VIALARDI, Francesco Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VIALARDI, Francesco Maria

Luca Vaccaro

VIALARDI, Francesco Maria. – Discendente dall’antico ramo nobiliare e filoimperiale dei Vialardi de Verono, nacque a Vercelli nel luglio di un anno compreso tra il 1540 e il 1545 da Giovanni Guglielmo Maria e da Gabriela di Nicolò Cazamo di Vercelli.

Fu avviato agli studia humanitatis per intraprendere una carriera diplomatica destinata al servizio di re, duchi e cardinali. Il sostegno politico necessario per introdurre il giovane Francesco Maria nel mondo cortigiano giunse dal cancelliere Giovanni Vialardi di Villanova, suo zio, e soprattutto dal matrimonio contratto nel 1575 dalla cugina Giovanna Vialardi – dama di corte dall’infanta Caterina d’Austria – con il conte Alfonso de La Motta di Langosco, futuro funzionario di Carlo Emanuele I di Savoia presso la corte del re Filippo II di Spagna.

La carriera diplomatica di Vialardi ebbe inizio a partire dal 1569, quando entrò al servizio del duca Emanuele Filiberto I di Savoia e dell’arciduca Ernesto d’Austria, da cui ottenne il riconoscimento dei titoli di cavaliere e di «gentil’huomo». Il giovane letterato ottenne una buona accoglienza specialmente tra gli ambienti accademici tardocinquecenteschi. Stando al giudizio di Giovanni Francesco Apostoli da Montemagno, Vincenzo Toraldo d’Aragona e Federigo Meninni, Vialardi non solo era stimato per la sua cultura in diversi campi del sapere, ma anche per essere «uno dei migliori poeti de’ suoi tempi», inventore di quel detto secondo cui l’arte di comporre sonetti risultava simile al «famoso letto di Procuste tiranno» (Meninni, 1678, p. 17).

Da diverse accademie e dalle corti di Mantova e di Torino giunsero le occasioni d’incontro letterario con Stefano Guazzo, Bonifazio Vannozzi, Bernardo Trotto, Angelo Grillo, Curzio Gonzaga, Giovan Battista Marino, Muzio Manfredi e Battista Guarini, quest’ultimo forse già conosciuto da Vialardi durante l’ambasceria svolta dal poeta ferrarese a Torino, tra il giugno del 1570 e l’aprile del 1571. Presso la corte sabauda Vialardi lavorò dal 1575 al 1577 con Filiberto Pingone alla realizzazione di una raccolta encomiastica in memoria di Margherita di Valois, morta nel 1574. L’opera rimase inedita, ma portò Vialardi a pubblicare nel 1575 l’orazione Pro funere dive Margarite a Francia, che nel corso dello stesso anno venne tradotta da Giovanni Battista Festa («Controller della Camera» di Emanuele Filiberto I) e pubblicata con il titolo di Oratione in morte della serenissima Madama di Francia.

La prima esperienza accademica di Vialardi avvenne prima del 1577 nel territorio di Casale di Monferrato con l’ingresso nell’Accademia degli Illustrati, il cui principale animatore era stato sin dal 1561 Guazzo. Proprio nella dedica del Primo libro delle canzoni alla napolitana a cinque voci, datata 1° febbraio 1577, il maestro di cappella Teodoro Riccio riferiva che Vialardi era stato «fatto accademico Illustrato et Affidato».

Seguì nel 1578 l’ingresso presso l’Accademia degli Accesi di Savona, in cui Vialardi diede subito prova dei propri studi filosofici con la pubblicazione del Discorso sopra la prima propositione dei libri d’Aristotele (1578). Il rapporto con l’Accademia degli Accesi non fu effimero, ma probabilmente si mantenne vivo grazie all’intermediazione del poeta Gabriello Chiabrera, che dal 1592 ne era divenuto principe.

Tra il 1578 e il 1580 si trovò coinvolto in una disputa fisico-matematica tra i due più noti professori dello Studio torinese, l’astronomo Antonio Berga e il matematico Giovanni Battista Benedetti. Amico di entrambi i contendenti, Vialardi si mostrò in linea con le teorie naturalistiche formulate da Berga – che sostenevano la maggiore estensione delle acque rispetto alle terre emerse – e in contrasto con le argomentazioni esposte da Benedetti e da Alessandro Piccolomini. Il risultato della partecipazione a questa polemica fu per Vialardi la traduzione in latino del Discorso della grandezza dell’acqua e dalla terra di Berga, edito con il titolo Disputatio de magnitudine terrae et aquae.

Anche la frequentazione degli Innominati di Parma gli consentì di consolidare le sue relazioni con alcuni dei maggiori letterati del tempo. Fu nel ducato di Ottavio e Alessandro Farnese che Vialardi – oltre all’Ascoso Girolamo Alessandrini e al Fermo Manfredi – rafforzò la sua amicizia con il Pellegrino Guarini, di cui resta testimonianza in una lettera del 22 luglio 1583 (Guarini, 1593, pp. 193-198). A questa data risale anche la stesura del Ragionamento di Vulturno, un poemetto encomiastico in sedici ottave che Vialardi diede alle stampe per celebrare l’ascesa politica del principe Carlo Emanuele I di Savoia (1584).

Il 1589 fu l’anno in cui entrò al servizio del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, ottenendo una preziosa promozione presso l’Accademia della Crusca, dove fu aggregato il 12 giugno 1589 sotto il consolato retto dall’Inferigno Bastiano de’ Rossi. Gli anni trascorsi tra Genova e Firenze furono segnati dalle amicizie con Jacopo Mazzoni, Roberto Titi e dalla stampa, nel 1590, della Lezzione fiorentina sulla «dependenza delle cose inferiori dalle superiori» (Vaccaro, 2016). L’esperienza presso la Crusca s’interruppe nell’autunno del 1591, quando fu arrestato a Genova dall’Inquisizione con l’accusa di sostenere la politica navarrista di Enrico IV. Trasferito il 28 novembre nelle carceri del S. Uffizio di Roma, scontò la sua pena con un periodo di reclusione di sei anni, sino al rilascio avvenuto l’11 giugno 1597, grazie all’amnistia concessa dal pontefice Clemente VIII.

Negli anni di prigionia entrò in rapporto con l’abate Ruggero Tritonio e con il pittore Bernardo Castello, a cui dedicò il sonetto Del gran Tasso dei carmi al suon l’imprese, pubblicato nell’edizione figurata della Gerusalemme liberata, uscita nel 1604 dai torchi della tipografia genovese di Giuseppe Pavoni. Fu tuttavia nell’estate del 1594 che su di lui ricaddero alcune diffamazioni rilasciate dal filosofo Giordano Bruno, durante la fase istruttoria Circa adorationem factam a Magis del suo processo inquisitoriale. Il frate nolano era giunto ad accusarlo, riferendo di aver sentito proferire più volte da lui e dal monaco Francesco Graziano alcuni discorsi eretici: «[...] sono di certa opinione che questi (videlicet Gratianus et Vialardus) non credono a Dio, massime il Vialardo quale ha detto più volte parole horrende contro Dio, la religione e la Chiesa» (Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, ARM. X, 205, c. 214rv; Mercati, 1942, pp. 83 s.; Firpo, 1958).

La scarcerazione fu vissuta da Vialardi come una vera rinascita sociale e creativa, ufficializzata nel 1601 con l’approdo all’Accademia degli Umoristi di Roma, che fu frequentata dall’autore sino al 1612. Nel 1598 stampò con nuove aggiunte il trattato dialogico Della famosissima compagnia della Lesina, ottenendo un cospicuo successo anche in Francia con l’edizione della Fameuse Compaignie de La Lesine ou Alesne, pubblicata nel 1604 dal tipografo Abraham Saugrain. Nel settembre del 1605 riprese la corrispondenza con Titi, interrotta nel 1591, riuscendo a pubblicare La Contralesina e la commedia Il pignato grasso, che fu riedita quell’anno a Milano nella stamperia di Giacomo Maria Meda.

Gli anni compresi tra il 1603 e il 1612 videro Vialardi impegnato su più fronti. A Roma, nel 1603, diede inizio all’attività di agente diplomatico per Maffeo Barberini. La corrispondenza con Barberini, interrotta nel 1607, fu ripresa a partire dal gennaio del 1612, subito dopo la nomina del porporato a cardinale-legato di Bologna nell’ottobre del 1611. Immerso nel vivere politico del suo tempo, si fece promotore di un antispagnolismo e di una visione organicistica della ragion di Stato, intensificando nel 1605 i suoi rapporti con il président à mortier del Parlamento francese Jacques-Auguste de Thou d’Emery, per il quale contribuì ad ampliare la sezione degli Éloges des hommes savans dell’Histoire Universelle. La morte di Enrico IV, avvenuta il 14 maggio 1610, consentì a Vialardi di testimoniare la sua fedeltà alla Corona francese con le stampe dell’Orazione in morte del grande Enrico IIII, del Tumulo o inscrizione alla sepoltura del Gloriosissimo e Christianissimo Enrico IIII e della Grandissima pompa funeral compiuta per il re di Francia. Solo tra il 1612 e il 1613 riuscì a portare a termine la sua Historia delle vite de sommi pontefici Innocenzio VIII, Bonifazio IX et del cardinale Innocentio Cybo, che rappresentò il completamento di un impegno storiografico avviato nel 1588, realizzato in onore del duca Alberico I Cybo.

Risultano ignote le notizie intorno alla sua morte, che avvenne probabilmente sul finire dell’anno 1613.

Fonti e Bibl.: Torino, Biblioteca del seminario arcivescovile, G. Agostino Torelli, 11/7; Torino, Biblioteca nazionale universitaria, X 9; Venezia, Biblioteca Marciana, It. XI 61 [6792], c. 159v; Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, ARM. X, 205, c. 214rv.

L. Contile, Ragionamento sopra le proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici Affidati, Pavia 1574, c. 42v; T. Riccio, Il primo libro delle canzone alla napolitana a cinque voci, Norimberga 1577, cc. a2rv; A. Berga, Disputatio de magnitudine terrae et aquae contra Alex Piccolomineum conscripta et a Francisco Maria Vialardo latinitate donata, Taurini 1580, cc. 3r-22v; S. Guazzo, Dell’honor universale, in Id., Dialoghi piacevoli, Piacenza 1587, pp. 325 s.; G.F. Apostoli da Montemagno, Succisivae horae, Papiae 1588, p. 186; V. Toraldo d’Aragona, La Veronica o del sonetto, Genova 1589, pp. 12 s.; B. Guarini, Lettere, Venezia 1593, pp. 193-198; F. Meninni, Il ritratto del sonetto e della canzone, Venezia 1678, p. 17; J. Gaspard De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, II, Torino 1820, pp. 217 s.; M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, I-V, Bologna 1930, pp. 144-146; A. Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, Città del Vaticano 1942, pp. 83 s.; L. Firpo, In margine al processo di Giordano Bruno. F.M. V., in Rivista storica italiana, LXX (1958), 1, pp. 325-365; G. Chiabrera, Lettere (1585-1638), a cura di S. Morando, Firenze 2003, p. 132; T. Vialardi di Sandigliano, I Vialardi di Verrone, in Verrone, l’immagine ricostruita, a cura di T. Vialardi di Sandigliano, Savigliano 2005, pp. 45-59; Id., Un cortigiano e letterato piemontese del Cinquecento: F.M. V., in Studi piemontesi, XXXIV (2005), 2, pp. 299-312; S. Guazzo, La civil conversazione (1579), I, Testo e Appendice, a cura di A. Quondam, Roma 2010, p. 157; L. Vaccaro, Un’ape operosa al servizio dell’alato destrier barberiniano: lettere d’avvisi di F.M. V. a Maffeo Barberini, in Schede umanistiche, XXIX (2015), pp. 85-124; Id., Sus Minervam non docet. Lettere di F.M. V. a Roberto Titi, ibid., XXX (2016), pp. 197-225; Id., Comandi, che in ogni cosa la servirò con tutto il cuore. Lettere di F.M. V. a Jacques-Auguste de Thou, ibid., XXXIII (2019), in corso di stampa.

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