Pagano, Francesco Mario

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Scrittore e uomo politico (Brienza 1748 - Napoli 1799). Tipico rappresentante dell'Illuminismo napoletano, P. fu profondamente influenzato dal pensiero di G. Vico, sul quale innestò le istanze democratiche e progressiste derivanti da J.-J. Rousseau e M.-J.-A.-N. Condorcet. In economia fu liberista e credette con i fisiocrati in un ordine naturale di rapporti economici. Negli studi penali continuò l'opera iniziata da C. Beccaria e da G. Filangieri, propugnò la riforma del processo penale in senso accusatorio, volle derivati i principi informatori della legislazione penale dalle leggi eterne della natura, vagheggiando un codice comune a tutte le nazioni civili. Fu uno dei protagonisti della Repubblica partenopea nata dalla rivoluzione del 1799. Crollata la Repubblica, fu condannato a morte.

Vita e opere

Laureatosi in legge, in seguito a pubblico concorso nel 1770 fu nominato lettore straordinario di etica all'università di Napoli; si dedicò negli anni successivi agli studi letterari e filosofici. Passato più tardi all'esercizio della professione forense (1775), non abbandonò tuttavia il lavoro scientifico e, sull'esempio di G. Filangieri, contribuì al rinnovamento del processo e della legislazione criminale con le sue Considerazioni sul processo criminale (1787), che lo resero celebre in Italia e all'estero; insegnò nell'università napoletana, dal 1785, diritto criminale (le sue lezioni furono pubblicate postume, sotto il titolo di Principi del Codice penale, nel 1803). Continuava intanto anche nell'attività letteraria, pubblicando fra il 1787 e il 1792 alcuni drammi (Gerbino, Agamennone, Corradino, L'Emilia), che incontrarono l'ostilità dell'ambiente letterario ufficiale napoletano. Sensibile alle idee ugualitarie della Rivoluzione francese, partecipò all'attività della Società patriottica e volle assumere la difesa d'ufficio nei processi contro i patrioti del 1794: fu perciò denunciato, imprigionato (1796) e costretto a dimettersi dall'insegnamento e dalla professione. Liberato nel 1798 ed emigrato prima a Roma, poi a Milano, tornò a Napoli quando vi fu proclamata la Repubblica partenopea (gennaio 1799). In questa P. ebbe parte di primo piano, conforme al grande prestigio da lui acquisito, nel frattempo, nell'ambiente «giacobino» napoletano: membro del Governo provvisorio e del Comitato legislativo, divenuto di questo presidente, preparò il disegno di costituzione repubblicana. Partecipò dal 5 giugno alla lotta armata per la difesa della repubblica e poi alle trattative di resa, e il 25 fu tra i firmatari della capitolazione. In seguito al tradimento di Nelson fu condannato a morte: salì il patibolo il 29 ottobre in piazza del Carmine con D. Cirillo e altri patrioti. ː Tipico rappresentante dell'illuminismo napoletano in cui il naturalismo meccanicistico d'ispirazione francese si associava all'idealismo storicistico di G. B. Vico, P. considerò il mondo della storia come dominato dalla legge universale dei corsi e dei ricorsi, ma interpretò questa come espressione di un ordine fatale, che ha l'inevitabilità degli accadimenti naturali (Saggi politici dei principi, progressi e decadenze della società, 2 voll., 1783-85). Analogamente, egli fa propria in estetica la concezione vichiana del carattere primitivo della poesia, ma considera la nascita di questa come l'effetto dell'impressione sensibile prodotta dall'oggetto sul corpo umano (Discorso sull'origine e la natura della poesia, 1791). In economia P. fu liberista e accettò dai fisiocrati francesi la concezione dell'ordine naturale dei rapporti economici; negli studi giuridici, dove lasciò orma profonda con il suo contributo alla riforma del processo penale, volle che la legislazione traesse i suoi principi dalle leggi della natura e vagheggiò un codice comune a tutte le nazioni civili.

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