FRONDA

Enciclopedia Italiana (1932)

FRONDA

Luigi Simeoni

. Questo nome designa nella storia di Francia il periodo di agitazione e di ribellione che sconvolse il regno, e specialmente Parigi dal 1648 al 1653, diretto in apparenza contro le nuove tasse e il primo ministro, Giulio Mazarino, ma in realtà volto a rovesciare l'assolutismo monarchico instaurato dal Richelieu.

Il nomignolo di fronde (fionda), e di frondeurs come contrapposto di Mazarins o partigiani della corte, derivò dal noto gioco dei fanciulli, e dal fatto, pare, che gli arcieri reali non riuscivano a impedire le battaglie che, a colpi di fionda, la ragazzaglia impegnava nelle vie di Parigi; anzi talora dovevano battere in ritirata fra l'ilarità dei borghesi. Durante i torbidi del 1648 la parola frondeur venne metaforicamente a indicare l'opposizione all'autorità regia, che era diffusa in tutte le classi, dai principi del sangue alle pescivendole.

Si sogliono distinguere due fronde: la parlamentare (1648-49) e la principesca (1650-53) così chiamate dalle istituzioni e dalle persone che tennero la preminenza in ciascuna di esse.

1. Fronda parlamentare. - Luigi XIII e il Richelieu si erano recisamente opposti a quel diritto di rimostranza, che il parlamento (ossia la Corte di giustizia) di Parigi pretendeva di esercitare sugli editti regi, riducendolo alla sola funzione originaria di registrarli. Morto il re, la reggente, Anna d'Austria, si giovò dell'opera del parlamento per far cassare le limitazioni stabilite dal re nel suo testamento, con l'imporle di conservare nel Consiglio i quattro ministri già di Richelieu. Così il diritto del parlamento a esaminare gli editti regi era riconosciuto di nuovo e in caso gravissimo. Ma Anna conservò lo stesso i ministri e fra questi, odiatissimo perché straniero, il Mazarino che acquistò sempre maggior autorità sull'animo della reggente. Negli anni 1643-48 i rapporti tra corte e parlamento divennero sempre più aspri, per le difficoltà che esso opponeva alle nuove tasse, rese necessarie dalla guerra e dall'inabile e poco onesta amministrazione, procurandosi così una facile popolarità tra la popolazione esasperata, e palesando l'aspirazione a esercitare un vero controllo sul potere esecutivo. Nel 1648 la creazione nel parlamento di dieci nuovi posti per far denaro e l'abolizione della Paulette (il diritto dei magistrati di trasmettere o vendere la loro carica) che scadeva nell'anno, acuì il conflitto e spinse le quattro corti (di giustizia o parlamento, des Aides, dei conti e il Gran Consiglio) a votare il 12 maggio, malgrado le proteste della reggente, un decreto di unione, cioè l'unione delle corti per discutere dei loro interessi e diritti. L'assemblea plenaria tenuta il 15 giugno nella sala di S. Luigi votò una dichiarazione in due articoli che avrebbe portato una vera rivoluzione nello stato. Nel primo si stabiliva che ogni imposizione di tasse dovesse essere fatta solo per mezzo di editti "debitamente e liberamente" verificati dalle corti, a cui ne spettava anche l'esecuzione, il che faceva passare l'amministrazione delle finanze in parte sotto il parlamento; per il secondo nessun suddito del re poteva essere detenuto ventiquattro ore senza essere consegnato ai suoi giudici (cioè, in principio, l'Habeas Corpus inglese votato nel 1679). Era la fine del governo assoluto, e questa dichiarazione si può considerare come il vero primo atto rivoluzionario della Fronda più delle barricate del 26 agosto, che ne furono solo la conseguenza. La reggente, consigliata dal Mazarino, non osò per il momento reagire, mentre il parlamento accresceva la sua popolarità chiedendo le riduzioni della taglia e l'abolizione degl'intendenti, strumento di assolutismo. Quando la reggente il 31 luglio dichiarò di accettare tutto, purché cessassero le assemblee generali, i giovani magistrati protestarono e il vecchio presidente Broussel, con altri due, Charton e Blancmesnil, affermò solennemente che il miglior modo di servire i principi in certi casi era quello di disobbedirli, frase che ne fece gl'idoli popolari ma li additò alle vendette di Anna d'Austria.

La corte, non rassegnata a lasciar distruggere l'opera di Richelieu, tollerava aspettando una vittoria del Condé sugli Spagnoli che le permettesse, col rialzato prestigio e la disponibilità delle truppe di punire i magistrati riottosi. E il 20 agosto a Lens i tercios spagnoli erano sbaragliati e il giovanetto Luigi XIV esprimeva i sentimenti della madre esclamando: "I signori del parlamento ne saranno ben seccati". Troppo fiduciosa negli effetti della vittoria, la reggente ordinava l'arresto dei tre magistrati sopra ricordati all'uscita dal Te Deum cantato a Notre Dame il 26 agosto, ma solo il Broussel venne arrestato e mandato a Sedan. Il calcolo era sbagliato: sulla popolazione, troppo abituata alla debolezza regia, l'atto ebbe l'effetto di una sferzata. Come sessant'anni prima ai tempi della Lega, la città fu sbarrata da catene, da 1200 barricate, le campane suonarono a stormo, e il maresciallo de La Meilleraie non osò servirsi delle guardie francesi per reprimere il moto. Lo sgomento invase la corte, salvo la regina, che anche il giorno dopo (27) rifiutò con brusche parole a Molé, primo presidente del parlamento recatosi con tutti i colleghi al I. ouvre, il richiamo del Broussel; e solo più tardi lo concesse su impegno di non tener più assemblee generali. Ma l'agitazione popolare si calmò solo il 28; tornato il Broussel, e condottolo ad assistere a un Te Deum rivoluzionario a Notre Dame, si disfecero le barricate. Anna d'Austria ben decisa a riprendere la partita, la notte del 12-13 settembre lasciava Parigi per Rueil, e il parlamento, sapendo prossimo l'arrivo del Condé irritato perché i torbidi di Parigi gli avevano impedito di sfruttarL la vittoria, veniva all'accordo di S. Germano, che proclamava un'amnistia generale, ma con rinuncia alle assemblee plenarie. Intanto il 24 ottobre a Münster veniva firmata la pace con l'Impero, che i disordini degli ultimi cinque anni avevano ritardato.

L'ordine era ristabilito, ma solo in apparenza, poiché le cause del malcontento sussistevano intatte, e la continuazione della guerra con la Spagna manteneva le necessità finanziarie, mentre a eccitare la plebe parigina si faceva innanzi l'aristocrazia principesca che aveva tanto sofferto dalla mano severa di Richelieu.

Il conflitto tra la corte e il parlamento, che si era rimesso dalla paura del Condé, ricominciò con la pretesa d'inquisire sui misfatti commessi dai soldati del principe, che recatosi con Gastone d'Orléans a intimare. in nome della reggente, di cessare dalle assemblee generali che erano state riprese, venne fischiato e insolentito. Ancora una volta Anna d'Austria col giovine re, il Condé, l'Orléans e Mazarino fuggiva, la mattina del 6 gennaio 1649, a S. Germano, e, con un decreto del 7, trasportava il parlamento a Montargis, la Corte dei conti a Orléans, il Gran Consiglio a Mantes; così le assemblee plenarie sarebbero state materialmente impossibili. Le corti però rispondevano dichiarando l'8 gennaio il Mazarino nemico dello stato, colpevole del ratto del re e imponendogli di lasciare entro otto giorni il regno. Si levarono a Parigi dei reggimenti a cui furono preposti dei giovani magistrati; comandante supremo venne nominato il fratello stesso del Condé, il principe di Conti, un giovane di 19 anni, sciocco, fiacco e per giunta gobbo, ma che come principe del sangue pareva legalizzare la rivolta. Era stata la sorella del Condé (Genoveffa di Borbone-Condé duchessa di Longueville) che, per un intrigo amoroso, aveva trascinato il giovane fratello e il marito a questo atto ribelle; a sollevare le masse pensava il duca di Beaufort, un Vendôme (il re dei mercati, caro alla plebe per il suo linguaggio sboccato), mentre il coadiutore dell'arcivescovo di Parigi, Paolo di Gondi, ammutinava il clero, e, per levare a sue spese un reggimento (detto dei Corinzî), vendeva persino i vasi sacri; e peggio, per mezzo della duchessa di Chevreuse (esiliata a Bruxelles), entrava in relazione con l'arciduca Leopoldo, governatore del Belgio spagnolo. I disordini e le violenze che infestarono Parigi, la gelosia verso i principi, convinsero presto il parlamento che bisognava affrettare la pace e il ritorno dell'ordine, specie dopo che il Condé aveva duramente represso a Charenton gli ardori bellicosi delle milizie parigine che avevano voluto tentare una sortita. Quando si presentarono gli inviati dell'arciduca offrendo di trattare col parlamento la pace (il principe di Conti stesso li presentò) esso si diè premura di trasmettere le proposte alla reggente, atto che aprì le vie a trattative di pace a Rueil, in cui ambo le parti, impressionate anche dalla decapitazione di Carlo I d'Inghilterra (9 febbraio 1649), cercarono lealmente un accordo, che venne raggiunto e firmato il 14 marzo con la promessa di un'amnistia. I principi che avevano cercato di opporsi in un primo tempo alla pace, facendo assalire il palazzo del parlamento dalla plebe, e riuscendo a far defezionare il Turenne (che però non fu seguito dall'esercito), si affrettarono a offrire la sottomissione alla corte, chiedendo larghi compensi che Mazarino, per screditarli, rese pubblici. La Fronda parlamentare finiva così con un compromesso per il quale i ribelli ottenevano miglior trattamento dei fedeli della monarchia.

2. Fronda principesca. - Ma nulla era veramente risolto, anche se il re eon la madre era tornato a Parigi il 18 agosto, e Mazarino restava ministro, perché la corte doveva la sua vittoria al Condé, generale d'eccezione, ma uomo privo di equilibrio nella vita privata e che odiava il Mazarino da lui gratificato del titolo di facchino. Il Gondi, che aspirava al cappello cardinalizio e al ministero, d'accordo con la duchessa di Chevreuse tornata per l'amnistia, cercò di far scoppiare la discordia tra Condé e Mazarino, per abbattere questo e sostituirlo. Mazarino, pur sospettando il gioco, cercò di servirsene per liberarsi del Condé, e contando sull'appoggio di questa fazione, indusse la reggente, esasperata dalla prepotenza del Condé, a farlo arrestare il 18 gennaio 1650 insieme al fratello Conti e al cognato Longueville: le lettere regie. che li dicevano colpevoli di lesa maestà, furono registrate nel maggio dal parlamento, mentre i tre arrestati erano per prudenza portati a Le Havre. La vittoria della reggente e del Mazarino pareva completa, mentre invece le opposizioni si riorganizzavano nell'ombra e si alleavano. Gondi, deluso nella promessa del cardinalato, si volge contro il Mazarino, e, per mezzo della principessa palatina Anna di Gonzaga-Nevers, si riconcilia con la fazione dei Condé per abbattere il Mazarino. Il parlamento stesso, sempre fedele ai suoi rancori, si muove: il 6 luglio 1650 reclamava la libertà dei principi, o il loro processo; alcuni mesi dopo, in seguito a una richiesta dei principi stessi di essere giudicati (novembre 1650), esige la consegna degli accusati. Il 1650 era stato consumato in questi intrighi e negli accordi segreti che si manifestarono nel nuovo anno. L'Orléans domanda alla reggente la destituzione del Mazarino, e a lui si associa il parlamento nel reclamare (4 febbraio) di nuovo i principi, mentre Gastone d'Orléans chiama all'armi la milizia di Parigi e fa occupare le porte; il parlamento, fatto ora sicuro (7 febbraio), decreta l'espulsione del ministro e la liberazione dei principi.

Il Mazarino, atterrito dallo scatenarsi di questi intrighi a suo danno, il 6 febbraio aveva lasciato travestito Parigi, e subito un decreto del Consiglio di reggenza gli ordinava di lasciare la Francia. Ma la popolazione di Parigi teme che la reggente voglia raggiungere il suo preteso amante e rapire un'altra volta il re: una folla in armi, chiamata dallo stesso Orléans, circonda il palazzo reale e nella notte (9-10 febbraio 1651) supera la resistenza delle guardie, e penetra sino alla camera ove dorme il giovane re per accertarsi della sua presenza. Ma questa folla, ancora piena di sentimento monarchico, s'intenerisce davanti al bel giovanetto che dorme, e cerca di non disturbarne i sonni, e rimane affascinata dalle cortesie della regina. La sorveglianza però attorno al palazzo reale non cessò se nsn quando Mazarino fu veramente uscito dal regno, ritirandosi presso Colonia; prima egli aveva personalmente liberati i principi, non tanto per conciliarseli, quanto per affrettarne gli attriti inevitabili con gli altri suoi nemici. Il 15 febbraio il Condé rientrava a Parigi fra le feste di quella popolazione che due anni prima l'aveva maledetto; egli e l'Orléans patlano ora da padroni e la corte sembra scomparsa. Ma appunto questa sospensione del governo regolare scatena una quantità di pretese e di rancori: il clero si mette contro il parlamento che parla di escludere tutti gli ecclesiastici dagli uffici pubblici perché prestavano giuramento a un sovrano straniero, il papa. La nobiltà pretende di avere una assemblea propria come quella che ha il clero, e la tiene col consenso dell'Orléans e ad essa accorrono migliaia di signori della provincia, che d'accordo col clero, reclamano la convocazione degli Stati Generali, e la reggente li indice per l'8 novembre, mentre nel regno si scatena l'agitazione solita per le elezioni. L'opera di Richelieu pareva proprio sepolta, ma cominciavano invece ad agire le forze di resistenza. Il parlamento sia per gelosia di vedersi sorpassato e trascurato, sia per un alto senso politico e giuridico, vivo specialmente nel suo primo presidente Matteo Molé, s'adopera a impedire questa conquista dello stato da parte dei privilegiati, che suscita del resto dimostrazioni ostili del popolo al grido di abbasso i nobili. Anna d'Austria chiama il Molé nel Consiglio come guardasigilli; così le due fronde già alleate cominciano a separarsi. Più gravi sono gli attriti fra i caporioni dell'aristocrazia, fra il Condé e il Gondi. Il principe, che diceva di esser minacciato da sicarî del Gondi, e mal visto dal parlamento, preferì ritirarsi da Parigi a Saint-Maur, per raccogliere un esercito a lui devoto e tagliare con la spada tutti gl'intrighi in cui egli spesso si sentiva giocato. Il parlamento, Gondi, e lo stesso Gastone d'Orléans sarebbero stati pronti a unirsi del tutto alla reggente se non avessero temuto il ritorno del Mazarino con cui si sapeva che la regina era ancora in segreta relazione, e per questo il parlamento chiedeva l'allontanamento dei vecchi ministri, che, diceva, tenevano commercio con l'esiliato. Anna finse di cedere per averne l'appoggio contro il Condé, a carico del quale presentò il 17 agosto 1651 un atto di accusa che preludeva a un processo per alto tradimento. Il principe audacemente si presentò e il 21 nell'udienza vi fu una specie di battaglia tra il Gondi e il Condé e i loro numerosi partigiani. La reggente, fatta sicura da queste lotte delle fazioni, il 7 settembre in un lit de justice faceva proclamare maggiorenne, appena compiti i 13 anni, il figlio, per rendere più libera la sua azione, togliendole ogni limitazione creata dalla reggenza e dai partecipanti a essa. Ma il Condé non volle sottomettersi e si recò a Bordeaux ove si era in vera rivolta. Un decreto'regio, subito registrato dal parlamento, dichiarò ribelli i Condé e a Parigi si era tutti pronti a sostenere l'esercito regio che si dirigeva a Bordeaux, quando la notizia che il Mazarino era rientrato in Francia il 25 dicembre con un piccolo esercito e si dirigeva a Poitiers, dove erano il re e la regina, fece risorgere gli antichi rancori e timori; il parlamento metteva sulla testa del Mazarino una taglia di 50.000 scudi, e Gastone d'Orléans, spinto dal Gondi, furioso per il ritorno del cardinale, riassumeva il titolo di luogotenente generale, perduto per la maggiorità del re, e si metteva in rapporti con il Condé; l'affrettato ritorno del Mazarino era causa della nuova alleanza delle due fronde e di un altro anno di guerra civile. A Bordeaux intanto il Condé aveva firmato un trattato con la Spagna il 6 novembre 1651, e fatta entrare nella Gironda la flotta spagnola; di più cercava di far insorgere gli ugonotti e di mettersi in relazione col Cromwell, e di formarsi, in parte con Spagnoli, un esercito. Quando seppe della nuova sedizione di Parigi, credette giunta l'ora di ritornarvi; e raggiunse a sud della Loira, il 1° aprile 1652, l'esercito ribelle che vi si era formato, davanti al quale l'esercito regio comandato dal Turenne, tornato al dovere, si affrettò a ritirarsi non senza subire una dura lezione a Bléneau. Il Condé, invece di distruggere l'esercito avversario, si affrettò con pochi compagni a Parigi, credendo di vedere tutta la città ai suoi piedi. Invece fu accolto freddamente dall'Orléans e specie dal parlamento, che desiderava ormai la pace, con la sola condizione dell'allontanamento del Mazarino, di cui si temevano le vendette. Ma la plebe, eccitata dagli agenti del Condé, è furiosa contro questa aspirazione alla pace e serve così ai disegni sediziosi del principe, e minaccia di massacrare i magistrati che vogliono invitare il re a tornare a Parigi. Intanto l'esercito regio si era avvicinato a Parigi e il principe con le sue truppe che erano arrivate e si erano accampate nei sobborghi tentò di sorprenderlo il 2 luglio, ma invece furono i soldati del Condé a essere sorpresi e sbaragliati dal Turenne presso il sobborgo Saint-Antoine e schiacciati contro la città e la fortezza della Bastiglia, le cui porte erano chiuse. La sconfitta sarebbe stata completa, senza l'intervento della figlia di Gastone d'Orléans M.lle de Montpensier, che strappò a lui e al governatore della città l'ordine di far aprire la porta Saint-Antoine; e anzi fece cannoneggiare dalla fortezza le truppe regie che, sorprese, arrestarono l'avanzata. I soldati del Condé si salvarono in città; fra essi vi erano parecchie bandiere spagnole, con grande scandalo e dolore dei cittadini. Ma il principe traditore anziché cedere di fronte a questa impopolarità vi rispose con un atto di violenza e, poiché il 4 luglio per invito del parlamento doveva riunirsi all'Hôtel de Ville un'assemblea di notabili per deliberare sull'accordo col re e il suo ritorno, cercò di strappare all'assemblea la conferma della luogotenenza all'Orléans sino all'allontanamento del Mazarino, e per sé il comando di tutte le forze militari. I due principi vi si recarono, ma non ottennero nulla, e allora, appena essi furono usciti, il palazzo invaso dai soldati del Condé travestiti, in parte incendiato e, quando gli fu oppositori furono scappati, si riuscì a far votare l'atto di unione tra la città e i principi. Nella battaglia tra i difensori del palazzo e gl'invasori parecchi deputati furono uccisi, il palazzo venne saccheggiato e in parte bruciato: il fuoco, durò sino alle 9 del mattino seguente. Con questi mezzi si era stabilito al posto delle vecchie autorità, obbligate a dimettersi, un nuovo governo rivoluzionario, con a capo un nuovo prevosto, il vecchio Broussel, mentre governatore militare di Parigi era nominato il Beaufort, e comandante supremo il Condé. Ma era stata una vittoria di Pirro, perché l'atto di forza del 4 luglio aveva allontanato dalla Fronda quasi tutta la città che, stanca di violenze e di privazioni, reclamava solo la pace e il re. Quando il governo regio pubblicò una dichiarzione che trasferiva il parlamento a Pontoise, quasi tutti i magistrati, e primo il Molé, fuggendo travestiti vi si recarono. In quel momento il Mazarino abilmente si allontanò dalla corte recandosi a Sedan, per togliere ogni pretesto a quanti erano desiderosi di sottomettersi. Allora fu una corsa al perdono: la corte non aveva abbastanza orecchie per ascoltare tutti i pentiti, dice M.lle d'Orléans; il parlamento, la città supplicano il re di tornare: il Condé, che sente la città perduta, se ne va il 13 ottobre; il 21 Luigi XIV, il re quattordicenne, fa l'ingresso col suo esercito, avendo solo promesso un'amnistia, ma non generale. Essa infatti eseludeva suo zio Gastone e gli altri principi e undici magistrati, mentre la casa di Condé restava sotto l'accusa di alto tradimento; al parlamento era vietato di occuparsi di affari di stato: "tutta l'autorità ci appartiene, diceva il re; noi la teniamo da Dio solo, senza che nessuna persona, di qualunque condizione sia, possa pretendervi: gli ufficiali del parlamento non hanno altro potere che quello che noi ci siamo degnati di affidar loro per rendere giustizia". Così la questione da cui era cominciata la Fronda era risolta nella maniera più assoluta a favore della monarchia. L'ordine si ristabiliva senza sforzo; i più compromessi o si erano allontanati, o si tenevano in disparte: Mazarino tornava il 3 febbraio 1653 accolto con entusiasmo da quella città che aveva posto una taglia sulla sua testa. Urgeva riparare le grandi rovine che la Fronda aveva causato con le rivolte all'interno (Bordeaux ove si era rifugiato il Condé fu ripresa solo nell'agosto del 1653), e col far perdere i frutti della lunga guerra con la Spagna: la Catalogna con Barcellona, Casale Monferrato e la cooperazione del duca di Modena costretto alla pace, quasi tutti gli acquisti delle Fiandre, come Dunkerque, Gravelines, Mardick, e altre piazzeforti verso Lorena, che il Condé aveva ceduto agli Spagnoli fuggendo. Mazarino negli ultimi sei anni di guerra non potrà che solo in parte ridare alla Francia tutto ciò che la Fronda le ha fatto perdere. Essa fu poi la causa del rigido assolutismo inaugurato da Luigi XIV, e che la nazione dopo tante delusioni e rovine considerava come la sua maggior sicurezza. La Fronda era in fondo un grande intrigo di classi privilegiate, che volevano distruggere a loro profitto la disciplina stabilita dal Richelieu; la massa della nazione non partecipava a questo moto se non con l'insofferenza delle tasse troppo pesanti e ingiuste, non già con un'idea. In ciò sta la differenza fra questo moto e la rivoluzione del 1789 che, pur ostacolata, seppe trovare la sua via. Nel 1648 invece era sentimento veramente generale e diffuso che solo il re poteva assicurare l'unione della nazione e con essa la sua salvezza: questo sentimento paralizzò tutti i malumori e gl'intrighi e salvò la monarchia.

Notevoli in questo dramma sono le figure dei principali attori, molti dei quali ci hanno lasciato le loro interessanti memorie: ed è sintomo significativo del sentimento pubblico e specie dei privilegiati, che siano due stranieri, Anna d'Austria e Mazarino, a salvare la monarchia e insieme la posizione europea della Francia, che principi del sangue, magistrati e generali erano pronti a tradire per i loro privati interessi e rancori: e il popolo finì con l'accorgersi che solo quei due stranieri, l'odiata spagnola e il facchino italiano, servivano veramente la causa della Francia.

Bibl.: Oltre alle storie generali di Francia, e agli studî sui personaggi che ebbero parte nella Fronda, Mazarino, Condé, ecc. (v.), sono da ricordare come opere specifiche: Sainte-Aulaire, Histoire de la Fronde, Parigi 1860, voll. 2; E. Cheruel, Histoire de France pendant la minorité de Louis XIV e Histoire de France sous le ministère de Mazarin, Parigi 1879-83, voll. 7; L. Madelin, La Fronde, 2ª ed., Parigi 1931. Fonti specifiche sono Les Lettres de Mazarin pubblicate da Cheruel e Avenel in 8 voll., 1876 segg., oltre alle memorie del presidente Molé, di Omer Talon procuratore generale, della duchessa di Montpensier figlia di Gastone d'Orléans, di Gondi card. di Retz, del duca di La Rochefoucauld amante e ispiratore della duchessa di Longueville, Le Journal des guerres civiles di Dubuisson-Aubenay, Parigi 1883-85, voll. 2, ecc. Inoltre studî sulla Fronda nelle provincie: L. Audiat, La Réforme et la Fronde en Bourbonnais, Moulins 1867; id., La Fr. en Saintonge, La Rochelle 1866; Bouchard, La Fr. en Bourbonnais, Moulins 1865; A. Debidour, La Fr. Angevine, Parigi 1877; P. Gaffarel, La Fr. en Provence, in Revue hist., 1876; P. de Lacroix, La Fr. en Angoumois, Parigi 1863; A.-M. Laisné, Les agitations de la Fr. en Normandie, Avranches 1863; H. Salomon, La Fr. en Bretagne, Parigi 1889 (estr. dalla Rev. hist.); A. Feillet, La misère au temps de la Fr., Parigi 1862.

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