Petrarca (lat. Petrarca), Francesco. - Poeta e umanista (
Per tutto il sec. 14° P. fu ammirato essenzialmente come elegantissimo scrittore in latino. I contemporanei non poterono leggere, perché pubblicato solo nel 1396, il poema Africa (1338-41; poi corretto e ricorretto dal 1343 e rimasto incompiuto), negli esametri del quale, travasandovi la sua personale inquietudine e una sensibilità tutta cristiana, aveva tentato di risuscitare le forme del poema epico antico. Conobbero invece, tra le opere in versi latini, le Epystole, già note come Epystole metrice (66 epistole in tre libri, le databili delle quali, a prescindere dai versi in morte della madre, vanno dal 1333 al 1354; l'opera di raccolta e di revisione di esse passò per tre fasi, negli anni intorno al 1350, al 1357, al 1363; una nuova epistola è stata scoperta e pubbl. da M. Feo nel 1985); ebbero a disposizione l'autografo del Bucolicum carmen (12 egloghe, 1346-48; modificate e corrette più volte in seguito), allestito dal poeta nel 1357; si formarono sulle numerosissime lettere, ricercate al punto che parecchie di esse, intercettate da ammiratori, non giungevano ai destinatarî. P. stesso pensò a proporne organiche raccolte, sul modello dell'epistolografia ciceroniana (ma con un'attenzione speciale per il modello senechiano) eliminando da esse quel che vi fosse di troppo personale e contingente, per farne esempî perennemente validi di alta letteratura e di nobile insegnamento e per tramandare di sé un'immagine quanto più possibile degna d'essere avvicinata alle biografie esemplari dei grandi uomini di Roma. Familiarium rerum libri XXIV s'intitola una scelta di 350 lettere, la più antica delle quali, tra le databili, risale al 1325;
Dalla seconda metà del Quattrocento, oscuratasi lentamente la fama dell'umanista, rifulse quella del poeta in volgare: P. divenne, in Italia e fuori, modello insuperabile di poeta lirico. Anzi, il petrarchismo (v.), oltre che un modo di poetare, è nel Cinquecento uno stile di comportamento, sì che permea ogni scrittura e la vita stessa: l'una e l'altra non obbedienti agli impulsi, all'estemporaneo, ma costantemente controllate secondo una legge d'interna armonia. A questa immagine di sovrana armonia, P. perviene costruendo il suo libro poetico (v. Canzoniere) come un'autobiografia ideale in sé conclusa e con una sua morale (sul modello prossimo della Vita nuova dantesca). Mentre i componimenti si intrecciano e si richiamano l'un l'altro, la storia di uno straordinario rapporto amoroso scandisce un'esistenza altrimenti ritenuta irrilevante, conferendo il rilievo di eventi assoluti a una trama di circostanze memorabili solo in virtù di quell'amore. In quello che sarebbe poi diventato il Canzoniere per antonomasia (e che P. aveva intitolato Rerum vulgarium fragmenta), il poeta, se possibile ancora più incontentabile che di fronte alle sue opere latine, mette a punto perciò innanzitutto un linguaggio straordinariamente selettivo (i cui lemmi ammontano appena a 3275), non solo di fatto diverso da quello degli altri suoi libri o delle sue abitudini di intellettuale, ma sottratto alle occorrenze della vita reale, elevato alla rarefatta atmosfera di un sovramondo fantastico e deputato alla rappresentazione di una vicenda esclusivamente interiore, destinata a fornire la traccia lungamente immutabile di canzonieri e amori letterarî. Se l'amore è soprattutto un mito letterario, il centro ideale cui il poeta fa convergere le linee fluttuanti di stati d'animo contraddittorî, nonché un omaggio alla recente tradizione letteraria romanza (dalla poesia provenzale a quella siciliana a quella stilnovistica), che imponeva d'incentrare nell'amore e nella donna ogni più varia esperienza, P. se ne serve per cantare il più generale destino di un'attitudine contemplativa che non ha potuto evitare l'esperienza dello smarrimento, ma è dolorosamente tornata in sé, cioè alla considerazione della labilità, e perciò della vanità, d'ogni bellezza e d'ogni bene terreno, compresa la gloria letteraria. Di qui nasce il pensiero di Dio, il vero deuteragonista della lirica petrarchesca. Nell'atto con cui il poeta tenta di respingere da sé il desiderio d'amore e quello della gloria, si deve però leggere il coronamento delle sue più profonde aspirazioni e della poesia alla quale le aveva affidate. Lo smarrimento e la dispersione nei fragmenta poetici in tanto possono essere superati da uno slancio ulteriore, in quanto hanno già avviato dal canto loro il processo di semplificazione e di adeguamento simbolico di una mirabile esperienza intellettuale, decantandola perfino linguisticamente e inscrivendola nell'esemplarità delle sacre scritture. In questo orizzonte, ancora medievale, s'iscrive anche la scoperta petrarchesca dell'Io, che può diventare il protagonista della sua opera, solo perché riproduce il peculiare destino dei suoi allegorici predecessori e si offre a sua volta in questa veste ai posteri. A una più scoperta vocazione allegorica obbediscono i Triumphi (forse composti tra il 1351 e il 1352 e rimasti incompiuti; v. Trionfi), in cui il modello dantesco è direttamente operante fin dalla scelta del metro (terzine di endecasillabi) e P. sembra voler solo sistemare più schematicamente, con i successivi trionfi di Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo, Eternità, la stessa materia del Canzoniere. ▭ Nell'edizione nazionale delle opere di P. sono stati pubblicati: L'Africa (1926, a cura di