa come filosofia e non come teologia. Tuttavia D. nel suo poema " travestì la filosofia pitagorica da teologia cattolica " per evitare i rigori dell'Inquisizione: ecco perché si è incorsi sempre nell'inganno d'identificare la Beatrice della Commedia con la teologia. In conclusione la Beatrice della Vita Nuova è una figura allegorica, vale a dire la filosofia, che è la medesima di quella del Convivio e che si risolve in quella della Commedia, intesa generalmente per teologia. Il poema dantesco, essendo l'espressione dell'occultismo medievale, camuffa la filosofia sotto le sembianze della teologia riprendendo tutti i più validi motivi degli antichi misteri iniziatici, che si erano rinvigoriti nel Medioevo e poi sono confluiti nell'occultismo dell'età moderna.

In tal modo si chiude il lungo itinerario degli studi danteschi del R., dai quali egli si riprometteva non la gloria, ma il riconoscimento di aver lavorato con onestà d'intenti e l'accettazione delle sue tesi da parte dei posteri: l'uno, in verità, gli venne solo in parte implicitamente accordato, l'altra gli fu decisamente negata: eppure i suoi studi, come la sua vita, erano stati, senza dubbio, esemplari e dignitosi.

Bibl. -Oltre alla bibl. citata in calce alla voce Rossetti, Dante Gabriele, e particolarmente i volumi della Cary, della Giartosio de Courten, del Waller, v. P. Giannantonio, Bibliografia di G.R. (1806-1958), Firenze 1959; ID., Un opuscolo anonimo e ignorato dei moti costituzionali napoletani del 1820-21 e il suo autore, in " Rassegna Stor. del Risorgimento " XLVI (1959) 417-428; ID., Il carteggio inedito di G. R. e Jacopo Ferretti, in " Filologia e Letteratura " VIII (1962) 287-310; ID., Roma nel " Comento " inedito al " Purgatorio " di G.R., in D. e Roma, Firenze 1965, 225-236; ID., Un poeta al Museo borbonico e un controverso volume su di esso, in " Rendic. Accad. Archeol. Lettere Belle Arti Napoli " n.s., L (1965) 105-117; ID., I commentatori meridionali della D.C., in D. e l'Italia meridionale, Firenze 1966, 389-415; ID., Le esegesi dantesche del Foscolo e del R., in " Convivium " XXII (1969) 552-563; ID., D. e l'Allegorismo, Firenze 1969, 335-415.

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