RAMPONI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RAMPONI, Francesco

Dario Canzian

– Vescovo di Céneda (Vittorio Veneto, TV), dal 1320 al 1349, successe a Manfredo dei conti trevigiani di Collalto, traslato a Belluno entro il 13 luglio 1320 (Tomasi, 1998, p. 104).

Apparteneva a una famiglia guelfa bolognese (Corpus Chronicorum, 1906, p. 201) radicata nella città felsinea almeno dal 1120, quando, secondo la cronachistica, sarebbe stata edificata nel ‘mercato di mezzo’ la loro casa torre ad opera di un avo omonimo del futuro vescovo di Céneda (Ibid., pp. 3, 11, 17; Fantuzzi, 1789, p. 160, nota 17). Il casato tra XIII e XIV secolo espresse soprattutto figure legate alla professione giuridica e alla milizia.

Francesco nacque forse da Conte, già morto nel 1304, figlio di Lambertino, docente di diritto civile nello Studium bolognese tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo (Fantuzzi, 1789, p. 166, nota 32). Del periodo anteriore al 1320 non sappiamo molto. Certamente entrò nel convento eremitano di Bologna, sede di uno studium generale dell’ordine, del quale viene indicato come professor in una lettera di Benedetto XII che - datata 26 febbraio 1340 - fa riferimento a fatti accaduti a Bologna in un passato non meglio precisato (Benoit XII, Lettres communes, 1911, n. 8154).

L’elezione vescovile di Francesco rappresentò un elemento di discontinuità rispetto a una tradizione risalente di almeno un secolo per la quale i presuli cenedesi venivano arruolati tra l’aristocrazia trevigiana o gravitante in ambito cenedese (Tomasi, 1998, pp. 100-105). Questa svolta può forse essere meglio compresa se si pensa che il suo predecessore un anno dopo il trasferimento a Belluno era stato assassinato in un tumulto, probabilmente per un disegno ordito dai da Camino, famiglia egemone nell’area plavense e alpina che aveva sempre cercato di condizionare le elezioni vescovili (Speciale, 1992, pp. 267-275). Si può forse pensare, allora, che in ambiente di curia si fosse inteso sottrarre la cattedra cenedese alla competizione tra famiglie locali, secondo un orientamento teso alla centralizzazione delle nomine episcopali intrapreso da Giovanni XXII. Anche l’arruolamento tra gli eremitani non deve essere stato casuale, specie pensando che l’ordine si caratterizzava per la sua compattezza, fedeltà alla gerarchia e specializzazione teologica dei suoi membri.

Quella del Ramponi si rivelò una scelta per diversi aspetti dirompente. Il nuovo vescovo, libero da debiti di riconoscenza o dipendenza dai casati cenedesi, interpretò il proprio ruolo accentuando la dimensione temporale e personale del suo potere, entrando così in contrasto con i diversi soggetti titolari di giurisdizioni nel territorio della diocesi. L’elenco delle controversie che impegnarono il vescovo, considerato anche la durata trentennale del suo episcopato, è assai lungo e qui non si darà notizia che delle principali (Tomasi, 1998, pp. 105 s.). Da subito si profilò la difficoltà delle relazioni con i Caminesi, nel cui castello di Serravalle peraltro il vescovo era stato certamente ospite nella primissima fase del suo episcopato (probabilmente perché Cangrande della Scala era entrato in possesso di Céneda e lo aveva costretto ad abbandonare il suo castello di S. Martino; Tomasi, 1998, p. 105, Speciale, 1992, p. 272). Le ragioni del dissidio riguardavano le investiture di alcune fortezze cenedesi, il cui legittimo possesso da parte dei da Camino era contestato dal Ramponi per la presunta indegnità dei titolari, Guecellone e il figlio Rizzardo da Camino, scomunicati nel 1323 (Verci, IX, 1788, doc. DCCCCLXVIII).

Anche con il Comune di Treviso e gli Scaligeri i rapporti non furono sereni. Toccò infatti proprio al Ramponi lanciare nel 1322 l’interdetto contro la città del Sile e il conte di Gorizia che ne era signore, e poi nel 1329 pare che lo stesso vescovo avesse cercato di sollevare il comune di Céneda contro quello trevigiano, allora in mano della signoria veronese (Tomasi, 1998, p. 105). Tanto che per tutta risposta all’inizio del 1330 una ambasceria trevigiana si era recata presso Alberto II e Mastino II della Scala per discutere l’eventualità, poi non realizzatasi, di inglobare l’episcopato cenedese entro quello trevigiano provvedendo ad una «requisitio episcopatus Cenetensis» (Verci, 1789, IX, doc. MCXLV, p. 106). Ramponi nell’occasione dovette probabilmente assecondare lo strapotere scaligero, dal momento che lo troviamo tra il 1330 e il 1332 residente proprio a Verona, nella casa di una famiglia vicina ai signori, i Brenzoni, nella contrada di S. Fermo (Varanini, 1990, p. 919 e nota 138).

Il governo dei castelli cenedesi rimase al centro degli interessi del Ramponi. Alla potente comunità di Conegliano tra il 1339 e il 1340, ad esempio, contese in tribunale la giurisdizione di Castrum Novum, presso la località di Tarzo, tra Conegliano e Céneda (Canzian, 2005, p. 233; Venezia – Senato, 2005, nn. 611, 668, 680). A una controversia relativa al controllo di centri fortificati è riconducibile anche la vicenda per la quale il vescovo cenedese è maggiormente ricordato, e cioè la lite giudiziaria innescata con i da Camino nel 1337 e protrattasi almeno fino al 1343. Essendosi estinto infatti nel 1335 uno dei due rami principali dei Caminesi, Ramponi, che si definiva costantemente episcopus et comes Cenetensis, ne approfittò per avanzare la pretesa della titolarità feudale dei numerosi e importanti castelli rimasti vacanti, posti tra i fiumi Piave e Livenza. Per meglio tutelarsi, nel 1337 egli offrì quei castra in feudo ai procuratori di San Marco, riservandosi metà delle rendite feudali e alcune fortezze considerate «episcopatus cenitensis camera» (Verci, 1789, X, p. 96, doc. MCCCXXI, 1337 ottobre 12). Portato in giudizio davanti alla Curia pontificia dal ramo superstite dei da Camino, il vescovo non esitò a produrre un corposo dossier documentario, smontato pezzo a pezzo dal procuratore di parte avversa, che ne dimostrò la parziale falsità (Biscaro, 1925; Faldon, 1988).

In quegli stessi anni il vescovo subì da parte dei suoi avversari addirittura un tentativo di sottrazione del suo castello residenziale, S. Martino, e di assassinio (Verci, 1789, X, doc. MCCCLXIX, p. 171, 1340 febbraio 16), ragion per cui riparò a Venezia, dove risiedette nella casa di Niccolò Barbo, in contrada di San Polo, fino al 1347 (Verci, 1789, XI, doc. MCCCCVIII). Ramponi fu costantemente spalleggiato e sostenuto in questa vicenda, anche economicamente, da Venezia (Venezia – Senato, n. 704). La protezione veneziana del vescovo condizionò l’esito compromissorio della disputa: nel 1343 i Caminesi rientravano in possesso dei castelli contesi, riconoscendone però la superiorità feudale del presule, a sua volta ‘autorizzata’ dal Senato veneto (Biscaro, 1925, p. 97).

Certamente possiamo leggere dietro queste iniziative del Ramponi una forte volontà di tutela delle prerogative della chiesa cenedese, una volontà che lo condusse anche a inimicarsi la stessa Curia avignonese, che in quegli anni tentò di inserirsi nella disputa tra il vescovo e i da Camino avocando a sé il diritto di successione nei feudi contesi, attraverso la mediazione del patriarca aquileiese, Bertrand de Saint-Geniès (Canzian, 2005, p. 232). La Curia pontificia aveva già preso le distanze dal vescovo di Céneda in precedenza, quando questi aveva partecipato nel 1334 al feroce assedio portato dai Bolognesi al legato pontificio Bertrando del Poggetto, chiuso nel castello urbano di Porta Galliera (Benoît XII, Lettres communes, n. 5168, a. 1338). E più tardi, nel 1340, Benedetto XII tracciò del Ramponi un ritratto a dir poco fosco: il vescovo si sarebbe macchiato di simonia e concubinato, di furto aggravato nei confronti di Bertrando, di furto nella sacrestia del suo convento bolognese, di blasfemia contro Dio e la Madonna anche mediante «detestabilia signa cum manibus», di complicità nell’assassinio di un abitante di Céneda e di usurpazione dei suoi beni (Benoît XII, n. 8154). Per parte sua, il procuratore caminese nella causa sopracitata non mancava di osservare che il Ramponi godeva pubblica fama di falsario, e che per le sue infamie era stato più volte scomunicato (Faldon, 1988, p. 173).

Tuttavia, nonostante questi tratti poco edificanti, e nonostante l’intreccio di interessi familiari e responsabilità ‘pubbliche’, testimoniato dalla partecipazione del Ramponi alla vita politica della madrepatria e dal numero di Bolognesi presenti nella curia di Céneda ai tempi del suo episcopato (Canzian, 2005, p. 245, nota 27), non si può negare che il Ramponi abbia operato certamente anche per rafforzare la chiesa che gli era stata affidata e governare la comunità che viveva presso la sede diocesana. Restano testimonianze eloquenti di questo sforzo la promulgazione degli statuti di Céneda del 1339 (Tomasi, 1998, p. 105) e l’accurato inventario dei beni episcopali fatto stilare nel 1348 (Girardi, 2004, pp. 149 s.).

La recente pubblicazione dei registri del Senato veneziano ha consentito di collocare la data di morte del Ramponi tra la metà di settembre e l’11 ottobre 1349 (Venezia – Senato, 2006, nn. 386, 420), e non nel 1348, come si era sempre ritenuto.

Fonti e Bibl.: Per quel che riguarda i riscontri nelle fonti edite si veda F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, V, Venezia 1720 (rist. Bologna 1973), coll. 206 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica medii aevi ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, Münster 1913 (rist. Padova 1960), p. 180; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, Venetia et Histria, I, Berlin 1923, p. 83.

G.B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, IX, 1788, doc. DCCCCLXVIII, doc. MCXLV; X, 1789, doc. MCCCXXI, MCCCXXVI, MCCCXXXVI, MCCCLXIX; XI, 1789, doc. MCCCCVIII, MCCCCIX, MCCCCX; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna, 1789, pp. 156-167; Corpus Chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, II, t. XVIII/1, Città di Castello 1906, pp. 3, 11, 18; Benoît XII (1334-1342). Lettres communes, a cura di J.M. Vidal, I-II, Paris 1911, nn. 5168, 8154; Lettres communes de Jeanne XXII (1316-1334), a cura di G. Mollat, Paris 1921, nn. 17624, 18346; N. Faldon, L’Allegatio dei Conti da Camino contro il Vescovo di Ceneda F. R. La relativa Tabula e il così detto Registo, in Il dominio dei Caminesi tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 1988, pp. 147-250, passim; Venezia – Senato. Deliberazioni miste. Registro XVIII (1339-1340), a cura di F.-X. Leduc, Venezia 2005, nn. 162, 188-189, 310, 588, 607-613, 668, 671-673, 680, 704, 850-851, 915; Venezia – Senato. Deliberazioni miste. Registro XXI (1342-1344), a cura di C. Azzara - L. Levantino, Venezia 2006, nn. 131, 173, 278-283, 338-339, 360, 376, 378, 505-506, 539-542, 544; Venezia – Senato. Deliberazioni miste. Registro XXV (1349-1350), a cura di F. Girardi, Venezia 2006, nn. 242, 381, 386, 390; Venezia – Senato. Deliberazioni miste. Registro XXII (1344-1345), a cura di E. Demo, Venezia 2007, n. 320.

Per quel che riguarda gli studi resta imprescindibile G. Biscaro, I falsi documenti del vescovo di Ceneda F. R., in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo e Archivio muratoriano, XLIII (1925), pp. 93-178; G.M. Varanini, Signoria cittadina, vescovi e diocesi nel Veneto: l’esempio scaligero, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Roma 1990, pp. 867-921 (in partic. pp. 918-920); G. Speciale, La cronaca di Henrigetus magistri Gerardi, in Rivista internazionale di diritto comune, III (1992), pp. 231-275 (in partic. pp. 272 s.); G. Tomasi, La diocesi di Ceneda. Chiese e uomini dalle origini al 1586, I, Vittorio Veneto 1998, pp. 105-107; D. Canzian, I Caminesi di sotto e il castello di Camino tra XIII e XIV secolo, in I da Camino. Capitani di Treviso, Feltre e Belluno, signori di Serravalle e del Cadore, Godega di Sant’Urbano (TV) 2002, pp. 119-132 (in partic. p. 105); F. Girardi, Il più antico inventario dei beni dell’episcopato cenedese (1348). Comunicazione, in Ceneda e il suo territorio nei secoli, Vittorio Veneto 2004, pp. 14 s.; D. Canzian, Signorie rurali nel territorio trevigiano al tempo della prima dominazione veneziana (1338-1381), in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio, a cura di F. Cengarle - G. Chittolini - G.M. Varanini, Firenze 2005, pp. 228-248 (in partic. pp. 229-234) [disponibile anche online http://www.rm.unina.it/rmebook/dwnld/poteri/canzian.pdf] (26 maggio 2017).

TAG

Procuratori di san marco

Mastino ii della scala

Bertrando del poggetto

Godega di sant’urbano

Città di castello