DELLA SCALA, Fregnano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA SCALA, Fregnano (Fregnanino)

Antonio Menniti Ippolito

Figlio illegittimo di Cangrande (II), nacque con ogni probabilità a Verona nel quinto decennio del sec. XIV: era infatti ancora minorenne sul finire del 1359, come appare dal testamento dettato dal padre il 24 novembre di quello stesso anno, meno di un mese prima della tragica morte del dominus di Verona. Sua madre apparteneva forse alla famiglia Pittati, le cui case si trovavano presso la chiesa di S. Eufemia in Verona.

Cangrande non ebbe figli maschi dalla consorte Elisabetta di Baviera, da lui sposata il 22nov. 1350. Secondo il Carli, ed altri studiosi di storia veronese, dalla stessa donna che gli aveva dato il D. Cangrande avrebbe avuto altri due maschi: Tebaldo, forse ancora vivente nel 1382; e Guglielmo, morto il 18 apr. 1404. È certo, ad ogni modo, che da lei ebbe anche due figlie: Troiana e Cagnola Beatrice, delle quali si sa che erano ancora in vita nel 1359.

Secondo il Cogo, la prima notizia sul D. fornita dalle fonti a noi note sarebbe quella relativa ad una sua partecipazione, al soldo di Venezia, alla campagna dalmata del 1352-53 contro il re d'Ungheria. Ciò non sembra verosimile.

Già si è detto, infatti, che nel testamento dettato dal padre poco prima della sua tragica morte il D. viene indicato più volte come ancora minorenne. E in quel medesimo documento, del resto, sono nominati anche i tutori del D., Reguccio Pegolotti e lo stesso factor del signore di Verona, Iacopo a Leone. Il Fregnano Della Scala, che nel 1352-53 militò in Dalmazia al servizio della Repubblica di S. Marco, fu pertanto non il D., ma con, ogni probabilità un suo omonimo zio, figlio illegittimo di Mastino (II) e fratellastro di Cangrande (II).

Le uniche informazioni in nostro possesso sul periodo dell'infanzia e della giovinezza del D. sono solo quelle riconducibili ai provvedimenti che Cangrande prese nell'ultima fase della sua vita allo scopo di tutelare insieme con l'incolumità anche i diritti ereditari e la sicurezza economica della sua discendenza maschile nel caso di una sua morte prematura. Nel 1355 il D. ricevette, insieme con i fratelli, dai rappresentanti dei milites e dei cittadini veronesi, il giuramento di fedeltà; tale giuramento fu nuovamente prestato nelle sue mani ed in quelle dei suoi fratelli nel 1359. Nel 1356 uno dei fratelli del D., Guglielmo, fu creato canonico della cattedrale di Verona; nel 1358 fu l'altro fratello, Tebaldo, a ricevere la medesima dignità.

Nel 1355, secondo il cronista Paride da Cerea, lo stesso Cangrande (II) avrebbe imposto una contribuzione straordinaria di soldi 4 per "campo" ai suoi sudditi, allo scopo di costituire un fondo da depositare a Venezia in favore dei suoi figli illegittimi e da utilizzare nel caso in cui fosse morto senza lasciare una discendenza legittima. Di questa imposizione fiscale straordinaria non ci sono pervenute testimonianze documentarie: ne parla l'anonimo continuatore del Chronicon Veronense, che scriveva all'epoca di Cansignorio. Sono però documentati sia un primo deposito di 80.000 ducati d'oro in favore del D. e di Tebaldo, effettuato a Venezia da rappresentanti di Cangrande nel 1356; sia successivi incrementi di tale somma, in data 2, 4 e 27 maggio 1359. Secondo il testamento di Cangrande, dettato - come si e visto - il 24 nov. 1359, tale deposito, che era stato confermato il 14 luglio 1358 ed il 30 apr. 1359, ammontava da ultimo a 110.000 ducati d'oro, che erano stati affidati alla custodia dei Procuratori di S.Marco, più 81.643 ducati, affidati agli ufficiali del Fondaco del frumento e delle biade del Comune veneziano. Sempre secondo il testamento, queste somme, fino a quando il D. e Tebaldo non avessero raggiunto l'età legale, dovevano essere, amministrate dai tutori dei due giovani, Reguccio Pegolotti ed il factor Iacopo a Leone. Al terzo figlio, Guglielmo, Cangrande lasciava 60.000 ducati, che il signore di Verona aveva depositato nel castello di Peschiera. Nel caso poi che Cangrande avesse avuto dal matrimonio figli o nipoti, il D. avrebbe dovuto dividere con i fratelli, in parti uguali, altri 40.000 ducati. Nel suo testamento, infine, Cangrande raccomandava ai fratelli Cansignorio e Paolo Alboino di provvedere, finché fosse stato necessario, ai bisogni del D., di Tebaldo e di Guglielmo.

Questi provvedimenti e, da ultimo, il giuramento che - come scrive il continuatore del Chronicon Veronense - Cangrande fece prestare dagli stipendiarii nelle mani del D., di Tebaldo e di Guglielmo, rinfocolarono ed acuirono i sospetti ed i timori che il fratello secondogenito di Cangrande, Cansignorio, nutriva da tempo nei confronti di quest'ultimo. Anche nel timore di perdere o di vedere fortemente limitato - a causa del D. e dei di lui fratelli, unici maschi eredi diretti del signore di Verona - il potere che già deteneva è da vedere una delle ragioni che indussero Cansignorio ad assassinare con le sue mani il fratello (14 dic. 1359).

Anche per il tempo successivo alla morte del padre la documentazione a noi nota relativa al D. rimane scarsa. Difficile è, ad esempio, sapere che cosa gli accadde subito dopo quel tragico 14 dic. 1359. Non possediamo notizie al riguardo, ma solo voci raccolte dai cronisti coevi ed ipotesi avanzate dagli studiosi, voci ed ipotesi che si possono ridurre a queste quattro: il D. sarebbe stato incarcerato e custodito sinoalla morte, insieme con i fratelli, nel castello di Peschiera (Marzagaia); il D., con la madre e i fratelli, sarebbe fuggito da Verona subito dopo l'assassinio di Cangrande, cercando asilo a Venezia, dove si sarebbe definitivamente stabilito, vivendo grazie alle rendite del menzionato deposito di danaro (Saraina); il D. e Tebaldo sarebbero stati incarcerati ed uccisi (Carli e Litta); il D. sarebbe riuscito a scampare all'arresto, imprigionati sarebbero stati, invece, Tebaldo e Guglielmo (Cogo).

Una detenzione del D., dopo l'assassinio del padre, appare probabile, visto che nel 1385, nel corso di una causa celebrata a Venezia per stabilire l'identità di una persona, che affermava di essere Fregnano di Cangrande II Della Scala, vi fu chi, sulla base di testimonianze degne di fede, depose che il vero D. era morto in carcere insieme col fratello Tebaldo. Non vi è dubbio, tuttavia, che la persona, di cui era stata revocata in dubbio l'identità col D., fosse effettivamente il D., e che la questione fosse stata sollevata per interesse economico e come mezzo di pressione politica da chi deteneva di fatto il controllo del denaro depositato a suo tempo da Cangrande (II). Lo prova, da un lato, l'offerta che il governo della Repubblica di S. Marco, allora in cerca di alleati per la guerra imminente, fece nel 1372 a Cansignorio, di consegnargli il cospicuo capitale depositato daldefunto signore di Verona. Lo conferma, d'altro canto, l'attività svolta dalla Quarantia criminale veneziana nel 1382 e nel 1384 nel perseguire i responsabili di due distinti attentati compiuti contro una persona, che le fonti indicano col nome di Fregnano Della Scala. Dai documenti riguardanti questi fatti si può tra l'altro dedurre che il D. aveva effettivamente finito col fissare la sua residenza appunto a Venezia.

Il 13 maggio 1382 venne celebrato a Venezia un processo contro un Reguccio da Verona (che non è Reguccio Pegolotti, già tutore del D.), la moglie Agnese, un Luchino da Parma ed un Bonacossa da Venezia, accusati di aver attentato alla vita del D.: solo Reguccio venne condannato a morte, come responsabile del fatto, mentre gli altri vennero rilasciati. Nel dispositivo della sentenza nulla si dice circa le motivazioni che stavano a monte del gesto criminale.

Un paio di anni dopo, nella notte del 13 apr. 1384, una dozzina di ignoti armati, dopo aver aperto una breccia nel muro dell'abitazione del D., tentarono di penetrarvi con lo scopo di ucciderlo: non riuscirono nel loro intento, perché un casigliano li vide e lanciò l'allarme, mettendoli in fuga. Le autorità veneziane promisero 500 lire a chi avesse svelato i nomi dei responsabili dell'attentato; promisero inoltre la stessa somma di denaro e l'impunità per chi, implicato nell'episodio, avesse fatto i nomi dei suoi complici.

Non possediamo elementi che ci permettano di definire il significato e la portata di questi due attentati, o di provare l'esistenza di una correlazione qualsiasi tra di essi. Si trattò forse di colpi di mano ispirati dall'ultimo signore di Verona, Antonio Della Scala, nell'intento di entrare in possesso del lascito di Cangrande (II), eliminando uno degli eredi; forse di altre macchinazioni promosse da persone e per motivazioni a noi ignote.

Il 23 sett. 1385 venne risolta finalmente, dinnanzi ai giudici del Procurator, a Venezia, la causa promossa contro il "sedicente" D.: fu deciso infatti che a quest'ultimo spettasse una rendita di 1.500 ducati d'oro all'anno, a partire dal 1º settembre di quel medesimo anno; e che, dopo la sua morte, una rendita di 1.000 ducati all'anno spettasse ai suoi figli legittimi (dei quali per altro non si hanno ulteriori notizie).

Il D. morì, quasi certamente, a Venezia, ignoriamo esattamente quando, ma ad ogni modo prima del 1391: in un documento veneziano, che porta la data di quell'anno, viene infatti ricordato Guglielmo, "fratri condam Ser Fregnani de la Scalla".

Fonti e Bibl.: Parisius de Cereta, Chronicon Veronense..., in L. A. Muratori, Rerum Ital. Script., VIII, Mediolani 1728, col. 655; P. Azario, Chronicon de gestis principum Vicecomitum..., ibid., XVI,ibid. 1730, col. 172; Ilibri commemoriali della Repubblica di Venezia, Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1876-78, II, pp. 282, 300; III, pp. 174, 247, M. Marzagaia, De gestis modernis..., in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, p. 198; T. Saraina, Le historie e fatti de' Veronesi, Verona 1649, p. 49; L. Moscardo, Historia di Verona, Verona 1668, p. 234; G. B. Verci, Storia della marca trivigiana e veronese, Venezia 1789, XIII, pp. 266, 271; XIV, p. 159; A. Carli, Istoria della città di Verona sino all'anno MDXVII, Verona 1796, IV, pp. 239, 247; G. Cogo, F. D. bastardo di Cangrande II, in Atti dell'Accademia... di Udine, s. 3, III (1895-96), pp. 1-9; E. Rossini, Verona dalla morte di Cangrande alla fuga di Antonio Della Scala, in Verona e il suo territorio, III, 1, Verona 1975, pp. 700, 740 s.; Gli Scaligeri. 1277-1387, a cura di G. M. Varanini, Verona 1988, ad Ind.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Scaligeri di Verona, tav. IV.

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