ZURBARÁN, Francisco

Enciclopedia Italiana (1937)

ZURBARÁN, Francisco

Elias TORNIO y MONZO

Pittore, nato a Fuente de Cantos, nell'Estremadura meridionale, il 7 novembre 1598. Fu educato e visse quasi sempre a Siviglia; l'ultima notizia che si ha della sua vita è che fu a Madrid dal 1658 al 1664, ma si ignora la data della sua morte. Da giovane dipinse a Llerena, e dopo, probabilmente, neí luoghi dov'ebbe gl'incarichi più importanti, come Jerez, Guadalupe e Cordova; andò a Madrid una prima volta nel 1633. In questa occasione ebbe il titolo, ch'era solamente onorario, di "pittore del re". Forse allora lo chiamò Velázquez per fargli studiare e dipingere i nudi, che non sapeva fare, e anche gli atteggiamenti di movimento. Fu suo, in parte, il lavoro della serie delle Fatiche d'Ercole nella sala del Buen Retiro. "Pittore insigne" fu proclamato nel 1629 dinnanzi alla municipalità di Siviglia. Ma i suoi grandi e costanti mecenati furono i frati, in particolare i mercedarî (1628-1630), i francescani (1629), i domenicani (1631) i certosini di Siviglia, ma soprattutto i certosini di Jerez (1638-1639) e i gerolamini di Guadalupe (1639) che gli diedero i maggiori incarichi. Delle due istituzioni della Spagna del sec. XVII, strapotenti in quella monarchia qualificata a buon diritto come "democrazia fratesca", Velázquez fu il pittore di palazzo e il suo camerata e amico Zurbarán (secolare e due volte ammogliato) il pittore per eccellenza dei conventi.

Scarse sono le notizie intorno alla sua vita, e solo se ne possono ricavare altre, o congetturarle, dalle sue opere firmate e datate, che non sono molte, ma sono le più significative.

Nato in campagna, gli fu dalla sua modesta famiglia trovato un maestro a Siviglia nella persona dello sconosciuto "pittore d' immagini sacre" P. Díaz de Villanueva, forse uno dei copisti dei quadri di Morales già defunto da vari anni. Il Morales (la prima moglie di Zurbarán aveva questo cognome) era stato un manierista del secolo XVI, lontanamente leonardesco, ma pieno di profonda sensibilità religiosa, per la quale aveva acquistato grande popolarità ed era stato chiamato "il divino". Nello studio di Villanueva saranno state policromate le statue di legno, sculture meravigliose dell'arte spagnola pura di quell'epoca. Le due cose, ossia la divozione sincera e la coloritura brillante, oltre alla monumentalità, furono appunto per molti anni le note somme dell'arte del Z., e gli ottennero subito una popolarità enorme, poiché destava nel suo pubblico l'ammirazione per uno stile nuovo, personalissimo, straordinariamente caratteristico ed essenzialmente coloristico e pittorico. Nella storia dell'arte il suo è uno dei casi più notevoli d'isolamento personale fecondissimo, con pregi anacronistici e anche con molte qualità di "primitivo", molte di "modernità"; talvolta lo si potrebbe credere il Piero della Francesca, talaltra il Cézanne del sec. XVII (nella natura morta ciò è evidente). La critica moderna senza esitazione, al di sopra di Murillo, lo proclama quarto dopo la grande triade dei pittori spagnoli: il Greco, Velázquez, Goya.

Il Velázquez, suo coetaneo (minore di sette mesi) ma molto più precoce di lui, quando erano ambedue apprendisti a Siviglia, sebbene in studî diversi, lo indusse alla libertà artistica, gli diede l'orientamento verso il colore e verso il ritratto, ossia verso il "naturalismo". Fu il Velázquez che gli seppe ottenere il favore del re, e che in certo modo fu anche il suo maestro.

Nel 1616 l'artista diciottenne, e ancora nel secondo dei tre anni del contratto d'apprendista, firmava il quadro dell'Immacolata (collezione López Cepero), d'ispirazione personale nuovissima e felice, ma per contro d'esecuzione molto manchevole benché promettente. Scaduto il contratto egli tornò nella regione nativa e risiedette a Llerena. Un'altra opera firmata nel 1620, Cristo flagellato e un domenicano inginocchiato, presenta già precisa la nota del tenebrismo caravaggesco. Nel 1624 alcuni Apostoli (Lisbona) mostrano il passaggio al grande insieme dei nove suoi quadri per l'altare di S. Pietro nella cattedrale di Siviglia, in cui le note di grandezza sono accompagnate con l'influenza del Roelas, pittore tintorettesco ma d'impronta molto personale, che quell'anno appunto moriva a Siviglia. Di questo stesso tempo sono altri suoi quadri, come il S. Pietro penitente, che si direbbero dipinti dal Velázquez giovane e ci dànno la prova della fraternità, anche estetica, dei due amici chiamati a destini ben diversi. Alcune commissioni dei mercedarî calzati e dei domenicani di S. Paolo richiamarono l'artista a Siviglia. Quivi i pittori locali, pieni di sospetti e d'invidia, volevano esigere da lui gli esami corporativi, ma il municipio (1629) ne lo esentò con espressioni laudative, tanto più che il sivigliano Velázquez aveva abbandonato la propria città per dimorare alla corte di Madrid.

Lasciando le ombre nere e i fondi oscuri dei "tenebrosi", lo Z. si adoperò subito, con pazienza infinita, a ottenere le ombre di ogni colore precisamente nel colore stesso. Campo d'esercizio furono per lui le stoffe monastiche bianche, nere, brune, grigie, ecc., meravigliosamente tradotte a colori, quantunque in pieghe esageratamente grosse, perché senza dubbio faceva tali esercizî a grandezza naturale su manichini non grandi. Poi si diede a dipingere, nelle stoffe delle figure degli angeli e della gran serie di sante vergini, tutti i colori più gai, più vivaci, più svariati e più luminosi, pur tuttavia trattati come nei suoi piatti di mele e nelle sue maioliche, ossia quasi alla Cézanne. È propria della sua tecnica l'arte singolarissima di accentuare l'annientamento graduale di certe tinte anche le più luminose, nelle masse dell'ombra; nello stesso tempo egli è, ma in modo diverso da J. Vermeer di Delft, il re dei colori.

Dipingeva le sue figure, sempre ritratti - fuorché la Vergine e Gesù nelle nubi di apparizioni celesti, che ricordano il tintorettismo di Roelas - con tecnica anche più felice e con pieno successo ritrattistico sulle orme di Ribera, ma in rapporto all'ambiente totale benché in questo restasse molto lontano dal Velázquez dell'ultimo stile. Il suo comporre, punto convenzionale, non è sempre artistico. Tuttavia non solo nelle figure isolate, ma anche nelle composizioni complicate, e sempre senza affannosa ricerca del movimento, ha una monumentalità virtuale meravigliosa, suggestiva. Vi è nei suoi dipinti un'elevazione e una dignità del senso morale, un'accentuazione sempre fortunata del carattere personale d'ogni testa e l'intuizione psicologica della santità, totalmente soggiogata dall'ideale ascetico, interamente abbandonata in Dio. Fu un pittore immacolatamente religioso, un impressionante narratore delle leggende agiografiche della vita claustrale.

Le opere del Z., quelle del suo carattere personale, riempiono tutti gli anni dal 1630, o prima, al 1650, o dopo. Le più notevoli sono le pitture della Certosa di Jerez (19 nel Museo di Cadice, 4 a Grenoble, 1 a Poznán, 1 a New York) e quelle della Sacrestia di Guadalupe, ancora intatte, in 11 grandi quadri, impareggiabili nel loro insieme decorativo (quelle firmate di queste due serie sono del 1638 e 1639); l'Apoteosi di S. Tommaso d'Aquino (1631) che domina nel museo di Siviglia, ricchissimo anche di altri lavori del Z. assai notevoli; la serie di S. Bonaventura, anteriore al quadro precedente (5 quadri del 1629 ripartiti tra i musei di Parigi, Dresda, Berlino e Palazzo Bianco di Genova); le due decine di Sante Vergini (1640-1650) vestite con ornamenti capricciosi multicolori e sparse oggi per tutto il mondo. Non bisogna poi dimenticare i ritratti, come quelli del conte di Torrepalma fanciullo, vestito da generale (Berlino), e di un giovane principe, forse l'infante D. Fernando (1633), in abbigliamento di dottore in utroque (Boston), ecc. Un caso singolare presentano nel museo di Siviglia il S. Gregorio e il S. Girolamo di una serie di santi padri latini (certamente del 1631), dai quali Velázquez, passando per quella città nel 1649, ebbe, per il giuoco meraviglioso di rossi contrapposti solo ai bianchi altrettanto luminosi, la spinta per l'incomparabile Innocenzo X del palazzo Doria di Roma (1650).

Un caso raro, non di decadenza, ma di apostasia artistica e di abdicazione personale, è quello del Z. negli ultimi dieci anni della sua vita, quando sentì di esser passato di moda e in certo modo espulso da Siviglia a causa del cambiamento di gusto determinato dall'affermarsi di un'arte nuova: quella del giovane Murillo (ed anche di Herrera il Giovane, di Valdés Real, ecc.). L'artista si diede allora ai toni chiari, al ricercato, al morbido e alle finezze, tutte cose contrarie al suo carattere virile e alla sua grandiosità di arcaico. Nessuna memoria biografica ce lo dice, ma le sue firme del 1653, 1659 (ripetute), 1661 (anche ripetute) ci dànno un Z. che non è più lui, e più vicino a Murillo che al suo antico rivale Alonso Cano. Tuttavia sono opere capitali, se non per la modernità pittorica, per la storia dell'arte, il suo S. Francesco d'Assisi (Monaco, Beruete, ecc.) e il suo canto del cigno, l'Immacolata di Budapest (1636), di nuovo così fanciulla, così unica, d'ispirazione sì felice con le braccia aperte, creazione non meno devota, non meno ispirata del suo San Susone di Siviglia (circa 1636) o del suo Padre Salmeron favorito da Cristo di Guadalupe (1639), pagine eccezionali nell'arte cattolica dei secoli moderni. Il suo testamento di pittore è il suo autoritratto, da vecchio, con la tavolozza e i pennelli in mano, posto, come un Nicodemo o un San Luca, ai piedi di uno dei suoi Crocifissi più imponenti (1636).

Bibl.: A. Palomino de Castro y Velasco, Vida del Z., in Museo Pictórico, III, Madrid 1724; P. de Madrazo, Catalogo descriptivo e histórico... del Museo del Prado, Madrid 1872; Díaz de Valle, coetaneo, in Sánchez Cantón, Fuentes literarias para la historia del arte espanol, III, ivi 1935.

Monografie: di Viniegra, Catál. de la Exposic. Z., Madrid 1905; di J. Cascales (ivi 1911); di H. Kehrer (Monaco 1918); di P. Lafond (Ribera e Z., Parigi s. a.).

Tra i libri di carattere generale sulla pittura spagnola: A. L. Mayer, Die Sevillaner Malerschule, Lipsia 1911, pp. 147-160; id., Die Malerei in Spanien, Berlino 1923, pp. 267-84 (trad. spagnola, 1928); V. von Loga, Die Malerei in Spanien, ivi 1923; H. Kehrer, Spanische Kunst von Greco bis Goya, Monaco 1926, Lafuente, La pintura española del siglo XVII, Madrid 1935 (nell'ediz. spagnola della Propyläen Kunstgeschichte); Ch. Blanc, L'École espagnole (coll. Les peintres de toutes les écoles), Parigi s. a.

Inoltre: K. Justi, in Jahrb. d. preuss. Kunsts., IV (1883), p. 152; E. Tormo, El Monasterio de Guadalupe y los cuadros de Z., Madrid 1906; Amoros, in Boletín de la Sociedad esp. de excursiones, 1927; H. Kehrer, Neues über F. de Z., in Zeitschr. f. bild. K., n. s., XXXI (1920), pp. 248-51; A. L. Mayer, in The Burl. Mag., XLI (1922), p. 42; XLIV (1924), p. 212; XLIX (1926), p. 55; id., in Zeitschr. f. bild. Kunst, LXI (1927-28), pagine 289-92; (Sánchez Cantón), El retrato de un hijo ilegítimo de Felipe IV pintado por Z., in Arch. esp. de arte y arqueol., IV (1928), p. 160; Malitzkaya, Z. in the Moscow Museum of fine Arts, in The Burl. Mag., LVII (1930), pp. 16-21; R. Fry, ibid., LXII (1933), p. 253; F. Pompey, Le sentiment religieux et la personnalité de Z., in Revue de l'art, LXIV (1933), pp. 117-28, 167-82.