PANDOLFINI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PANDOLFINI, Francesco

Eleonora Plebani

PANDOLFINI, Francesco. – Nacque a Firenze il 26 ottobre 1466 da Pier Filippo e da Maria Neroni.

Terzogenito maschio dei sette che Pier Filippo ebbe dai due matrimoni e da una relazione prematrimoniale, Pandolfini ricevette un’educazione raffinata al pari di tutti i suoi familiari. Fu allievo di Bartolomeo Fonzio, crebbe apprendendo i principii della cultura umanistica e approfondendone i motivi ispiratori grazie alla ricca biblioteca paterna nella quale erano conservate, tra le altre, numerose opere di autori classici greci e latini.

Sebbene immatricolato all’Arte dei Setaiuoli, seguì le orme del padre dedicandosi prevalentemente alla vita politica e diplomatica. Il primo incarico ricoperto fu nell’ufficio dei Cinque conservatori delle leggi, dal 1° ottobre 1493 al 1° aprile 1494.

Quando morì Pier Filippo, il 5 aprile 1497, si aprì una difficile successione ereditaria; in assenza del testamento, infatti, si pose il problema della suddivisione dei beni tra gli eredi maschi. Fra questi, quattro erano minorenni e di essi Pandolfini assunse la tutela per delega sia dei fratelli maggiori, sia della seconda moglie del padre.

Grazie a questa complessa vicenda e all’atto notarile che regolò la suddivisione delle proprietà del casato è possibile conoscere nel dettaglio tanto la struttura e l’ubicazione esatta del palazzo di famiglia, quanto il suo contenuto. L’inventario comprese anche i beni librari che Pandolfini ereditò e che mostrarono interessi culturali eclettici da parte di Pier Filippo, il quale riunì opere patristiche e testi di autori pagani sovente copiati da lui. In virtù del ruolo di curatore assegnatogli dai familiari, Pandolfini attribuì a sé e ai fratelli la proprietà del palazzo fiorentino insieme con i beni in esso inventariati, tutelando comunque gli interessi dei fratellastri ma facendo anche attenzione a non disperdere l’eredità della propria madre Maria Neroni.

Un impegno gravoso, quindi, quello assunto, ma che probabilmente lo impose sulla scena pubblica di Firenze come mediatore equilibrato, dotato di onestà di intenti e di lucidità organizzativa: le stesse qualità che il governo fiorentino aveva apprezzato nel padre e che forse furono tra le ragioni che proiettarono Pandolfini ai massimi livelli della vita politica cittadina. Già all’inizio del 1499, e avendo maturato soltanto una breve esperienza negli uffici cittadini, fu eletto fra i Priori, carica da lui nuovamente ricoperta nel 1503. Il 6 marzo 1501 sposò Ippolita di Giovanni Nerli, che gli recò in dote 2000 fiorini e gli diede sei figli. Tra l’aprile e l’ottobre dello stesso anno fece parte del collegio dei sindaci nominati per giudicare la correttezza dell’operato del Capitano del popolo uscente. Nel 1504 iniziò il suo impegno come ambasciatore, un compito oneroso principalmente a causa della situazione politica emersa, con una fisionomia assai mutata, dalla spedizione del re di Francia Carlo VIII del 1494. Firenze, in particolare, aveva attraversato un periodo di profondi cambiamenti in conseguenza dell’esilio comminato a Piero de’ Medici nello stesso 1494, alla perdita di importanti comunità soggette come Pisa, all’esperienza di Girolamo Savonarola e alla nuova stagione apertasi con Piero Soderini, eletto gonfaloniere a vita nel 1502.

La prima destinazione di Pandolfini fu Napoli, città dove la famiglia aveva gettato radici profonde grazie alla conoscenza della corte aragonese e del tessuto economico del Regno sviluppata, nel corso del secondo Quattrocento, da Pier Filippo e da Battista Pandolfini. Inoltre, un cugino, Giannozzo, era vescovo di Troia. Presso la sede della diocesi Pandolfini si fermò qualche giorno per incontrare il prelato e poi, una volta giunto nella capitale partenopea, presentò le sue credenziali a Gonzalo Ferrando, rappresentante dei sovrani spagnoli Ferdinando e Isabella, al quale confermò l’alleanza del governo fiorentino.

Subito dopo la conclusione della missione napoletana, fu inviato in Francia, presso la corte di Luigi XII, dove sostituì il precedente ambasciatore residente, Niccolò Valori, e cercò di ottenere la restituzione di Pisa a Firenze; solo nel giugno del 1509, tuttavia, lo stato fiorentino recuperò il possesso della città tirrenica. Dal 1509 al 1511, Pandolfini fu ambasciatore a Milano insieme con Alessandro Nasi.

Ormai portato a compimento il processo di trasformazione della diplomazia dalla legazione occasionale alla rappresentanza stanziale, anche i compiti degli inviati mutarono di conseguenza. Le incombenze connesse con l’incarico diplomatico, infatti, se da un lato assunsero connotati più precisamente definiti, dall’altro implicarono un impegno di dimensioni più vaste: ad esempio, la tutela degli interessi economici dello stato di provenienza, la difesa dei diritti dei propri concittadini, spesso anche l’esercizio dell’arbitrato nella composizione di controversie.

Durante i due anni di incarico a Milano, Pandolfini affrontò e risolse una pluralità di questioni che spaziarono dalla richiesta del lasciapassare per un carico di argento proveniente dalla Germania e diretto a Firenze, alle consultazioni politiche concernenti liti dinastiche interne alla famiglia Malaspina, alla protezione degli interessi dei mercanti fiorentini residenti in Milano. Dal 1513 al 1515 fu inviato di nuovo in Francia per porgere le felicitazioni di Firenze al nuovo re Francesco I e, anche Oltralpe, per tutelare i traffici mercantili degli operatori economici fiorentini.

In quel periodo, forse per evitare ai suoi eredi le difficoltà da lui affrontate dopo la morte del padre, fece redigere l’inventario della propria biblioteca, che risultò arricchita di centinaia di volumi rispetto al lascito ereditato da Pier Filippo per l’acquisizione dei libri del suo maestro, Bartolomeo Fonzio, e anche per gli orientamenti multidisciplinari dello stesso Pandolfini, il quale, pur manifestando un interesse prevalente per la storia e la filosofia, si giovò dell’erudizione eclettica ricevuta fin dall’infanzia.

Nonostante l’intenso impegno diplomatico, Pandolfini non trascurò gli incarici interni al reggimento fiorentino: dal marzo del 1513 al marzo del 1514 fu uno degli statutari della Mercanzia; per due volte fu uno dei dodici Procuratori della Repubblica; a maggio del 1517 fu eletto commissario a Borgo San Sepolcro; dal novembre del 1517 allo stesso mese del 1518 fu uno dei Consoli del mare e subito dopo fu eletto tra gli Otto di Pratica. Inoltre fu vicario di San Miniato da gennaio ad agosto del 1519 e, il 1° settembre dello stesso anno, fu eletto gonfaloniere di giustizia. Terminato il bimestre del Gonfalonierato, entrò a far parte del Consiglio dei settanta, ma non riuscì a concludere il mandato perché morì a Firenze il 2 luglio 1520.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Ga-bella dei contratti, 1229; Manoscritti, 252; Signori, legazioni e commissarie, 23, 26-27; Signori, responsive, 32-33, 35, 38-39; Tratte, 80, 905-906; Ufficiali poi magistrato della Grascia, 191; A. Verde, Nota d’archivio. Inventario e divisione dei beni di Pier Filippo Pandolfini, in Rinascimento, s. II, IX (1969), pp. 307-324; A. Cataldi Palau, La biblioteca Pandolfini. Storia della sua formazione e successiva dispersione: identificazione di alcuni manoscritti, in Italia medioevale e umanistica, XXXI (1988), pp. 259-395; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di E. Scarano, Milano 1991, pp. 285, 313; T. De Robertis, Breve storia del «fondo Pandolfini» della Colombaria e della dispersione di una libreria privata fiorentina (con due appendici), in Le raccolte della «Colombaria», I, Incunaboli, a cura di E. Spagnesi, Firenze 1993, pp. 77-285; C. Bianca, Un ‘nuovo’ codice Pandolfini, in Rinascimento, s. II, XXXIV (1994), pp. 153-155.

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