TIBERI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TIBERI, Francesco

David Armando

– Nacque a Contigliano, in Sabina, il 4 gennaio 1773, secondogenito di Antonio e di Teresa Orsini.

La famiglia paterna, di recente nobiltà, fu ascritta dopo il 1795 al patriziato di Rieti, della Sabina e di San Marino; il fratello maggiore, Bernardino, e il cadetto Tiberio militarono come ufficiali rispettivamente nell’esercito pontificio e in quello austriaco.

A otto anni Tiberi entrò nel collegio Calasanzio di Roma, tenuto dai padri delle scuole pie, dove compì l’intero ciclo d’istruzione fino alla filosofia e alla teologia. Dal 1790 proseguì gli studi di diritto all’archiginnasio della Sapienza; dopo avere praticato come aiutante di studio presso l’avvocato Bernardino Ridolfi e poi presso Nicola Riganti, luogotenente del tribunale dell’Auditor Camerae e futuro cardinale, conseguì la laurea in utroque jure il 17 marzo 1785 e lo stesso giorno ricevette la tonsura. Nel maggio successivo entrò in prelatura come referendario della Segnatura di grazia e di quella di giustizia e poche settimane dopo fu nominato da Pio VI consultore della congregazione per le Indulgenze e sacre reliquie.

In seguito al ritorno a Roma del nuovo pontefice Pio VII, al termine della breve esperienza della prima Repubblica Romana, Tiberi ricevette il 30 novembre 1800 la carica di ponente della congregazione del buon governo cui si aggiunse, agli inizi del 1801, quella di votante di Segnatura di giustizia. Divenne inoltre canonico e, dal novembre del 1806, suddiacono della basilica di S. Maria Maggiore

Caduto per la seconda volta lo Stato pontificio nel 1809, Tiberi rifiutò di prestare il giuramento imposto dal governo napoleonico e fu deportato prima a Piacenza, poi in Corsica, a Bastia, dove fu fra gli ecclesiastici romani arrestati il 9 novembre 1812, sottoposti al giudizio di una commissione militare e imbarcati per Capraia. Rientrato a Roma nel 1814, alla caduta dell’Impero, riprese l’impiego di votante in Segnatura cui si aggiunse la carica di protonotario apostolico non partecipante.

Tornate le Marche e la Romagna sotto il dominio temporale della Chiesa in seguito al Congresso di Vienna, Tiberi fu incaricato di ristabilire l’amministrazione pontificia nella delegazione di Macerata, Loreto e Camerino. Insediatosi il 26 luglio 1815 a Macerata, l’11 agosto pubblicò un editto in cui minacciava pene severe ai bestemmiatori e agli oppositori del governo pontificio.

Il carattere intransigente e accentratore del suo governo suscitò vasti malcontenti e fu criticato anche da un convinto conservatore come Monaldo Leopardi, che in polemica con lui si dimise il 28 ottobre dalla carica di consigliere della delegazione, ma già in una lettera a Ercole Consalvi del 26 agosto ne aveva lamentato l’inesperienza, il misoneismo e l’eccessivo rigore nei confronti degli impiegati e dei sostenitori del passato governo, che lo avevano spinto a destituire gran parte degli ufficiali e degli amministratori locali «sostituendovi uomini nuovi ed inabili» (Leopardi, 1883, p. 249) e ad abolire lo stato civile per ripristinare i registri parrocchiali.

Il governo di Tiberi nelle Marche fu di breve durata: sostituito già agli inizi del 1816 da Tommaso Riario Sforza, il 9 marzo fu promosso uditore del tribunale della Sacra Rota; assunse le funzioni il 16 dicembre, divenne inoltre consultore della congregazione dei Riti e nel giugno del 1823 subentrò a Giovanni Battista Bussi come reggente della Sacra Penitenzieria apostolica. Nell’ambito del processo di revisione delle riforme consalviane che seguì all’elezione, il 28 settembre 1823, di Leone XII, entrò a fare parte il 9 dicembre della commissione di giuristi, presieduta dal cardinale Fabrizio Turriozzi, che elaborò il nuovo codice civile, poi promulgato il 5 ottobre 1824.

Tiberi era ormai prossimo al grado di decano degli uditori di Rota quando la sua carriera, fino a quel momento tutta interna agli uffici romani di Curia, subì una brusca svolta in seguito al rientro in Italia del nunzio a Madrid Giacomo Giustiniani, promosso al cardinalato nel pieno della crisi diplomatica seguita alla decisione della S. Sede di provvedere alla nomina di alcuni vescovi in America Latina, che la corte spagnola considerava un riconoscimento delle Repubbliche sorte in seguito alle rivoluzioni del 1821 nelle sue ex colonie. Sebbene non avesse mai rivestito incarichi diplomatici, nel maggio del 1826 Tiberi fu inserito al primo posto nella quaterna proposta dalla segreteria di Stato alla corte di Spagna e ottenne il gradimento di Ferdinando VII. Essendo ancora suddiacono, prima di ricevere la nomina ufficiale ricevette gli ordini maggiori, fu nominato arcivescovo titolare di Atene nel concistoro del 2 ottobre 1826 e consacrato il 27 dicembre dal cardinale Francesco Saverio Castiglioni, futuro Pio VIII. Partì da Roma l’8 maggio, ma una volta entrato in Spagna il protrarsi delle tensioni fra la monarchia e la S. Sede lo costrinse a riattraversare la frontiera francese stabilendosi a Bayonne, e solo agli inizi di ottobre poté entrare a Madrid e presentare le sue credenziali.

Più che dalla questione dei vescovi americani, la nunziatura di Tiberi fu però segnata dalla crisi dinastica e politica culminata con la ratifica da parte di Ferdinando VII, il 19 marzo 1830, della prammatica sanzione emanata nel 1789 da Carlo IV. In un primo tempo Tiberi disapprovò il provvedimento, che modificava le norme successorie della Corona spagnola abrogando la legge salica, e che in seguito alla nascita, il 10 ottobre, dell’infanta Isabella comportò l’esclusione dalla successione del fratello del re, don Carlos. Mantenne tuttavia un atteggiamento prudente che lo spinse ad avvicinarsi al ministro di Giustizia Francisco Tadeo Calomarde, in contrasto con il deciso schieramento a favore di don Carlos del settore più reazionario della Chiesa spagnola, capeggiato dall’arcivescovo di Léon Joaquín Abarca e dal generale dei francescani Cirilo Alameda, nonché dell’influente ministro degli Esteri di Sardegna Clemente Solaro della Margherita. Quest’ultimo nella sua corrispondenza non mancò di porre in cattiva luce il nunzio presso la corte sabauda e la segreteria di Stato pontificia, sottolineandone l’inesperienza, e giunse ad affermare, in un dispaccio dell’11 gennaio 1828 al ministro degli Esteri di Sardegna, che fosse «un vero danno per la S. Sede l’essersi scelto questo monsignore» (Jemolo, 1941-1942, p. 125).

Fu malvista dagli ambienti reazionari, che spingevano per il ristabilimento dell’Inquisizione spagnola soppressa nel 1820, anche l’azione di Tiberi in favore del progetto, promosso da Giustiniani e sostenuto da Calomarde, di trasferire al tribunale della Nunziatura la giurisdizione d’appello nei reati di fede, già spettante al S. Uffizio. Alla fine del 1829 il nunzio riuscì a ottenere da Pio VIII un breve che sanciva il passaggio di competenze e in virtù di questo, che fu il suo maggiore successo diplomatico, il re lo insignì della gran croce di Carlo III.

I contrasti con il gruppo carlista sembravano dover contribuire a una rapida conclusione della nunziatura di Tiberi, che il 30 settembre 1831 fu creato cardinale con il titolo di S. Stefano al Monte Celio nella prima promozione di Gregorio XVI, salito al pontificato il 2 febbraio. Dovette però attendere quasi un anno per essere pubblicato, nel concistoro del 2 luglio 1832, e per ricevere contemporaneamente la diocesi di Jesi, mentre il suo successore, Luigi Amat di San Filippo, tardò a giungere a Madrid fino al settembre del 1833. Fu dunque lui, con l’assenso della segreteria di Stato, ad assistere alla cerimonia di giuramento di fedeltà all’erede (23 giugno).

La morte di Ferdinando VII (29 settembre 1833) e l’atteggiamento attendista della S. Sede, che allineandosi alla politica austriaca ricusava di riconoscere Isabella II, ritardarono ulteriormente il passaggio di consegne poiché il governo spagnolo rifiutava a sua volta di ricevere Amat costringendo Tiberi a rimanere a Madrid come pronunzio. Le sue critiche nei confronti dell’insurrezione carlista e dell’atteggiamento di una parte del clero che la favoriva lo posero in contrasto con il suo successore, ma anche con il segretario di Stato Tommaso Bernetti, che infine il 12 aprile 1834 gli comunicò l’autorizzazione pontificia al suo rientro in Italia.

Lasciata Madrid il 26 maggio 1834, il 19 settembre prese possesso della diocesi di Jesi, ai cui fedeli prima di lasciare la Spagna aveva indirizzato una lettera pastorale annunciando l’intenzione di difendere i diritti della Chiesa e di combattere l’«irreligione» (Epistola pastoralis ad clerum et populum diocesis Aesinae, Romae 1834). Il suo breve episcopato, funestato dall’epidemia di colera del 1835, non registrò eventi di rilievo oltre alla creazione della nuova parrocchia di S. Francesco di Paola. Alloggiato presso i marchesi Onorati a causa delle condizioni precarie del palazzo vescovile, fu oggetto di satire per le sue posizioni reazionarie, mentre la malattia agli occhi già manifestatasi durante il soggiorno spagnolo si aggravò fino a costringerlo a rassegnare le dimissioni il 18 maggio 1836.

Rientrato a Roma, Tiberi, che già era membro delle congregazioni dei Vescovi e regolari, dell’Immunità, dei Riti e della Sacra Consulta, fu promosso il 22 febbraio 1837 prefetto della Segnatura di grazia. Tornava così a impieghi più consoni alle sue competenze giuridiche, cui si rivolgeva pochi mesi dopo il segretario di Stato Luigi Lambruschini nel chiamarlo, l’8 settembre, a far parte della congregazione incaricata di rivedere il sistema dell’amministrazione giudiziaria dello Stato.

Le sue condizioni di salute si aggravarono agli inizi del 1839; ormai privo delle facoltà intellettuali, morì a Roma il 28 ottobre. I suoi funerali furono celebrati nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso dal cardinale Giovanni Francesco Falzacappa, di cui era stato compagno di prigionia in Corsica. Un suo nipote, Luigi, ne seguì la carriera in prelatura: alla morte dello zio era ponente di Consulta e fu in seguito commissario della S. Casa di Loreto.

Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli Curia, Tiberi, b. 1. La corrispondenza diplomatica di Tiberi, conservata presso l’Archivio segreto Vaticano (serie Segreteria di Stato e Nunziatura di Madrid) e l’Archivio della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, è stata pubblicata da V. Cárcel Ortí (Correspondencia diplomatica del nuncio Tiberi (1827-1834), Pamplona 1976) e sommariamente descritta in Id., La correspondance diplomatique des nonces apostoliques dans l’Espagne du XIXe siècle, in Revue d’histoire diplomatique, 1982, n. 3-4, pp. 329-331.

F. Fabi Montani, Vita del card. F. T., Roma 1840; Diario di Roma, 2 novembre 1839 e 10 marzo 1840; Artaud de Montor, Storia del pontefice Leone XII, I, Milano 1843, pp. 115 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXV, Venezia 1855, pp. 169-172; M. Leopardi, Autobiografia, Roma 1883, pp. 244-258; D. Spadoni, Sètte, cospirazioni e cospiratori nello Stato pontificio all’indomani della Restaurazone, Torino-Roma 1904, pp. LXVII-LXXIII; E. Cerchiari, Capellani papae et Apostolicae Sedis auditores causarum Sacri Palatii Apostolici, II, Romae 1919, pp. 283 s.; A.C. Jemolo, Il mancato ripristino dell’Inquisizione di Spagna ed il conte Solaro della Margarita, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, LXXVI (1941), 2, pp. 443-458; Id., Il conte Solaro della Margherita ed il nunzio Tiberi, ibid., LXXVII (1941-1942), 2, pp. 119-143; Id., I principi della guerra carlista e la nunziatura di Madrid, in Rassegna storica del Risorgimento, XXIV (1947), 1-2, pp. 8-13; A. Mercati, Elenchi di ecclesiastici dello Stato Romano deportati per rifiuto del giuramento imposto da Napoleone, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, VII (1953), p. 68; G. De Marchi, Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1956, Roma 1957, p. 236; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, pp. 26 s., 180, 460, 465-471, 475, 536; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, VII, Padova 1968, ad ind.; F. Tamburini, La Penitenzieria apostolica negli anni della occupazione napoleonica in Roma (1808-1814), in Archivio della Società romana di storia patria, XCVI (1973), pp. 173-225 (in partic. p. 189); V. Cárcel Ortí, Gregorio XVI y España, in Archivum Historiae Pontificiae, XII (1974), pp. 235-285; Id., Correspondancia diplomatica..., cit., 1976; Id., Correspondencia diplomatica del nuncio Amat (1833-1840), Pamplona 1982, ad ind.; J. Leflon, Restaurazione e crisi liberale, Roma-Torino 1984, p. 712; A. Spina, Diario della deportazione in Corsica del canonico di Albano G.B. Laberti (1810-1814), Albano Laziale 1985, pp. 88, 120; C.A. Naselli, La soppressione napoleonica delle corporazioni religiose. Contributo alla storia religiosa del primo Ottocento italiano, 1808-1814, Roma 1986, p. 168; L. Paci, Le vicende politiche, in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, I, Macerata 1986, pp. 363 s.; A. Spina, Nuovi documenti sulle deportazioni napoleoniche di ecclesiastici dello Stato della Chiesa (1810-1814), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XLIV (1990), pp. 141-212 (in partic. p. 165); C. Urieli, La Chiesa di Jesi, Jesi 1993, pp. 376 s.; C. Semeraro, Pio VIII fra legittimismo ed emancipazione, nella politica ecclesiastica ispano-americana della restaurazione (1816-1839), in La religione e il trono. Pio VIII nell’Europa del suo tempo, a cura di S. Bernardi, Roma 1995, pp. 366, 373, 376; Ph. Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Roma 2002, pp. 476 s., 641 e passim; J. Leblanc, Dictionnaire biographique des cardinaux du XIXe siècle, Montreal 2007, s.v.; Dizionario storico biografico del Lazio, a cura di S. Franchi - O. Sartori, Roma 2009, s.v.; R. Muñoz Solla, Abolizione del tribunale, Spagna, in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, Pisa 2010, p. 13.

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